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Full text of "Archivio storico italiano"

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«r 


ARCHIVIO 


STORICO  ITALIANO 


FONDATO  DA  G.  P.  VIEUSSEUX 


e   continuato   a   cura   della 


R.    DEPUTAZIONE  TOSCANA  DI   STORIA   PATRIA 


QUINTA   SERIE 


Tomo  XXXIX  —  Anno  1907 


IN  FIRENZE 

PEESSO  G.  P.  VIEUSSEUX 

Tipografia  Galileiana 

1907 


LINAIII  CASTELLO  DELLA  YALDELSA 


-^- 


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^'fp^f: 


Panorama  di  Linari  voiso  mozzoiiioino. 


Lo  studio  presente  ebbe  principio  dalla  curiosità 
di  conoscere  a  qual  famiglia  appartenne  uno  stemma 
scolpito  sulla  j)ietra,  e  murato  in  una  vecchia  torre  di 
Linari,  venuta  in  possesso  dei  miei  due  figli  a  titolo 
d'ereditaggio.  La  torre,  già  ridotta  a  piccionaia,  venne 
adesso  restaurata,  e  fiancheggiata  da  ampio  fabbricato 
per  alloggio  dei  padroni  e  per  magazzini  di  derrate.  Xel 
cercare  indarno  d'identificare  lo  sconosciuto  stemma  (1) 


(1)  Porta  un  leone  rampante  con  ramoscello  fra 
Io  branche  anteriori.  Nella  B.  N.  F.  (^BihlioteGa  Kaizlo- 
iiale  di  Firenze)  i  codd.  II.  I,  125  e  126  {Sepoltuario 
lìOHselli),  così  ricchi  di  stemmi  delle  famisjjlic  fioren- 
tine, ne  contengono  sette  simili  a  questo.  Quindi  la 
difficoltà  d' identificarlo. 


4  GIROLAMO    MANCINI 

allargai  le  ricerelie,  e  raccoltone  discreto  manipolo  pen- 
sai d-  illnstrare  il  vetnsto  castello,  fiorente  e  popoloso  nel 
medio  evo,  oggi  quasi  disabitato,  e  ridotto  a  residenza 
di  due  fattorie  agricole  con  poche  ed  insignificanti  reli- 
quie dei  tempi  prosperi.  Le  condizioni  attuali  di  Linari 
richiamano  alla  memoria  i  versi  di  Dante  sulla  caducità 
delle  cose  umane,  là  dove  ricorda  come  son  ite  Luni 
ed  TJrMsaglm,  i)er  trarne  la  triste  conclusione: 

Le  nostre  cose  tutte  hanno  lor  morte, 
Sì  come  ìwi!  ^ 

bell'alto  medio  evo  Papice  della  collina  dove  sorge 
Linari  fu  circondato  da  muraglie  di  cinta  del  tutto 
scomi^arse  insieme  alle  due  porte  d'entrata  e  d'uscita 
nel  castello.  Forse  denominavano  Porta  al  Perone  quella 
meridionale  (1),  senza  dubbio  Porta  a  Salti  la  setten- 
trionale rimpetto  alle  colline  di  8.  Appiano  (2),  e  la 
ripidissima  discesa  o  salita  esistente  innanzi  ad  essa  ne 
giustificava  il  vocabolo.  Delle  porte  e  delle  muraglie 
castellane  non  restano  tracce:  sopravvivono  due  torri 
e  la  base  d'una  terza  diroccata  o  caduta.  Anche  con 
un'  occhiata  fugace  alla  conformazione  della  collina, 
alta  m.'  225  sul  livello  del  mare,  si  comprende  per  qual 
motivo  ricorsero  all'arte  e  ne  resero  più  forte  il  cul- 
mine. Da  levante,  da  tramontana,  da  ponente  il  colle 
s'inalza  formando  un  cono  simile  a  pane  di  zucchero 
troncato  nella  Aletta.  Dai  tre  lati  le  ripe  tufacee,  quanto 
mai  scoscese,  ne  rendono  difficoltoso  l'accesso,  abba- 
stanza agevole  da  mezzogiorno,  perchè  appena  fuori  dal 
castello  si  prolunga  uno  stretto  altipiano,  che  poi  si 
dirama  e  dolcemente  declina  fino  alla  base,  circa  m.'  120 
alta  sul  livello  del  mare.  Le  colline  diramatesi  dall'alti- 
piano possono  equipararsi  alle  nervature  della  foglia  o 
pagina  d' una  palma,  disposte  a  raggiera,  e  l' altipiano  al 


(1)  M.  492  (1339). 

(2)  F.  568  a  e  12.  VI.  1348Ì 


LIXARI   CASTELLO   DELLA    VALDELSA  O 

peduncolo  o  picciuolo  della  foo-lia.  Presso  la  base  meri- 
dionale delle  colline,  dopo  brevissimo  tratto  di  terreno 
in  pianura,  scorre  FElsa.  Xella  direzione  di  Poggibonsi 
la  pianura  s'allarga  frastagliata  dai  torrenti  Staggia, 
Brove  d'Amaiani,  Drove  di  Oinciano  e  Bozzone,  che  con- 
giungono le  proprie  acque  prima  di  scaricarle  sull'Elsa. 
Allorché  non  usavano  le  artiglierie,  e  le  fortezze 
assediate  opponevano  difese  piombanti  agii  assalitori, 
questi  potevano  investire  Linari  soltanto  da  mezzo- 
giorno, essendo  il  cavstello  assicurato  negli  altri  lati 
dallo  scoscendimento  delle  ripe,  con  grave  rischio  po- 
tute superare  dal  nemico  per  approssimarsi  alle   mura 


Linaii  verso  tiainontaiia. 

e  dare  la  scalata.  Dopo  che  sulle  muraglie  più  solide 
le  artiglierie  principiarono  ad  aprire  brecce,  il  castello 
divenne  arnese  inservibile:  ma  fino  al  secolo  XV  co- 
stituì un  refugio  opportuno  ai  belligeranti  i  quali  vo- 
levano offendere  Poggibonsi,  8an  (Tcmignano,  ed  anche 
Colle.  Dal  basso,  ovvero  dai  tetti  della  chiesa  di  s.  Maria, 
i   difensori    sorveoiiavano   il    nemico    afforzatosi    nelle 


b  GIROLAMO    MANCINI 

prime  due  terre,  spiavano  i  soccorsi  i3roveiiienti  da 
Colle,  iiiudicavaiio  del  momento  opportuno  per  mole- 
stare ()^'ve^o  attaccare  il  nemico  diretto  a  Poggibonsi 

0  risoluto  ad  allontanarsene.  Fra  questa  terra  e  Firenze 
la  A  ia  più  frequentata  per  l'erto  Valcanoro  conduceva  a 
Liliali,  l'idiscendeA'a,  quindi  risaliva  a  S.  Appiano,  e  a 

1  Barberino  (1).  Xon  transitando  per  Linari,  il  nemico  da 
Poggibonsi  indirizzato  a  Firenze,  oppure  a  Certaldo, 
doveva  costeggiare  le  colline  dominate  dal  castello. 
Coperti  dalle  boscaglie,  sbucando  nella  pianura  dalle 
diverse  insenature  fra  le  colline,  i  difensori  di  Linari 
potevano  all'improvviso  piombare  sul  nemico  sorpreso 
nella  ristretta  pianura  ì)agnata  dai  quattro  torrenti 
menzionati,  tutti  colle  ripe  scoscese,  talora  a  i3Ìcco.  Il 
nemico  doveva  retrocedere,  o  audacemente  guadare  i 
torrenti  aft'rontando  sempre  la  ripidezza  delle  sponde, 
e  la  piena  quando  l'acqua  abbondaA  a.  Xè  si  dimentichi 
come  i  quattro  torrenti,  adesso  almeno  in  parte  arginati, 
erano  nel  medio  evo  privi  d'arginature  per  regolare  il 
corso  delle  acque.  Inoltre  il  vocabolo  Staggia  mortai 
menzionato  nei  contratti  dai  notari  Linaresi,  lascia 
congetturare  che  prima  di  scaricare  le  acque  nell'Elsa 
i  (juattro  torrenti  impaludassero  porzione  della  pianura, 
ed  anche  vi  formassero  uno  stagno. 

La  situazione  di  Linari,  tanto  propizia  ai  tempi 
delle  difese  piombanti;  forse  trattenne  i  nemici  dall' at- 
taccare il  castello,  e  sarà  questo  il  motivo  per  cui  man- 
cano memorie  d'aggressioni  e  d'assedi  nell'alto  medio 
evo.  Una  delle  rare  notizie  di  carattere  militare  si  rife- 
risce ad  un  esploratore  nel  1252  inaiato  a  Linari  causa 


(1)  La  sosia  in  IJnari  di  s.  Carlo  Borroiueo  diretto  a  Konia,  dopo 
l'esaltazione  di  Pio  W  e  prova  evidente  del  ijassaggio  da  Linari  del- 
l'antica strada  tra  Firenze  e  Poggibonsi.  In  s.  Stefano  presso  Linari 
una  lapide.  ri})rodotta  da  altra  anteriore,  attesta  elie  il  santo  celebrò  la 
messa  in  (jucsta  eliiesa,  quindi  avrà  ])assata  la  notte  nel  castello. 


LINARI   CASTELLO   DELLA   VALDELSA  7 

ficiendi  nova  quando  erat  ibi  exercitus  (1).  In  quel  mo- 
mento Pisa  e  Siena  con  alterna  fortuna  combattevano 
Firenze. 

Nel  1260,  mentre  i  guelfi  di  Firenze  ed  i  ghibellini 
di  Siena  A^olevano  reciprocamente  annientarsi,  s' interes- 
sarono di  Linari  ai  0  di  maggio  i  Fiorentini,  ch'entrati 
la  prima  volta  in  campagna,  già  si  preparavano  a  rim- 
patriare ne  vincitori,  né  vinti  ;  per  cui  vollero  effettuare 
la  seconda  impresa  finita  a  Montaperti  il  4  settembre  con 

lo  strazio  e  '1  grande  scempio 
die  fece  l'Arbia  colorata  in  rosso. 

Il  potestà  di  Firenze,  i  suoi  4  consiglieri,  ed  i  capitani 
dell'esercito  ordinarono  a  Rogero  d'Orciolino,  castellano 
in  Linari,  di  ritenere  nel  castello  venticinque  degli  abi- 
tanti obbligati  a  militare,  e  fra  questi  quattro  pedoni 
concessi  particolarmente  al  castellano  (2). 

Quando  poi,  nell'autunno  del  1312,  l'imperatore 
Arrigo  VII,  riconosciuta  l'impossibilità  d'assoggettare 
Firenze,  e  sciolto  il  blocco  iniziato  prima  di  cingere 
la  città  con  regolare  assedio,  si  ritirò  colle  sue  genti  a 
S.  Casciano,  poi  sostò  a  Poggibonsi,  e  tentò  invano 
l'espugnazione  di  Castel  Fiorentino,  sarà  stato  dagl'im- 
periali gravemente  danneggiato  il  territorio  dei  Linaresi, 
ma  non  A^ennero  tentate  fazioni  contro  il  castello  ben 
guardato  dai  Fiorentini  (3). 


(1)  Comunicazione  del  sig.  Davidsohx,  V  illustre  tedesco  autore 
della  Storia  di  Firenze.  Berlin,  1900,  II,  87. 

(2)  Il  libro  (li  Montaperti,  in  Doeumenti  di  Storia  italiana.  Firenze,  1889, 
p.  84.  I  registri  editi  in  questo  volume  ricordano  le  sonnuinistrazioni 
di  grano  imi^oste  dai  Fiorentini  ai  rettori  dei  benefizi  ecclesiastici  jjer 
soccorrere  Montalcino.  Le  stala  10  di  grano  assegnate  nel  4  agosto  1260  al 
rettore  di  S.  Andrea  in  Linari,  i).  132,  non  si  riferiscono  ad  una  chiesa 
esistente  nel  castello  della  Valdelsa,  come  viene  supposto  nella  M.  S.  V. 
^Miscellanea  storica  della  Valdelsa),  Castel  Fiorentino,  1904,  II,  71,  bensì 
alla  parrocchia  di  Linari  nel  piviere  di  Rubbiano  della  Valdema. 

(3)  M.  S.  V.,  1898,  VI,  103,  164. 


8  GIROLAMO   MANCINI 

^el  1432  Bernardino  della  Carda,  capitano  di  400 
lance  al  soldo  di  Filij)po  Visconti  duca  di  Milano,  de- 
vastò l'Aretino,  espugnò  Marciano  nella  Yaldichiana  ed 
alcuni  castelli  della  Yaldambra.  Inseguito  da  Niccolò  di 
Tolentino,  condottiero  dei  Fiorentini,  passò  nella  Yal- 
delsa.  Quivi,  per  cattiva  guardia,  per  segrete  intelligenze, 
o  per  insufficiente  numero  di  difensori,  ai  25  di  maggio 
occupò  Linari,  e  subito  cavalcò  verso  Pontedera.  I  Fio- 
rentini gii  stavano  alle  calcagna,  e,  secondo  un  cro- 
nista, recuperato  j>er/or5f-f  Linari,  inseguirono  il  nemico, 
che,  in  prossimità  di  8.  Eomano,  congiuntosi  al  corpo 
principale  dell'armata  del  Visconti,  rimase  sconfìtto 
il  l""  giugno,  ed  uno  dei  primi  a  fuggire  fu  Bernardino  (1). 
La  j)erdita,  il  riacquisto  dì  Linari,  e  la  rotta  dell'ar- 
mata ducale,  fatti  avvenuti  nel  breve  spazio  di  sei 
giorni,  due  impiegati  senza  dubbio  nel  cavalcare  dalla 
Valdelsa  nella  Valdera,  lasciano  supporre  che  i  Lina- 
resi  aprissero  le  i)orte  ai  Fiorentini,  oppure  al  loro  ap- 
prossimarsi costringessero  ad  arrendersi  gii  assoldati 
dal  Visconti.  IS^onostante,  nell'  orazione  recitata  allorché 
la  Signoria  fiorentina  consegnò  il  bastone  del  comando 
a  IS^iccolò  di  Tolentino,  Leonardo  aretino  disse:  Con 
somma  celerità  ne  veniste  a  Linari^  castello  munito  da 
natura,  fortificato  da  nemici,  fornito  di  validissimi  di- 
fensori. La  vostra  magnificenza  con  sommo  ardire  et  in- 
credibile virtù,  sanza  homòarde  et  sanza  altro  instru- 
mento da  combactare  terre,  solo  con  battaglia  manuale, 
exj)ugnò  et  vinse  (2).  Le  rimbombanti  frasi  del  Bruni 
esaltano  al  pari  di  strepitosa  vittoria  il  recupero  del 
castello,  ripreso  colla  medesima  facilità  colla  quale  era 
stato  perduto.  Le  guardie  lasciate  in  Linari  deposero 
le  armi  corrotte  dai  danari  fiorentini,  seppure  non  si 
crederono  impotenti  a  resistere,  forsanco  intimidite  dai 


(1)  D.  E.  T.  {Deligie  degli  eruditi  tosoani),  Firoiize,  1785,  XIX,  99,  104. 

(2)  B.  N.  F.,  cod.  45,  ci.  VI,  f/^  51. 


LINARI   CASTELLO   DELLA   YALDELSA  9 

Linaresi   sospettosi   delle   yeiidette   di   Firenze   vicina, 
poco  o  nnlla  sperando  dal  lontano  duca  di  Milano. 


Liliali  verso  libeccio. 


Descritta  la  posizione  topografica  del  castello  e  le 
poche  vicende  militari,  riassumerò  le  notizie  sopra  Li- 
nari  raccolte  qua  e  là,  ed  alquanto  più  m'estenderò 
sulle  condizioni  nelle  quali  se  ne  sv^olse  la  vita,  e  sulle 
costumanze  degli  abitanti,  segnatamente  nel  sec.  XI ^^, 
avendo  racimolate  parecchie  notizie  in  n.^  16  protocolli 
di  sette  notari  che  dal  1305  al  1362  rogarono  nel  ca- 
stello (1).  Ma  troppo  presto  rimase  esaurita  la  preziosa 


(1)  I  x>rotocolli  dei  notari  Linaresi  del  secolo  XIV  conservati  nel- 
lA.  S.  F.  fArohivh  di  Stato  FiorentinoJ,  hanno  le  segnatnre  : 
D.  77,  Dogino  di  Conte  (1305-L316),  filze  n.  4. 

F.  568.  Francesco  di  Tomeo  (134<vl348),  n.  1. 

G.  .369,  Giovanni  di  Biizzicliello  (1334-1347),  n.  3. 
I.  47,  Iacopo  del  fu  ser  Giovanni  (1326-1340).  n.  2. 
L.  84.  La])f>  del   fu  Sinume  (1334-1339).  n.  1. 


10  GIROLAMO    MANCINI 

fonte  per  lo  smarrimento  dei  protocolli   notarili   ante- 
riori e  posteriori. 

Per  quanto  io  so,  il  nome  di  Linari  incontrasi  men- 
zionato la  prima  volta  in  una  pergamena  del  marzo  1072, 
già  posseduta  dall'abbazia  di  s.  Michelangelo  a  Passi- 
gnano  nella  Valdipesa,  e  la  seconda  volta  in  altra 
membrana  del  medesimo  monastero  rogata  dentro  al  ca- 
deìlo,  il  31  marzo  1074.  Con  la  prima  Guido  di  Ghe- 
rardo, alla  presenza  del  giudice  del  sacro  palazzo  e 
d'alcuni  bonuomini,  permette  alla  moglie  Guillia  di  Gi- 
salberto  di  donare  quattro  aj^i^ezzamenti  di  terreno 
alla  chiesa  e  al  monastero  di  Passignano  per  rimedio 
delle  anime  di  essi  coniugi  e  di  Eanieri  figlio  defunto. 
Colla  seconda  i}ergamena  i  coniugi  Giovanni  e  Gasdia 
figlia  del  fu  Pandolfo,  insieme  ad  Adalasgia  d'Ugo,  au- 
torizzata da  Giovanni  suo  mundualdo  (1),  vendono  i^er 
20  soldi  a  Eolando  del  fu  Eodolfo  i  propri  servi  ed 
ancelle  Gerardo  di  Burzule,  i  figli,  e  le  figlie  di  lui,  di- 
chiarando libero  di  farne  cosa  vorrà  il  compratore  di- 
venuto nuovo  padrone  dei  maschi  e  delle  femmine 
vendutegli.  Xella  carta  del  1072  il  luogo  della  stipula- 
zione è  indicato:  Linare  in  territurio  florentino:  nella 
seconda  del  1074:  Actum  intus  castello  de  Linare,  ter- 


M.  492,  Micliele  di  Cainbiiizzo  (1334-1317),  iilze  n.  4. 

T.  174,  Tomaso  di  Birrozzo  (1361-1363),  n.  1. 

Citando  i  contratti  indico  V  iniziale  del  notaro,  il  numero  asse- 
j^nato  ai  suoi  i)rotocolli  nei  cataloghi  delFA.  S.  F.,  e  nel  testo  o  nelle 
note  la  data  dello  strumento  allegato.  Le  membrane  citate  a^ipartennero 
alla  Badia  di  Passignano  e  sono  custodite  in  A.  S.  F. 

(1)  Sarebbe  quasi  sui)erliuo  ricordare  come  nel  medio  evo  quando 
erano  defunti  il  i)adre  o  il  marito,  la  legge  voleva  investito  della  loro 
autorità  di  padri  di  famiglia  un  uomo  delegato  con  atto  notarile  ad  as- 
sistere la  donna  che  contraeva  solenni  impegni,  quali  il  matrimonio  o  la 
vendita  di  xjossedimenti.  A  Linari  nel  1337,  per  rendere  più  solenne  un  atto 
di  mundio,  il  notaro  Giovanni  di  Buzzichello  prese  alla  donna  la  mano 
destra,  e  dicendo  —  esto  mundualdus  —  la  i^ose  in  quelle  delPuomo,  il 
quale,  secondo  la  legge,  rai)presentava  la  superiorità  del  maschio  sulla 
femmina.  G.  369. 


LIXARI   CASTELLO   DELLA   VALDELSA  11 

riturio  florentino  (1).  Quindi  riesce  impossibile  dubitare 
che  il  castello  innanzi  al  1074  fosse  circondato  da  mu- 
ra<;lie  di  cinta,  ed  è  natm-ale  di  congetturarle  costruite 
dal  potente  feudatario,  il  quale  esercitava  signoria  ed 
era  padrone  della  località. 

Quale  famiglia  avrà  fortificato  e  posseduto  il  ca- 
stello? La  vicinanza  di  Semifonte,  grossa  terra  espu- 
gnata nel  1202,  successivamente  distrutta  dai  Fiorentini, 
porterebbe  a  congetturare  che  Linari  innanzi  al  se- 
colo XIII  avesse  obbedito  agli  Alberti  conti  di  Man- 
gona  signori  nella  Valdelsa  di  Semifonte,  Tignano, 
C;orbinaia  e  Colle  (2).  Questi  conti  possedevano  tante 
estese  proprietà  vicine  all'Elsa,  che  senza  indicarlo  a 
nome  jjotrebbero  aver  compreso  Linari  nel  patto  fir- 
mato il  12  febbraio  1200,  quando  Alberto  e  Maghinardo 
di  Mangona  promisero  ai  Fiorentini:  non  faciemus 
aliquod  castrum,  vel  incastellaòimus,  aiit  incastellare  fa- 
ciemus aliquos  homines  in  aliquo  podio  inter  Yirginium 
et  Elsam  (3).  Poiché  al  momento  della  promessa  Linari 
da  parecchi  anni  era  incastellato,  e  nella  sua  cinta 
ricettava  famiglie  soggette  ad  un  feudatario,  il  patto 
accettato  dai  conti  di  Mangona  non  può  riferirsi  a 
muraglie  di  fortificazione  da  costruire,  essendo  già  inal- 
zate sull'apice  della  collina  linarese  lambita  a  mezzo- 
giorno dall'Elsa,  e  a  maggior   distanza  fra   levante   e 


(1)  11  territorio  Fiorentino  ricordato  nelle  due  ineiiibrane  lo  è  pure 
ili  una  terza  del  3.  VII.  1100  rogata  prope  castello,  qui  vocatur  Linare,  in 
territurio  Fiorentino.  In  una  quarta,  iJure  di  Passignano,  del  18.  VII.  1128: 
.ietuni  est  hoe  Linare  ituUciaria  florentina:  così  nelPaltra  del  28.  II.  1127: 
in  loco  uhi  dicitur  Solo  jnojye  Linare  iudiciaria  florentina.  Invece  una  sesta 
del  24.  Vili.  1133  fu  rogata  ad  Linare  oomitatu  fiorentino.  Nel  corso  di 
l)ochi  anni  i  notari  dalPuso  dei  vocaboli  territorio  e  giudicheria  passarono 
a  contado.  Il  vocabolo  giudicheria  si  riferisce  al  tenix>o  in  cui  l' impero 
l)ose  a  Firenze  un  conte  affinchè  giudicasse. 

(2)  D.  E.  T.,  1778,  X,  90. 

(3)  Santini,  in  Documenti  di  storia  italiana,  Firenze,  1895,  X,  49.  — 
D.  K.  T.,  1777,  Vili,  126. 


12  GIROLAMO   MANCINI 

tramontana  dal  corso  del  Virginio,  impetuoso  tor- 
rente tributario  della  Pesa,  che  formava  il  limite  col 
Chianti. 

In  un  opuscolo  sul  culto  di  s.  Aj^piano  e  sul  tempio 
dedicato  a  quel  santo  (1),  sede  del  piviere  nel  quale 
è  compreso  Linari,  trovasi  asserito  che  questo  castello 
fu  signoreggiato  una  volta  dai  Gherardini  di  Firenze, 
ed  allegato  un  distico  di  Michele  Verino,  in  cui,  senza 
nominare  Lina  ri,  il  poeta  allude  alla  potenza  nel  con- 
tado Valdelsano  dell'illustre  famiglia  fiorentina,  già  fra 
le  maggiorenti  della  città: 

Clara  Glierardina  doiniis  est  liaec:  plurima  quondam 
castella  incoluit  foecundibus  collibus  Elsae  (2). 

I  Gherardini  godevano  a  Firenze  l'onore  del  con- 
solato nel  1197,  e  nel  1292  si  trovavano  fra  le  tredici 
famiglie  padrone  di  loggia  dichiarate  grandi.  M.  Oece 
sconsigliò  l'impresa  finita  colla  sconfitta  di  Montaperti; 
m.  Lotteringo,  A'ittima  nel  1304  d'una  zufta  civile,  me- 
ritò sulla  pietra  sepolcrale  (3)  l'onorato  ricordo  —  ohiif 
in  defensione  populi  florentini  — .  Famiglia  numerosis- 
sima, contava  85  maschi  quando  nel  1342  fece  pace  coi 
Monter inaldi.  Possedè  numerosi  patronati  di  parrocchie 
nelle  diocesi  Fiesolana  e  Fiorentina  ;  nel  piviere  poi  di 
s.  Appiano  quelli  delle  chiese  curate  di  Poppiano,  di 
s.  Giorgio  a  Oinciano,  questo  a  metà  col  popolo,  e  sol- 
tanto nel  secolo  XVI  per  breve  tempo  elesse  il  priore 
di  s.  Stefano  presso  Linari(4).  Molti  Gherardini,  pa- 
droni di  case  e  di  vasti  terreni   nel   Linarese,   a   Pop- 


(1)  Biadi,  Della  i^if^'^  di  «•  Appiano  in  ValdeUa.  Firenze,  1855.  ]>.  31. 

(2)  Verini,  J)e  illustraUone  Florentkw,  Parisiis.  1790,  II,  40. 

(3)  È  murata  sulla  i^arete  della  chiesa  nel  chiostro  di  s.  Stefano 
presso  il  Pontevecchio  a  Firenze. 

(4)  A.  S.  F.  Ms8.  n.°  531.  —  Gamukkini,  Istoria  delle  famiglie  nobili. 
Fiorenza,  1671,  II,  111.  —  Dino  Compagni,  Cranica,  ediz.  Del  Lungo. 
Firenze,  1879,  II,  268. 


LINARI  CASTELLO  DELLA  YALDELSA ■  13 

piano,  a  Vico,  a  Poggibousi,  vissero,  contrassero  matri- 
moni (1),  morirono  nella  Vaklelsa  :  d' un  Glierarduceio, 
defunto  nel  1332,  rimane  Peffigie  scolpita  sulla  pietra 
sepolcrale  a  S.  Appiano  (2)  :  peraltro  mancano  memorie 
di  feudi  da  essi  goduti  a  Linari.  Nemmeno  sembra  che  ne 
siano  stati  signori,  come  lo  furono  del  castello  di  Mon- 
tagliari  nelle  vicinanze  di  Greve,  dai  Fiorentini  espu- 
gnato e  diroccato  nel  1302  (3),  nella  medesima  guisa 
d'altre  rocche  e  del  castello  di  Fogna  nella  Vaklelsa, 
i  cui  signori,  gli  Alberti  di  Mangona,  nel  novembre 
del  1184,  dopo  aver  rifiutato  d'obbedire  ai  Fiorentini, 
e  continuato  a  taglieggiare  i  viandanti  riottosi  a  ivd- 
gare  il  passaggio  pel  feudo,  promisero  dentro  il  pros- 
simo aprile  d'avere  destructum  totum  casteUum  de  Fogna, 
exccpfo  palai  io  cum  tur  ri  (4). 

Indizi,  a  parere  mio,  molto  gravi  possono  far  cre- 
dere Linari  dominato  da  un  ramo  dei  conti  Guidi,  la 
più  potente  fra  le  famiglie  dei  feudatari  toscani.  Xel- 
l' aprile  del  1150  Guido  IV  comes  Tuscie  donò  ai  Senesi 
l'ottava  parte  montis  uni  dicitur  Bonizi  siti  valle  Mar- 
turi  {ò\  posta  a  tergo  dell'attuale  Poggibonsi,  rimpetto 
a  Linari.  Xell' ottobre  del  1220  Ugo  d'Uguccione  Guidi, 
uno  dei  conti  Cadolingi  di  Fucecchio,  trombandosi  alla  ba- 
dia vallombrosana  di  Passignano,  permise  ad  un  proprio 


(1)  Gemma  di  Piero  Glierardiui  ebbe  in  dote  iioiini  d'oro  400.  I.  47 
(1.  X.  1329).  —  Cacciantino  del  fu  GlierartLino  Gherardini  lasciò  uguale 
dote  per  testamento  alla  liglia  Bonafìdanza.  F.  568  (1348). 

(2)  Nella  M.  S.  V.,  1906,  XIV,  170,  V  Uzielli,  Leggenda  dei  tre  Vaì- 
delmni  conquistatori  dell'  Irlanda,  i)roduce  tratteggiato  il  disegno  della 
pietra  tombale  di  Gherardueeio. 

(3)  CoKAZZixi,  /  Gherardini  e  il  castello  di  Montagliari,  in  Miscellanea 
fiorentina  d'erudizione  e  storia.  Firenze,  1897,  II,  80. 

(4)  Santini,  X,  25.  —  Il  Repetti,  Dizionario  della  Toscana.  Fi- 
renze, 1833,  Supplemento,  195,  dice  che  Fattuale  terra  di  Marcialla  sorge 
sulla  località  delFantica  Fogna. 

(5)  Ammirato,  Albero  dei  conti  Guidi.  Firenze,  1640,  p.  5.  —  M.  S.  \. 
1896,  IV,  81-84. 


14  '  GIROLAMO   MANCINI 

vassallo  di  Liiiari  di  rinunziare  in  favore  dei  monaci 
la  terza  parte  d'un  manso  a  Mandano  nella  Valdelsa  (1). 
E  cosa  più  importa,  i  conti  Gnidognerra  e  Ruggero  di 
Marcovaldo,  Guido  d'Aghinolfo  da  Eomena,  e  Guido 
Novello  nel  G  maggio  1255  alienarono  in  Firenze  il  pa- 
tronato della  chiesa  di  Linari  ed  alcuni  terreni  (2).  I  pa- 
tronati delle  prebende  ecclesiastiche,  segnatamente  par- 
rocchiali, hanno  sempre  costituito  un  fortissimo  indizio 
per  congetturare  cjio  le  famiglie  dei  patroni  esercitas- 
sero, oppure  avessero  esercitati  diritti  signorili,  e  pos- 
seduti latifondi  nei  luoghi  dove  sorgono  le  chiese  dotate 
colle  loro  elargizioni,  o  fatte  edificare  per  comodo  pro- 
prio e  dei  dipendenti.  L'avere  vicino  d'abitazione  il 
parroco,  vincolato  a  guisa  di  cliente,  era  nelF  interesse 
dei  feudatari,  i  quali  nominaA^ano  rettore  l'ecclesiastico 
meglio  gradito.  Fra  gli  Alberti  di  Mangona,  i  Gherar- 
dini,  ed  i  Guidi,  che  plausibili  supposizioni  permettono 
di  congetturare  al  possesso  di  ragioni  feudali  sopra  Li- 
nari,  io  darei  la  preferenza  ai  conti  Guidi. 

Sulla  famiglia  che  signoreggiò  Linari  nell'alto  medio 
evo  sparirebbero  le  dubbiezze  giungendo  a  determinare 
il  cognome  d'una  donna  padrona  di  grandi  tenimenti 
nella  Valdelsa  ed  altrove.  Zabollina  di  Giovanni  di  Bot- 
taccio, già  nel  1126  vedova  di  Eidolfino  di  Bernardo  da 
Oatignano  (3),  a  motivo  della  vedovanza,  propter  velameli 


(1)  Repetti,  II,  701. 

(2)  D.  E.  T.,  Vili,  141. 

(3)  Il  Lami,  Monumenta  ecclcHiae  florentinae.  Florentiae,  1758,  p.  789, 
seguitato  dal  Repetti,  II,  351,  dice  i  conti  di  Catignano  appartenuti  al 
ramo  dei  Cadolingi  di  Borgouuovo,  che  sembra  estinto  nel  1113.  Za1>ol- 
lina  rimasta  vedova  disponeva  di  grandi  i)rox>rietà  senza  dubbio  eredi- 
tate dal  padre.  Il  Repetti,  I,  623,  nota  nella  Valdelsa  due  località  de- 
nominate Catignano,  una  già  sede  della  parrocchia  di  s.  Donato  da  lungo 
tempo  soppressa  ed  incorporata  all'altra  di  s.  Stefano  presso  Linari  ;  la 
seconda  nel  piviere  di  s.  Martino  a  Gambassi,  antico  feudo  dei  conti 
Cadolingi  e  dei  Mangona  loro  consorti.  Invece  i-notari  Linaresi  deno- 
minano s.  Donato  a  Giugliano  la   parrocchia   aggregata  a  s.  Stefano,  se- 


UNA  RI   CASTELLO   DELLA    VALDELSA  15 

.sui  capitis,  dice  il  documento,  oft'rì  e  donò  a  Grotofredo 
vescovo  di  Firenze  i  castelli,  le  case  e  i  terreni  di  sua 
proprietà  esistenti  nella  Marca  della  Toscana,  nelle  corti 
e  nei  castelli  di  Linari,  Timignano,  Uzano,  Fogna,  Our- 
signano,  di  Nòvole  a  S.  Maria  Novella,  d'Aquilone, 
Tregenta,  Turri,  Oinciano,  8.  Filippo,  Colle,  Catignano, 
e  quatuor  residentias  a  S.  Pancrazio  nella  Valdipesa  (1). 
Il  vescovo  allogò  in  enfiteusi  gl'immobili  donati  da  Za- 
bollina,  e  si  riservò  in  Linari  una  casa  turrita,  o  cassero 
simile  a  fortilizio  (2).  Un  secondo  documento  prodotto 
dal  Lami  (3)  informa  come  Sincero,  Amerigo  e  Baldovino 
del  fu  Mazzo  nel  10  febbraio  1127  refutaverunt  domino 
Gotifredo  episcopo  tres  partes  castri  et  curie  de  TAnari. 
Quindi  resulta  che  il  dono  di  Zabollina  al  vescovado 
fiorentino  avrebbe  compreso  quasi  l'intero  castello  e 
territorio  (curia)  Linarese. 

<  Xel  Bullettone,  ovvero  registro  dei  livelli  dell'epi- 
scopio fiorentino,  sono  così  descritte  l'enfiteusi  concesse 
dal  vescovo  nella  Taldelsa:  Homagium,  vassaUagium,  et 
fldelitateSy  atque  dominium  super  fldeles,  vassalìos,  homi- 
nes  et  persona s  de  terra  Catignani  et  Linari,  distr ictus 
Florentie,  cum  poderi,  quod  est  in  territorio  de  Linari, 
et  cum  domo  episcopatus,  que  est  in  cassero  diete  terre, 
et  cum  terris,  domiòus,  famiUis  et  honis,  que  in  dictis  locis 
luibent,  et  que  tenent  a  dicto  episcopatu  (4). 


condo  il  Lami,  536,  detta  di  Garignano,  o  secondo  il  Repetti  di  Ca- 
tignano. Un  antico  palazzo  in  parte  ornato  di  merli,  posseduto  adesso 
dai  Vanni  di  Poggibonsi,  e  detto  il  Poggio,  lia  pure  la  denominazione 
di  Catignano,  ed  è  situato  fra  Giugnano  e  S.  Appiano. 

(1)  Lami,  720,  790.  —  B.  N.  F.,  cod.  IL  IV.  484,  f.«  105.  —  Tak- 
GiONi,   Viaggi  in   Toscana,    Firenze,  1775,  Vili,  124.  —  Repktti,   I,   623. 

(2)  Repetti,  II,  701. 

(3)  Lami,  720. 

(4)  Lami,  152.  —  B.  N.  F.,  cod.  IL  IV.  484,  p.  578.  Questo  codice 
contiene  lo  spoglio  del  Bullettone  fatto  nel  1697  dal  canonico  Lorenzo 
Ghehakdixi,  ai^partenente  alla  famiglia  proprietaria  d'innnobili  nel 
Linarese. 


10  GIROLAMO   MANCINI 

Anche  i  Trlierardini  furono  censuari  o  livellari  del 
vescovo  lìorentino,  ma  rimane  incerto  se  presero  a  li- 
Anello  i  beni  donati  da  ZaboUina  o  in  altri  luoghi  posse- 
duti dall'episcopio.  Come  censuari  divennero  vassalli 
senza  vincoli  servili,  ma  obbligati  con  piccole  offerte 
a  riconoscere  il  domino,  a  guardarne  e  difenderne  i 
beni,  e  ad  onorarlo  accomi^agnandolo  per  Firenze  (1). 
Xel  secolo  duodecimo  la  brama  d'evitare  litigi  coli' im- 
pero, geloso  della  potenza  dei  comuni,  faceva  dai  Fio- 
rentini permettere  al  loro  vescovo  d'acquistare  terre 
feudali  con  A^antaggio  del  comune  e  dell'episcopio.  Le 
sottomissioni  dei  feudatari  A^eniA^ano  intestate  al  ve- 
scoA^o,  che  giurava  di  non  A'olgersi  mai  contro  al  co- 
mune. Il  riconoscimento  della  giurisdizione  municipale 
procuraA  a  al  a^cscoa^o  una  posizione  prÌAÌlegiata  in  con- 
fronto ai  feudatari  del  contado,  e,  secondo  aAA enne  nel 
1138,  gioA^aA  a  a  Firenze,  perchè  essa  allargò  il  dominio 
mentre  più  aspre  fervevano  le  questioni  coi  messi  im- 
periali (2).  Le  sottomissioni  a  eniA^ano  in  apparenza  con- 
cluse coLA^escoA^o,  in  sostanza  col  comune. 

A  tempo  del  regime  feudale  la  gran  maggioranza 
dei  Linaresi  doA  CA^a  appartenere  alla  classe  dei  fedeli, 
cioè  degli  uomini  i  quali  aA  CA^ano  riccA^uti  immobili  ad 
enfiteusi,  ossia  in  affitto  perpetuo,  coli' obbligo  di  sot- 
tostare ai  più  gravosi  e  «Avariati  oneri.  Quali  cose  non 
erano  colpite  dai  diritti  feudali  ?  La  pergamena  di  Pas- 
signano  del  5  noA^embre  1239  contiene  una  cessione  pel 
13rezzo  di  L.  25  fatta  al  monastero.  BaldoA^inetto  del  fu 
m.  Acei)0  di  Firenze,  la  moglie  Contessa  ed  il  loro  figlio 
Arnoldo  trasferirono  nell'abbate  annnam  lìrestatioriem, 
s('ì(  (ìafìoììcm.  sire  rcdditum,  ve!  petisionem,  seu  comandi- 
.siam,  riccA  lite  da  Contessa  e  dai  suoi  antenati,  coìumòo- 


(1)  Compagni,  II,  104. 

(2)  Marohionne  di  Copjìo  Stefani,  Cronaca  fiorentina.   Città  di  Ca- 
stello,  1903,   1)1).   XLVII,   XLVIII. 


LINARI  CASTELLO  DELLA  YALDELSA  17 

rum,  seu  colomharum,  seu  pijrionum  a  predicto  monasterio, 
vel  a  comìnnìii  Podi  ire  nti,  castri  predicti  monasterii,  vel 
ah  hominihus,  seu  colouis,  vel  censitis  predicti  monasterii 
morantihus  in  dicto  castro  Podiiventi,  vel  alihi,  iuste  vel 
iììiuste,  casu  vel  ahusu,  iure  vel  per  iniuria,  personali, 
vel  reali  iure.  Da  tempo  immemorabile  Contessa,  il  pa- 
dre suo,  gli  antecessori  ed  i  consorti  della  famiglia  ave- 
vano esercitato  il  diritto  ceduto. 

L' enlìtèuta  non  poteva  senza  il  consenso  del  signore 
alienare  le  case  o  i  terreni  concessigli,  doveva  fare  la 
guardia  notturna  sugli  si^alti  e  alle  porte  del  castello 
feudale,  corrispondendo  annualmente  al  domino  le  pre- 
stazioni alle  quali  era  obbligato  (1).  La  condizione  della 
gran  maggioranza  dei  fedeli,  tanto  servile  e  gravosa, 
provocò  nel  secolo  XIII  la  più  tenace  lotta  degli  op- 
pressi per  sottrarsi  agli  oneri  assùnti  (2).  Anche  i 
mezzi  più  scorretti  erano  giudicati  buoni,  pure  di  svin- 
colarsi. I  monaci  di  Passignano  nel  29  marzo  1244  in- 
tentarono lite  a  certi  loro  fedeli  accusandoli  che  de 
cartulario  monasterii  acceperunt  et  aòstulerunt  duas  car- 
tas,  vel  plures  servitiorum,  et  pensionis,  et  affictus,  et  fide- 
litatis,  eis  dicto  monasterio  dehendorum  (3).  [N^on  volendo 
sopportare  gli  oneri  personali  e  reali  gravanti  sui  cen- 
suari,  i  fedeli  avevano  infedelmente  sottratte  le  carte 
donde  resultavano  i  pesi  dai  quali  per  legge  o  per  con- 
tratto erano  aggravati. 


(1)  A.  S.  I.  ("Archivio  storico  italianoj.  Firenze,  1880,  serie  4^,  VI,  325, 
nota  4. 

(2)  La  membrana  di  Passignano  del  14.  V.  1233  e'  informa  sulle 
condizioni  dei  maschi  esistenti  nel  piviere  di  s.  Pietro  in  Sillano.  = 
Fittaiuoli  perpetui  fedeli  della  badia,  n.*^  58  —  Fittaiuoli  perpetui,  senza 
indicare  di  chi  fossero  fedeli,  n.*^  10  —  Coltaiuoli,  n.°  1  —  Uomo  della 
badia  n.*^  1  —  Pagatore  di  x>ensione,  n.*^  1  —  Milite  nobile  con  cavallo, 
n/'  1  —  Figlio  del  milite,  n.°  1  —  Militi  pel  comune  di  Firenze,  n.°  4 
—  Figli  loro,  n.°  2  —  Milite  pel  comune  fiorentino  con  casa  nella  città, 
n.°  1  —  Vidue  date  a  consulihus,  n.°  4  —  Totale,  fedeli,  n.*^  71  —  Uomini 
liberi,  n.°  9,  oltre  le  quattro  vedove  rimaste  a  capo  delle  famiglie. 

(3)  Santini,  50. 

Aech.  Stor.  It.,  5."  Serie.  —  XXXIX.  2 


18  GIROLAMO   MANCINI 

Diversi  abitatori  di  Linari  non  appartenevano  alla 
classe  dei  fedeli.  Infatti  nel  6  settembre  i;ill  il  co- 
mune di  Firenze  esiliò  m.  Alcampo  (1),  Bonaiuto,  al- 
cuni Campana,  e  i  loro  consorti,  tutti  Linaresi  (2).  Il 
giureconsulto,  i  due  dalla  sentenza  dichiarati  capi  di 
consorteria,  ed  i  loro  consorti,  certamente  nella  società 
umana  occupavano  un  gradino  assai  superiore  ai  fedeli 
della  classe  agricola,  che  dava  il  maggior  contingente 
ai  miseri  oppressi  dal  giogo  quasi  servile. 

Così  pure  fra  i  prigionieri,  fatti  da  Oastruccio  si- 
gnore di  Lucca  il  23  settembre  1325  nella  battaglia 
combattuta  alP  Altopascio,  trovasi  un  Mico,  o  piut- 
tosto Meo,  di  Vicuzzo  (3)  da  Linari,  senza  dubbio  no- 
tato nell'elenco  perchè  creduto  in  grado  di  riscattarsi 
pagando  una  taglia. 

Le  antiche  carte  raramente  menzionano  Linari.  L"n 
lodo  privo  di  data,  pronunziato  dai  consoli  di  Firenze 
intorno  alla  fine  del  vsecolo  XII,  ordina  agli  uomini  di 
Linari  la  restituzione  alla  badia  di  s.  Michele  a  ]Mar- 
tùri,  già  esistita  poco  sopra  l'attuale  Poggibonsi  a 
piccola  distanza  dalla  chiesa  di  s.  Lucchese,  della  terra 
da  essi  occupata  in  quantità  maggiore  di  quella  dovuta, 
ed  impone  loro  di  star  quieti  nell'avvenire.  Prescrive 
la  cessazione  delle  cattive  usanze  introdotte  nelle  terre 
possedute  dalla  badia,  la  riconsegna  ai  Linaresi  degl'im- 
mobili acquistati  dagli  uomini  di  San  Gemignano  nella 
corte  di  Casale  prossima  all'Elsa,  annulla  le  promesse 


(1)  Lippo  del  fu  m.  Alcampo  dotò  con  L.  200  la  sorella  Melliiia, 
che  impalmò  un  notaro  di  Poggibonsi.  D.  77  (1314)  —  La  vedova  di  Lippo 
possedeva  cluas  domos  eum  orto,  pì<itea,  et  casolarihus  sitas  in  eastro  TAnari 
supra  Cassaro.  F.  568  (29,  I,  1346). 

(2)  D.  E.  T.,  1778,  XI,  65. 

(3)  D.  E.  T.,  XI,  65.  1779,  XII,  284  —  Un  cugino  di  Meo  sposò  una 
Bellincioni  di  Firenze  con  dote  di  L.  550.  Dopo  i)Ochi  mesi  aggiustò  le 
"questioni  per  l'eredità  di  Vicuzzo  detto  Maluomo.  D.  77  (30.  X.  1314  — 
17.  II.  1316). 


LIXARI    CASTELLO    DELLA    VALDELSA  19 

in  (laimo  degli  uomini  di  Martìiri  fatte  da  quelli  di 
Liuari  ai  Sauoemigiianesi  (1).  Dal  lodo  non  resulta; 
bensì  sembra  che  qualcuna  delle  divergenze  volute  si- 
stemare traesse  origine  da  questioni  livellari  di  fedeli 
negatisi  a  prestare  servigi. 

Quando  allargava  il  dominio  sottomettendo  i  feu- 
datari, Firenze  recava  a  contado  i  terreni  compresi  nei 
feudi  e  dichiarava  liberi  da  fitti  perpetui  gli  uomini^  vale 
a  dire  i  fedeli.  Per  esempio  nel  1348  i  fedeli  di  Castel 
8.  Xiccolò  nel  Casentino  ribellatisi  ai  couti  Guidi,  e  nel 
1353  i  Sangemignanesi,  dilaniati  dalle  fazioni,  si  det- 
tero ai  Fiorentini.  Il  contado  e  distretto  fu  recato  a 
contado  del  comune  di  Firenze ^  e  datoli  V estimo  come 
agli  altri  contadini^  e  tutti  i  suoi  cittadini  e  terrazzani 
furono  fatti  cittadini  e  impolani.  Comprati  dà  Firenze 
i  castelli  di  Eomena  e  della  Cerbaia  (1357  e  1361),  tutti 
i  fedeli  della  fedeltà  furono  liòerati  e  fatti  contadini  (2). 

Xon  risulta  in  qua!  momento  i  Linaresi  svincolati 
dalla  fedeltà  si  costituirono  in  comune.  L'avevano  già 
formato  nel  29  maggio  1270,  secondo  apparisce  dal  do- 
cumento che  gentilmente  mi  comunicò  l'illustre  Da- 
vidsohn.  In  quel  giorno  i  Fiorentini  vietarono  ai  ribelli 
di  Poggibonsi  d'abitare  nel  vicariato  di  San  Gemi- 
gnano,  e  concessero  agli  abitanti  dei  comuni  di  Colle, 
vSan  Gemignano,  Linari,  Cepparello,  Vico  e  Semifonte 
di  vendere  vettovaglie  ai  Poggibonsini,  purché  un  sin- 
daco speciale  ne  sorvegliasse  la  vendita  (3).  I  Linaresi, 
già  riunitisi  in  comune  nel  1270,  erano  retti  da  consoli, 
magistratura  per  eccellenza  comunale.  Probabilmente 
il  comune  venne  stabilito  da  modesti  proprietari  e  dai 
lavoratori  della  terra  salariati  a  giornata,  oroanizzatisi 


(1)  Santini,  369. 

(2)  Matteo  Villani,  Cronache,  X.  2«,  I.  24,  III.  73,  ^'II1.  7,  X.  52. 
Ctr.  pure  I.  73,  VIII.  61,  X.  13. 

(3)  Davidsoiin.  II.  166. 


20  GIROLAMO   MANCINI 

e  disciplinatisi,  ossia  dai  mediocri  e  dai  minori,  come 
li  dicevano  nel  secolo  XIII.  I  maggiori  dovevano  es- 
sere in  numero  insignificante,  seppure  qualcuno  sog- 
giornava nel  castello.  Permettono  di  congetturare  che 
non  vi  si  trovassero  le  disposizioni  testamentarie  di  Za- 
bollina,  vedova,  priva  di  successori  diretti,  e  però  de- 
cisasi ad  istituire  erede  l'episcopato  di  Firenze.  I  vescovi, 
dando  a  censo  i  terreni  ricevuti  in  dono,  favorirono 
Paccrescimento  della  prosperità  fra  i  Linaresi.  Coli' in- 
dustria e  colla  parsimonia  i  censuari,  scosso  il  giogo 
quasi  servile  della  fedeltà,  si  trasformarono  in  proprie- 
tari, ed  unitisi  ai  minori  costituirono  il  comune. 

Sui  primi  del  secolo  XIV  Linari  già  possedcA'a  la 
casa  per  le  adunanze  degli  uomini  deputati  ad  aver 
cura  degP  interessi  dei  comunisti,  e  forse  era  residenza 
d'un  giusdicente.  Xel  marzo  del  1307  vennero  sistemate 
certe  divergenze  cogli  uomini  di  s.  Appiano  in  iwesentia 
Bachi  oìim  Dietiguardi  consulis  communis  Linari  in  curia 
dicti  communis,  uhi  ius  redditur  (1).  Soltanto  i  giudici 
rendono  giustizia,  e  trovando  menzione  della  curia 
dov'essi  l'amministravano,  bisognerebbe  concludere  che 
risedeva  nel  castello  l'officiale  incaricato  di   giudicare. 

Le  deliberazioni  comunali  allibrate  dall'attuario  del 
comune  andarono  perdute:  ma  fra  gii  atti  dei  notari 
Linaresi  ne  ho  rinvenuta  qualcuna  presa  dai  consigli 
pubblici  o  dai  loro  delegati.  Il  7  aprile  1307  due  abi- 
tanti di  Linari  come  sindaci  o  deputati  delF  università 
del  comune  presero  in  prestito  per  otto  giorni  L.  80  (2). 
Xel  1312  venti  consiglieri  s'adunarono  nella  casa  di 
m.  Giovanni  di  m.  Pino  Eossi  presa  a  pigione  per  or- 
dine di  ser  Dogino  notaro  e  vicario  di  ser  Pàvero  of- 
ficiale del  comune,  e  nominarono  due  sindaci  affinchè 


(1)  D.  77  (14.  III.  1307). 

(2)  D.  77. 


LIXARI  CASTELLO  DELLA  YALDELSA  21 

eoiu'liulessero  un  prestito  di  2G0  lìorini  croro(l).  ì^eì 
1330  i  consoli,  il  rettore,  15  consiglieri  e  17  aggiunti 
deliberarono  un  prestito  di  L.  300  (2).  Due  mesi  dopo 
i  sindaci  in  nome  proprio,  e  di  42  Linaresi  fra  consi- 
glieri ed  aggiunti,  riscossero  400  fiorini  d'oro  prestati 
da  Gherarduccio  Gherardini  (3).  Xelle  poche  carte  po- 
tute consultare  rinvenni  altre  sei,  deliberazioni  fra  il 
1327  ed  il  1345  prese  dai  consiglieri  presenti  in  numero 
variabile  di  16  a  25,  senza  l'intervento  d'aggiunti.  Due 
volte  è  fatta  menzione  che  l' adunanza  ebbe  luogo  nella 
casa  del  comune. 

Quando  occorreva  couA^ocare  tutti  gli  uomini  del 
comune  la  riunione  avveniva  nella  chiesa  di  s.  Maria 
per  ordine  dei  consoli  e  del  rettore  coli' assentimento 
del  notaro,  eh'  era  officiale  del  comune  ;  l' adunanza,  se- 
condo l'uso,  veniva  annunziata  dal  suono  della  cam- 
pana e  dalla  voce  del  banditore  (4).  Kestano  memorie 
di  due  convocazioni  degli  uomini  di  Linari  nella  me- 
desima chiesa,  la  parrocchiale  del  castello  :  nella  prima 
un  prestito  di  600  fiorini  d'oro  venne  deliberato  col 
voto  di  249  intervenuti,  compresi  i  due  consoli  ed 
il  rettore:  nella  seconda  i  presenti  furono  277,  e  con- 
sentirono la  vendita  d'un  molino  comunale  alle  Drove(5). 
Considerando  che  al  consiglio  generale  venivano  am- 
messi i  soli  capi  di  famiglia  allibrati,  vale  a  dire  con- 
tribuenti alle  pubbliche  tasse,  e  n'erano  esclusi  i  pro- 
letari o  nullatenenti,  sempre  molto  numerosi,  si  calcola 
agevolmente  il  numero  rilevante  d'abitatori  esistente 
a  quei  tempi  nel  castello  e  nelle  sue  ville  :  non  minore 
d'oltre  un  migliaio  e  mezzo. 


(1)  D.  77  (23.  IV.  1312). 

(2)  I.  47  (19.  X.  1330). 

(3)  I.  47  (30.  XII.  1330). 

(4)  D.  77  (23.  IV.  1312). 

(5)  I.  47  (3.  XI.  1327  —  7.  VII.  1333). 


GIROLAMO    MANCINI 


Seppure  mancassero  i  documenti  farebbe  fede  del- 
l'esistenza del  comune  in  Linari  un  frammento  d'iscri- 
zione murato  all'esterno  della  vetusta  cisterna  pubblica, 
sopra  la  quale  una  misera  stanzuccia  occupa  adesso, 
secondo  affermano  i  vecchi,  parte  del  sito  dell'antica  casa 
del  comune,  con  piazzuola  innanzi  (platea  comminiis), 
sovente  menzionata  negli  atti  notarili.  Della  vecchia 
fabbrica,  abbattuta  nel  1844  (1),  j^erchè  forse  minacciava 
rovina,  sopravvive  un  pezzo  di  pietra  rossastra  col- 
l' iscrizione  : 

OCOCLXIX  II .  OMUXE  || 
.  IXAEI P-IOJI  .0  APPIAX 
.||...B6.C||.M.O.  La  ci- 
fra 1369,  le  parole  comune, 
Linari,  inviero  di  ,s.  Aj)- 
lìiano,  si  leggono  ed  inte- 
grano a  prima  vista,  non 
così  le  rimanenti. 

I  contratti  stipulati 
dal  comune  menzionano 
un  solo  console  nel  1307, 
due,  con  un  rettore,  nel 
1327  (2).  Negli  atti  del  17 
gennaio  1328  e  del  5  giu- 
gno 1329  trovasi  ricordato 
un  rettore  (3),  del  15  de- 
cembre  1329  un  console  (4),  del  1330  un  rettore,  ed  altra 
volta  il  rettore  con  due  consoli,  del  1333,  1338,  1339, 
1343  e  1345  un  solo  rettore  (5).  Altro  strumento  del  1328 
conferma  che  pure  i  singoli  popoli  del  contado  avevano 


I.  47  (9.  VI.  3.  XI.  1327). 
VI.  1329). 


(1)  Biadi,  10. 

(2)  D.  77  (14.  III.  1307)  - 

(3)  I.  47  (17.  I.  1328  —  5. 

(4)  I.  47  (15.  XII.  1329). 

(5)  I.  47  (14.  IX  o  19.  X.  1330  —  7.  VII,  1333  —  11.  IV.  1339).  G.  3G9 
(24.  VI.  133Sj.   M.    \\V2  ai.  IX.  13t3  —  S.  Vili.  1345). 


LIXARI    CASTELLO   DELLA    VALDELSA  23 

in  quei  tempi  mi  proprio  rettore  :  infatti  nominarono  nn 
procuratore  i  rettori  dei  comuni  e  debili  uomini  di  Li- 
nari  e  di  Oepparello  insieme  a  quelli  dei  popoli  di 
t'oppiano  e  di  S.  Filippo  (1).  Ugualmente  comparisce 
in  altro  atto  il  rettore  del  popolo  di  Petrognano  (2). 
Nel  secolo  XIV  risedeva  in  Linari  un  notaro,  quasi 
sempre  nato  fuori  del  comune,  durante  un  semestre 
disimpegnava  le  funzioni  d'officiale  e  di  scrivano  uui- 
nicipale,  ricevendo  come  salario  L.  30  ed  una  quota 
tìssa  sulle  multe,  forse  limitata  alle  penali  inflitte  pei 
danni  dati  (3).  Innanzi  d'assumere  l'officio,  egli  stesso, 
ovvero  un  suo  mandatario,  giurava  in  Firenze  dinanzi 
all'esecutore  di  giustizia  d'esercitare  la  carica  bene  e 
legalmente  (4).  In  caso  di  mancanze  lo  scrivano  era 
sottoposto  ad  inquisizione.  Xel  1334  il  rettore  del  co- 
mune, coli' assenso  dei  consoli,  convocò  il  consiglio  nella 
chiesa  di  s.  Maria,  ed,  intervenuti  23  consiglieri  con 
17  aggiunti,  fu  nominato  un  procuratore  affinchè  si  pre- 
sentasse in  Firenze  all'  esecutore  di  giustizia,  e  prestasse 
mallevadoria  che  ser  Vanni  da  Sambuco  notaro  e  of- 
tìciale  del  comune  di  Linari  avrebbe  pagate  le  multe 
che  gli  verrebbero  inflitte  in  seguito  al  processo  fatto 
per  le  i)revaricazioni  imputategli  (5).  In  quei  tempi 
rendeva  giustizia  ai  Linaresi  il  potestà  di  S.  Donato 
in  Poggio,  capoluogo  d'una  delle  leghe  costituite  nel 
contado  dai  Fiorentini  (G).  La  lega  di  S.  Donato  già 
sussisteva  nel  1327,  poiché  in  quest'anno  il  comune 
di  ( 'epparello  pagò  a   Gherarduccio   Gherardini  dimo- 


(1)  1.  47  (17.  I.  1327). 

(2)  I.  47  (13.  XII.  1338). 

(3)  M.  492  (1.  I.  1339). 

(4)  T.  174  (27.  II.  1362). 

(5)  G.  369  (24.  VI.  1338). 

(6)  Le  leghe  del  contado  vennero  stabilite  nel  1292  per  pili  faeil- 
iiiente  riunire  in  Firenze  gli  uomini  delle  campagne  obbligati  ai  servigi 
militari.  G.  Villani.  Cro«rtc7*r,  Vili,  1. 


24  GIROLAMO   MANCINI 

rante  in  Linari  la  quota  del  salario  dovutogli  per 
essere  stato  capitano  della  lega  di  S.  Donato  (1).  I^on 
trascorso  molto  tempo  i  capitani  delle  leghe  vennero 
denominati  potestà. 

Lo  statuto  fiorentino  dei  primi  anni  del  secolo  XV 
conservò  l'antico  ordinamento  delle  leghe  del  contado 
formate  da  comuni,  pivieri  e  popoli  (2).  Facevano  parte 
della  lega  di  S.  Donato  sedici  popoli  o  parrocchie, 
comprese  nei  pivieri  di  s.  Donato  e  di  s.  Pietro  in 
Bossolo,  la  parrocchia  di  Barberino  e  quattro  vicine, 
le  parrocchie  dei  pivieri  di  s.  Pietro  in  Sillano  e  di 
s.  Appiano,  altri  nove  popoli  ed  i  comuni  di  Linari,  di 
Oepparello  e  di  Vico,  allora  denominato  Fiorentino  (3). 
In  ciascuno  dei  popoli  della  lega  dovcA^ano  trovarsi  alli- 
brati, ossia  paganti  le  gravezze,  almeno  dodici  maschi, 
perchè  il  popolo  con  minor  numero  d'allibrati  veniva  ag- 
gregato a  quello  viciniore,  ne  poteva  costituirsi  in  uni- 
versità, ed  avere  il  rettore  (4).  Nel  1459  il  territorio 
della  lega  era  diviso  nei  terzieri  di  S.  Donato,  Barbe- 
rino e  Vico,  al  quale  apparteneva  Linari.  Nel  1448  i 
terzieri,  rappresentati  ciascuno  da  un  gonfaloniere  e 
da  quattro  consiglieri,  prendevano  il   nome  da  S.   Do- 


(1)  I.  47  (1327). 

(2)  L'anno  1343  nel  comune  di  Linari  furono  numerate  51  posto 
d' allibrati  per  L.  18.  13.  8  :  in  quello  di  Vico  poste  44  per  L.  18.  3.  3,  o 
neir altro  di  Cepparello  poste  30  per  L.  22.  8.  4.  Nell'intero  piviere 
di  s.  Appiano  poste  164  per  L.  75.  4.  11.  D.  E.  T.,  1780,  XIII,  254.  Sot- 
traendo la  gravezza  dei  tre  comuni  in  L.  59.  5.  3,  il  rimanente  x>iviero 
era  gravato  sopra  jioste  39  in  L.  15.  19.  8. 

(3)  Nello  Sta.uto  per  le  compagnie  militari,  riordinato  e  tradotto 
nel  1355,  la  lega  di  S.  Donato  riapparisce  formata  da  30  popoli  e  3  co- 
muni compresi  nei  pivieri  di  s.  Donato,  s.  Piero  in  Bossolo,  s.  Piero 
in  Sillano,  e  s.  Appiano.  A.  S.  I.,  1851,  XV,  34.  —  All'opposto  in  altro 
documento  del  1343  si  trova  il  i)iviere  di  s.  Piero  in  Sillano  distratto 
dalla  lega  di  S.  Donato  in  Poggio  dipendente  dal  quartiere  di  s.  Spi- 
rito, ed  annesso  a  diversa  lega  comi^resa  nel  quartiere  di  s.  Croco,  D. 
E.  T.,  XIII,  225,  258. 

4)  Statuta  Florentiae  {àaW 'cwwxo  1415).  Friburgi.  1777,  III,  701,  1.  405. 


nato,  S.  Piero  in  Bossolo  e  S.  Appiano,  nel  1505  da 
S.  Donato,  Barberino  e  Linari  (1). 

Esiste  tnttora  nno  statuto  della  lega  di  S.  Donato 
in  Poggio  approvato  nel  1406,  legge  municipale  pei 
Linaresi,  e  sicura  scorta  nel  dar  conto  delP  ordinamento 
che  regolava  P  associazione.  Andarono  in  malora  gli 
statuti  della  lega  anteriori  a  questo  del  20  settembre  1406, 
riformato  mentre  era  potestà  Zanobi  dei  Bardi:  bensì 
la  perdita  è  poco  grave,  poiché  allora  nella  revisione 
degli  statuti  quelli  precedenti  venivano  leggermente 
modificati.  Deliberarono  il  nuovo  statuto  i  riformatori 
eletti  j;er  lo  generale  consiglio  della  lega,  quattro  del 
piviere  di  s.  Piero  in  Bossolo,  tre  per  ciascuno  dei  pi- 
vieri di  s.  Donato  e  di  s.  Appiano,  fra  questi  Matteo 
di  Clone  da  Linari.  S'adunarono  innanzi  al  potestà  nella 
casa  posseduta  dalla  lega  e  fornita  di  masserizie  tenute 
in  consegna  dal  camarlingo. 

Il  potestà  stava  sei  mesi  in  officio,  doveva  portare 
seco  due  cavalli,  e  stipendiare  cinque  fanti,  un  donzello, 
e  quattro  notari,  uno  per  tenerlo  presso  di  sé,  gli  altri 
in  S.  Donato,  Linari  e  Vico.  Eiceveva  L.  685  j>er  suo 
salario,  notai  et  famiglia  (2),  oltre  a  soldi  2  per  ogni 
lira  delle  penali  inflitte  nel  condannare  i  colpevoli  di 
bestemmie,  di  fare  mali  pesi,  di  vendere  con  pesi  e 
misure  non  segnate,  e  d'ogni  altra  multa  notata  sui  re- 
gistri e  riscossa  dal  camarlingo  della  lega. 

Il  consiglio  generale  rinnovato  ogni  semestre  si 
componeva  d'un  gonfaloniere  e  di  quaranta  consiglieri, 
quattordici  del  piviere  di  s.  Piero  in  Bossolo,  undici 
di  s.  Donato,  quindici  di  s.  Appiano,  dei  quali  cinque 


(1)  A.  S.  F.,  ^Statuti  di  S.  Donato  in  Poggio,  n.  754. 

(2)  Nel  1441  il  podestà  di  Poggibonsi  aveva  pel  semestre  il  salario 
di  L.  400  e  doveva  condurre  seco  un  notaro,  tre  fanti,  un  cavallo. 
A.  8.  F.,  Statuto  di  Foggihonsi,  625,  n.*^  nuovo.  Per  cui  questa  potesteria 
era  allora  considerata  di  minore  importanza  della  limitrofa  di  S.  Donato. 


2(3  GIROLAMO    MANCINI 

li  darebbe  il  comune  di  Liiiari,  tre  per  ciascuno  quelli 
di  Cepparello  e  di  Vico,  due  il  popolo  di  Petrognano, 
due  i  rimanenti  i)opoli.  Dei  consiglieri  quindici  sareb- 
bero pennonieri  (1),  ed  uno  per  località  scelto  fra  i 
rappresentanti  di  Linari,  Cepparello,  Vico  e  Petrognano. 
fluitato  con  soldi  10  il  consigliere  non  intervenuto  al- 
l'adunanza (2),  ovvero  presentatosi  privo  di  capi)uccio 
o  df  scarpe.  NelP assumere  l'officio,  il  gonfaloniere  ed 
i  pennonieri  dovevano  recarsi  presso  il  potestà  a  pren- 
dere in  consegna  il  gonfalone  e  i  pennoni  della  lega. 
In  questa  occasione  il  gonfaloniere  percepiva  soldi  20, 
e  10  i  giorni  nei  quali  si  recava  ad  esercitare  P  of- 
ficio. Per  ogni  adunanza  consiliare  compensati  i  pre- 
posti con  soldi  7,  i  consiglieri  con  soldi  6  a  testa.  Mul- 
tato in  soldi  40  il  gonfaloniere  e  ciascun  pennoniere 
scaduto  dalP  officio  non  recatosi  a  restituire  il  gonfa- 
lone ed  i  pennoni,  e  colpiti  da  pena  uguale  il  nuovo 
gonfaloniere  ed  i  pennonieri  assenti  al  momento  di 
prenderne  la  consegna.  Durante  l'officio  nessun  membro 
del  consiglio,  ovvero  rettore  di  comune  e  popolo,  poteva 
essere  comandato  come  pedone,  balestriere,  marraiuolo, 
o  in  diversa  guisa  obbligato  a  prestare  servigi  personali, 
e  ad  allontanarsi  dal  territorio  della  lega. 

Xella  prima  adunanza  il  Consiglio  eleggeva  camar- 
linghi per  un  semestre  tre  huomini  de^  migliori ,  uno  per 
piviere,  retribuiti  con  L.  3,  incaricati  di  riscuotere  dai 
rettori  dei  popoli   i   danari   percetti,   e   consegnarli   al 


(1)  Furono  istituiti  in  Firenze  nell'agosto  del  1323  per  accelerare  la 
formazione  militare  dei  cittadini  cliiamati  im^irovvisamente  alle  armi. 
G.  Villani,  IX,  219.  —  D.  E.  T.,  XII,  22.  —  Ciascuna  lega  aveva  il 
l»r()])ri<)  stennua,  come  si  rileva  dai  sigilli  conservati  a  Firenze  nel  Museo 
del  Bargello.  Vi  tigurano  quelli  delle  leghe  di  Cascia,  Centoia,  Empoli, 
Montevarclii  e  S.  Giovanni.  Ignoro  (juale  l'osse  F  imxjresa  della  lega  di 
S.  Donato  in  Poggio,  certamente  effigiata  anche  sui  xiennoni. 

(2)  Lo  Statuto  nel  lib.  I,  rubr.  8,  fissa  la  multa  di  soldi  r>,  nel 
lil).  III.  rul>r.  31,  di  soldi  10. 


LINA  RI   CASTELLO    DELLA   VALDELSA  27 

camarlingo  generale,  compensato  con  L.  6,  e  da  sce- 
gliere sempre  fra  gli  abitanti  del  piviere  di  s.  Piero 
in  Bossolo.  Ciascuna  università,  sia  comune,  popolo  o 
villa,  eleggerà  nel  maggio  un  rettore  o  sindaco  da  ri- 
manere in  carica  per  un  anno  con  divieto  nel  succes- 
sivo. Il  rettore  eletto  giurerà  di  dare  esecuzione  alle 
diverse  fazioni  prescritte  dai  Fiorentini,  di  non  intro- 
mettersi nelle  cause  civili  o  penali,  ed  insieme  ai  con- 
siglieri d'imporre  i  dazi  necessari  per  sopperire  ai  bi- 
sogni locali.  Pagherà  poi  L.  50  di  multa  se  ometterà 
di  denunziare,  entro  cinque  giorni,  i  malefizi  commessi 
nel  comune  o  nel  popolo  rappresentato.  Nonostante  la 
pena,  certamente  comminata  anche  dagli  statuti  ante- 
riori, l'obbligo  della  denunzia  veniva  talvolta  trascu- 
rato, per  cui  nel  1335  ser  Lotto,  officiale  e  notaro  del 
comune  di  Linari,  denunziò  ed  intimò  a  Perfettino  del 
fu  Fuccio,  rettore  del  castello,  di  notificare  al  potestà 
di  Firenze  ed  accusare  l'autore  d'un  furto  commesso 
in  danno  della  vedova  di  ^ello  (1).  Oltre  al  rettore 
tutte  le  università  avevano  un  massaro. 

Ciascun  piviere  della  lega  avrà  due  stimatori  dei 
pegni,  un  paeiaro  levatore  e  mozzatore  delle  inimicizie , 
discordie f  et  maglia volenze,  un  me^so  per  bandire  le  leggi 
e  fare  le  citazioni.  Il  consiglio  della  lega  obbligato  a 
<lesignare  i  fanti  nel  numero  richiesto  dai  Fiorentini. 
Le  cause  fino  a  L.  50  di  danari  sarebbero  giudicate  dal 
potestà,  tenuto  a  provvedere  che  il  messo  notificasse  al 
debitore  il  giorno  e  P  ora  dell'  udienza.  Potestà  e  notari 
dehhano  a'deMti  temjyi,  dì,  et  liore,  a  hancho  della  ragione 
.sedere,  et  giustitia  fare  a  ciascuno,  il  quale  dinanzi  ad  essi, 
overo  alcuni  d'essi  adimandassi,  percipendo  gli  emolu- 
menti nella  misura  fissata  dallo  statuto.  Acciò  che  le 
quistioni  non  si  jìrolunghino,  el  potestà  e  notari  siano  te- 
nuti decidere,  terminare,  e  spacciare  ogni  quistione  civile 


(1)  G.  369  (28.  Vili.  1885). 


28  GIROLAMO    MANCINI 

e  criminaìe  infra  30  dì  continui.  Allora  erano  severa- 
mente vietate  le  lungaggini  giudiziarie! 

Proibiti  i  giuochi  ove  denari,  overo  altre  cose,  si  vin- 
cliino,  overo  perdino,  permessa  la  tavola  con  30  i)ecline, 
adesso  denominata  tavola  reale,  gli  scacchi,  la  palla,  gli 
aliossi,  le  marelle  (1),  il  saettare.  Sancite  gravi  pene  per 
i  giocatori,  i  tenutari  di  giuoco,  ed  anche  per  i  semplici 
spettatori  di  quelli  vietati. 

Imposto  a  tutti  i  proprietari  e  alle  persone,  vale  a 
dire  ospizi,  prebende  ecclesiastiche,  e  simili  enti,  pre- 
sentemente denominati  mani  morte,  di  racconciare  nel 
maggio  le  strade  e  i  letti  dei  corsi  d' acqua  del  proprio 
comune  o  popolo.  Nella  stessa  guisa  obbligati  i  padroni 
dei  terreni  confinanti  alle  strade  pubbliche  di  potare  le 
siepi  nelPagosto. 

Quando  moriva  un  abitante  nel  territorio  della  lega 
era  punita  con  20  soldi  per  ogni  assenza  la  famiglia 
dimorante  nel  comune  o  nel  j)opolo  al  quale  era  ap- 
partenuto il  defunto,  se  non  si  faceva  rappresentare  da 
un  uomo  obbligato  a  trovarsi  presso  la  casa  del  morto 
innanzi  che  vi  giungessero  i  preti,  unirsi  al  corteo  ed 
accompagnare  il  cadavere  nella  chiesa,  quindi  alla  tu- 
mulazione. 

Proibito  di  procedere  a  qualsiasi  cattura  di  colpe- 
voli nel  venerdì  giorno  del  mercato  a  S.  Donato.  Vie- 
tato di  gettare  pietre  sui  tetti  delle  case,  e  duplicata 
la  pena  a  chiunque  scagliasse  sassi,  traesse  uscia  overo 
fenestra  dall'abitazione  di  colui  che  conduceva  moglie. 
Per  simili  reati  stabilita  la  penale  di  L.  2,  ed  il  giudice 


(1)  Anche  ai  nostri  giorni  i  ragazzi  giuocano  agli  aliossi;  ed  il 
nome  proviene  dalFosso  del  tallone  delle  zampe  posteriori  degli  agnelli 
o  d'altri  animali  ad  ugna  fessa.  Del  vocabolo  marelle  nemmeno  nel  Di- 
zionario della  Crusca  è  fatta  menzione.  Forse  volevano  scrivere  murelle,  o 
murielle,  giuoco  comunemente  detto  piastrelle,  come  crede  il  senatore 
Isidoro  Del  Luxao  da  me  interpellato. 


I.INARI    CASTELLO   DELLA   YALDELSA  29 

prestasse  fede  all'asserzione  del  proprietario  o  del  pigio- 
nale della  casa,  senza  escutere  testimoni  o  cercar  prove. 

Secondo  le  regole  in  vigore  anche  questo  statuto 
del  1400  fu  sottoposto  all'esame  dei  Fiorentini,  ed  il 
magistrato  degli  approvatori,  nel  sancire  le  pene  com- 
minate contro  gii  estranei  arbitratisi  d'uccellare  nel 
territorio  della  lega,  eccettuò  tutti  i  cittadini  prestan- 
zati,  ossia  tenuti  a  pagare  imposte  in  Firenze,  i  quali 
[Xhsshw  uccellare  come  parrà  di  loro  piacere.  Vera  giu- 
stizia da  lupi! 

Xel  comune  o  curia  di  Linari  erano  comprese  cin- 
que ville:  Capalle,  Pieve,  Selva,  Vignano  e  Giugnano, 
una  volta  sede  della  parrocchia  di  s.  Donato,  in  sèguito 
riunita  a  s.  Stefano  presso  Linari.  Sopravvivono  i  vo- 
caboli delle  ville  di  Capalle,  Selva,  Giugnano,  gii  altri 
svanirono.  Sono  adesso  incorporate  al  comune  di  Pog- 
gibonsi  le  località  da  tempi  remoti  denominate  Pancole, 
Oampomaio  o  Campomaggio,  e  passò  al  comune  di  Bar- 
berino  la  Afilla  di  S.  Martino  ai  Colle  nel  secolo  XIV 
appartenuta  a  Poggibonsi,  mentre  le  coste  occidentali 
di  S.  Martino,  dette  Piagge  o  Pendici  del  Bozzone, 
spettavano  al  comune  di  Linari.  Altri  siti  conservano  i 
vetustissimi  vocaboli,  come  Bozzone,  Camperie,  Castel- 
lare, detto  pure  in  antico  Fonte  Castellana,  Chiano,  Citille, 
Cortebuona,  Fontanina,  Giuncheto,  Monteghezzi,  Mon- 
tereggi,  Sertofano,  Solo  (1),  Valacchi,  Valcanoro,  Sam- 
bra o  Zambra,  e  Eipa  al  lago  nell'insenatura  della 
collina  fra  le  terre  del  podere  detto  Casanuova  e  le 
piagge  di  S.  Martino  perchè  in  antico  le  acque  forse 
vi  formavano  uno  stagno,  o  laghetto. 

Il  comune  possedeva  diversi  terreni  seminativi. 
Quelli  affittati  nel  1335  per  l'annuo  canone  di  stala  di 
grano   53   (ettolitri   12,91)  non  possono  essere  i  mede- 


(1)  Alla  carta  già  citata  di  Passionano  del  28.  II.    1128,  rogata  in 
loco  ubi  (licitur  iSoium  prope  Linare,  aggiungo  l'atto  in  D.  77  (2.  XII.  1306). 


30  GIROLAMO    MANCINI 

simi  dai  quali  nel  1336  percepì  d' affitto  stala  di  grano 
44  (ettolitri  10,72),  oppure  gii  altri  che  nel  1341  det- 
tero moggia  9,  stala  20  di  grano  (ettolitri  57^/^)(l). 
Mancano  indicazioni  sopra^  altri  immobili  posseduti  dal 
comune,  certamente  proprietario  d'un  molino  alle  Drove, 
poi  venduto  L.  270,  come  dei  terreni  che  nel  medesimo 
luogo  circondavano  da  ogni  parte  un  secondo  molino 
dei  Gherardini  (2).  Il  comune  talora  ebbe  pure  dei  cre- 
diti, e  nel  1327  ordinò  il  ritiro  d' un  deposito  di  L.  600(3). 
I  Linaresi,  al  pari  di  tutti  gli  abitanti  del  contado, 
dai  Fiorentini  qualificati  comitatim,  pagavano  in  pro- 
porzione dell'estimo  (ad  extimum  suarum  possessionum) 
l'imposta  denominata  Zi/Yf,  i  dazi,  le  prestanze,  l'alli- 
brazione  del  sale,  sopportavano  gii  oneri  reali  e  per- 
sonali, le  fazioni  (4).  Dai  magistrati  di  Firenze  era  sta- 
bilita per  le  leghe,  per  ciascun  comune,  e  pei  singoli 
popoli,  la  cifra  dell'imposta  distribuita  poi  fra  i  diversi 
contribuenti  dai  repartitori  locali.  Così  nel  1330  il  po- 
polo di  s.  Michele  a  Ponzano,  nel  piviere  di  s.  Appiano, 
elesse  gli  arbitri  ad  dividendas,  partiendas,  sortiendas, 
et  distrihuendas  libra s  40  dicto  populo  contingentes  de 
extimo  nov iter  facto  per  officiales  eommunis  Fiorentini  (5). 
Nel  1337,  in  Oei)parello,  i  Linaresi  restituirono  ad  un 
tal  Givello  soldi  42,  danari  4,  da  esso  anticipati  per  pa- 
gare la  quota  assegnata  al  comune  di  Linari  dal  ret- 
tore del  piviere  di  s.  Appiano  nel  reparto  dei  26  danari 


(1)  G.  369  (14.  Vili.  1335)  —  I.  47  (2.  IX.  1336)  —  G.  369  (1341). 

(2)  I.  47  (14.  VII.  1332  —  7.  VII.  1333). 

(3)  I.  47  (9.  VI.  1327). 

(4)  I.  47  (15.  XII.  1329)  —  M.  492  (9.  II.  1343)  —  T.  174  (XII.  1362) 
—  Nel  1327  un  Linarese,  electus  de  numero  peditum  communis  Linari,  (  > 
sendo  stato  riconosciuto  infermo  non  andò  in  exeroitu  domini  ducis  C'alu- 
ì)ri€,  8ive  Florentie.  I.  47  (1327).  Betto  del  fu  Glierardino  ed  il  tìglio  Paolo 
Gherardini  richiesero  da  Poppiano  il  danaro  ed  il  grano  dovuto  loro 
j)er  la  cavallata  ed  i  servigi  x^restati  nel  1326.  Ugual  domanda  fecero 
Paolo  e  Credi  di  Betto  Gherardini.  I.  47  (17.  XI.  1327  —  4.  XI.  1329). 

(5)  I.  47  (17.  VI.  1330). 


LIXARI   CASTELLO   DELLV    YALDELSA  ol 

per  ciascun  centinaio  d'estimo  imposti  ai  proprietari 
di  terre  (1).  Esisteva  pure  la  gabella  sul  vino,  perchè 
nel  1327  il  collettore  di  questo  dazio  ricevè  dal  comune 
Linarese  L.  35.  IG.  8,  oltre  a  L.  2  prò  pulitiis  (mance)  (2). 
]N^è  mancavano  balzelli  indiretti.  I  calzolai  del  castello 
pagarono  una  Aolta  L.  14  all'arte  dei  calzolai  di  Fi- 
renze (3),  la  seconda  fra  le  arti  minori  con  la  bandiera 
a  liste  bianche  e  nere,  detta  pezza  a  gagliarda  (4). 

Le  case  d'un  podere  presso  il  castello  dal  lato  di 
tramontana  tuttora  si  denominano  Arte.  In  antico  vi  sarà 
stata  esercitata  una  industria  speciale,  che  avrà  data 
origine  al  vocabolo,  senza  dubbio  non  venutogli  a  caso. 
Certo  Bosso  di  Bartolo  tenne  aperta  nel  castello  una 
bottega  praticandovi  artem  mersarie  et  spetiarie.  Come 
famulo  (garzone?)  salariò  per  un  anno  Tommaso  del 
fu  Obese  colla  paga  di  L.  12  (5).  Un  atto  venne  rogato 
in  bottega  Foedi  senz'accennare  all'industria  esercitata 
da  Fedo  (6). 

Ohe  l'amministrazione  del  comune  fosse  tenuta  in 
gran  disordine  permettono  d'arguirlo  i  ripetuti  prestiti 
di  somme  vistose,  già  menzionati,  non  che  l'obbliga- 
zione di  pagare  per  diversi  anni  ad  uno  di  San  Gemi- 
gnano  moggia  di  grano  30  e  stala  8  (ettolitri  177,  36)  (7), 
ed  un  lodo  del  1341  colla  condanna  del  comune  a  sod- 
disfare fiorini  300,  dei  quali  ne  sborsò  subito  137  V'2  i^)' 

Xel  medio  evo  vigeva  un'  usanza,  poco  comune  ai 
nostri  giorni,  di  terminare  le  questioni  incaricando  di 
definirle   uno   o   più  arbitri  scelti   dai  contendenti,  sia 


(1)  G.  369  (28.  IV.  1337). 

(2)  I.  47  (6.  XI.  1327. 

(3)  I.  47  (1327). 

(4)  G.  Villani,  VII,  13  —  Compagni.  II,  24,  nota   13. 

(5)  G.  369  (23.  II.  1340). 

(6)  D.  77  (1315). 

(7)  G.  369  (29.  IX.  1337). 

(8)  G.  369  (1341). 


32  GIROLAMO   MANCINI 

che  le  liti  fossero  agitate  fra  cittadini  o  fra  pubbliche 
amministrazioni.  La  sentenza  o  lodo  proferito  aveva 
pieno  valore  giuridico.  I  comuni  di  Linari  e  di  Poggi- 
bonsi  disputavano  quale  dei  due  avesse  diritto  di  ri- 
scuotere le  tasse  dovute  dagli  eredi  del  fu  Volta,  un 
usuraio  poggibonsino  domiciliatosi  in  Linari,  e  le  parti 
s'accordarono  di  rimettersi  all'arbitrato  di  Oaleffo  Ghe- 
rardini  potestà  di  Poggibonsi.  Egli  decise  che  pei  beni 
già  da  Volta  posseduti  nel  Linarese  fossero  continuate 
a  pagare  le  L.  9  per  le  quali  erano  tassati  in  Linari, 
e  così  rimanesse  inalterata  la  cifra  nella  lira  del  nuovo 
estimo  dei  comitatini  ordinato  da  Firenze.  Quanto  ai 
terreni  acquistati  dagli  eredi  di  Volta  fosse  corrisposta  la 
medesima  quota  soddisfatta  dagli  antichi  possessori  (1). 
Linari  godè  giorni  di  floridezza,  ed  uno  dei  sicuri 
indizi  che  l' accertano  è  il  numero  dei  notari  i  quali  vi 
rogavano  Panno  1336.  Di  cinque,  compreso  ser  Dogino 
sopravvissuto  altri  due  anni,  restano  diversi  protocolli 
nelPA.  S.  F.,  d'altri  tre  notari  fanno  conoscere  il  nome 
due  atti  (2).  In  quei  tempi  anche  per  ricevute  di  pochi 
soldi  ricorrevano  al  no  taro  :  ma  la  dimora  contemporanea 
nel  castello  d'otto  ministri  della  fede  pubblica  prova  che 
la  popolazione  del  comune  era  sufficiente  a  dar  loro  la- 
A^oro,  e  che  yì  veniA^ano  concluse  j)arecchie  contrattazioni. 
.  La  limitata  estensione  dell'area  del  castello,  circo- 
scritta dalle  muraglie  di  cinta,  lascia  comprendere  come 
le  case  vi  si  trovavano  addossate  le  une  alle  altre,  e 
quasi  tutte  occupavano  ristrettissimo  spazio.  Dai  prezzi 
di  compra  e  vendita  notati  nei  contratti  s'induce  che 
moltissime  abitazioni  dovevano  rassomigliare  a  capanne, 
o  piuttosto  a  tugurii,  detti  allora  casolari  o  casaUnì. 
Nel  castello  abitavano  pochissime  famiglie  agiate,  molte 


(1)  AI.  492  (5.  IX.  1341). 

(2)  I.  47.  Avevano  nome  ser  Gherardo,  ser  Iacopo  del  fu  ser  Nello 
di  ser  Tramontano,  e  ser  Giovanni  del  fu  ser  Lotterin"[o. 


UN  ARI    CASTELLO   DELLA   YALDELSA  33 

più  padrone  di  terre  fatte  fruttare  col  proprio  sudore, 
ma  la  gran  maggioranza  era  costituita  da  nullatenenti 
o  proletari  impiegati  come  giornalieri  nelle  faccende 
agricole,  e  viventi  giorno  per  giorno.  Il  prezzo  delle  case 
contrattate  nel  castello  manifesta  le  miserrime  condi- 
zioni delle  abitazioni. 

Trovai  una  casa  A^enduta  per  L.  2;  due  per  L.  o; 
quattro  per  L.  5,  6,  8  V,,  0  ;  otto  per  L.  10,  tre  mezze 
case  per  L.  15,  17,  25;  due  case  per  L.  16;  il  terzo  di 
due  case  per  L.  40  e  50;  sette  case  per  L.  20,  22,  25, 
36,  40,  90  e  100.  Sei,  contrattate  in  monete  d'oro,  per 
fiorini  5,  6,  10,  16  e  20.  Quattro  case  con  cantina,  o 
f omini  incavata  sul  tufo,  Acnnero  acquistate  per  L.  3, 
10,  30,  35,  e  quattro  tombe  o  cantine  separate  dalle 
abitazioni  per  L.  2,  6,  10,  fiorini  1. 

In  paragone  al  a  alore  a  enaie  delle  case  d'abitazione 
erano  tanto  più  care  le  i)igioni  annue.  In  quattordici 
contratti  ascendont)  a  soldi  20,  30,  50,  60  per  otto  case, 
a  soldi  40,  42,  70,  80,  100,  e  la  più  elevata  a  L.  23,  per 
sei  fabbricati.  Una  casa  mobiliata   fruttò  annue  L.  3. 

La  tradizione  locale  pretende  esistiti  in  antico  nu- 
merosi casolari  sulla  pendice  ricca  d'acqua  i)otabile 
proveniente  dall'unica  Aena  che  scaturisce  copiosa  a 
piccola  distanza  dal  castello,  detta  Fonte  Castellana  o 
Castellare.  Dubito  dell'esistenza  d'un  borgo  in  quel 
luogo,  i)oicliè  nel  medio  cA'O  i  casalini  dei  deboli  Acni- 
A'ano  costruiti  dentro  o  presso  i  castelli  per  godere  la 
protezione  dei  forti,  ossia  dei  feudatari  sempre  pronti 
a  respingere  gii  assalti.  Inoltre  sulle  a  icinanze  del  Ca- 
stellare, nei  lavori  i)rofondi  per  piantagioni  d'olivi  o  di 
vigneti,  non  tornano  alla  luce  macerie  o  fondamenti  di 
A-ecchie  fabbriche.  Infine  la  tradizione  è  contradetta 
dal  fatto  che  nel  1343  la  badia  di  Passignano  possedeva 
un  podere  con  aia  alla   Fonte  Castellana  (1),  dove   da 


(1)  M.  492  (3.  XII.  1343). 
Akch.  8tor.  It.,  Serio  5.".  —  XXXIX. 


34  (iinoL  ,:un  31a\cim 

strumenti  del  !.'>'>')  e  t.'J.'iS  resultano  venduti  terreni 
aratorii  confinati   da  terre   ugualmente    seminative  (1). 

Fra  le  famio-lie  cospicue  di  Firenze,  padrone  di 
terreni  nel  Linarese  e  nelh^  vicinanze,  oltre  ai  Gherar- 
dini,  furono  gli  Alberti  (2),  i  Eossi  ed  i  Ciurianni.  I 
Eossi,  che  in  Firenze  dettero  il  nome  alla  piazzuola  di 
fianco  alla  chiesa  di  s.  Felicita,  possederono  nel  Lina- 
rese il  podere  vocabolo  Solo,  goderono  nel  castello  me- 
ritato credito,  e  varie  volte  vi  furono  designati  arbitri 
l^er  definire  questioni.  ^Vi)partenne  a  questa  famiglia 
quel  m.  Pino,  sottratto  a  quasi  completo  oblio  dalla  nota 
epistola  del  P)OCcaccio  per  consolarlo  dell'esilio  inflit- 
togli, dirigendogli  consolazioni  piuttosto  rettoriche  (3). 

I  Ciurianni,  al  pari  dei  Gherardini,  dimoranti  a  Fi- 
renze nel  popolo  di  s.  Stefano  presso  Pontevecchio, 
acquistate  fino  dal  1370  alcune  terre  sul  Linarese,  vi 
comprarono  j^oi  due  poderi,  uno  A^ocabolo  Al  Cassero, 
con  case  ed  aia,  del  Aalore  di  fiorini  577,  l'altro  hen 
fornito  di  bestiami  denomiuato  Appiè  al  Cassero,  costato 
fiorini  450;  quindi  spesero  fiorini  397  in  altri  terreni  e 
case  del  Linarese  (4),  impiegando  pure  fiorini  444  nel- 


(1)  G.  369  (1333)  —  I.  47  (1338). 

(2)  Col  testamento  del  18.  VI.  1374  m.  Iacopo  di  Caroccio  degli  Al- 
berti leo'ò  alle  liglie  jìodvrìa  sua,  et  posscssiones  atque  domos,  quo  idem  te- 
stator  ìiahet,  vel  haheret  in  e  uria  et  communi  de  Linari  ValUs  Else.  La  fìglia 
Niccolosa  tino  dal  1365  ora  moglie  a  Niccolò  di  m.  Giovanni  Medici.  Pas- 
serini, Gii  Aìheril  di  Firenze.  Firenze,  1870,  II,  152.  94. 

(3)  M.  Pino  nel  1347,  dopo  cacciato  da  Firenze  il  dnca  d'Atene,  fu 
uno  dei  14  cittadini  dex^iitati  con  piena  balìa  a  riformare  la  terra,  e  a  ri- 
fare Uggì  e  statuti.  G.  Villani,  XII,  16.  Venne  nel  1360  insieme  ad  altri 
sansa  rituperevole  titolo  condannato  all'esilio.  M.  Villani,  X,  28.  —  L'Hou- 
Tis,  Studii  sulle  ojìere  latine  dei  Boccaccio.  Trieste,  1879,  p.  145,  crede  scritta 
nel  1362  V Epistola  a  m.  Fino. 

(4)  Nel  1388  Valorino  Ciurianni  eoinitro  ima  torve  e  chasa  di  dietro, 
posta  nel  ehastello  di  Linari,  con  una  tonha  orerò  chantina  nella  grotta  di 
rin^yetto  alia  detta  torre,  che  da  p>rimo  via,  a  ij  chiasso,  a  iij  cliase  over  cha- 
solare,  con  tutte  le  mura  Ubere,  expedite,  senza  ninno  apjìoggio  di  persona. 
Nel  1395  ridusse  la  torre  a  colombaia.  La  facciata  della  cantina    rovinò 


LIXARI  CASTELLO  DELLA  YALDELSA  35 

F acquisto  d'alcune  terre  e  case  a  Poppiano,  a  Vico  e 
nel  Pog'oibonsino. 

Sul  valore  delle  terre  nel  Linarese  notai  due  sole 
indicazioni:  un  terreno  A^ocabolo  Alla  strada  pagato 
L.  25,  ed  affittato  pattuendo  la  corrisposta  annua  in 
stala  5  di  orano  (ettolitri  1,22)  (1).  Staioli  10  di  terra 
aratoria  alla  Staggia  morta  furono  valutati  L.  150(2). 
Quanto  al  valort^  dei  cereali,  stala  4  di  grano  (litri  97) 
vennero  nel  1340  venduti  per  L.  2,  e  per  il  medesimo 
prezzo  14  stala  d'orzo  (ett.  3,41).  Così  in  quell'anno  il 
grano  fu  pagato  mezza  lira  a  staio  (litri  24),  e  meno 
di  soldi  3  a  staio  l' orzo  (3). 

Xel  Linarese  le  terre  date  a  lavorare  e  le  sòccide 
d'animali  da  riproduzione  o  da  fatica  si  riscontrano 
principalmente  basate  sulla  divisione  a  metà  dell'  utile 
e  del  danno  in  sedici  contratti  stipulati  dal  1314  al 
1347.  Talora  furono  stabiliti  patti  speciali,  sempre  fa- 
vorevoli ai  locatori,  meno  in  due  casi,  l^eì  primo  il  pa- 
drone concesse  gratuitamente  al  conduttore  l'uso  della 
casa:  nel  secondo  un  Gherardini  prudentemente  si  ri- 
serv^ò  di  verificare  se  il  letame  da  spargere  sul  terreno, 
e  pagabile  a  metà,  corrispondeva  alla  pattuita  quantità 
di  50  some.  In  due  locazioni  di  terre  coltivate  a  vigna  i 
padroni  avrebbero  divisa  l'uva  ed  il  vino,  ma  si  riserva- 
rono le  frutta,  ed  uno  volle  in  più  L.  10.  Altra  volta  il 
conduttore  s'obbligò  a  lavorar  bene,  migliorare  le  vigne, 
ripulire  le  fosse,  mettere  di  suo  il  seme,  tenere  due  jyovcì 
coi  porcellini,  acquistare  un'asina.  Più  onerosa  sarà  cer- 


nei 1420,  e  Valorino  nel  ricostruirla  ritirò  indietro  il  muro  e  Pareo. 
A.  S.  F.,  Mss.  n.o  77,  f ."  29.  —  Mi  sembra  di  ravvisare  descritte  la  vecchia 
casa  con  torre,  già  sede  alla  fattoria  della  mia  Suocera,  e  la  cantina  posta 
di  rimpetto,  ambedue  situate  a  tramontana  nel  lato  del  castello  opposto 
Alla  torre,  verso  mezzogiorno,  posseduta  e  restaurata  dai  miei  figliuoli. 

(1)  F.  568  (4.  II.  1348). 

(2)  I.  47  (1327). 

(3)  M.  492. 


36  GIROLAMO   MANCINI 

tameiite  riuscita  la  locazione,  nella  quale  oltre  a  mettere 
il  seme,  e  dare  la  metà  dei  prodotti,  il  conduttore  doveva 
comprare  due  bovi  ed  un'asina  senza  venderne  il  letame, 
consegna,re  quattro  capponi,  96  uoA^a,  e  staia  11  di  grano 
(ett.  2,68)  al  padrone,  che  comprerebbe  due  porci  da 
ingrassare  e  riceverebbe  la  metà  della  carne.  Un  con- 
duttore s'imi)egnò  ad  acquistare  un  bove,  un  asino,  un 
porco,  e  a  spargere  sul  terreno  il  loro  letame.  Il  loca- 
tore anticiperebbe  L.  20  pel  porco,  e  se  costasse  mag- 
gior somma  ne  pagherebbe  la  metà.  Ad  altro  agricol- 
tore fu  imposto  soltanto  P onere  d'acquistare  50  salme 
di  letame  per  ingrassare  il  terreno.  I  Rossi,  della  fami- 
glia di  m.  Pino  amico  al  Boccaccio,  nel  1329  concessero 
in  lavorerio  per  un  quadriennio  il  loro  podere  di  Solo.  Il 
conduttore  metterebbe  il  seme,  pianterebbe  ciascun  anno 
25  arboscelli  fruttiferi,  a  Xatale  consegnerebbe  quattro 
capponi,  144  uova,  e  libbre  140  (eh.  47,54)  carne  di  porco 
maschio.  Ma  un  patto  da  segnalarsi,  punto  lesivo  per 
l' agricoltore,  e  che  dimostra  quanto  anche  in  quei  tempi 
godesse  credito,  e  per  la  sua  bontà  fosse  tenuto  in  pregio 
il  vino  proveniente  dalle  uve  maturate  nelle  colline  di 
Linari,  è  che  i  Rossi  si  riservarono  tutto  il  vino  pro- 
dotto dalle  viti  esistenti  a  Solo,  pagandone  la  metà  co- 
lonica ai  prezzi  correnti  (1). 

Nelle  sòccide  d'animali  erano  quasi  sempre  divisi 
per  metà  il  lucro  ed  il  danno:  bensì  s'incontrano  al- 
cune eccezioni.  Di  due  bovi,  d'un' asina,  e  di  22  f)ecore, 
date  a  sòccida  per  un  triennio,  il  sovventore  pretese 
staia  15  di  grano  (ett.  3,65)  e  la  metà  della  lana,  degli 
agnelli  e  del  formaggio.  Per  13  pecore  ricevute  in  guar- 
dia, oltre  alla  metà  dei  frutti,  il  conduttore  s' assoggettò 
a  rimborsare  il  prezzo  degli  animali  che  morirebbero. 
D'un   paio   di   bovi  dato  in  guardia,  sarebbe  diviso  il 


(1)  I.  47  (18.  III.  1329). 


LIXARI  CASTELLO  DELLA  VALDELSA  37 

lucro  proveniente  dal  prestarlo  per  lavorare  la  terra: 
d'un  solo  bove  il  locatore  riceverebbe  a  titolo  di  gio- 
gatico,  nomiììe  giogafionis,  stala  quattro  di  grano  (litri  97). 

Dei  bovi  consegnati  a  sòccida  tre  avevano  il  pelo 
bianco,  cinque  rosso,  uno  bruniccio.  Il  valore  degli  ani- 
mali bovini  varia  in  quindici  casi  dalle  L.  15  V2  ^^^ 
L.  56;  quello  degli  asini  oscilla  fra  le  L.  6  e  81:  un 
ronzino  magagnato  costò  fiorini  0. 

La  terra  veniva  misurata  a  staioli,  suddivisi  in  })((- 
uora,  e  imgnora  ad  mensuram  corde  usata  in  Linari. 
Denominavano  Croccola  la  misura  delFolio. 

La  chiesa  parrocchiale  del  castello,  dedicata  alla 
3Iadonna,  venne  probabilmente  edificata  sul  vertice 
della  collina  nel  secolo  XII,  o  anche  innanzi:  ma  i  pochi 
avanzi  della  vetusta  costruzione  non  danno  elementi 
sicuri  per  determinare  il  tempo  dell'edificazione  del 
fabbricato. 

Sull'altare  a  sinistra  di  chi  entra  nella  chiesa  trovasi 
un'  ancona  quasi  quadrata,  opera  di  pittore  fiorentino 
del  quattrocento.  La  graziosa  Vergine,  seduta  su  bene 
ornato  scanno,  tiene  nelle  ginocchia  diritto  il  Bambino 
nudo  con  la  manuccia  destra  sulla  spalla  materna  e  la 
sinistra  attaccata  allo  scollo  del  A^estito.  A  manca  del 
sedile  il  Battista  e  s.  Francesco;  a  destra  s.  Caterina, 
colla  ruota  e  la  palma  delle  martiri,  ha  da  presso  s.  Ver- 
diana, oblata  vallombrosana  avuta  in  gran  venerazione 
a  Castel  Fiorentino,  terra  non  molto  distante  da  Linari. 
I  due  serpi,  che  pretendevano  il  cibo  dalla  santa,  si 
sono  sollevati  fino  alla  sua  mano  destra,  e  ricevono  i 
bocconi  da  essa  presi  nella  ciotola  tenuta  colla  sinistra. 
Ben  dipinti  i  Aolti,  stecchite  le  braccia,  rigide  le  pieghe 
delle  vesti,  poche  le  dorature. 

XelP  altare  di  fronte  sopra  piccola  tavola  è  pure 
d'arte  senese,  assai  progredita,  una  Madonnina  col 
Bimbo  fra  le  braccia  ed  ai  lati  in  adorazione  s.  Dorotea  ^^ 

e  s.  Lucia. 


38 


GIROLAMO   MAXCIN] 


ÌISUl     IIOJCIUIIH)     Il 


Sulla  tela  seicentistica,  a  tergo  dell'  altare  maggiore, 
diversi  santi  sono  dipinti  presso  la  Tergine  in  gloria. 
Uno  porta  le  insegne  episcopali,  ma  nemmeno  il  ret- 
tore della  parrocchia  sa  dire  qual  santo  rappresenta,  e 
lo  straordinario  numero  di  vescovi  venerati  dalla  chiesa 
cattolica  impedisce  di  fargliene  un  addebito.  Probabil- 
mente raffigura  s.  Apollinare  j^rimo  vescovo  di  Eavenna, 
commemorato  dai  Latini  il  23  luglio,  già  protettore  dei 
Linaresi,  al  quale  in  Firenze  era  dedicata  una  chiesa 
con  nome  stroppiato  detta  s.  Pulinari.  È  del  tutto  spenta 
negli  abitanti  del  castello  la  ricordanza  dell'antico  pro- 
tettore, tanto  onoratamente  menzionato  in  solenne  atto 
pubblico  del  1510,  come  fra  poco  vedremo.  Donde  sarà 
derivata  simile  dimenticanza? 


LINARI  CASTELLO  DELLA  VALDELSA 


39 


Eesta  memoria  di  testatori  che  vollero  adornata  la 
chiesa  del  castello.  Giovanni  del  fu  Folluccio  legò  5 
tiorini  per  acquistare  una  croce,  e  dipingere  sul   muro 


Tavola  ti'  artista  senese  nella  chiesa  di 


Mari 


o  .sopra  tavola,  le  ligure  della  Vergine,  e  dei  ss.  Cri- 
stoforo ed  Onofrio.  Giovanni  del  fu  Duccio  ordinò  d'ef- 
figiare il  Salvatore  ed  il  Battista,  spendendo  4  fiorini 
larghi  d'oro  (1).   Xon   restano   tracce  delle  due  opere. 


(1)  F.  568  (15.  VI.  13i8)  —  T.  174  (13.  IV.  1363). 


40  GIROLAMO   MANCINI 

La  parrocchia  possiede  un  calice  medievale  in  rame 
dorato  con  smalti,  appartenuto  in  addietro  ad  altra  prio- 
ria. È  poi  un  vero  gioiello  la  Pace,  bassorilievo  in  bronzo 


^^^n 

Pace  e  calice  posseduti  dalla  cliiesa  di  s.  Maria. 

del  secolo  XV,  colle  figure  del  Padre  Eterno  seduto  fra 
l'apostolo  s.  Paolo  ed  il  Battista  in  piedi:  nelle  lunette 
e  negli  spazi  soprapposti  del  fregio  la  Vergine  col  Bimbo 
venerati  da  due  angioli,  altri  due  angioletti  e  quattro 
teste.  La  preziosa  Pace  viene  presentata  agli  sposi  per 
baciarla  durante  la  messa  rZe/ co?i^iir}i^o  (nuziale).  Nel  24 
aprile  1873,  la  baciò  insieme  a  me  V  indimenticabile 
Amalia  Capponi.  In  quel  mattino' P  adorata  giovane,  di- 
venuta impareggiabile  madie  di  famiglia,  vestita  di 
bianco,  col  velo  delle  spose,  sembrava  un  messaggero 
celeste.  E  nel  troppo  breve  corso  della  Aàta  essa  fu  dav- 
vero r  angiolo  tutelare  mio  e  della  famiglia  Mancini. 
D' opere  d' arte  sopravvive  in  Linari  anche  una  lu- 
netta frescata  da  pittore  senese  colla  Madonna  che  sor- 
regge il  Bimbo,  ed  ai  lati  il  Battista  e  s.  Francesco. 
Trovasi  ritoccata  da  guastamestieri  in  una  casa  posse- 
duta dai  miei  fiaii. 


LINARI    CASTELLO    DELLA    VALDELSA  41 

Prima  dell' anuo  1813  nella   chiesa  di   s.  Maria  ri- 
sedevano due  fraternite  (1),  una  padrona  d'un  ospizio 


Aftiesco  d'artista  senese. 


per  ricoA^erarvi  i  poveri  di  passaggio,  sia  che  fossero 
veri  pellegrini,  o  si  spacciassaro  tali.  Certamente  la 
Società  di  s.  Maria  del  Castello  (Societas  s.  Marie  Ca- 
stelli) era  diversa  dall'altra  dei  Disciplinati  (Societas 
discijdine  ecclesie  s.  Marie  Castelli\  i^erchè  nei  medesimi 
atti  d'ultima  volontà  diversi  testatori  ordinarono  obla- 
zioni di  danari,  cera,  e  terreni  ad  ambedue  le  società, 
mentre  i  legati  di  letti,  di  lenzuoli,  di  coperte,  ovvero 
di  danari  per  acquistare  mobili  o  masserizie  da  servire 
al  ricovero  dei  pellegrini,  sono  sempre  destinati  all'  Ospi- 
zio, non  ai  Disciplinati,  che  cantavano  laudi,  si  flagel- 
lavano e  pregavano  (2).  All'  entusiasmo  religioso  nella 
seconda  metà  del  secolo  XIII,  manifestatosi  segnata- 


ci) D.  77  (13.  V.  1313). 

(2)  G.  369  (9.  VII.  1339)  —  T.  174  (1362  —  13.  IV,  16.  VII.  1363).  — 
Lo  compagnie  di  (Uscix)linati,  princixnato  nell'I Jiubria  l'anno  1260,  presto 
si  diffusero  nella  media  e  nell'alta  Italia.  In  Linari  la  fraternità  sarà 
sorta  circa  al  1270,  ed  i^^noro  quando  cessasse. 


42  GIROLAMO   MANCINI 

mente  fra  gP  Italiani  della  classe  sociale  più  umile,  fra 
i  miììorì,  parteciparono  anche  i  Linaresi  istituendo  la 
fraternità  dei  Disciplinati. 

Xel  castello  esisteva  un  secondo  ospizio,  padrone 
di  terreni  nel  comune  e  dipendente  dallo  spedale  s.  Ma- 
rie ad  .V.  Gallum  iiixta  Florentia  ordinis  s,  Au gu stini  (1), 
Trovasi  già  stabilito  in  Linari  e  possedere  immobili  nel 
comune  l'anno  1308.  L'atto  di  vendita  d'un  terreno  al 
Valcanoro  fu  stipulato  in  curia  de  Linari,  in  loco  dicto 
Sertofani,  in  area  Berti,  que  est  terra  osjntalis  s.  Galli  (2). 
Lo  spedalingo,  o  rettore  dell'ospizio,  ricevè  nel  1337 
grano  stala  58  (ettolitri  14,13)  dovuti  come  canone  an- 
nuo di  terreni  dallo  spedale  dati  in  affitto,  e  dopo  un 
triennio  rincarò  alquanto  la  corrisposta  elevandola  a 
stala  59  V2  (ettolitri  14  V,)  (3). 

A  Oortebuona,  sulle  falde  meridionali  delle  colline 
linaresi,  a  breve  distanza  dalla  via  provinciale  fra  Pog- 
gibonsi  e  Oertaldo,  i  pellegrini  troA^avano  ricetto  in 
un  terzo  ospizio,  detto  Casa  di  s.  Xiccolò.  Patroni  del 
luogo  pio  erano  i  Gherardini,  e  cinque  di  loro  ne  nomi- 
narono lo  spedalingo  il  5  luglio  1338.  Tre  giorni  dopo, 
nella  chiesa  di  s.  Stefano,  presso  al  castello  di  Linari, 
l'eletto  inginocchiatosi  innanzi  al  priore,  o  parroco,  do- 
mandò la  conferma  nell'officio,  e  promise  dictum  hospitale 
bene  guhernare  et  eleemosinas  facere  pauperihns  Cliristi, 
et  pauperes  liospitare  (4).  La  formula  del  giuramento 
prestato  dal  nuovo  spedalingo  indica  gli  scopi  avuti  da 
simili  ospizi,  numerosi  nel  medio  evo,  e  frequentatissimi 
quando  sorgCA^ano  in  vicinanza  delle  strade  che  porta- 
vano a  Roma.  Lo  spedale  di  s.  Xiccolò  possedeva  almeno 


(1)  M.  492  (4.  XII,  1342)  —  Dello  spedale  di  s.  Gallo  parlano  il 
RiCHA,  Chiese  Fiorentina,  Firenze,  1757,  V,  167,  ed  il  Passekixi.  Sfoi-ia 
degli  staUlimenti  di  heneficenza,  Firenze,  1853,  p.  659. 

(2)  D.  77  (22.  VI.  1308). 

(3)  G.  369  (12.  IX.  1337)  —  M.  492  (1340). 

(4)  G.  369  (5  e  6.  VII.  1338). 


LINARI  CASTELLO  DELLA  YALDELSA  43 

una  casa  dentro  il  castello,  e  dava  in  affitto  diversi 
beni  situati  nel  comnne.  D'una  parte  di  questi  terreni 
fu  nel  13^^8  fissato  l'annuo  canone  di  grano  da  conse- 
gnare nella  residenza  dell'ospizio  in  moggia  6  e  stala  12 
(ettolitri  38,01)  (1).  Nel  1334  era  spedalingo  ser  Martino 
del  fu  Bonamente  (2). 

A  mezzogiorno,  fuori  della  cinta  murata  di  Linari, 
sull'estremo  lembo  del  territorio  i^arrocchiale,  sorgeva 
e  sorge  la  chiesa  di  s.  Stefano  divenuta  in  tempo  assai 
remoto  sede  della  prioria  traslatata  da  Chiani,  dove 
esiste  tuttora  la  vecchia  chiesa  tanto  più  piccola  di 
quella  sostituita,  e  circondata  da  estesi  terreni  spet- 
tanti alla  prebenda  parrocchiale,  i  quali  convalidano 
la  tradizione  che  anticamente  fosse  a  Chiani  la  resi- 
denza della  prioria.  S'ignora  in  qual  tempo  avvenne 
il  trasferimento,  ma  un  atto  notarile  del  1308  permette 
di  ritenere  che  in  quell'anno  la  nuova  chiesa  già  sor- 
gesse nel  sito  adesso  occupato.  Certamente  v'era  stata 
trasferita  nel  febbraio  del  1327  (3),  rimanendo  uno  vStru- 
mento  actum  Linari  in  canonica  s.  Stefani  alla  pre- 
senza di  m.  Berto  Gherardini  vissuto  lunghissimi  anni 
pievano  di  s.  Appiano,  di  m.  Pietro  del  fu  Ciante  ca- 
nonicuH  (priore)  ecclesie  s.  Stefani  (4),  e  di  ser  Gheri 
rettore  di  s.  Donato  a  Giugnano,  parrocchia  non  ancora 
riunita  a  s.  Stefano  di  Linari.  Per  dipingere  nella  chiesa 
e  costruirvi  una  cappella  due  fratelli  legarono  L.  20  (5). 

A  differenza  della  prebenda  di  s.  Maria  del  Ca- 
stello piuttosto  povera,  era  ed  è  ben  provvista  l'altra 
di  s.  Stefano.  In  una  colletta  pontificia  imposta  nel 
giugno   del  1299  la  prioria  di  s.  Stefano  si  trova  tas- 


(1)  I.  47  (5.  IV.  1338). 

(2)  L.  84  (9.  X.  1334). 

(3)  D.  77  (30.  XI.  1308)  —  I.  47  (II.  1327). 

(4)  Il  parroco  di  s.  Stefano  è  denominato  lìrior   cunonice  s.  Stefani 
anclie  negli  atti  I.  47  (21.  II.  1329  —  25.  VII.  1333,  e  1338)  —  M.  492  (1342)- 

(5)  G.  369  (5  e  9.  VII.  1338). 


44  GIROLAMO   MANCINI 

sata  in  L.  9,  soldi  10,  e  quella  poi  annessale  di  s.  Do- 
nato in  sole  L.  2,  soldi  10  (1).  Il  priore  di  s.  KStefano 
esercitava  il  diritto  decime,  vel  jyrimitie  de  possessioni- 
hits  et  terris  in  commune  Linari,  sive  in  decimatione  diete 
sue  canonice  de  grano  et  hladis  (2),  la  prioria  s' estendeva 
in  territorio  ampio  e  fertile,  così  più  cospicue  riusci- 
vano le  decime.  Nel  1348  venne  sistemata  una  lite  ver- 
tente fra  il  rettore  di  s.  Stefano  e  tutta  V  università 
degli  uomini  e  delle  persone  del  comune  Linarese  secondo 
il  lodo  proferito  da  m.  Pino  del  fu  m.  Giovanni  dei 
Eossi  e  da  ser  Giovanni  Marignolli,  che  condannarono 
i  comunisti  a  pagare  500  fiorini  d'oro.  Con  rara  discre- 
zione e  disinteresse  il  priore  di  s.  Stefano  si  contentò 
di  fiorini  200,  renunziando  agli  altri  300  (3). 

I  due  rettori  di  s.  Maria  e  di  s.  Stefano  pubbli- 
cavano i  monitorii  e  le  scomuniche  lanciate  dal  loro 
vescovo  di  Firenze,  ma  non  gli  obbedivano  ciecamente, 
e  nel  1306  ser  Lapo  cappellano  di  s.  Maria  litigava 
col  vescovo  Lotterio  (4).  In  .quei  tempi  i  semplici  cu- 
rati, offesi  nei  loro  diritti,  coraggiosamente  chiamavano 
in  giudizio  il  superiore  ecclesiastico  e  tutelavano  le 
proprie  ragioni  conculcate. 

Agli  studiosi  della  storia  ecclesiastica  può  interessare 
la  conferma,  proveniente  da  due  atti  dei  notari  Lina- 
resi,  circa  l'autorità  di  corepiscopo  goduta  dal  i)ievano 
di  s.  Appiano  (5).  Essendo  vacata  la  prioria  di  Vico,  i 
parrocchiani  presentarono  il  proprio  candidato  al  pie- 
vano di  s.  Appiano,  ad  quem  de  anticha  consuetudine, 
vel  de  iure,  institutio  rectoris  pertinere  dignoscìtur.  Ap- 
provata la  scelta  da  m.  Berto  Gherardini,  sorsero  que- 


(1)  Lami,  536. 

(2)  I.  47  (1338). 

(3)  F.  568  (15.  VI.  1348). 

(4)  D.  77  (3.  XII.  1306). 
(.5)  Biadi,  14. 


LINAKI    CASTELLO   DELLA   YALDELSA  45 

stioiii  fra  i  popolani,  ed  essi  si  riscaldarono  talmente 
da  impedire  al  loro  medesimo  candidato  di  prendere 
possesso  della  prioria.  M.  Berto  pievano  nominò  un 
economo  (1).  Del  pari  nel  1338  lo  stesso  pievano  asi- 
gnavit  presMtero  Ohio  fllio  LoU  de  Linari  curam  et  ami- 
nistrationcm  animarnm  et  honorum  ecclesie  s.  Marie  de 
Linari  in  temiìoraìihns,  et  spirituaUhus,  donec  eidem  do- 
mino plehano  placuerit  (2). 

Ed  ora  sooginngerò  altre  notizie  desunte  dagli  atti 
notarili  del  secolo  XIV,  non  potendole  dare  pei  tempi 
successivi,  poiché  cessano  i  protocolli  che  riescono  pre- 
ziose miniere  ai  ricercatori  di  memorie  storiche  e  delle 
antiche  costumanze  dei  popoli. 

Era  proporzionata  alla  possibilità  della  famiglia  la 
dote  delle  spose,  non  lo  era  il  dono  del  futuro  coniuge 
per  migliorare  le  condizioni  pecuniarie  della  moglie  nel 
caso  che  sopravvivesse  al  marito.  Lo  strumento  nota- 
rile stipulato  al  momento  della  celebrazione  del  matri- 
monio determinava  T  ammontare  della  dote  e  del  do- 
nativo sostituito  nella  Toscana  al  morgincap  delle  genti 
germaniche,  e  dai  Linaresi  fissato  in  cifra  assai  modesta. 
Kinvenni  il  dono  di  L.  50  stabilito  in  quattordici  con- 
tratti, nei  quali  la  dote  oscillò  fra  le  L.  110  e  le  550, 
come  per  una  sposa  di  Poggibonsi  che  nel  1338  portò 
al  marito  di  Linari  la  dote  di  300  fiorini  d'oro,  molto 
cospicua  per  quei  tempi.  In  quattro  casi  il  donativo  am- 
montò alla  metà  della  dote  rispettivamente  ricevuta,  di 
L.  40  presunto  valore  d'un  campo  ceduto  allo  sposo,  di 
L.  50,  di  L.  67,  e  di  fiorini  d'oro  11.  Tre  volte  di  L.  25  con 
doti  di  L.  115,  di  150,  di  fiorini  12;  e  di  L.  29  ad  una 
sposa  dotata  con  L.  508.  Una  volta  la  dote  consistè  in 
stala  10  di  grano  (ett.  2,44),  una  seconda  in   staioli   (> 


(1)  I.  47  (18.  IX.  1329). 

(2)  G.  369  (6.  V.  1338). 


46  GIROLAMO   MANCINI 

di  terreno  valutati  L.  36,  ed  in  questi  due  casi  non 
è  parlato  di  donativo. 

Quanto  al  consenso  degli  sposi,  donde  deriva  F  in- 
dissolubilità del  nodo  matrimoniale,  era  prestato  innanzi 
al  notaro.  Il  tabellione,  dichiarata  la  cifra  della  dote 
e  del  donatiA^o,  poi  gli  altri  patti  stabiliti,  soggiungeva 
che  gli  sposi  avevano  prestato  l'assenso  reciproco,  dato 
e  ricevuto  Panello,  simbolo  dell'avvenuto  matrimonio. 
Xon  sono  i)rive  d'interesse  le  particolarità  registrate 
negli  atti  destinati  a  far  fede  come  i  contraenti  avevano 
giurato  d' unire  le  loro  esistenze  finché  sarebbero  vissuti. 

IS^eì  1315,  in  luogo  punto  adatto,  una  delle  grotte 
o  cantine,  dette  tombe  a  Linari,  fu  rogato  l'atto  nu- 
ziale. Cecca  orfana  di  padre,  ricevutone  il  permesso  dal 
mundualdo,  significò  la  volontà  di  maritarsi  a  Bartalino, 
il  quale  convenne  di  sposare  Cecca,  introdusse  l'anello 
nel  dito  della  giovane,  e  strettale  la  mano  destra  fra  le 
proprie  mise  la  fidanzata  sotto  il  mundio  o  potestà  ma- 
ritale (1).  Xel  1334  Andrea  permise  alla  figlia  di .  con- 
giungersi in  matrimonio.  Fina  e  lo  sposo  prestarono  il 
consenso,  e  questi  dette  l'anello  alla  ragazza.  Allora 
Andrea,  convenendone  e  volendolo  la  figlia,  presane  la 
mano  destra  la  pose  fra  quelle  del  giovane,  così  trasfe- 
rendo la  femmina  sotto  il  mundio  e  la  potestà  coniugale, 
con  tutti  i  diritti  derivanti  dalle  leggi.  Quindi  per  gua- 
renti già  il  notaro  ordinò  al  novello  coniuge  di  conser- 
vare sulla  moglie  l'autorità  maritale  (2).  In  altro  stru- 
mento il  medesimo  notaro  aggiunge  che  nel  ricevere 
l' anello  la  sposa  disse  al  fidanzato  :  —  Io  A^oglio  te  j)er 
uomo  mio  e  marito  legittimo  —  (3).  Più  minute  par- 
ticolarità contiene  un  atto  del  1336.  I  contraenti  si 
coniugano  per  verha  de  presenti  (a  viva  voce).  Giovanna 


(1)  D.  77  (1,  XI,  1315). 

(2)  G.  369  (1.  I.  1334). 

(3)  G.  369  (1335). 


LINARI    CASTELLO   DELLA    VALDELSA  4/ 

ricevuto  Panello  nel  dito  anulare  della  destra,  dice  a 
Biagio:  —  Voglio  te  per  legittimo  sposo  ed  uomo  mio  — . 
Ed  esso:  —  Io  voglio  te  per  mia  legittima  sposa  e  mo- 
glie — .  Quindi  il  mundualdo  di  Giovanna,  per  vo- 
lontà di  lei,  le  prese  la  mano  destra  e  postala  fra  le 
mani  di  Biagio,  mise  P  orfana  sotto  il  mundio  e  la  po- 
testà di  lui  investendolo  di  tutti  i  diritti  maritali.  Agli 
sposi,  che  cosi  vollero  e  fecero,  il  notaro  prescrisse 
come  guarentigia  di  mantenere  le  promesse  (1). 


(1)  G.  369  (5.  XII.  1336)  —  Simili  espressioni  in  G.  369  (12.  I.  1337). 
e  in  M.  492  (X,  1341)  —  La  membrana  di  Passionano  dell'I.  VII.  1071  nelle 
formnle  e  nella  i)restazione  del  consenso  è  simile  agjli  atti  posteriori 
di  più  che  tre  secoli.  La  trascriAo  credendola  inedita,  né  correggo  gli 
errori  grammaticali  del  notaro. 

In  Xpi  nomine.  Breve  securitatis  prò  futuris  temporibus  ad  me- 
moriam  abendas  vel  retinendas,  qualiter  factum  est  in  loco  ubi  dicitur 
Campauli  prope  ecclesia  et  plebe  s.  Stepliani,  in  ptesentia  Rainerii  fìlio 
bonememorie  Petri,  et  Paghani  iìlio  bonememorie  lohannis,  et  Raimberto 
fìlio  bonememorie  Corbizi,  et  Widi  fìlio  loculi,  et  Widi  fìlio  boneme- 
morie Faroltì,  et  reliquorum.  In  eorum  presentia  stante  Petrus,  qui  et 
Paghano  vocatur,  fìlio  bonememorie  item  Petri,  de  loco  Ormena,  et  sic 
adxireliendit  una  filia  et  mundualda  sua,  nomine  Berta,  per  manum 
dextera,  et  sic  dedit  et  tradit  eam  leitime  ad  uxorem  Raimberto  fìlio 
Petri,  qui  et  Rustico  vocatus,  de  loco  Casavecla  :  et  tunc  ijìse  Raimberto 
eam  recej)it,  et  cum. anulo  suo  subbarra vit  eam,  et  prò  ipsa  datio  et  tra- 
ditio,  et  prò  mundium  de  predicta  Berta  fecit  eidem  merito  ad  verso  Pe- 
trus crosna  una  valentes  solidos  viginti,  et  tunc  ipse  Petrus  eam  recepit, 
et  prò  ix)sa  crosna  valentes  solidos  viginti,  et  de  ipsa  crosna  sic  inve- 
sti vit  X)roi)rietario  iure  iam  dicto  Raimberto  de  nmndium,  frea,  et  ane- 
grij),  et  de  omnem  legem  et  actionem,  et  de  cunctis  curtis,  et  ecclesi, 
et  sortis,  et  domnicatis,  et  terris,  et  vineis,  et  servis,  et  ancille,  et  de 
omnibus  res  tam  mobilem  quam  imobilem,  que  ad  ipsa  Berta  erant  per- 
tenentes,  vel  in  antea  pertenere  debet  i)er  quolil)et  argumentis.  Et  tunc 
ipse  Raimbertus  eam  recex)it,  et  prò  ix^sa  investitura,  et  datio,  et  tra- 
ditio  fecit  eidem  launechildum  ad  iam  dictus  Petrus  crosna  de  vulx>e 
una.  Factum  est,  et  in  presentia  de  iam  dictis  testibus,  anni  ab  incar- 
natione  domini  nostri  lesu  Xsti  septuagesimo  x^rimo  x>ost  mille,  et  Ka- 
lendis  iulii,  indictione  nona,  feliciter. 

Signum  §^  manu  de  iam  dicto  Petrus  qui  une  scrix)tus  fìeri  roga  vit. 

Signimi  §§($>  manibus  de  sux>rascrix>tis  Rainerius,  et  Paghanus,  Raim- 
bertus ibi  fuerunt. 

Ego  Rodolfo  notarius  ibi  fui,  et  mie  In(\f  sciiixi.  feci. 


48  GIROLAMO   MANCINI 

Xel  1334  fu  fissato  dentro  il  castello  un  matrimo- 
nio da  celebrare  dopo  un  quadriennio.  Un  amico  co- 
mune delle  due  famiglie  determinerebbe  la  cifra  della 
dote,  da  lui  stabilita  in  L.  380.  Il  contraente,  che  man- 
cherebbe alP  impegno  assunto  d'effettuare  il  matrimonio, 
promise,  come  caparra  per  gii  sponsali,  di  pagare  al- 
l'altro la  penale  di  fiorini  200  d'oro.  Xon  apparisce 
sborsata  la  multa;  bensì  dopo  due  anni  fu  stipulato 
un  nuovo  contratto  e  sconcluso  il  maritaggio  (1). 

^N^emmeno  Linari  si  conservò  immune  da  una  delle 
cancrenose  piaghe  medievali,  l'usura,  esercitata  dai  Cri- 
stiani (2)  nei  luoghi  dove  non  l'avevano  presa  in  ap- 
palto gli  Ebrei,  i  quali  pagavano  gravose  corrisposte 
annuali  ai  comuni  ovvero  ai  principi  che  loro  ne  con- 
cedevano il  monopolio.  Diversi  Linaresi  nel  fare  testa- 
mento disposero  legati  come  compenso  delle  usure  e 
della  roba  male  aMata.  Con  tale  scopo  nel  1313  un 
testatore  lasciò  certi  danari  (3).  !Nel  1314  il  figlio  del 
fu  Ildebrandino,  Orco,  nome  bene  appropriato  ad  uno 
strozzino, 

sendo  dal  mal  di  morte  travagliato, 

pagò  al  cappellano  di  s.  Maria  del  Castello  suo  con- 
fessore L.  1000  j^ro  usuris  et  male  aòlatis  certis  et  incertis, 
Ser  Goro  consegnerebbe  i  danari  a  m.  Antonio  vescovo 


(1)  I.  47  (13.  X.  1334). 

(2)  Una  carta  di  Passignano  dell'  1.  IX.  1170,  fa  conoscere  le  duris- 
sime condizioni  subite  da  un  infelice  che  dovè  ricorrere  per  danaro  ad 
un  imprestatore.  Giovannuzzo  riceve  per  un  anno  in  causa  mutui  liòras  III 
et  solidos  VI  ad  luorum  III  denariorum  per  singulos  mensefi  ex  unaquaqne 
libra.  Come  garanzia  consegna  una  vigna,  e  se  non  avrà  saldato  il  pre- 
stito alla  scadenza  l'im prestatore  iransaoto  termino  hdbeat  ius  vendendi  et 
in  possessionem  ingrediendi  sua  auetoritote.  Non  conosco  quali  frutti  i)re- 
tendessero  i)ei  danari  prestati  gli  usurai  Linaresi  del  secolo  XIV.  Sugli 
Ebrei  appaltatori  dell'usura  pubblicai  molte  notizie  nella  mia  Cortona 
nel  medio  evo.  Firenze,  1897,  p.  312-319. 

(3)  D.  77  (12.  V.  1313). 


LINARI    CASTELLO    DELLA   YALDELSA  49 

<li  Firenze;  Orco  ed  il  tìglio  Cecco  non  sarebbero  tenuti 
a  nuoA'e  restituzioni  per  nsiire  reclamate  (  1  ). 

Xel  1334  E  osso  del  fu  Volta  compensò  un  conter- 
raneo di  quanto  gli  aveva  estorto  colle  usure  (2).  Doi)o 
un  quinquennio  Volta  del  fu  Tancredi  ordinò  nel  te- 
stamento di  restituire  omuia  habifa  et  accepfa  per  cnm 
per  u.surariam  pravitatem  rei  alio  illicito  modo  (3).  La 
mala  i)ianta  dell'usura  prosperava  nella  famiglia  doAC 
rinnoA^avano  il  nome  Volta.  Quelli  strozzini  ridotti  in 
tìne  di  A  ita  vole\'ano  rimediare  alle  ruberie 

(li  mal  toilette  per  far  buon  lavoro. 

Tancredi  del  fu  Volta  infermato,  quando  imper- 
versa\  a  la  terribile  pestilenza  magistralmente  descritta 
dal  Boccaccio,  ordinò  nel  testamento  di  restituire  il 
danaro  carpito  coli' usura,  aut  alia  qu.acumque  iìlieita, 
aut  indehita  causa  nsqiie  ad  integram  satisfactionem,  vin- 
colando l'intera  eredità  all'obbligo  della  restituzione  (4). 
La  coscienza  da  qualche  tempo  angustiaA  a  Tancredi. 
Alcuni  mesi  innanzi  aA e^a  ottenuto  che  certo  Eigaccio 
condonasse  quanto  gli  aA^CA^a  carpito  per  usurariam  pra- 
rifatem,  rei  per  cinemcnmque  modum  inlicitum,  cum  scri- 
ptura,  vel  sine  scriptura.  Il  buon  Eigaccio  pepercit  dicfo 
Tancredi  in  quod  ipse  vel  eius  herede.s  non  teneanfur  ad 
animam  vel  ad  corpus,  e  dato  il  caso  che  volesse  revo- 
care il  concesso  perdono  si  sottomise  a  pagare  L.  25 
di  penale  (5).  Uguale  condono  Tancredi  ricevè  pochi 
giorni  dopo  da  altro  Linarese  fino  ad  allora  scorticato 
senza  y)ietA  ((>).  Il  timore  di  cadere  Aittima  del  morbo 


(1)  D.  77  (L5.  II.  1314). 

(2)  G.  369,  1'.'^  13. 

(3)  G.  369  (9.  VII.  1339). 

(4)  F.  568  (5.  A^I.  1348). 

(5)  F:  568  (6.  IA^  1347). 

(6)  F.  568  (21.  V.  1347). 

Arch.  .Stor.  It.,  5."  Sorif.  —  XXXIX. 


50  GIROLAMO   MANCINI 

spingeva  gli  usurai  a  domandar  perdono,  ed  ispirava 
alle  vittime  sensi  di  pietà  verso  gV  inesorabili  carnefici. 

Xel  medesimo  anno  della  gran  jjestilenza  un  se- 
condo usuraio,  Matteo  del  fu  Mazzino,  quanto  il  rivale  e 
collega  Tancredi,  spaventato  dalla  straordinaria  morìa, 
consegnò  a  ser  Eanieri  del  fu  Tanuzzo  prete  di  s.  Ma- 
ria nel  Castello  la  nota  degl'infelici  da  lui  strozzati  con 
interessi  usurari,  affinchè  V  inviasse  al  vescovo  di  Firenze 
promettendo  la  restituzione  di  tutti  i  guadagni  illeciti  (  1  ). 

La  sicura  scorta  degli  atti  notarili,  i  quali  mi  per- 
misero di  sollevare  alquanto  il  fittissimo  velo  che  av- 
volgeva le  vicende  abbastanza  prospere  di  Linari  nel 
secolo  XIV,  m'è  del  tutto  mancata  pei  tempi  succes- 
sivi, quindi  poche  altre  cose  posso  aggiungere.  Durante 
il  secolo  XY,  e  molto  più  sui  primi  del  XVI,  la  po- 
polazione di  Linari  era  diminuita,  e  le  cose  del  comune 
procedevano  in  gran  disordine,  per  cui  fu  creduto  di 
rimediare  al  male  deliberando  uno  statuto  (2). 

Ad  lionore,  lande  et  riverentia  delFopijìhicie  et  oìun- 
potente  Iddio  et  della  sua  salutifera  Madre  sempre  Tir- 
gin  e  Maria,  et  de^  beatissimi  appostoli  messer  san  Piero 
et  misser  san  Paulo,  et  del  glorioso  patria rclia,  et  pro- 
plieta,  et  più  elie  proplieta  misser  san  Giovanni  Batista 
singularissimo  advocato,  proptectore  et  difensore  del  ma- 
gnifico et  excelso  populo  fiorentino,  et  del  glorioso  misser 
sani  Pulinari,  advocato,  protectore  e  defensor  e  del  comune, 
lìuomini,  et  persone  di  Linari  di  Yaldesa,  contado  di  Fi- 
rense..., possa  essere  e  sia  ancUora  ad  honore,  mantenimento, 
pace,  unione  et  riposo  delli  lìuomini,  e  persone,  et  comune 
del  prefato  Castel  di  Linari,  a^  quali  Iddio  per  sua  infi- 
nita misericordia  conciedi  gratia  a  ciasclieduno  fruire  la 
beatitudine  di  sua  infinita  gloria.  Amen. 


(1)  F.  568  (13.  VI.  1348). 

(2)  A.  S.  F.  statuto  di  Liìiari.  ii."  32(). 


LINA RI    CASTELLO    DELLA    VALDELSA  51 

Lo  statuto  venne  formato  a  tempo  di  Marco  Bo- 
na volti  potestà  (li  San  Donato  in  Poggio,  et  del  li  altri 
luoghi  sottoposti  et  connessi  alia  potesteria.  L'ordinarono 
i  Linaresi  Bernardo  di  Fidenza  Ciangelli,  Martino  d' Ap- 
l)iano,  Francesco  di  Giovanni  Pietro  alias  Cenlone,  e 
(riovanni  di  Santi  alias  Cartaio,  nel  22  decembre  1509 
designati  a  comporlo  jìer  tutti  gVhuomini  et  persone,  e 
dua  terzi  di  loro  e  più,  del  comune  di  Linari,  viva  voce, 
secondo   venne   fatto  resultare  da  strumento   notarile. 

(tIì  statutari  premettono  che  dal  1470  in  qua  mai 
fu  tenuto  ordine  di  governo  nel  comune,  essendone  stati 
semestralmente  nominati  a  voce  gii  officiali.  Costoro, 
privi  d'emolumento,  non  intimiditi  da  pene  legalmente 
sancite,  avevano  vantaggiate  soltanto  le  faccende  pro- 
prie, donde  ne  risultava  al  comune  molti  inconvenienti  et 
spese  extraordinarie  per  non  havere  chi  quello  custodissi 
et  guhernassi.  Quale  riparo  a  simili  malanni  stabilirono 
le  borse  per  estrarne  i  nomi  degli  officiali,  ed  ogni  ses- 
sennio rinnovare  lo  squittinio. 

La  prima  borsa  sarà  del  Consiglio,  e  v'  introdurranno 
dodici  polizze,  ciascuna  con  cinque  nomi  :  il  più  degno 
di  loro  sarà  gonfaloniere,  gli  altri  consiglieri.  La  pre- 
senza del  gonfaloniere  indispensabile  nel  prendere  de- 
liberazioni. 

Dalla  seconda  con  venti  polizze  ed  unico  nome 
verrà  estratto  il  camarlingo  generale. 

Xella  terza  porranno  a  entiquattro  polizze  con  unico 
nome.  Xe  verranno  tolte  due  polizze  per  ciascun  se- 
mestre, e  gli  estratti  saranno  sindaci  del  camarlingo, 
ragionieri  del  comune. 

(ili  officiali  delle  prime  tre  borse  conserveranno 
la  carica  per  un  semestre. 

La  (|uarta  borsa  dei  sindichi  de^  malefici  de'populi 
avrà  dodici  polizze  col  nome  d'un  allibrato  nei  singoli 
populi,  vocabolo  che  nel  caso  presente  dovrebbe  signi- 
ficare le  diverse  ville  che  componevano  il  comune.  Da 


52  GIROLAMO   MANCINI 

questa  borsa  sarà  cavata  una  polizza.  Ciascun  sindaco 
riceverà  40  soldi  e  resterà  in  carica  per  un  anno. 

Alla  ({uinta  borsa  degli  .vj^/ceio/f/^i  sarà  ricorso  quando 
dalle  precedenti  borse  sortiranno  nomi  di  defunti  o  di 
allibrati  divenuti  incapaci  di  risedere.  I  riformatori  v'  im- 
borseranno quante  polizze  loro  piacerà. 

Nella  sesta  .s^'  metta  L  huomini  (ossia  il  nome  di  50 
uomini),  la  quale  se  chiami  borsa  de'marraiuoli,  accioc- 
ché bisognando  al  comune  marraiuoli  di  quivi  si  cavino 
a  sorte  et  fortuna,  et  tanti  et  quanti  al  detto  comune 
fussi  di  bisogno,  e  di  comanda  mento  da'  nostri  magnifici 
et  potenti  signori  Fiorentini,  et  nessuno  possa  detta  sua 
tratta   recusare  sotto  pena  di  L.  5  se  non  dessi  scanbio. 

^N^egli  ultimi  giorni  del  sessennio,  in  presenza  d'al- 
meno due  terzi  dei  capi  di  famiglia,  sarà  da  quattro 
Linaresi  proceduto  a  nuova  imborsazione  pagando  L.  2 
al  cancelliere  che  scriverà.  Le  borse  staranno  chiuse  in 
cassetta  a  due  chiavi,  una  custodita  dal  gonfaloniere, 
la  seconda  dal  potestà  o  dal  suo  notaro. 

I  cinque  del  Consiglio,  tutti,  o  dua  terzi  di  loro  con- 
cordanti, habbino  piena  auctorità,  et  poteri,  et  balìa,  quanto 
hanno  tutti  gli  huomini  et  persone  d'esso  comune,  di  porre 
imposta,  data  et  gravezze,  et  di  potere  fare  stanziamenti 
et  spese  ordinarie  et  straordinarie  come  a  llhoro  parrà 
et  piacerà  a  utile  di  decto  comune,  dell'assumere  l'of- 
ficio i  consiglieri  presteranno  giuramento  al  cancelliere  : 
nel  deporlo  riceveranno  per  salario  di  mesi  sei,  il  gon- 
faloniere un  piattello  di  stagno  pesante  libbre  3,  cia- 
scun consigliere  di  libbre  2.  Multate  con  soldi  20  le 
assenze  dalle  adunanze. 

II  camarlingo  riscoterà  le  imposte,  i  danari  delle 
condannagioni,  e  pagherà  le  spese  ordinate  dal  consiglio 
registrando  esattamente  l'entrata  e  l'uscita  del  comune 
in  apposito  libro.  Custodirà  i  pegni  ed  i  gravamenti 
fatti  nel  comune,  godrà  L.  25  di  salario,  e  i^arte  delle 
multe  intìitte. 


LIXARI  CASTELLO  DELLA  VALDELSA  O^ 

Dieliiararouo  festivo  il  giorno  saero  a  .s.  Fidi  uà  ri 
{((h'ocafo,  prof  ecfore  vf  (ìifensore  del  comune.  Multato  in 
10  soldi  ehiunqne  nel  2^  luglio  lavorerà  eon  le  bestie 
o  senza.  I  cinque  del  consiglio,  il  notaro  ed  il  camar- 
lingo si  recheranno  alla  chiesa  di  s.  Maria,  e  ciascuno 
offrirà  una  liaccola  accesa  d'once  3  pagata  dal  comune. 

Divisero  lo  statuto  in  nove  vwhYÌQÌi^:  Bel  in  odo  de- 
re.si  far  lo  squiftiìiio.  —  Auctorità  del  corhsiglio,  —  Del- 
Vimctorifà  del  camarlingo  generale.  —  Della  pena  a  chi 
be.sfem  lasse  Iddio.  —  Della  fesfivUà  di  s.  Fui  in  ari.  — 
Della  pena  di  chi  lavassi  o  i  mòra  classe  le  fonti.  —  Della 
pena  de  chi  adimandassi  cosa  che  non  fussi pagato ^  echi 
negassi.  —  DelVauctorità  del  sindaco  de'maleflcii.  —  Che  1 
messo  hahhia  hahifar  a  Linari. 

Il  19  gennaio  1510  i  re^àsori  fiorentini  degli  sta- 
tuti modificarono  due  delle  disposizioni  prese.  Nella 
borsa  de'marraiuoli,  ossia  degli  uomini  talora  richiesti 
da  Firenze  per  adoperarne  le  braccia  fuori  del  respet- 
tivo  comune,  vollero  imborsati  tutti  i  nomi  dei  Linaresi 
maschi  dai  18  ai  55  anni  affinchè  ne  fossero  estratti  a 
sorte  i  polizzini  in  ogni  richiesta  di  marraiuoli,  prescri- 
A'endo  che  uno  solo  per  famiglia  prestasse  servizio.  La 
l^olizza  uscita  sarebbe  pure  stracciata,  non  dovendo 
l'uomo  estratto  servire  nuovamente  nei  casi  di  ripe- 
tute» requisizioni  di  marraiuoli.  Quanto  fu  giusta  questa 
emenda,  altrettanto  ingiusto  il  privilegio  accordato  ai 
cittadini  fiorentini  di  non  incorrere  nelle  i^ene  sancite 
contro  gP  imbrattatori  delle  fonti. 

Il  nuovo  statuto  riuscì  poco  soddisfacente,  ed  i 
cincpie  del  consiglio,  recatisi  il  14  novembre  1510  presso 
il  potestà  di  S.  Donato,  deliberarono  la  soppressione 
dei  piattelli,  spesa  ingorda,  immo  più  presto  superflua, 
e  con  danno  gravissimo  de^ poveri,  e  solo  resultare  in  uti- 
lità di  qualche  scioperato  che  attende  a  fare  arte  di  si- 
mili officii.  Attesa  la  qualità  del  comune  piccolo  e  povero, 
sostituirono  ai  piattelli  pei  membri  del  consiglio  soldi  14, 


5-1:  GIROLAMO    MANCINI 

e  ciascuno  provvedesse  lo  stagno  a  proprio  piacere  (1). 
Considerata  la  fatica  e  perdimento  di  tempo  che  nel  tempo 
del  loro  nficio  Hoportano  i  sindaci  dei  maletìzi  per  ve- 
gliare sul  buon  custodimento  delle  strade,  ne  fissarono 
F  indennità  in  L.  4.  Tolsero  al  messo  V  obbligo  di  dimo- 
rare nel  castello. 

Queste  modificazioni  non  quietarono  gii  opposi- 
tori. Il  19  decembre  1510  a  Linari  in  domo  liahitationis 
et  residentie  communis,  seu  consiliariorum  et  guhernato- 
rnm  communis  furono  solennemente  convocati  tutti  lio- 
mini,  cioè  capi  di  casa,  o  vero  uno  per  casa.  Tenne 
esposto  come  le  correzioni  allo  statuto  erano  iniusta- 
mente  hiasimate  da  qualche  persona  d'essa  loro  comunità, 
la  quale  per  il  passato  ha  più  presto  governato  altri,  cìie 
i'oluto  essere  governata  da  altri,  e  sempre  più  presto  ad 
sua  utilità  die  d'essa  loro  comunità,  quindi  il  gonfalo- 
niere invitò  gli  adunati  a  dichiarare  se  credevano  le 
correzioni  proposte  in  pregiudicio  puhlico  o  privato  d'epsa 
loro  comunità.  Dopo  molti  ragionamenti  e  2)areri,  le  ysl- 
riazioni  rimasero  approvate  con  37  Aoti  faAorevoli,  7 
contrari.  Messa  in  discussione  la  seconda  proposta  che 
le  spese  straordinarie  fossero  Aotate  dai  soli  consiglieri 
tassati  con  soldi  0  di  decima,  e  più,  non  da  quelli  che 
poco  o  nulla  possedevano,  e  però  facili  ad  approvare 
gra\ ose  sjjese  con  danno  dei  poAcri  come  pel  passato, 
A'enne  accettata  con  37  fsLve  faAorcA oli,  G  contrarie. 
Nonostante  l'apparente  concordia,  gii  armeggioni  trion- 
farono, e  dopo  un  quinquennio  fecero  sopprimere  come 
dannosi  gli  statuti  del  1510,  e  rimisero  in  a  igore  (pielli 
«Iella  lega  con  a  oti  47  favorevoli,  1  solo  contrario. 

L'esiguo  numero  degi'  interAcnuti  alle  adunanze 
nel  secolo  XVI  prova  all'cAidenza  la  diminuzione  de- 
gli abitanti  nel  comune,  dove  a  trattare  gì'  interessi  di 


(1)  A  Poggibonsi  noi  1505,  ìjuìukIo  ritonnnrouo  lo  statuto,  avevano 
sox)i)ro6SÌ  i  juattolli  donati  ai  consitiliori.  A.  ^.  V.,  Staluii,  n.  nuovo  025. 


I.lNAin    (.'ASTKJ.LO    HKLI.A    VA1J)ELSA  OO 

tutti  erano  ^ià  concorsi  a  deliberare  persino  277  Lina- 
resi.  Dal  secolo  XVI  ad  ora  la  popolazione  crebbe 
nell'antico  «territorio  del  comune  Linarese,  s'assottigliò 
nel  castello,  il  (luale  Panno  decorso  11)00  contava  sola- 
mente (iS  abitanti  fra  maschi  e  femmine  !  Pei  tempi 
successivi  al  1515  mi  mancano  particolari  notizie  del 
comune,  nel  2:^  maggio  1774  soppresso  dal  granduca 
Pietro  Leopoldo,  insieme  a  quelli  di  Vico  e  di  Geppa- 
rello  (1),  tutti  tre  aggregati  al  comune  di  Barberino, 
divenuto  sede  della  potesteria  tolta  da  S.  Donato  in 
Poggio  (2). 

In  qual  modo  nel  secolo  XVIII  buona  parte  del- 
l'antico territorio  comunale  di  Linari  si  trasformasse  in 
latifondo,  i^ochissimo  frastagliato  da  altri  proprietari, 
e  divenisse  una  fattoria  posseduta  dai  marchesi  Cap- 
poni di  Firenze  del  ramo  detto  di  s.  Frediano,  ho  cre- 
duto inutile  d'investigarlo.  Nel  1853  quella  branca  di 
(■apponi  si  trovò  ad  un  tratto  finanziariamente  rovi- 
nata, ma  poi  si  riebbe,  secondo  ricorda  l' iscrizione  incisa 
sul  marmo  posta  dalla  mia  Suocera  sopra  la  porta  della 
<*appellina  dedicata  a  s.  Carlo  Borromeo,  poco  distante 
dalla  priorìa  di  s.  Stefano. 

La  fattoria  recuperata  dai  Capponi  è  adesso  divisa. 
L"na  delle  due  parti  spetta  ai  miei  figli,  eredi  della 
madre  loro,  la  marchesa  Amalia  di  Lorenzo  Caj)poni, 
l'ottima  ed  impareggiabile  donna  che  infiorò  l'esistenza 
mia  fino  al  (>  marzo  1000,  giorno  nefasto  per  me  e  per 
la  mia  famiglia. 

Flrt'ììce.  (tTRolaaio  ^Faxcini. 


(1)  CejJpiirello  dotto  ]»iiro  Monmuto.  vocabolo  do]  easalo  presso  l'an- 
tico f-astoUo.  Rkpktti,  III,  254. 

(2)  Rki'ktti,  I,  2r>S.  IL  33. 


r€frg5#S^S^ 


GLI  ANZIANI  NEL  GOVERNO  DEL  COMUNE  PISANO 


Per  una  più  coiiipiuta  trattazione  avrei  desiderato  esa- 
minare lo  svolgimento  della  magistratura  degli  Anziani 
lìn  dalla  sua  origine,  ma  per  deficienza  di  opportuni  do- 
cumenti sono  stato  costretto  ad  abbandonare  tale  proposito, 
limitando  il  mio  studio  al  sec.  XIV. 

Del  sec.  XIII  infatti  abbiamo  solamente  poche  provvi- 
sioni relative  alPultimo  decennio,  e  quegli  statuti  che  nel  ll^s() 
furono  assoggettati  ad  eguale  e  contemporanea  riforma  x>cr 
opera  del  famoso  duumvirato  costituito  da  Ugolino,  conte  di 
Donnoratico,  e  da  Xino,  giudice  di  Gallura.  Invece  le  fonti 
che  ci  fornisce  il  sec.  XIY  sono  molto  più  numerose  e  nello 
stesso  tempo  di  maggiore  importanza;  x>oic]iè,  oltre  gii  sta- 
tuti (Breve  del  Comune  e  Breve  del  popolo  e  delle  Compagne 
di  Pisa)  pubblicati  dal  Bonaini,  abbiamo  moltissimi  docu- 
menti, che  alcune  volte  hanno  servito  a  confermare  e  di- 
chiarare le  disposizioni  statutarie,  altre  invece  ad  aggiun- 
gere nuove  notizie  che  in  quelle  mancano.  Tali  documenti, 
che  si  conservano  nel  K.  Archivio  di  Stato  in  Pisa,  sono: 

1.  Le  Provvisioni  ordinarie  e  straordinarie  degli 
Anziani  (1300-1406),  che  formano  in  complesso  più  di  un 
centinaio  di  registri; 

2.  Le  Provvisioni  dei  Savi; 

3.  Le  deliberazioni  del  Consiglio  del  Senato  e  della 
Credenza  ; 

4.  I  rogiti,  gli  istrumenti  e  le  elezioni  degli  Uffi- 
ciali del  Comune  i)isano. 

Servendomi  di  queste  fonti  inedite,  nonché  degli  sta- 
tuti citati,  mi  propongo  di  studiare  la  magistratura  degli 
Anziani,  col  fine  di  dare  un  semplice  contributo  alla  storia 
delle  istituzioni   di   che  Pisa  fu  ricca  nelPetà  medioevale. 


FERRUCCIO   RIZZELLI,   (iU   ANZIANI   NEL   GOVERNO   EC.  57 


L'  Anzianato  nelle  sue  origini. 

11  1*5  Giugno  del  llSri  si  eoiieliiude  il  celebre  trattato 
di  Costanza,  nel  quale  si  trova  il  fondamento  pili  autore- 
vole delle  diverse  eostituzioni,  con  cui  si  reggono  gli  stati 
italiani  dal  principio  del  sec.  XIII  alla  fine  del  sec.  XV. 
Ma  se  è  vero  che  Pepoca  della  pace  di  Costanza  è  quella 
delPindipendenza  dei  Comuni  italiani,  da  essa  pure  procede 
la  divisione  moltiplicata  di  sovranità  politiche,  deboli  troppo 
])er  poter  ciascuna  da  se  sola  resistere  ai  pericoli  che  la  mi- 
nacciano, non  savie  abbastanza  per  sapersi  unire  e  poter 
trarre  dalle  forze  congiunte  i  mezzi  necessari  a  vivere  e  pro- 
sperare. Ma  ciò  nonostante,  Venezia,  Pisa  e  Genova,  forti 
nelle  loro  istituzioni  interne,  quantunque  non  libere  da  in- 
testine discordie  e  da  continue  lotte,  datesi  alla  navigazione 
e  al  commercio,  salgono  in  breve  a  tale  potenza  e  civiltà  da 
ren<lersi   superiori   alla    maggior  parte  degli  stati  italiani. 

Alcuni  anni  do])0  il  trattato  di  Costanza  si  nota  negli 
stati  italiani  un  cambiamento  di  regime.  La  città  di  Pisa 
si  governava  anticamente  per  mezzo  dei  consoli,  il  numero 
dei  quali,  dice  il  Roncioni  (1),  non  si  conosce  esattamente  : 
sembra  tuttavia  che  essi  non  siano  mai  stati  x>iù  di  dodici  (li). 
Più  tardi  ai  consoli  subentrarono  i  podestà,  e  ciò  forse  si 
fece,  come  nota  lo  Sclopis,  per  evitare  nei  primi  tempi  Pob- 
bligo  delle  investiture  imperiali,  poiché  più  non  esistendo  i 
consoli,  poteva  dirsi  cessata  la  necessità  di  ricorrere  alPim- 
pero.  Ma  i  i)odestà  non  diventarono  magistratura  ordinaria 
che  circa  trent^mni  dopo  la  pace  di  Costanza,  perchè  tino  a 
([uel  tem])0  vi   fu  una    fVe(|uente  alternativa  fra    ])odestà  e 


(1)  KoNCioNi,  ffifo)-ie  pixftur  (.irrhirio  Storici)  Italiano,  sorio  I,  to.  \l, 
j.ar.   I.  p.  449). 

(2)  Breve    Coiisiiluiii    i>i.saue   eivitatis,    MCLXIV   (Hoxaini.    Statuti 
pimvi.  I.  ]>.    121). 


58  FERfiUCCiO   RIZZEl-LI 

<'Oiisoli  (1).  Fiiialiiiente  nel  1255,  essendo  il  popolo  giunto  ad 
afforzare  mirabilmente  il  suo  stato  cacciando  dal  governo 
la  nobiltà,  per  identità  di  ragioni  avvenne  in  Pisa  quel 
civile  interiore  rivolgimento,  che  Firenze  aveva  veduto  com- 
X)iersi  nel  1250(2).  Di  qui  la  novella  istituzione  per  cui  la 
città  accoglie  nel  suo  seno  la  magistratura  degli  Anziani  (3), 
con  la  quale  non  abbiamo  i)iù  una  persona  sola  a  cui  spetti 
intera  la  responsabilità  del  pubblico  ufficio,  ma  una  costi- 
tuzione collegiale,  la  cui  unità  è  semplicemente  amministra- 
tiva, nel  senso  che  le  decisioni  non  si  considerano  come 
emanazioni  dei  singoli  membri,  ma  di  tutto  il  collegio,  il 
quale  resta  sempre  il  medesimo,  malgrado  Peventuale  mu- 
tamento dei  membri  che  lo  compongono. 

Se  P incuria  dei  cronisti  condusse  a  tacere  i  nomi  dei 
l)rimi  Anziani,  non  spignora  i^erò  che  questo  ufficio  fosse  già 
costituito  nel  1254(4);  ma  la  notizia  del  Concioni  (5),  che  gli 
Anziani  fossero  istituiti  a  Pisa  nel  1200,  è  del  tutto  falsa, 
perchè  gli  Anziani  solo  nel  1228  si  videro  per  la  i)rima  volta 
in  Italia  e  propriamente  a  Bologna,  dove  rapi^resentarono 
dapprima  le  arti  e  i  loro  interessi  presso  del  podestà,  poi 
divennero  i  primi  consiglieri  del  capitano,  talora  rimanendo 
soli  alla  testa  della  plebe  senza  bisogno  di  capitano,  finché 
nel  1256  essi  acquistarono  il  supremo  potere  (6).  Ma  qual 
fosse  il  primitivo  ufficio  degli  Anziani  in  Pisa,  quali  attri- 
buzioni essi  avessero  nei  primi  tempi  di  loro  governo,  non 
si  sa  per  deficienza  di  documenti.  Il  primo  Breve  del  Co- 
mune pisano,  che  ci  offra  notizie  esatte  intorno  a  questa 
magistratura,  se  si  eccettua  il  frammento  di  un  Breve  del 
1275,  dicemmo  esser  quello  del  1286.  E  dal  1255  al  1286 
quale  fu  il  potere  degli  Anziani  ?  I  registri  delle  loro  prov- 
visioni ordinarie  e  straordinarie  incominciano  solo  nel  1298, 


(1)  Pehtii.k,  storia  del  diritto  itiiiiano,  voi.  II,  par.  1.  ]>.  X(>. 

(2)  Fraoiii.  Hist.  Pis.  (Mui{ato];i,  /.'.  i.  .s".,  XXIV,  <U5). 

(3)  BoNAiNi,  Proemio  tigli  Statuti,  aoI.  I,  p.  xviii. 

(4)  Hist,  Fatriae  Mon.  edita  iiissu  Eeììis  Cahoi.i  Alukimi,  Au<iiistae 
Taiirinorum,  1854,  p.  1226. 

(5)  RONCIONI,   o]>.   cit. 
(H)    l'EltTILK,    Ol).    t'it. 


•  il.l    ANZIANI    NEI.    (iUVKHNO    DKl,    CU.MUXK    PISANO  59 

sicché,  evitando  troppo  estesi  coufroiiti,  i  (inali  richiede- 
rebbero accurato  e  paziente  esame  degli  utlìcì  dei  singoli 
anzianati,  con  cui  si  ressero  molte  città  d^ Italia  nel  Medio 
Evo,   dobbiamo   limitare   il   nostro   studio   al   XTV  secolo. 


II. 

Elezione  degli  Anziani  e  dei  loro  Ufficiali. 

a)  Anziani. 

lì  Consiglio  generale,  costituito  dagli  Anziani  in  carica 
e  dagli  altri  Ufficiali  dello  Stato,  riunito  dal  Capitano  del 
popolo,  per  lo  più  nella  chiesa  comunale  di  S.  Sisto,  affi- 
dava Pelezione  degli  Anziani  ai  Savi,  detti  dal  loro  ufficio 
Elettori,  i  quali  dovevano  essere  figli  legittimi,  nati  in  Pisa 
o  nel  distretto,  e  da  cinque  mesi  almeno  non  dovevano 
aver  partecipato  ad  alcuna  elezione  di  Anziani.  Secondo 
semplici  norme  da  loro  stessi  stabilite,  i  SaA  i  procedevano 
alPelezione  dei  nuoA'i  Anziani,  che  in  tal  modo  continuò  a 
compiersi  sino  al  1808(1);  nel  qual  anno,  sia  i)er  la  mag- 
giore importanza  che  la  nuova  magistratura  anda\^a  sempre 
pili    acquistando,    sia    anche   per   evitare    gli  abusi  che  si 


(1)  Breve  pis.  ijopiili  et  Conix>.,  1286  (Bonaini,  op.  cit.,  voi.  I,  p.  573). 
Cl'r.  K.  Archivio  di  Stato  in  Pisa,  A.  81,  e.  76  t.  «  Consiliimi  inimis 
«  Antianoruni  pisani  populi  et  niaius  etc...  Cum  iutellexeritis  eapituhmi 
«  luevis  j)isani  i)opuli  loquens  de  electione  Antianornni  pisani  populi 
«  nune  corani  vobis  legi  et  ex^ilanari,  quo  modo  et  i)er  quos  electio  duo- 
«  dee-ini  Antianorum  i)isani  populi  prò  mensibus  sept«mbris  et  octubris 
«  proxinii  venturi  fìat  et  fieri  debet  eonsulite.  Suninia  supraseripti  con- 
«  silii  celebrati  Pisis  in  ecclesia  Sancti  Xisti  per  sonimi  caniiianaruni 
«  et  voce  preconuni,  more  solito,  partito  inde  facto  ad  levandum  et  se- 
«  denduni,  in  presentia  mei  Guidonis  Turchii  notarli  scribe  publiei  An- 
«  tianoruni  pisani  populi  et  Bonaventure  de  Falgano  notarli  sui)rascrix)ti 
«  Capitanei  et  Chianecti  bannerii  i)isani  Comunis  et  aliorum  i)lurium 
«  t/'stium  ad  hec,  quod  per  Antianos  pisani  poloni i  qui  luerunt  pio  men- 
«  sibus  mail  et  inni  ])roximi  preteriti  et  qui  mine  sunt  in  suprascripta 
«  ecclesia  elij^antur  et  elio-i  debeant  quactuor  sapientes  viri  de  illis  qui 
«  sunt  in  dieta  ecclesia  i»er  unum  quodcumque  quarterium,  qui  quactuor 
«  homines  jier  quarterium  eligant  Antianos  pisani  populi  prò  mensibus 
«  septembris  et  octubris  jiroxjjni  venturi,  MCCXCVIII,  ind.  X,  XII  Kal. 
«  Se])t.  ». 


(ìO  FERRUCCIO   RIZZELLI 

cominettevano  dai  candidati  alPAnzianato,  si  ai)])rovò  dal 
Consiglio  maggiore  una  nuova  costituzione,  che  regolava 
le  norme  da  seguire  in  ogni  elezione  di  Anziani  (1). 

La  nuova  costituzione  ordinava  che  gli  Anziani  in  ca- 
rica, ad  invito  e  alla  presenza  del  Capitano  del  popolo, 
dovessero  nominare  dodici  Savi  Elettori,  i  quali  alla  loro 
volta,  per  scruptineum  secretum^  avrebbero  proceduto  alla 
scelta  di  centotto  persone  eleggibili  alPAnzianato,  ventisette 
per  quartiere.  Poscia  le  polizze,  su  cui  erano  segnati  i  nomi 
degli  eleggibili,  venivano  ripartite  ugualmente  in  dodici 
borse  (2),  tre  per  quartiere,  una  delle  quali  era  riserbata 
per  gli  iscritti  alle  arti,  Paltra  per  i  popolari  e  la  terza 
per  i  candidati  al  priorato  (3).  Inoltre  tutte  le  borse,  sigil- 
late dal  Ca^3Ìtano  del  popolo  e  dagli  Anziani,  erano  ripo- 
ste in  mP altra  borsa  più  ampia  che,  sigillata  come  le  prime, 
si  chiudeva  in  una  cassa  a  due  chiavi  differenti,  affidate 
alla  custodia  del  Cancelliere  del  Comune  e  del  Cancelliere 
degli  Anziani.  Al  termine  di  ogni  bimestre,  il  Capitano 
riuniA'a  nella  chiesa  di  S.  Sisto  il  Consiglio  del  popolo, 
dove  per  mano  dello  stesso  Capitano  si  estraeva  una  scheda 
per  borsa  e  i  dodici  Anziani  così  eletti  rimanevano  in  ca- 
rica per  tutto   il   bimestre   successivo  (4).    Il   qual  procedi- 


(1)  Breve  del  pojwlo  e  delle  Comp.,  1313-1323.  ea]).  CXIV  (Bonaixi. 
<>1».  elt.,  voi.  II,  i>.  605).  Da  questo  caiiitolo,  che  fu  approvato  nell'aprile 
del  1308,  sotto  il  Calcitano  del  popolo  Tommaso  de'  Filismini  da  Fal>- 
In'iano,  abbiamo  desunto  la  maggior  parte  delle  notizie  relative  alla  ele- 
zione degli  Anziani, 

(2)  Cfr.  Du  Gange,  Glossarmm,  to.  Vili,  p.  36. 

(3)  I  Priori,  uno  ^er  quartiere,  erano  anch'  essi  Anziani,  ma  eser- 
citaA'ano  un'autorità  relativamente  superiore  a  quella  degli  altri  col- 
leghi, i  quali,  sotto  pena  di  soldi  cento,  do  Avevano  jirestar  loro  obbe- 
dienza, che  ])tr  un  certo  risiietto  era  i)ur  limitata,  in  quanto  che  i  Priori 
non  solo  non  potevano  i)rocedere  ad  alcuna  deliberazione  senza  il  con- 
senso della  maggioranza  del  Collegio,  ma  eziandio,  sotto  pena  di  lire 
Acnticinque,  erano  costretti  a  mandare  in  esecuzione  ciò  che  da  tutto 
il  Consiglio  degli  Anziani  fosse  stato  deliberato.  Cfr.  BrcA'e  del  po]>olo, 
cap.  LXXI-LXXII. 

(4)  R.  Archivio  cit.,  A.  47,  ce.  42.  64,  74.  103,  107,  142.  161,  165,  172. 
175  e  207;  A.  52,  ce.  1  e  segg.;  A.  99,  ce.  17  e  18;  A.  128,  e.  62;  A.  139, 
e.  47:  A.  159,  e.  5S. 


(ili    ANZIANI    NKL   GUVEKNO    DEL    COMUNE    PISANO  ^51 

mento  valeva  a  rendere  più  eonservatriee  questa  nia^iistra- 
tuia,  e  faceva  sì  elie  un  dato  indirizzo  non  per  due  mesi 
soltanto,  eome  prima,  ma  i)er  un  anno  e  anche  oltre  si 
seji:uitasse;  tanto  i)iìi  che,  essendo  compresi  tra  i  candidati 
alPAnzianato  gli  stessi  Savi,  gli  Anziani  in  carica  venivano 
ad  eleggere  una  parte  dei  loro  successori.  Ma  gli  eleggibili 
non  furono  semi)re  in  numero  di  ventisette  per  quartiere, 
secondo  il  ]U'edisposto  della  nuova  costituzione,  perchè  in 
seguito  si  ordinò  che  le  schede  fossero  valide  per  un  tempo 
da  stabilirsi  volta  per  volta  dal  Consiglio,  al  termine  del 
(|uale  quelle  non  estratte  «  incontanente  erano  squarciate  et 
(fittate  ria  et  di  nullo  valore  erano  ». 

E  come  variava  il  tempo  della  validità  delle  polizze,  così 
])ure  variava  il  numero  dei  Savi  Elettori,  il  che  può  rile- 
varsi dal  seguente  prospetto,  desunto  da  un  accurato  esame 
sulle  «  Prorisiones  Antianorum  »  che  vanno  dal  1342  al  13<S4. 


:)a.ta  (leU'isc] 

lizione  degli  eleugibili              Savi  Elettovi 

\'a.lidità  delle  schede 

1342 

t  '1 

(lue  anni 

1314 

l'I 

due  anni 

1346 

144 

due  anni 

1348 

44 

un  anno 

1349 

44 

quattro  anni 

1353 

74 

due  anni 

1355 

30 

un  anno 

1356 

28 

cinque  anni 

1361 

48 

due  anni  e  mezzo 

1370 

62 

tre  anni 

1373 

64 

tre  anni 

1376 

64 

due  anni 

1378 

64 

due  anni 

1380 

28 

due  anni 

1382 

40 

due  anni 

1384 

40 

due  anni. 

Qualche  volta  fu  anche  ■  imposta  ai  Savi  la  revisione 
delle  borse,  sia  perchè  alcuni  eleggibili  fossero  già  morti, 
sia  perchè  altri  avessero  in  seguito  assunto  obblighi  ed 
uffici  incompatibili  colPAnzianato  (1).  Xon  potevano  essere 

(1)  Cfr,  A]>i)f'ndieo,  doc.  1. 


62  FERRUCCIO    RIZZELIJ 

eletti  Anziani  il  Cancelliere  del  Comune,  il  Cancelliere 
e  il  Xotaio  degli  Anziani,  il  Camerliugo  del  Comune,  il 
Soprastante  della  gabella  maggiore,  il  Console  del  mare, 
dei  mercanti  e  delParte  della  lana,  il  Priore  o  il  Capitano 
delle  sette  arti,  il  Doganiere  del  sale  in  Sarzana,  il  Doga- 
niere del  ferro  nelP  Isola  d^Elba,  i  Castellani  e  i  Rettori 
di  Lucca,  il  fornitore  delle  sussistenze  militari  e  intiiie 
P  operaio  della  Primaziale  e  di  S.  Maria  del  Ponte  Xuovod  ). 
Oltre  a  ciuesti  erano  dichiarati  ineleggibili: 

1.  Coloro   che   dimoravano   lontani   da   Pisa    oltre 
sessanta  miglia; 

2.  Coloro  che  avevano,  da  diciassette  mesi  o  meno, 
deposto  Pufticio  di  Anziani; 

3.  <lli  iscritti  ad  una  corporazione  ; 

4.  I  parenti  di  un  Anziano; 

5.  Coloro  che  non  erano  iuratl  in  ]^opulo  e  amanti 
del  l^enessere  dello  stato; 

6.  I  figli  illegittimi; 

7.  I  forestieri  e  quelli  nati  in  Pisa  da  padre  fore- 
stiero ; 

<S.  I  minorenni; 

9.  Gli  usurai  ex  publìca  fama  ; 

10.  Quelli   che   gaUcam    fecerunt  aliquo  tempore  ipm 
vel  eoriim  patres; 

11.  Coloro  che  avevano   giurato   fedeltà  a  ])ersone 
private  di  Pisa  o  del  distretto; 

12.  Gli  artieri   che   non   esercitavano  la  loro  arte; 

13.  Gli  appartenenti  al   partito  guelfo  o  i  figli  di 
guelfi  «  rebelles  pisani  Comunis  »  ; 

14.  I  carcerati,  quacitmque  de  causa; 

lo.  I  magistrati   che   dovevano  render  conto  della 
loro  gestione  (2). 

Compiuta  Pelezione,  secondo  le  norme  su  esposte,  il 
Capitano  del  popolo  insieme  coi  Modulatores  doveva  in- 
quisitionem  facere  cantra  Antianos,  per  accertarsi  se  gli  eletti 
si  trovassero  nelle  condizioni  prescritte  dallo  Statuto;  dopo 


(1)  Cfr.  Appendice,  doe.  2. 

(2)  K.  AifCiuviO  cit.,  A.  99,  e.    12  r 


(rl.l    ANZIANI    NKl,   (tOVKKNc    DKL    (tiMUNE    PISANU  ()•> 

(li  che  ;ì1ì  Anziani  <>iuravano,  con  la  destra  sugli  Evangeli, 
(li  mantenersi  seni])re  amanti  del  benessere  della  città,  e 
il  Notaio  degli  Anziani  leggeva  e  dichiarava  loro  il  Breve 
del  ])0])olo  e  in  ])articolar  modo  i  capitoli  attinenti  al- 
PAnzianato  (1). 

Untlielo  degli  eletti  durava  ])er  lo  piìi  due  mesi;  sol- 
tanto nel  1370,  tratti  di  mezzo  ai  soci  della  comi^agnia  di 
S.  Michele,  gli  Anziani  stettero  in  carica  per  un  trimestre 
(a])rile,  maggio  e  giugno),  assumendo  tutti  il  nome  di  priori. 
Kei  (juattro  mesi  successivi  otto  di  essi  conservarono  (juesto 
titolo,  ma  subito  dopo  si  fece  ritorno  al  primitivo  sistema. 
j)er  cui  (juattro  soli  degli  Anziani  si  distinguevano  per  un 
tal  grado  (2). 

Terminato  il  loro  uttìcio,  gli  Anziani,  come  tutti  gii 
altri  ITlticiali  della  Eepubblica,  dovevano  render  ragione 
del  loro  operato.  A  tal  fine  si  eleggevano  quattro  o  cinque 
modulatores,  i  quali  esaminaAano  le  provAisioni  degli  An- 
ziani, e,  troA'ando  qualche  atto  (leriAante  da  abuso  di  auto- 
rità o  da  trascuranza  dei  doACri  inerenti  al  loro  ufficio, 
con  sentenza  inappellabile  (3)  iiilliggeA^ano  alPAnziano  col- 
pevole pene  a(ieguate  al  maleficio  (4).  Gli  Anziani  però 
avcA-ano  il  Aantaggio  di  farsi  giudicare,  Aolendo,  dal  Po- 
destà o  dal  Capitano  del  popolo,  e  allora  questi  dove- 
vano sotto  giuramento  procedere  contro  i  colpeA'oli  entro 
quindici  giorni  dal  dì  in  cui  ne  aA^essero  avuto  la  facoltà  (5). 
Così    anche   al    Capitano   o  al  Podestà   spettala  di  punire 


(1)  Breve  pisani  ])opuli.  MCCLXXXVl,  in  cap.  j^osito  sul»  luh.  «  <l<- 
lircrc  legendo  »  (Bonaini,  op.  cit.,  voi.  I,  i).  610). 

(2)  RoxcioNi,  op.  cit.  (Arehirio  Storico  Italiano,  serie  I,  to.  VI,  disp.  2'\ 
p.  S9H.  n.  2'*^). 

(3)  Breve  del  pop.  e  delle  Coiup.  nel  eap.  «  Di  non  appellare  delie 
sentenzie  condemnatorie  »  (Bonaini,  voi.  II,  p.  483)  e  nel  eap.  «  De  non 
appellando  a  sententiis  modulatorum  »  (Bonaini,  voi.  I.  ]>.  580). 

(4)  R.  Archivio  cit.,  A.  81,  e.  55;  A.  83,  e.  53.  Cfr.  Breve  pis.  pop. 
et  Comi).,  MCCLXXXVl,  in  eap.  «  J)e  inreniendo  modulatores  Antianorum  » 
(Bonaini,  voi.  I,  p.  622). 

(.5)  Breve  pis.  Coni.,  MCCCXIII-MCCCXXXVII,  in  eap.  «  De  arbitrio 
«  Antianoi'um  et  eoi'uin  notarioruni  suheundi  iurisdietioni  Potestatis  rei  Capì- 
«  lunei,  quod  mafiis  voluerint  »  (Bonaini,  voi,  II,  p,  375). 


64  FERRI' e  CIO    RIZZELLI 

^li  Anziani,  se  questi  inconsultamente  spendevano  il  de- 
naro pubblico,  o  giudicavano  in  presenza  delP  interessato, 
o  approvavano  delle  provvisioni  che  non  potessero  aver 
corso  nel  tempo  del  loro  anzianato,  o  annullavano,  senza 
i^iusto  motivo,  decreti  antecedentemente  approvati,  o  sede- 
vano a  pranzo  con  altri  cittadini  nel  palazzo  di,  loro  resi- 
denza (1),  o  venivano  in  lite  tra  loro  o  col  Xotaio  o  col 
Cancelliere  (2).  Xel  caso  poi  di  corruzione  per  denaro  il 
Breve. del  1286  sanciva  la  pena  di  morte  (3). 


(1)  K.  ARCHIVIO  oit.,  A.  197,  eap.  CCVI  «  De  jmìliiìniwm'  facta  Ox- 
«  miniH  Antianis  et  eornm  caneellariis  et  notarti^  de  comedendo  et  ìnhendo  cum 
«  (tìlquo  ciré  pisano  vel  alio  in  ])alatìo  eorum  residentie  ».  Gli  Anziani  abita- 
vano noi  palazzo  doi  Cavalieri  di  8.  Stefano,  dove  oggi  lia  sede  la 
K.  Scuola  Normale  Universitaria;  su  d'una  facciata  del  quale  fu  ap- 
])o.sta  nel  1898  la  .se<>uente  iscrizione: 

IN   QUESTO   PALAZZO 

K  n  15  E  1{  O     T>  E  G  N  A      S  E  1)  E 

(ìli    AN/JAXI    della    pisana    HEITHIJLIC'A 

LE   VPrrUSTE   MUKA 

K  r  K  (»  X  <  )      1{  E  S  1   A  r  1{  A  T  E     DA      G  I  O  IMi  I  <)      ^'  A  S  A  12  I 

NEL   SECOLO   XVI 

E    COSIMO    de'  MEDICI 

L  E     DESTINÒ     AD     A  C  O  O  G  L  I  E  K  E 

l'  OJJDINP:  MILITARE 

DEI    CAAALIEHI   DI    S.    STEFANO 

(2)  K.  Archivio  cit.,  Consilia  et  sauetiones  senatus  j>/*aM/.  A.  197, 
e,  CCXI.  «  Iteni  quod  si  quis  Antianus  pis.  poi),  iniuriose  percussit 
«  aliuni  Antianuni  vel  cancellariuni  aut  notariuni  Antianorum  aut  si 
«  cancellarius  aut  notarius  Antianorum  percusserit  aliquem....  ferro  vel 
«  baculo  aut  alia  re  cum  sanguinis  etfusione,  puniatur  et  condemimetur 
«  et  puniri  et  condempnari  debeat  i^ise  percutiens  a  Cai)itaneo  pis.  pop. 
«  ultra  penas  comprehensas  in  brevibus  pis.  Comunis  et  populi  in  penis 
«  infrascriptis,  videlicet  si  percussio  fuit  facta  de  ferro  cum  sanguinis 
«  eftusione  in  libris  quingentis  denariorum  pisanorum  et  si  baculo  vel 
«  alia  re  cum  sanguinis  eifusione  in  libris  duceutis  den.  pis.  et  si  ma- 
«  nibus  A^acuis  vel  alia  re  sine  eftusione  sanguinis  in  libris  centum  den. 
«  pis.  Et  caintaneus  j^is.  pop.  ijossit  et  debeat  de  predictis  i>rocedere  et 
«  i)unire  contrafacientes  et  condempnare,  ut  supra  dicitur,...  ».  Cfr.  an- 
clie  R.  Archivio  cit.,  A.  74,  e.  60  t. 

(3)  BrcA-e  pis.  poi),  et  Comp.,  MCCLXXX^'I,  in  cap.  «  De  offenden- 
tihns  Jntianos  »  (Bonainl  voi.  I,  ]>.  584). 


(JLl    ANZIANI    NEL   (aiVKHNo    DKL   COMUNE   PISANO  Oo 

]))  Cancelliere  e  Xofaio  de  fili  Anziani. 

(ili  Anziani  avevano  presso  di  loro  nn  Cancelliere,  la 
cui  elezione,  dapprima  fatta  dagli  Anziani  stessi,  fu,  dopo 
la  riforma  del  1307,  affidata  ai  Savi.  Per  cotesto  Ufficiale 
lo  statuto  del  1312  (1)  ordina  «  che  li  Anziani...  sieno  tenuti, 
«  per  legame  di  "iuramento,  eleggere  uno  eancillieri  loro; 
«  lo  cui  officio  duri  per  Panno  tanto,  et  vachi  da  quello 
«  ufficio  per  anni  tre  che  allora  prossimamente  verranno 
«et  sia  maggiore  di  anni  trentacinque  »  (2);  ma  dal  131:(> 
in  poi  la  durata  delPufficio  varia  da  sei  mesi  ad  un  anno, 
a  seconda  delle  deliberazioni  degli  Anziani  o  dei  Savi  (3). 
In  ogni  modo  doveva  restare  in  carica  piii  degli  Anziani 
stessi,  essendo  ciò  necessario  per  la  continuità  degli  affari, 
la  cui  preparazione  era  sempre  a  lui  affidata.  Questi  era 
tenuto  alPassoluta  obbedienza  verso  tutti  gli  Anziani  ed 
a  risiedere  nel  palazzo  del  popolo,  donde  usciva  col  per- 
messo dei  suoi  immediati  superiori,  i  quali  potCA^ano  an- 
che accordargli  di  pernottare  fuori  della  città,  per  facti  del 
Comune  n  vero  evidente  et  necessaria  cagione  (4). 

In  quanto  poi  alle  attribuzioni  inerenti  al  suo  ufficio, 
il  Cancelliere  era  obbligato  a  sigillare  le  lettere,  le  rela- 
zioni di  ambasciate  e  le  provvisioni  degli  Anziani,  a  re- 
gistrare in  un  quaderno  u  vero  repertorio  Pentrate  del  Comune. 
e  in  un  altro  apposito  libro  le  somme  che  il  Comune  dava 
alPoperaio  della  Tersana,  nonché  gli  stipendi  del  Podestà, 
del  Capitano  del  popolo  e  di  una  gran  parte  degli  impie- 
gati addetti  alla  città  e  al  distretto  pisano.  Terminata  la 
sua  gestione,  il  Cancelliere  si  sottoponeva  alla  solita  mo- 
dulatio,  ne  poteva  essere  rieletto  al  medesimo  ufficio  se  non 
dopo  trascorsi  almeno  tre  anni. 


(1)  Il  Cancelliere  degli  Anziani   esiste   anche   prima   del  1312.   ma 
solo  in  quest/  anno  la  sua  elezione  è  regolata  da  disposizioni  statutarie. 

(2)  Breve  del  pop.   e  delle   Comp.   del   1313-1323  nel   cap.   CXLYII 
(BONAINI,  voi.  II,  p.  615). 

(3)  R.  Archivio  cit.,  A.  74,  a.  1346. 

(4)  Ibid. 

Ancn.  Src=.  Ir.,  5.*  Serio.  —  XXXIX.  5 


Q6  FERRU'CCIO   RIZZELLI 

Insieme  col  Cancelliere,  gli  Anziani  avevano  un  No- 
taio, che  doveva  registrare  ed  autenticare  le  i)rovvisioni  ; 
era  eletto  con  le  medesime  norme  con  le  qaali  venivano 
eletti  gli  Anziani  stessi  e  restava  in  carica  due  mesi.  Su- 
bito dopo  reiezione,  giurava  solennemente,  con  la  destra  sul 
Vangelo  e  dinanzi  agli  Anziani,  di  mantenersi  sempre  fe- 
dele al  comune  e  al  popolo  di  Pisa,  e,  terminato  il  suo 
ufficio,  era  ancli^esso  sottoposto  al  sindacato  e  non  poteva 
essere  rieletto,  se  non  dopo  trascorsi  almeno  diciotto  mesi. 
Qualora  poi  gli  Anziani  non  s^attenessero  a  tutte  queste 
disposizioni,  erano  puniti  dal  Capitano  del  popolo  con  la 
multa  di  lire  venticinque  di  denari  pisani  per  ciascuno  (1). 

e)   Consiglio  dei  Sari. 

Sotto  Punica  denominazione  di  Consiglio  dei  Savi  si 
comprendono  due  categorie  di  Savi:  Savi  Elettori  e  Sari 
ComiUtori  (2).  Tanto  degli  uni,  quanto  degli  altri  la  nomina 
spettava  agli  Anziani,  dopo  quindici  giorni  dalPelezione 
del  Capitano  del  popolo,  come  si  rileva  dalla  formula  ge- 
nerale con  cui  cominciano  tutte  le  provvisioni  :  «  Proridernnt 
«  infrascritti  sapientes  viri  super  Mis  ab  Antianis  pisani  po- 
«  pulì  electi  etc.  ».  I  primi  hanno  un  carattere  proprio  e  dif- 
ferenziale, come  quelli  ai  quali  spettano  uffici  di  maggiore 
importanza,  tra  cui  Pelezione  degli  Anziani  stessi;  i  secondi 
costituiscono  un  sussidio  continuo  e  necessario  del  Collegio 
degli  Anziani.  Quando  questi  dovevano  trattare  affari  che 
per  P  importanza  loro  richiedessero  una  certa  maturità  di 
consiglio  o  che  uscissero  fuori  del  campo  della  loro  perso- 
nale competenza,  allora  si  rivolgevano  al  Collegio  dei  Savi 
Consultori,  i  quali  illuminavano  Popera  degli  Anziani,  seJiza 
però  vincolarla  o  limitare  in  qualche  modo  la  loro  respon- 
sabilità. 


(1)  Breve  del  pop.  e  dello  Coinp..  nel  oap.  LXXA'I  «  Jh'  rclcctione 
del  notaio  delli  Jnsiani  »  (BONAixi,  voi.  II,  p.  511).  Cfr.  anche  K.  Ai{- 
CHivio  cit.,  A.  197,  cap.  CCXXVI. 

(2)  V.  Rossi,  Il  Consiglio  dei  ^Siivi  (negli  studi  Storici  diretti  dal  pr<»- 
fossore  A.  Ckivkllucci,  voi.  V,  Livorno.  1896,  pp.  449-184). 


(il.I    ANZIANI    NEL   GOVERNO    DEL   COMUNE    PISANO  07 

-  Oltre  i  suddetti  Utticiali,  j»li  Anziani,  sotto  giuramento, 
dovevano  elejijjere  nel  dicembre  di  ogni  anno,  i)er  i  loro 
servizi  e  anelie  per  guardia  del  i)oi)olo,  quaranta  e  altre 
volte  cinquanta  marrabesi  bene  armati  «  eon  coretto  u  vero 
guarnaccia  di  ferro  »  e  con  altre  armi  convenienti.  Xon 
dovevano  questi  essere  pisani  o  del  distretto,  ne  parenti 
di  altro  marrabese,  né  minori  di  anni  venti  o  maggiori 
di  (quaranta  (1).  I  marrabesi  nominati  giuravano  fedeltà 
agli  Anziani  (2),  erano  tenuti  a  riconoscere  come  loro  capi 
immediati  due  Capitani  (3),  e  dovevano  mutarsi  abito  due 
volte  alPanno,  ricevendo  a  tal  fine  il  denaro  necessario. 
Se  qualche  volta  un  marrabese,  avendo  servito  fedelmente 
e  onestamente  per  molti  anni,  diveniva  inabile  al  servizio 
in  seguito  a  malattia  o  per  vecchiaia,  riceveva  dagli  An- 
ziani una  pensione  senza  obbligo  di  ulteriori  prestazioni 
personali  (4). 

Gli  Anziani  avevano,  oltre  i  marrabesi,  anche  i  fa- 
muli; alcuni  dei  quali  erano  destinati  ai  servizi  piti  umili, 
altri  invece,  in  numero  di  ventiquattro,  costituivano  una 
si)ecie    di    guardia    degli    Anziani,    che    si    mutava    ogni 


(1)  Breve  del  pop.  e  delle  Coiup.,  nel  eap.  LXXVII  «  JJella  electione 
dei  marrabesi  »  (BoXAixi,  voi.  II,  p.  512). 

(2)  R.  Akchivio  eit.,  A.  82,  e.  87. 

(3)  R.  Archivio  eit.,  A.  81,  e.  98;  A.  197,  cap.  CCCLXXVII. 

(4)  R.  Akchivio  eit.,  A.  185,  e.  37  t.  «  Anthiaiii  pisani  poj)uli.... 
«  providendo  statiienint  quod  Francischus  quondam  Puccii  marrabensis 
«  etate  et  senio  factus  gravis  et  male  sanus,  qui  servivit  et  repertus  est 
«  servi  visse  tideliter  et  honeste  dominis  Antianis  pis.  po}).  in  servitio  et 
«  oflfìeio  marrabensium  annis  trigiuta  duobuSj  ultra  ab  hodie  in  antea  sit 
«  et  esse  possit  et  debeat  franchus,  liber,  exentus  et  absolutus  toto  tem- 
«  pore  vite  sue  a  servitiis  custodiarum,  ambasciatis,  et  honeribus  marra- 
«  bensium  et  marrabensibus  atributis.  Et  ghaudeat  franchigia  et  immuni- 
«  tate  concessa  consueta  marrabensibus  emeritis  et  quod  ad  dieta  servitia 
«  recjuiri.  gravari  vel  inquietari  non  possit  per  aliquos  offitiales  seu 
«  ca]>itaneum  dictorum  marrabensium.  Et  nichilominus  liabeat  et  habere 
«  del)eat,  donec  vixerit,  stipendium  et  tunichas  a  Comuni  x>isano  marra- 
«  l)ensibus  franchie  et  immunibus  ordinatas,  sicut  habent  ceteri  marra - 
«  benses  franchi.  Et  propter  defectum  visus  i])sius  ad  servitia  i)ortarum 
«  re(juiri  vel  molestari  non  possit,  vigore  x)resentis  provisionis  aliquo 
«  non  obstante  ».  Cfr.  anche  A.  148,  e.  70  t. 


()8  FERRUCCIO    RIZZELLI 

anno  (1).  Diciotto  di  loro  dovevano,  giorno  e  notte,  dimorare 
nel  palazzo  degli  Anziani  e  due  soltanto  restare  di  guardia 
tutte  le  notti  nelPaula  magna  del  palazzo  medesimo,  a  fine 
di  notificare  immantinente  agli  Anziani  tutte  le  novità  che 
sentissero  nel  paese.  Piìi  tardi,  verso  il  1356,  i  famuli  di 
guardia  si  accrebbero  sino  a  cento  e  si  organizzarono  in  vero 
e  proprio  corpo  armato,  sottoposto  al  comando  di  quattro 
Capitani  (2). 

Dipendeva  infine  dagli  Anziani  un  cappellano,  al  quale, 
con  uno  stipendio  annuo  di  lire  venti,  si  affidava  la  cap- 
pella del  Collegio.  Vi  era  pure  un  massaio,  alcuni  domieelli 
che  accompagnavano  gli  Anziani  al  passeggio,  i  cuochi  e  due 
trombettieri  con  un  nacherino  che  insieme  cogli  altri  servi 
avevano  il  a  itto  nel  palazzo  stesso  degli  Anziani  (3). 


III. 
L'autorità  degli  Anziani. 

Gli  Anziani  nel  governo  della  Repubblica  pisana  sono 
i  veri  e  propri  rappresentanti  del  popolo,  e  tutti  hanno 
la  medesima  autorità  e  le  medesime  attribuzioni.  Lealtà 
dignità  di  questo  supremo  Collegio  è  salvaguardata  da 
leggi,  che  comminano  severissime  pene  contro  gli  offen- 
sori. Gli  statuti  del  1286  dispongono  che  colui  il  quale 
offende  o  fa  offendere  nella  città  di  Pisa  o  nel  distretto 
o  altrove,  sia  col  detto  che  col  fatto,  sia  nella  persona 
che  negli  averi,  gli  Anziani  del  popolo  pisano  eletti  al 
tempo  del  magnifico  Ugolino,  Podestà  pisano,  sia  che  Pof- 
fesa  venga  fatta  durante  il  tempo  in  cui  gli  Anziani  sono 
in  ufficio,  sia  che  venga  fatta  dopo  deposto  P  ufficio,  sarà 


(1)  I  famuli  dovevano  essere  ghibellini  e  delle  parti  del  Casentino 
e  del  Mugello.  Cfr.  Breve  del  pop.  e  delle  Conij».,  nel  cap.  CLIV  «  Dei 
fanti  che  guardano  li  Ansiani  ». 

(2)  R.  Archivio  cit.,  A.  197,  ordinamenta  salariorum  drl  13ÒG. 

(3)  R.  Akchivio  cit.,  A.  74,  e.  215  t.  ;  A.  197,  ordinamenta  salariorum 
del  1356.  Il  massaio,  i  domieelli  e  i  cuochi  rimanevano  al  servizio  per 
un  semestre  soltanto. 


GLI   ANZIANI   NEL  GOVERNO   DEL   COMUNE    PISANO  69 

imnito  V  coiKlaniiato  nelP  avere  e  nella  persona  con  ])ena 
do])i>ia  di  quella  imposta  alP  offensore  di  un  cittadino  pri- 
vato ;  ma  se  il  reo  è  assente,  sarà  messo  in  perpetuo 
bando.  Però  neofli  statuti  posteriori  del  sec.  XIV  la  pena 
comminata  aj»li  offensori  degli  Anziani  è  estesa,  in  as- 
senza del  reo,  anche  ai  parenti  di  costui.  Questo  è  il  con- 
tenuto della  nuova  disposizione:  se  il  Capitano  o  il  Po- 
destà non  ])uò  procedere  contro  il  delinquente,  perchè 
})ersona  ecclesiastica,  deve  punire  il  tìglio  di  costui,  e 
X'  non  può  avere  il  figlio,  deve  procedere  contro  il  padre 
del  delin(piente  e,  in  assenza  del  padre,  contro  i  fratelli 
legittimi  e  naturali  o  anche  contro  i  nipoti.  Mancando 
poi  tutti  costoro,  il  Capitano  deve  disfare  i  beni  del  col- 
pevole (1),  come  quando  trattasi  di  punire  Puccisore  di  un 
Anziano,  che  per  lo  piìi  è  condannato  a  morte,  sotto  atroci 
torture  (2  ). 

Ma  studiando  la  storia  degli  Anziani,  possiamo  facit- 
mente  rilevare  che  non  sempre  fu  risi)ettata  la  loro  auto- 
rità o  fu  dato  loro  di  serbare  integra  la  propria  indipen- 
denza e  libertà  d'azione.  Quando  cittadini  ambiziosi,  in  se 
stessi  accentrando  tutti  i  poteri,  giunsero  a  prendere  nelle 
loro  mani  le  redini  dello  stato,  tutte  le  magistrature,  com- 
preso PAnzianato,  rimasero  solo  di  nome,  i)erchè  dovevano 
esser  ligie  ai  tiranni.  Tra  questi  campeggiano  le  famose 
figure  del  Conte  Ugolino  di  Donnoratico  e  di  Xino  giu- 
dice di  Gallura,  i  quali,  in  se  raccolta  ogni  autorità  col- 
P  intitolarsi  ad  un  tempo  podestà.  Capitani  del  popolo.  Ret- 
tori e  Governatori  del  Comune,  fecero  perdere  agli  statuti 
la  loro  indole,  spensero  la  virtù  degli  ordinamenti  antichi  e 
di  quei  i>olitici  ordinamenti  che  in  altri  tempi  furon  causa 
della  grandezza  di  Pisa,  e  principalmente  cercaron  di  li- 
mitare o  sopi)rimcre  del  tutto  Pautorità  delPAnzianato.  E 
dopo  il  dominio  di  Uguccione  della  Faggiola  (1314:-131(j) 
troviamo  ancora  Giovanni  delPAgnello,  che  entra  una  notte 


(1)  Breve  del  pop.  e  delle  Comp.,  noi  eap.  «  IH  quelli  ohe  ofendesseno 
(ili  Anziani  »  (Bona ini,  voi.  II,  p.  637). 

(2)  Breve  del  pop.  e  delle  Comp.,  nel  cap.  «  Del  nobile,    u    vero   non 
giurato  in  populo  ehe  ucciile*i>ìe  Anziano  »  (Bonaini,  voi.  II,  p.  471). 


70  FERRUCCIO   RIZZELLI 

nella  sala  della  Signoria,  si  proclama  doge  e,  spaventati 
gli  Anziani,  fa  che  gli  giurino  obbedienza.  Tiranneggia 
così  quattro  anni,  durante  i  quali  gli  Anziani  perdono 
ogni  ingerenza  nella  cosa  pubblica.  In  seguito  essi  riaf- 
fermano la  loro  autorità,  e  nel  1355  sono  nominati  per 
motu  proprio  di  Carlo  lY,  suoi  vicari  perpetui  nel  luccliese, 
pietrasantino,  lunigianese,  sarzanese  e  nella  Garfagnana  (1). 
Dal  1369  al  ^92  corre  per  Pisa  un  certo  periodo  di  Hori- 
dezza,  finche  al  termine  del  detto  anno  Giacomo  d'Appiano, 
dopo  d'aver  a  tradimento  assassinato  Pietro  Gambacorti, 
che  era  stato  il  suo  più  grande  benefattore,  diventa  signore 
di  Pisa,  e  domina  la  città  insieme  col  figlio  Gherardo. 
Questi  alla  sua  volta  sopprime  temporaneamente  il  Col- 
legio degli  Anziani,  arrogandosi  piena  balìa,  in  qualità  di 
Capitano  del  ])opolo  (2). 

Anche  l'antagonismo  tra  i  i)artiti  esercitò  la  sua  azione 
sulPAnzianato.  Così  studiando  quel  periodo  che  va  dal  1346 
al  1369,  quando  una  lotta  accanita  rovinava  la  città  di- 
visa in  due  fazioni,  dei  BergoUni^  favorevoli  ai  Gherar- 
desca,  e  dei  Raspanti,  capitanati  da  Ludovico  e  Dino  della 
Kocca,  vediamo  che  gli  Anziani,  secondo  che  P  uno  o 
Paltro  partito  prevalse,  furono  nella  nuiggioranza  o  J>er- 
golini  o  Raspanti  (3),  e  nel  Consiglio  non  permisero  mai 
che  prevalessero  quelli  della  parte  contraria,  ma  scelsero 
invece  a  preferenza  i  più  arditi  sostenitori  della  loro.  Di 
qui  lotte  acerbe  nel  seno  delPAnzianato,  lotte  che  menoma- 
vano Pautorità  e  la  dignità  dei  capi  di  uno  dei  più  fiorenti 
Comuni  d'Italia.  Ma  pur  una  volta  gli  Anziani,  sebbene 
di  partiti  opposti,  si  mostraron  concordi  e  d'animo  giusto 
ed  imparziale.  Ciò  avvenne  nel  1348,  allorché  furono  eletti 
otto  Anziani  del  partito  raspante  e  quattro  del  bergolino. 


(1)  BoHMKH-HrHEH,   11.   2114. 

(2)  R.  Archivio  cit.,  BreAe  Vetns  Antianormii,  e.  251  t.  «  Nota  (juod 
«  die  vigesima  prima  lueusis  laniiarii  supraseri])tiis  maguilìcn.s  iiiilos 
«  doininus  Gerardus  Leonardiis  de  Appiano  Capitaneus  ete.  eleetiis  et 
«  assuiiiptus  est  in  generaleiu  dominnni  pisaiioruiu.  et  Autiani  ])iedieti 
«  ili  sero  ad  doinos  proprias  rediernnt  licciitiati  ». 

(3)  Cfr.  Cronica  di  Pisa  (Muijatoki,  7.'.  /.  s.,  XV,  1017.  1018). 


(,LI   ANZIANI   NEL   (U)YERNO   DEL   COMUNE   PISANO  71 

StMpejijiiarono  vari  rumori  nel  giorno  delP elezione,  ma  la 
mattina  seguente  gli  Anziani  insieme  col  Podestà  impo- 
sero, sotto  ])eiia  delP  avere  e  della  persona,  che  ambedue 
ie  parti  dovessero  (Mjmiwirire  innanzi  a  loro,  e  i  due  partiti 
giurarono  di  non  offendersi  ne  in  detti  ne  in  fatti,  pro- 
mettendo di  deporre  le  armi  e  di  attendere  soltanto  al 
bene  e  alPutile  della  repubblica  (1).  Così  lo  Stato  fu  salvo 
per  la  saggezza  dei  suoi  governatori. 


IV. 
Adunanze  e  deliberazioni. 

Le  adunanze  degli  Anziani,  per  quanto  risulta  dai  do- 
cumenti d^  archivio,  si  tenevano  nel  Palazzo  del  popolo, 
o  nella  chiesa  comunale  di  S.  Sisto  o  anche  nella  Prima- 
ziale,  quasi  ogni  giorno. 

Gli  Anziani  si  adunavano  ogniqualvolta  sembrasse 
loro  oi)portuno  «  totiens  et  quotiens  eis  placuerit^  quocumque 
volìterint»  (2)^  ma,  come  poteva  tornar  loro  incomodo  il  ra- 
<lunarsi  tutti  ogni  giorno,  sceglievano  alPuopo  dal  proi)rio 
seno  una  deputazione,  riservandosi  di  convenire  in  pieno 
soltanto  per  gli  affari  piìi  gravi.  Infatti  nel  Breve  del  popolo 
è  scritto  che  «  nulla  provisione  faranno  u  fare  faranno 
«  senza  volontà  di  tutti  li  Anziani,  u  (Vocio  di  loro  almeno, 
«  mdlo  di  quelli  odo  discordante  »  {3 );  altre  volte  però  la  de- 
putazione poteva  esser  formata  di  sei  e  anche  di  quattro 
Anziani^  secondo  la  volontà  del  ])riore(4:). 

Così  riunito  il  Collegio  degli  Anziani,  e  intesa  la  na- 
tura delPaffare,  si  ai)riva  la  discussione,  durante  la  quale 
nessun  Anziano  poteva  parlare  senza  il  permesso  degli 
altri   colleghi   «  sine   voluntate   et   licentia   sociorum    suo- 


(1)  RONCIONI,  o]).  eit.  {Archivio  Storico  Italiano,  serio  I,  to.  VI,  voL  I, 
<lÌKp.  2''»,  ]).  805). 

(2)  Brovo  ])is.  Coni.,  in  ea}».  «  De  stattitis po2mli»(tìi)y.\iy:ì.  voi.  II.  ]».  14). 

(3)  Breve   del    pop.   e   delle   Coiiip.,    nel    ca]).    LXXXVI   (Bona ini, 
voi.  II,  p.  527). 

(4)  Breve  del  ]»o]>.  e  delle  Conip.,  nel  ea]).  CLXXI  (Bonaim,  aoI.  II, 
p.  »>27). 


72  FERRUCCIO   RIZZELLI 

rum  »  (1),  e  non  vi  poteva  intervenire  se  nella  deliberazione 
da  prendersi  avesse  implicati  interessi  propri  o  di  i)arenti 
e  amici  (2).  Xelle  sedute  ordinarie  si  deliberava  su  affari 
di  poca  importanza,  ai  quali  però  si  doveva  jn^ovvedere 
durante  il  tempo,  in  cui  quegli  Anziani  rimanevano  in 
carica  (3);  se  poi  qualche  membro  del  Collegio  si  opponesse 
alla  deliberazione  presa  dagli  altri  compagni,  il  N^otaio 
era  tenuto  a  scrivere  nella  provvisione  di  quel  dato  giorno 
il  nome  e  il  parere  contrario  di  costui  (4). 

I  modi  di  deliberare  erano  tre,  che  non  differiscono 
da  quelli  messi  in  pratica  tra  noi:  ad  denarios  alhos  et 
glalloH  sive  ad  scruptineum  secretmn;  ad  voces;  de  sedendo  ad 
levandum.  Crediamo  pertanto  che  il  primo  fosse  riserbato, 
non  però  esclusivamente,  per  gli  affari  di  grave  importanza, 
perchè  in  tutte  le  riforme  introdotte  nelPAnzianato  e  nelle 
altre  magistrature,  e  generalmente  in  tutte  le  provvisioni 
attinenti  agli  statuti,  si  legge  la  solita  formula  «  partitu 
facto  inter  eos  ad  denarios  alhos  et  giallos  »  ;  al  qual  proce- 
dimento  gli  Anziani  erano  tenuti  sotto  pena  di  lire  cento 
per  ciascuno  (5).  Dobbiamo  però  notare  che  in  questi  casi, 
di  affari  cioè  molto  gravi,  le  deliberazioni  degli  Anziani  si 
riferivano  al  Consiglio  minore  e  poi  da  questo  al  Consiglio 
maggiore  ((>),  e,  qualora   fossero   approvate   da   entrambi  i 


(1)  Breve  i)is.  i>op.  et  Conip..  in  Cii]).  «  De  Antianis,  ne  surgant  in 
Consilio  prò  oonsulendo  »  (Bonaixi,  voi.  I,  p.  567). 

(2)  Breve  del  pop.  e  delle  Coinp.,  nel  oap.  LXXXVII  (Boxaim. 
voi.  II,  p.  529). 

(3)  Breve  del  pop.  e  delle  Coni]).,  nel  eap.  LXXXIX  «  Di  non  fare 
proi'isione  che  non  si  possa  spacciare  al  tempo  di  quelli  che  la  fanno  »  (Bo- 
NAINI,  voi.  II,  p.  529). 

(4)  Breve  del  pop.  e  delle  Conip.,  nel  cap.  LXXXVI  (Boxaim, 
voi.  II,  p.  527). 

(5)  Breve  del  \\o\).  e  delle  Comp.,  nel  eap.  CLV  (Box.,  voi.  II,  p.  H2^!). 

(6)  Lo  statuto  determina  quali  attribuzioni  spettano  all'uno  e  al- 
l' altro  Consiglio.  Il  minore  per  lo  \Ah  interviene  in  tutto  ciò  che  ec- 
cede i  poteri  del  Podestà;  al  maggiore  i^oi  son  riservate  tutt^  quelle 
materie,  che,  sotto  ai  Consoli,  erano  devolute  al  consiglio  o  al  parla- 
mento, come  la  statuizione,  revisione  e  interiietrazione  delle  feggi,  il 
iu8  vitae  et  necis,  la  •^•acq,  la  guerra,  i  trattati  internazionali;  concedere 
rappresaglie;  disporre  dei  i)ubblici  beni;  assumere  prestanze;  rinnovar 
l'estimo;  mettere  pedaggi  o  altre  imposte,  ec. 


GLI   ANZIANI   NEL  GOVERNO   DEL   COMUNE   PISANO  ,-> 

Consigli,  passavano  alla  ratificazione  del  Senato  (1)  e  del 
Consijrlio  della  Credenza  (2).  Le  provvisioni  degli  Anziani 
così  approvate  e  ratificate  si  aftìdavano  al  potere  del  Ca- 
j)itano,  il  (juale,  se  ne  trascurava  P esecuzione,  era  con- 
dannato  alla    multa  di  cin(|uanta  lire  di  «lenari  pisani  (8). 


V. 


Governo  degli  Anziani. 

L'attività  degli  Anziani,  intesa  nel  i)in  largo  senso 
della  parola,  si  determina  innanzi  tutto  nei  rapi)orti  col- 
Pestero,  nel  mantenimento  delPordine  giuridico  alP interno, 
e  nei  mezzi  economici  per  PAmministrazione  dello  Stato. 
Ma  per  ben  determinare  quale  sia  il  contenuto  e  quali  i 
limiti  degli  uffici  agli  Anziani  affidati,  occorrerà  fare  un 
esame  molto  accurato  di  tutte  le  loro  attribuzioni,  perchè, 
se  da  una  parte  PAnzianato  abbraccia  la  parte  piìi  grande 
delPattività  dello  Stato,  dalPaltra  il  suo  potere  non  è  sem- 
pre autonomo,  ma  coordinato  alPazione  di  altri  magistrati. 
Intesa  bene  e  chiarita  questa  parte  del  nostro  lavoro,  ci 
sarà  dato  di  cogliere  nella  sua  interezza  quella  che  diremo 
Pessenza  di  questa  magistratura  nel  Comune  di  Pisa. 


(1)  Breve  i)is.  Coni.,  I.  e.  55  «  Seiiatores  quadrat^iiita.  lioiios  et 
«  sapientos  et  legales  viros,  por  dominos  siipraseriptos  Potestates  et  Ca- 
«  ]»itaiieos  et  Antianos,  vel  quibus  conimiserint,  elip;i  lacieiuus;  videlieot 
«  deceni  prò  quolibet  (luarterio  civitatis;  quoniiu  offieium  durot  por  tros 
«  nienses  et  non  plus.  Et  non  habeant  nec  liabore  j)ossint  pr<»ptorea 
«  aliquod  feuduni  seu  salariuni  ». 

(2)  A  questo  Consiglio  particolare  chiamato  Credenza  era  riservato 
l'ufficio  di  provvedere  sulle  relazioni  estere,  sulla  collazione  dello  ca- 
richo  e  sulla  regola  dolio  tinanzo. 

(3)  Brovo  dol  j><)]».  o  dolio  Conii>..  noi  oap.  XXXV  «  Di  maiKlure  ad 
executione  le  prùrisioni  »  (Bonaixi,  voi.  II,  \}.  479).  Le  provvisioni  degli 
Anziani  erano  registrate  tutte  bimestre  per  bimestre;  ora  si  conservano 
nel  K.  Archivio  di  Stato  di  Pisa  in  117  registri  che  contengono  le  prov- 
visioni ordinario  e  straordinario  dall'anno  1298  al  1405.  quasi  sino  alla 
caduta  della  Repubblica  por  mano  dei  Fiorentini.  Cfr.  R.  Ancinvio  cit., 
dalla   Dir.  A.  Si  alla   Dir.  .1.   19S. 


FERRUCCIO    RIZZELLI 


a)  B apporti  colVesUro. 

Gli  Anziani  dovevano  innanzi  tntto  dilijjenteniente  e 
scrnpolosamente  occuparsi  dei  rapporti  colPestero,  in  cui 
si  esplicava  la  loro  maggiore  attività,  i^oichè  dalla  buona 
trattazione  degli  affari  diplomatici  dipendeva  in  gran  parte 
il  prestigio  della  EepubbJica. 

Essi  ricevevano  nel  loro  palazzo  le  ambasciate,  alle 
quali  dietro  loro  immediata  deliberazione  o  anche,  in.  fatti 
molto  gravi,  dopo  d^aver  inteso  il  parere  del  Consiglio  ge- 
nerale, davano  le  risposte  dovute.  Cosi  nel  10  febbraio  del 
1326  si  ordina  che  gli  Anziani  «  una  cum  sapientibus  riris 
ab  eis  eligendis  vel  mie  eis,  aicut  eis  placnerit»^  rispondano 
agli  ambasciatori  venuti  da  Firenze,  e  nel  1375  a  nome 
del  comune  di  Pisa  vengono  in  ti*attative  con  Xiccolò 
d^Alife,  ambasciatore  mandato  dai  Reali  di  Xapoli,  per 
chiedere  un  sussidio  navale  e  il  denaro  promesso  per  Pim- 
presa  di  Sicilia  (1). 

Agli  Anziani  inoltre  spettava  P  altro  ufficio  di  nomi- 
nare gli  ambasciatori  pisani.  La  quale  attribuzione,  ri- 
masta comune  agli  Anziani,  al  Podestà  e  al  Calcitano  del 
popolo  fino  al  1313,  fu  da  quest'anno  in  poi,  dopo  cioè  hi 
compilazione  del  nuovo  Breve  del  Comune  pisano,  confe- 
rita soltanto  al  Collegio  degli  Anziani,  la  cui  autorità  ve- 
niva sempre  più  affermandosi  colPaccentramento  dei  mag- 
giori poteri  dello  Stato  (2).  Di  questo  fatto  è  prova  anche 


(1)  Cfr.  Ax)pendice,  doe.  3. 

(2)  Breve  pis.  Com.,  in  eap.  «  De  amhasciatoribus»  (Bonaixi,  voi.  II, 
p.  22).  Le  disposizioni  principali  clic  riguardano  gli  ambasciatori  sono 
le  seguenti: 

a)  Gli  ambasciatori  non  del)bono  ricevere  dono  alcun»)  «  exceptis 
exculcntis  et  poculentis  in  fraudeni  non  reci]ìiendis  »,  e  se  li  ricevono, 
A'anno  incontro  a  gravi  pene; 

h)  Gli  ambasciatori  non  i)ossono  nella  loro  ambasciata  domandare 
qualche  cosa  per  utilità  propria  o  di  altri,  uè  numifestare  ad  altri  l'am- 
l»asciata  loro  conmiessa,  senza  licenza  degli  Anziani; 

e)  Gli  ambasciatori  debl>ono  lar  registrare  fra  gli  atti  del  Comune 
]>isau<)  le  risi)()ste  ottenute: 


•  >I.l    ANZIANI    XKL    iiu\  KKNO    DKl.   t'o.MLNK    i'i>AN()  Vo- 

il  (litticilo  (•oiiii)ito  che  a«>li  Anziani  era  attìdato,  di  com- 
porre i  conti  itti  sorti  tra  Pisa  ed  altri  Stati,  nei  (juali  in- 
tervenivano o  direttamente  o  per  mezzo  di  loro  rappresen- 
tanti. Infatti  nel  lo4;i  sorti  alcuni  dissidi  tra  Pisa  e  Spinetto 
Malasi)ina,  fu  autorizzato  da^li  Anziani  ser  Bene  da  Calci 
a  comporre  la  pace  (1),  e  così  anche  avvenne  nel  1379,  nel 
quale  anno,  durando  le  inimicizie  tra  Pisa  e  il  re  di  Tunisi, 
j>li  Anziani  insieme  col  Capitano  Pietro  Gambacorti,  aven- 
done avuta  piena  balìa,  mandarono  un  tal  Kanieri  di  Pietro 
Bullia  de'  Gualandi  a  trattare  la  pace  (2).  E  tale  era  la 
riputazione  di  elevata  competenza  nei  fatti  di  politica 
estera  che  «ili  Anziani  godevano  presso  i  Comuni  vicini, 
che  alcune  volte  erano  da  questi  nominati  arbitri  nelle 
loro  questioni;  e  furono  appunto  gli  Anziani  di  Pisa  che 
nel  134<S  composero  «  nomine  gestorio  »  la  pace  tra  Lucca  e 
Xerio  da  Montegarullio  (3). 

Molto  importanti  sono  inoltre  le  provvisioni  degli  An- 
ziani relative  alle  concessioni  di  cittadinanza.  Così,  p.  es., 
nel  '20  settembre  del  1342,  per  deliberazione  degli  Anziani, 
si  accorda  la  cittadinanza  pisana  ai  figli  del  marchese  Ma- 
laspina  (1),  e  anche  più  tardi,  nel  28  agosto  del  1319,  gli 
Anziani  stessi,  per  mezzo  dei  Savi,  accordano  ogni  diritto 
di  cittadinanza,  salvo  speciali  condizioni,  a  tutti  coloro  che 
fossero  venuti  ad  abitare  in  Pisa,  poiché  la  popolazione  e 
con  essa  lo  stato  economico  del  paese  erano  venuti  man 
mano  de])erendo  per  causa  della  terribile  pestilenza  del  1318. 


d)  (ili  iiiiibastiaToii  haiiiu»   mi   salario,    che    vioiic   stabilito    dagli 
Anziani. 

Cfr.  anche  K.  Ahchivio  oit.,  A.  81,  e.  97  r.  e  t.;  A.  85,  e.  104  r. 
In  altre  provvisioni  si  stabiliscono  i  salari  «  prò  anibaxiatore  qui  ivit 
ad  ludicom  Arboree»;  «prò  anibaxiatore  itiiro  Florentiani  »  ;  «prò  ani- 
baxiatore itnvo  Lombardiaìn  »  eo.  CiV.  A.  81.  ce.  17  r.  o  21  r,  :  A,  82, 
e.  8  r. 

(1)  li.  ARCHIVIO  cit.,  A.  31,  ce.  119  t.  e  sego-. 

(2)  R.  Akciiivio  cit.,  Atti  pubblici,  pergamena  "/,,  1379.  Lo  stesso 
fatto  si  ripete  nell'anno  seguente  sotto  il  Capitano  Giacojuo  <rA]>i»iano. 
('Ir.  K.  Ahchivio  cit.,  Atti  pubblici,  cart.  XXI. 

(3)  R.  Archivio  cit.,  A.  .33,  ce.  271  e  segg. 

(4)  R.  Aiu'Hivio  cit.,  A.  31,  e.  57  r. 


76  FERRUCCIO    RIZZELU 

b)  Mantenimento  deW ordine  ffiuridico  aW  interno. 

Agli  Anziimi  era  data  facoltà  di  presentare  proposte 
di  legge,  le  quali  passavano  al  Consiglio  del  popolo  per 
essere  approvate,  o  respinte,  o  modificate;  ma  quando  non 
si  trattasse  di  riforme  statutarie,  sia  pure  temporanee,  essi, 
a  differenza  degli  altri  Magistrati,  potevano  deliberare  in 
modo  assoluto,  senza  che  le  emanazioni  della  loro  autorità, 
avvenute  nel  dominio  della  legge,  avessero  bisogno  della 
sanzione  di  altri  Ufficiali.  Così  pure  nessun  Consiglio  po- 
teva convocarsi  senza  la  loro  autorizzazione,  e,  se  ciò  ay- 
A^enisse,  si  riserbavano  il  diritto  di  pubblica  protesta  con- 
tro il  Capitano  del  popolo,  che,  pur  avendo  la  facoltà  di 
convocare  le  adunanze,  non  poteva  a  ciò  devenire  senza  la 
volontà  espressa  degli  Anziani  :  questo  ci  prova  la  pro- 
testa delPAnziano  Giuntino  da  Peccioli  contro  il  Capitano 
del  Popolo  Simone  degli  Abati  da  Firenze  (1  ). 

yè  sotto  questo  rispetto  soltanto  si  afferma Aa  la  supre- 
mazia degli  Anziani,  cliè  anche  in  materia  giuridica  il  loro 
potere   non   era   limitato  che  dalle  disposizioni  statutarie. 

Quantunque  Pufficio  di  magistrato  supremo  fosse  de- 
stinato al  Podestà  od  al  Capitano  del  popolo  (2),  pure  que- 
sti dovevano  riconoscere  la  superiorità  delPalto  Consesso, 
l>erchè  le  sentenze  emanate  da  loro,  o  dai  giudici  che  de- 
finivano ogni  questione  in  loro  assenza,  AcniA^ano  control- 
late dagli  Anziani   per  opera  di  un  Notaio  (3).  Questi  poi 


(1)  K.  Aiìciiivio  cit.,  A.  81,  e.  99  t.  «  Iiintinus  de  Peccioli  Antianiis 
«pisani  i)opuli,  cum  domiuus  Symon  de  Abbatibus  de  Florentia  Caj)!- 
«  taneus  pisani  i)oi)uli  hodie  die  dominice  A'^III  kalendas  Septenibris 
«  fecerit  banniri  Consiliuin  maius  populi  ut  congregaretur  in  malori  ec- 
«  desia  civitatis  pisane,  dixit  niilii  Guidoni  Turcliii  notario  quod  ii)se 
«  nolebat  venire  seu  ire  ad  dictuni  Consiliuni,  cuni  dictus  Cai^itaneus 
«  predictum  consiliuni  lacere  non  debet,  quia  non  est  de  voluntate  An- 
«  tianorum  A^el  octo  ex  eis,  secundum  forniani  Brevis  pisani  populi. 
«  Anno  millesimo  ducentesimo  nonagesimo  oetavo,  indictione  decima, 
«  oetavo  kalendas  Sejjtembris  ». 

(2)  R.  Aiu'Hivio  cit.,  A.  81,  ce.  67  e  «8. 

(3)  R.  AucHivio  cit.,  A.  85,  e.  132  t. 


GLI    ANZIANI    Nl-:i.   (iUVEKNO    DEL   COMUNE   PISANO  77 

<luve\  a  riferire  agli  Anziani  si  quid  illicitum  vel  mhonestum 
iudices  commicterent  in  ipsin  condcmpnationibus  faciendis  et 
ejiaminandis  (1),  e  qualora  tale  revisione  venisse  a  mancare 
])er  colpa  dei  giudici,  le  condanne  si  annullavano  ed  i  giu- 
dici incorrevano  in  una  grave  multa  per  ciascuna  Aolta 
che  avessero  trasgredito  la  legge. 

Oltre  a  questa  che  chiameremo  attribuzione  di  diritto 
obbligatorio,  gli  Anziani  avevano  anche  altre  atlribuzioni 
facoltative.  Essi  potevano  eleggere  alcuni  Savi  per  la  con- 
fisca dei  beni  appartenenti  ai  condannati;  i^remiare,  se  lo 
credessero  oi)portuno,  coloro  che  consegnassero  il  reo  nelle 
mani  dei  magistrati  pisani,  con  una  somma  che  andava  da 
lire  dieci  a  lire  cento  (2);  concedere  con  una  provisio  extra- 
ordinaria la  grazia  sovrana  ai  condannati  (3),  e  liberare  per 
misericordia  dieci  detenuti  nel  venerdì  santo  di  ogni  anno  (4). 

Ma  se  in  fatto  di  questioni  criminali  gli  Anziani  ave- 
vano importanti  attribuzioni,  nelle  questioni  civili  era 
esclusa  dalle  disposizioni  statutarie  qualsiasi  loro  inge- 
renza, Sotto  pena  di  lire  venticinque  di  denari  pisani;  e 
licrchè  tal  pena,  fors^ anche  per  il  rispetto  che  imjioneva  il 
Consiglio  supremo  della  Repubblica,  non  fosse  trascurata, 
il  Capitano  del  popolo  che  non  esigeva  la  condanna  era 
punito  alla  sua  volta  con  la  multa  di  cinquanta  denari 
I)isani  (5).    Pure    tra    le    provvisioni    degli   Anziani    ci    fu 


(1)  Breve  pis.  Coni.,  Ili,  in  cai).  «  De  modo  servando  in  condempna- 
tioitihus  in  officio  indici^  eurie  maleficiorum  »  (Bonaini,  voi.  II,  l^.  359). 

(2)  R.  Archivio  cit.,  A.  35,  e.  438. 

(3)  R.  Archivio  cit.,  A.  64,  e.  Go  t.;  A.  85,  e.  62;  A.  134,  e.  58; 
A.  85,  e.  35  r.  «  Providerunt  Antiani  pis.  pop.  etc.  qiiod  ex  provvisione 
«  facta  infraseriptis  exbannitis  de  Palaria  a  Magnifìeo  viro  domino 
«  Uguccione  de  Fagiola  occasione  jiacis  facte  inter  infrascriptos  exbau- 
«  nitos  de  Palaria  ex  una  parte  et  quosdam  alios  ghibellinos  de  Palaria 
«  ex  altera....  debeant  rebanniri  prò  Comuni  et  a  Comuni  pis.  de  infra- 
«  scriptis  bannis  et  aliis,  ut  inferius  continetur....  ». 

(4)  Breve  del  pop.  e  delle  Comp.,  nel  cap.  «  JH  relaxare  li  pregioni 
per  mizericordia  »  (Bonaini,  voi.  II,  pag.  492). 

(5)  Breve  del  pop.  e  delle  Comp.,  nel  cap.  «  Di  non  intromettersi  nelle 
cauze  civili  »  (Bonaini,  voi.  II,  p.  535).  Questa  disposizione  era  in  Algore 
fin  dal  1286.  Cfr.  Breve  pis.  pop.  et  Comp.,  in  cap.  «  De  non  intromi- 
ctendo  de  causis  eirilihux  »  (Bonaini.  voi.  J.  ]>.  564). 


78  FERRUCCIO    RIZZELLI 

dato  trovarne  una,  con  la  quale  si  ordina  a  Ranieri  di 
Metula,  Capitano  del  popolo,  di  concedere  una  dilazione 
ai  debitori  di  un  tal  Roberto  de  Rocca,  purché  essi  pacas- 
sero quanto  occorreva  alla  dote  di  Francesca,  figlia  del 
detto  Roberto  (1). 

Agli  Anziani  era  data  inoltre  facoltà  di  nominare  i 
berrovieri  (2),  le  guardie  che  attendevano  unicamente  al 
mantenimento  delP ordine  pubblico,  con  espresso  divieto 
per  ciascuno  alP ufficio  di  famiUus  del  Podestà,  o  di  andar 
fuori  di  città  per  richiesta  di  qualsiasi  cittadino  pisano. 
Avevano  essi  per  loro  superiori  immediati  un  Conestabile 
ed  un  Vice-Conestabile,  eletti  altresì  dagli  Anziani  (3).  Così 
soltanto  gii  Anziani  potevano  concedere  il  porto  d'armi, 
qualora  però  i  richiedenti  si  trovassero  nelle  condizioni 
stabilite  dallo  statuto  e  prestassero  cauzione  fideiussoria 
nella  Cancelleria  del  Comune  pisano  (4). 

e)  Amministrazione  interna  in  ordine  ai  mezzi  economici. 

]S^ei  registri  delPArchivio  pisano  troviamo  moltissime 
provvisioni  relative  al  commercio  della  fiorente  Repubblica, 
le  quali  bastano  a  iH'Ovarci  con  la  massima  evidenza  che 
anche  questa  parte  delPamministrazione  dello  Stato  spet- 
tava al  Collegio  degli  Anziani.  Alcune  si  riferiscono  in 
special  modo  agli  ordinamenti  per  la  vendita  del  frumento, 
delle  carni  e  dei  pesci  sul  mercato  della  città,  compilati 
dagli  Anziani  stessi  o  dai  Savi  a  tal  fine  eletti.  Così  nel 
capitolo  «  I>e  pissicariis  et  rigatteriis  »  del  Breve  pisano  (  5  ) 
si  ordina  che  gli  Anziani  eleggano  alcuni  Savi  (iìtper  pro- 


(1)  R.  Archivio  cit.,  A.  113,  e.  23  t. 

(2)  Breve  pis.  Coni.,  lih.  I,  in  eap.  «  Ih'  herrovariìs  »  (Boxain'i.  voi.  11, 
p.  23). 

(3)  R.  Archivio  cit.,  Bogìta  et  instrumenta  et  eleetioneH  ofiicialiiim. 
A.  36,  ce.  336  e  segg. 

(4)  R.  Archivio  cit.,  A.  82,  ce.  88  e  89  «  Baccioni  de  Seta  lilio 
«  Mactliei  de  cappella  Sancti  Luce  forisiiorte  a  doniinis  Antliianis  pisani 
«  populi  concessa  est  licentia  deferendi  quecumquc  arnia  defeusafiilia, 
«  dunmiodo  praestet  lìdeiiissoriani  cautioneni  in  cancellarla  jiisani  Co- 
«  miinis,  ut  consuetum  est,  secunduni  formani  Brevis  pisani  Coiniinis  ». 

(5)  Breve  pis.  Coni.,  lih.  111.  in  ca]>.  «  De  pi.ss}earii>i  et  rìqatteriix  » 
(BoNAixi.  voi.  II.  p.  327). 


(ìli    anziani    nel   (iOVERXO   DEL   COMUNE   PISANO  ni 

rifleHclo  etc.^  mentre  in  una  provvisione  ordinaria  del  1315 
troviamo  una  disposizione  de«li  Anziani  sulla  vendita  delle 
anjiuille  delPArno,  senza  i)er()  ohe  la  solita  formula  «  provi- 
deìKnt  infraseri2)ti  mpkntcH  viri  saper  Mis  ab  Anthianis  pimni 
popuìi  eìecti  »  ci  attesti  P intervento  dei  Savi(l).  Altre  prov- 
visioni si  riferiseono  invece  alla  vendita  del  sale  e  del 
ferro  delPElba  (1*),  o  all'importazione  di  frumento  e  fo- 
raggio (3),  o  alPesi)ortazione  di  equini  e  bovini  per  uso  del 
Comune  (4);  e,  i)0ichè  i  mari  erano  allora  infestati  dai  pi- 
rati, gli  Anziani  erano  obbligati  sotto  giuramento  ad  ar- 
mare ogni  anno  due  galee  (5),  per  garantire  la  sicurezza 
dei  trafficanti  che  univano  in  relazioni  commerciali  la  prov- 
vida Repubblica  con  le  maggiori  isole  del  Mediterraneo  e 
con  le  pili  lontane  terre  delP  Oriente. 

Tutti  gii  introiti,  die  da  un  così  attivo  commercio  per- 
venivano alla  Repubblica,  erano  aftìdati  alla  Camera  del 
Comune,  i  cui  amministratori  «  Camerarii  pisani  Comunis  », 
dap])rima  eletti  dal  solo  Podestà  e  poscia  dagli  Anziani, 
regolavano  tutto  il  bilancio  dello  Stato,  riscuotevano  im- 
poste dirette  e  indirette (6)  e  mandavano  ih  effetto  tutte 
quelle  provvisioni  pecuniarie  (7),  che  dopo  opportuna  deli- 


(1)  R.  Archivio  cit.,  A.  85,  e.  16  t.  «  Antiani  pisani  ])oi)uli  provi- 
«  derunt  quod  piscatores  pisane  civitatis  i)ossint  et  eis  Jieeat  x)osse  ven- 
«  (lere  et  vendi  tacere  in  ci  vitate  ])isana  de  mensibus  Madii,  Innii,  Inlii 
«  et  Angusti  et  quolibet  teniixne  anguilias  de  tiuniine  Arni  tantum  im- 
«  x>une,  non  obstante  (jnod  jier  forniani  Brevis  pisani  Comunis  vendere 
«  vel  vendi  faeere  eas  non  jìossint  ». 

(2)  R.  Archivio  eit.,  A.  3o,  e.  43  r. 

(3)  R.  Aiuiiivio  oit.,  A.  90.  e.  81  t.:  A.  85.  e.  16  t..  e.  17  r.  e  t.. 
e.  li)  t.  e  e.  20  r. 

(4)  R.  Archivio  cit.,  A.  85,  e.  3  r.  Gli  Anziani  di  Pisa  provvedono 
«  (jiuid  Ciolus  Grassnlinus  offieialis  prò  comuni  Pisarum  in  partibus  Sai- 
«  dinee  i)ossit  prò  comuni  Pisarum  vendere  et  titulo  venditionis  dare  et 
«  concedere  boves  et  vacehas  trium  annorum  usque  in  quinque  et  boves 
«  et  vacehas  v'eteres  pisani  Comunis  de  bestiis  seu  armento  J^estiarum  ])i- 
«  sani  Comunis  et  iudicatus  Gallure  ». 

(5)  Breve  del  poxK)lo  e  delle  Coni]).,  nella  rubrica  CXLVII  «  Xuoi'i 
eupittdi  factl  in  anno  Domini  MCCCXII  ».  (Bonaini,  voi.  II,  j).  515). 

(6)  R.  Archivio  cit.,  A.  93,  ce.  2  e  24;  A.  94.  ce.  45  e  53. 

(7)  R.  Archivio  cit.,  A.  197,  cap.  CCLXA^  «  De  modo  servando  a  Ca- 
«  merariis  pisani  Comunis  in  solutionihus  per  eos  fiendis  de  ^j^'cwwia  pisani 
«  Comunis  de  qua  facte  fuerint  provisiones per  dominos  Antianos  pisani  popuU 


80  FERRUCCIO   KIZZELLI 

berazione  degli  Anziani  (1),  erano  esaminate  dai  Revisori  (2u 
e  registrate  e  sigillate  dal  Cancelliere  e  dal  Xotaio  del 
Comune,  nonché   dal   Xotaio  stesso  degli  Anziani  (3).  Alla 


«  et  aìiis  de  rerisionibus  dictarum  prorisionum.  Et  quod  Camerarii  camere 
«  pisani  Coiiiimis  i)resentes  et  qui  prò  tempore  fuerint  vel  alter  eorum 
«  non  possint,  nec  debeant  dare  seii  solvere  alieni  persone  vel  loco  ex 
«  forma  alienins  provisionis  dominornm  Antianorum  pisani  poiinli  ali- 
«  qnanj  quantitatem  pecunie,  nisi  in  ipsa  provisione  sit  sj)eciiìcata  causa 
«  singolariter  et  exprexa,  quare  dieta  provisio  sit  seu  fuerit  et  quare 
«  dieta  solutio  fieri  debeat.  Et  quod  ipsi  Camerarii  nullo  modo  possint 
«  vel  debeant  solvere  seu  dare  alieni  persone  vel  loco  aliquam  quanti- 
«  tatem  pecunie  ex  forma  alicuius  provisionis  dominorum  Antianorum 
«  pisani  popoli,  que  sit  et  fuerit  facta  contra  formam  brevium  statutorum 
«  et  ordinamentorum  et  consiliarorum  pisani  Comunis  et  populi.  Et  quod 
«  ii)si  Camerarii  non  possint  nec  debeant  dare  seu  solvere  alieni  persone 
«  vel  loco  aliquam  quantitatem  pecunie  i3ro  expendendo  et  convertendo 
«  eani  in  factis  x)isani  Comunis,  nisi  ei  qui  ad  executionem  factorum  pi- 
«  sani  Comunis  in  provisione  contentorum  seu  continendorum  esset  per 
«  electionem  jjisani  Comunis  seu  dominorum  Antianorum  x)isani  j)opuli 
«  electus  seu  deiJutatus  ex  forma  alicuius  provisionis  dominorum  Antia- 
«  norum  pisani  populi....  Et  quod  dicti  Camerari  ex  forma  alicuius  pro- 
«  visionis  fiende  a  Kalendis  May  i>roxime  venturi  in  antea  nullam  so- 
«  lutionem  facere  jiossint  alieni  persone  vel  loco,  nisi  provisio  sit  revisa 
«  et  api)robata  per  infrascrii)tos  cives  pisanos  eligendo»  ad  infrascriptum 
«  officium,  de  quo  in  x>resentibus  ordinamentis  sit  mentio  et  eorum  si- 
«  gillo  sigillata.  Et  de  predictis  teneantur  dicti  Camerari  ad  penam  dupli 
«  totius  eius  quod  solverint  seu  solvent  contra  dictam  formam.  Et  quod 
«  calculator  et  notarii  Camere  pisani  Comunis  non  jjossit  nec  debeat  ali- 
«  quam  provisionem  contra  dictam  formam  factam  et  non  revisam,  ap- 
«  probatam  et  sigillatam,  ut  predieitur,  admictere,  nec  solutionem  ex 
«  inde  scribere  ad  dictam  penam...  ». 

(1)  Cfr.  Api>endice,  doc.  4. 

(2)  K.  Archivio  cit.,  A.  197,  cap.  CCLXYIIl  «  De  officio  lievisorum 
prorisionum  pecunie  do  in  inoi'um  Antianorum  et  notarii  dictorum  lievisoriim  ». 

(3)  E.  Archivio  cit.,  A.  197,  cap.  CCLXVI  «  Quod  Cancellarius 
«  ])isani  Comunis  et  dominorum  Antianorum  pisani  poimli  et  notarius 
«  <lominorum  Antianorum  et  Notarii  Cancellarie  pisani  Comunis  i>re- 
«  sentes  et  futuri  non  possint  neque  debeant  scribere  nec  sigillare  ali- 
«  quam  provisionem  pecuniariam,  que  fieret  contra  suprascriptam  formam 
«  ad  penam  suprascriptam,  in  qua  pena  possint  et  debeant  a  Sindico  et 
«  Modulatore  officialium  pisani  Conmnis  condempnari  et  intantum  dictus 
«  Sindicus  et  Modulator  teneantur  et  debeant  quemlibet  contrafacientem 
«  condempnare  ».  Cfr.  R.  Archivio  cit.,  A.  81,  e.  2  r.  e  t.,  e.  3  t.,  e.  4  r. 
e  t.,  e.  5  r.;  A.  82,  e.  3  t..  e.  10  r.;  A.  84.  e.  37  t.;  A.  85,  e.  31 1.;  A.  72, 
e.  21  r. 


GLI   ANZIANI   NEL  GOVERNO   DEL   COMUNE   PISANO  81 

tino  di  ogni  settimana  erano  obbligati  a  mostrare  per  aper- 
tum  ftcriptum  agli  Anziani  totum  et  quicquid  quod  receperint 
in  ebdomada  et  totum  id  quod  in  summa  expenderint^  vel  expen- 
dissent  in  ipsa  ebdomada  il). 

Xè  soltanto  per  questo  risjìetto  si  rileva  il  continuo 
affermarsi  del  potere  degli  Anziani  relativamente  alP in- 
terna amministrazione,  poiché  anche  sulle  dogane  di  Pisa 
esercitavano  essi  la  loro  autorità  immediata.  Gli  statuti 
del  1286  attestano  infatti  che  gli  ufficiali  delle  dogane  erano 
eletti  dal  Podestà,  mentre  documenti  posteriori  ci  provano 
che  anche  reiezione  di  questi  ufficiali  fu  più  tardi  affidata 
agli  Anziani,  i  quali  alla  loro  volta  potevano  pel  medesimo 
ufficio  autorizzare  i  Savi  (2).  E  come  nella  Camera  eserci- 
tavano continua  personale  vigilanza,  così  delle  dogane  do- 
vevano controllare  gli  introiti  e  gli  esiti  (3).  Oltre  a  ciò,  gli 
Anziani  avevano  facoltà  di  riformarne  gli  statuti,  quando  lo 
credessero  opportuno  (4:\  di  esaminare  per  mezzo  d^un  notaio 
tutti  i  contratti  attinenti  ad  èsse  (5)  e  di  concedere  la  loro 
autorizzazione  per  Pappalto  delle  gabelle  del  Contado  (6). 

Un'ultima  importante  attribuzione  degli  Anziani  ri- 
guarda il  conio  delle  monete.  Gli  Anziani  erano  tenuti  a 
stabilire  e  indicare  la  forma  di  qualsiasi  moneta  «  nigram 
rei  grossam  »  che  dovesse  coniarsi  (7),  e  ad  eleggere  due  ca- 
pitani o  sopraintendenti  degli  uffici  della  zecca,  un  prova- 
iolo e  un  intagliatore  di  monete,  al  quale  era  anche  affi- 
data la  custodia  dei  coni.  Tutti  costoro  rimanevano  in  carica 


(1)  Breve  jiis.  Com.,  lib.  I,  in  cap.  «  De  Catuerariis  etc.  »  (Bonaini, 
voi.  II,  p.  95). 

(2)  K.  Archivio  eit.,  A.  82,  e.  57  t. 

(3)  Breve  «lei  pop.  e  delle  Conip.,  nel  cap.  CXXIII  (Bonaini,  voi.  II, 
p.  559). 

(4)  Breve  pis.  Coni.  lib.  I,  in  cap.  «  De  introitihus  cabellarum  pisani 
Comunis  »  (Bonaini,  voi.  II,  p.  39). 

(5)  Breve  pis.  Coni.,  lib.  I,  in  cap.  «  Quod  Antiani  teneantur  eligere 
«  unum  notarium  ad  per<juirendum  omncs  oontractus  notariorum  pisane  civi- 
«  tatis,  qui  Jierent  ah  eis,  pertinentes  ad  cahellam  »  (Bonaini,  a'oI.  II,  p.  260). 

(6)  R.  Archivio  cit.,,  A.  33,  e.  270.  Si  autorizza  Giacomo  da  Pec- 
cioli  a  mettere  in  appalto  le  gabelle  di  Pietrasanta. 

(7)  Il  Podestà  aveva  1'  obbligo  di  punire  nelP avere  e  nella  persona 
colui  che  non  rispettasse  questa  disposizione?"  vtutaria.  Cfr.  Breve  pi- 
sani comunis,  lib.  I,  in  cap.  «  De  moneta  »  (Bonaini,  voi.  II,  p.  229). 

Arch.  Stor.  It.,  5."  Sorif^.  —  XXXIX.  6 


82  FERRUCCIO   RIZZELLI 

]}er  nn  semestre:  il  capitano  però  nou  poteva  esser  rieletto 
al  medesimo  ufficio  se  non  dopo  trascorso  un  anno,  mentre 
gli  altri  due  potevano  esservi  subito  riconfermati,  perocché 
i  loro  uffici  richiedevano  una  speciale  competenza  tecnica  (1). 


COXCLUSIOXP]. 

Di  varia  natura  erano  quindi  le  attribuzioni  e  gii 
scopi  di  questo  Collegio  supremo.  In  primo  luogo  rileve- 
remo che  per  quanto  libera  fosse  Fazione  degli  Anziani 
nel  proprio  ufficio,  ciò  non  toglieva  che  per  tutta  Pattività 
dello  Stato  si  richiedesse  una  certa  uniformità  di  scopi  e 
di  vedute.  La  direzione  dello  politica  estera,  affidata  agii 
Anziani,  non  poteva  stare  in  disarmonia  con  i  criteri  ai 
quali  sospirava  Pufficio  militare  del  Capitano  del  popolo,  e 
questo  aveva  il  suo  contraccolpo  nelPamministrazione  finan- 
ziaria, e  questa  nello  stato  economico  della  Repubblica  e  così 
via.  Perciò  nel  governo  della  Repubblica  Pazione  di  ogni  Uffi- 
ciale cospirala  per  Pattuazione  di  tutto  un  insieme  di  idee 
organicamente  connesse:  e  il  discuterle  e  il  determinarle 
era  appunto  uno   degli   scopi   del  Collegio  degli  Anziani. 

Sicché  tutta  la  loro  attività  si  può  riassumere  nel  modo 
seguente:  essi  adempiono  principalmente  ad  una  funzione 
che  potremmo  chiamare  integratrice,  per  la  quale  la  grande 
varietà  di  pubblici  uffici,  divisi  e  suddivisi  per  la  specialità 
delle  incombenze,  è  poi  ricondotta  ad  una  grande  unità, 
che  se  da  un  lato  è  formale,  in  quanto  trasmette  ai  sin- 
goli uffici  quelP  autorità  onde  essi  agiscono,  dalP  altro  è 
anche  effettiva,  nel  senso  che  PAnzianato  elegge  gli  Uf- 
ficiali ordinari  e  straordinari,  o  direttamente  o  indiretta- 
mente per  mezzo  dei  Savi  (2),  impartendo  loro  quelle  norme 
e  quei  criteri,  pei  quali  Pazione  dei  vari  uffici  pubblici 
cospira  armonicamente  al  raggiungimento  dei  fini  che  allo 
Stato  incombono. 


(1)  Breve  pis.  coni.,  lib.  I,  in  ca]).  «  De  caintaneìH.  jrroruiolo.  et  iiital- 
liatore  monete  »  (Bonaini,  voi.  II,  p.  112). 

(2)  R.  ARCHIVIO  cit.,  A.  31,  ce.  49  e  50;  A.  33,  ce.  279  e  539;  A.  34, 
ce.  386  e  388;  A.  36.  ce.  336  e  segg.;  A.  38,  ce.  35,  41,  42,  54,  537  e  539; 
A.  47,  e.  28;  A.  85,  ce.  96,  97,  100,  102  e  107;  A.  93,  ce.  56  e  64. 


GLI    ANZIANI    NKL   GOVERNO    DEL   COMUNE   PISANO  S'ò 

Crii  Anziani  costituirono  dunque  nel  Comune  pisano  il 
niaji'istrato  supremo  ehe  non  riconobbe  altra  autorità  die 
([uclla  degli  Statuti  (1);  quantunque  il  loro  potere  fosse, 
in  certi  casi,  limitato  dal  Capitimo  dal  i)opolo  o  dal  Podestà, 
e  dovessero  ancli\»ssi,  come  tutti  gli  altri  Uftìciali,  ricono- 
scere P  obbligo  di  sottoporsi  alla  modiUatio^  terminato  il 
tempo  del  loro  ulti  ciò.  Ma  questi  magistrati  che  formavano 
il  i)iìi  alto  e  solenne  consesso,  e  che  appunto  per  i  loro  sommi 
poteri  eran  detti  «  (/itberìiatores  et  administratores  reipublicae 
pisanae  »,  non  avevano  come  gli  antichi  magistrati  di  Roma 
repubblicana  il  carattere  àeWhonor ;  erano  anch^essi  conside- 
rati come  veri  e  propri  ofticiali  dello  Stato,  che  avevano 
<iuindi  diritto  ad  un  fendum  collettivo,  il  quale,  dovendo 
solo  servire  al  loro  mantenimento  e  a  quello  della  loro 
famllìa^  ossia  dei  servi  e  degli  impiegati  ad  essi  imme- 
diatamente soggetti,  variava  da  lire  tredici  a  lire  quindici 
di  denari  pisani  al  giorno  (2).  I  Camerari  della  Repubblica 
erano  autorizzati  a  tal  pagamento  absque  casella  (3). 

Ma  (ili  e  (  Te  r  r  a  d'  '  0 1  r  a  nto). 

Ferruccio  Rizzelli. 


(1)  Roxcioxi,  op.  cit.  {Arehirio  Storico  Italiano,  serie  I,  to.  VI,  voi.  I, 
disi».  2\  p.  805). 

(2)  R.  ARCHIVIO  cit.,  A.  197,  cap.  CCCXXXVIII  «  Providerunt  do- 
«  mi  ni  Antiani  pis.  pop.  coiisideraiites  diligenter  extreniitatem  inaonaiu 
«  salarii  librariim  diiodeeim  per  dieiu  qnod  habent.  Eis  concessum  est  a 
«  Comuni  pisano  per.formam  ordinamentorum  pisani  Com.  prò  vietu  suo 
«  et  eorum  Caneéllarii,  notariorum  et  familie,  qui  sunt  intcr  omnes,  ultra 
«  bucelias  triginta,  de  quo  salario  ipsi  domini....  nullo  modo  vivere  x)os- 
«  sunt  nisi  ponerent  de  suo  prox^rio,  quod  non  esset  conveniens  nec  ho- 
«  nestum....  et  maxime  tempore  .iemali,  quo  solum  in  lignis,  que  com- 
«  burnntur  ad  usum  sapientum  i^isane  civitatis  su^ìer  factis  Comunis 
«  singula  €lie  consulentium,  maxima  i)ars  ijìsius  salarii  sux)rascrii)ti  con- 
«  sumitur.  Et  liabito  super  ])redictis  Consilio  et  deliberatione  matura  una 
«  viee  et  pluril)us  cum  sa])ientibus  viris....  ordina verunt  quod  ipsi  do- 
«  mini  Antiani  habeaut  et  habere  x)otuerint  et  X)ossint  et  debeant  a  kal. 
«  Jan.  x>resentis  in  antea  singulo  anno  de  mensibus  Novembris,  Decem- 
«  bris  et  .Januarii  et  Febriiarii,  quibus  multa,  ut  dictum  est,  ligna  com- 
«  burnntur,  singula  die  libras  quindecim  den.  x)is.  sine  cabella  et  omniì>us 
«  aliis  mensibus  totius  anni  singnla  <lie  libras  trcdeeim  den.  pis.  sine 
«  cal)ella  ». 

(8)  R.  Aitcìiivio  cit.,  A.  135,  co.  7  e  sego;. 


8-t  FERRUCCIO   RIZZELLI 


APPENDICE    DI    DOCUMENTI. 
1.  1358  (k.  p.). 

[K.    AicIiìnìo  (li  Stato  in  Pisa.  A.  197.  e.  9o  i .  et.]. 

licrisioue  (Ielle  bor^e  (le(jlì  Anziniii  e/e(/(iibili  fatta  dai  Sari 
per   ordine  di  Gualtiero  IIoeltf<elilifc.  rìeario  (jenerale  di  Carlo  IV, 

Doininice  Incarnationis  anno  millesimo  tregentesimo  quin- 
<luagesimo  octavo,  indietione  undecima,  octaTO  idus  Martii.  Pro- 
videriint  domini  Antiani  ])isani  x)opuli,  utentes  in  liiis  bailia  eis 
actributa,  data  et  concessa  in  niaiori  et  per  niaius  et  generale 
consilium  pisani  Comunis  liodie  celebratum  in  malori  ecclesia  pisana 
et  ratiflcatum  x)er  consilium  pisani  populi,  die  predicto,  prò  bono 
et  ntilitate  pisani  Comunis  et  i>ro  conservatione  boni  et  pacifici 
status  pisani  Comunis  et  populi,  x)artitu  inde  facto  Inter  eos  ad 
denarios  albos  et  giallos  secundum  formam  Brevis  pisani  populi, 
cum  (piam  pluves  ex  intascbaris  in  tascliis  nunc  vigentibus  de  of- 
ficio et  regimine  dominorum  Antianorum  pisani  populi  sint  mortui 
et  quam  plures  in  eis  positi  sint  prò  artifìcibus  prò  artibus,  quas 
non  faciunt  nec  fecerunt  ullo  tem])ore  vt  ex  lioc  dictum  ofiicium  et 
regimen  non  ])ossit  debite  reformari, 

(piod 
infias(ii])ri  sai)ientes  viri  ab  ipsis  dominis  Antianis  super  liiis 
electi  revideant,  calculent  et  cernant  in  presentiis  magnifici  viri 
domini  Gualterii  Hocbschlitz  pisani  etiani  x>ro  imperiali  maiestate 
generalis  \  icarii  et  locum  tenentis  et  una  cum  ipso  domino  Gual- 
terio  omnes  et  singulos  Antianos  existentes  in  dictis  tascliis  et  ex 
inde  extraliant  et  eiciant  omnes  et  singulos  mortuos  nec  non  omnes 
et  singulos  suspectos  Comuni  et  populo  jiisano  et  presenti  statui, 
si  quos  in  eis  esse  invenerit  et  loco  dictorum  mortuorum  et  su- 
spectorum  extraliendorum  et  eiciendorum  de  tascliis  predictis  ac 
etiam  eorum  qui  deficerent  apodixarum  in  dictis  tascliis  nunc  exi- 
stentium,  alios  devotos,  tìdeles  et  amatores  pisani  Comunis  et  populi 
et  status  presentis  cernant  et  in  dictis  tascliis  ponant  et  mictant 
ponendo  et  mietendo  in  eis  priores  prò  prioribus,  mercatores  x)ro 
mercatoribus,  artifices  prò  artifìcibus  usque  ad  expedientem  et  suf- 
ficientem  numeruni  ])i()  residuo  tempori s  prò  quo  diete  tasche  nunc 
vigentes  facte  fuerunt,  dummodo  in  dictis  tascliis  esse  non  possint 
ultra  quindecim  priores  per  singulum  quarterium  pisane  civitatis. 


ULl    ANZIANI    NKL   (.OVERNO   DEL   COMUNE   PISANO  85 

cuniputatis  in  dicto  imiiiero  prioriim  illis  qui  remanebimt  in  dictis 
tascliis  ex  hiis  qui  in  eis  nunc  simt  pio  prioribus  et  illis  qui  de 
novo  in  dictis  taseliis  prò  prioribus  mictentur  seu  ponentur,  ita 
quod  i>ro  niaiori  tempore  vel  in  mai  ori  numero  Antianoruni  in 
dietis  taschis  ponere  vel  mietere  non  possint  v^el  debeant  et  eo8 
sic  ab  eis  de  novo  mictendos  et  alios  qui  in  dictis  tascliis  renia- 
nebunt  ex  liiis  qui  in  eis  nunc  sunt,  apodixent  et  apodixare  possint 
et  debeant  eo  modo  et  sicut  dicto  domino  Gualteiùo  et  dictis  sa- 
pieiitibus  viris  melius  et  utilius  videbitur.  Et  durent  et  durare 
debeant  diete  tasche  eo  tempore  de  quo  in  provisionibus  factis  de 
predictis  taschis  nunc  vigentibus  continetur  et  non  ultra,  con- 
putando  in  dicto  tempore  tempus  preteritum  dictarum  tascharum. 

Et  quod  nullus  de  novo  addendus  sive  ponendus  in  dictis  ta- 
schis vel  aliqua  eanim  prò  priore  possit  vel  debeat  de  eis  vel 
ali«iua  earuni  extralii  vel  esse  Antianus  pisani  populi  prò  priore, 
donec  omnes  priores  sui  quarterii  qui  remanebunt  prò  prioribus  in 
suprascriptis  taschis  nunc  vigentibus  ex  eis  qui  in  dictis  taschis 
nunc  sunt  et  tempore  eoruni  extra  ctionis  ad  dictum  officium  prio- 
ratus  habiles  fuerunt,  ad  dictum  olhcium  prioratus  liabendum 
fuerint  de  dictis  taschis  extracti.  Et  si  (luis  ex  predictis  de  novo 
mictendis  et  ponendis  in  dictis  taschis  prò  prioribus  extraheretur 
de  dictis  tascliis,  ante  quam  predicti  omnes  qui  in  dictis  tascliis 
remanebunt  prò  prioribus  ex  eis  (jui  in  dictis  taschis  prò  prio- 
ribus nunc  sunt,  fuerint  de  dictis  taschis  extracti  eo  modo  et 
forma,  de  quibus  supra  dictum  est,  eius  apodixa  reponatur  et 
remictatur  in  tasclia  priorum  spicinatorum  sui  quarterii,  et  alius 
habilis  ad  dictum  officium  ex  hiis,  qui  nunc  sunt  in  dictis  tascliis, 
et  in  eis  prò  prioribus  remanebunt,  extraliatur  loco  sui  ad  dictum 
ottìcium  prioratus.  Et  idem  per  omnia  fiat  et  observetur  de  mercato- 
ribus  et  artilìcibus  in  dictis  taschis  de  novo  mictendis  et  ponendis. 

Et  quia  utile  et  necessarium  est  Comuni  pisano  officium  An- 
tianatus  virtuosis  et  bonis  liominibus  reformari,  statuerunt  et  ordi- 
naverunt  et  disposuerunt  prò  utilitate  x)isani  Comunis  et  populi 
quod  pontonarius  pontis  veteris  i)isiane  civitatis  presens  in  officio 
et  ojM'rarius  pontis  de  mari  sive  opere  sacti  Ranierii  dicti  pontis 
de  mari  presens  in  officio  possint  esse  Antiani  pisani  populi,  si 
in  dictis  tascliis  sunt,  sive  in  eis  de  novo  ponerentur,  sive  micte- 
rentur,  non  obstantibus  predictis  eorum  officiis.  De  aliis  vero  va- 
cationil)us  dicti  officii  Antianatus  et  de  sigillis  dictarum  tasclia- 
rum  et  cai)sa  earundem  et  clavibus  diete  capse  et  aliis  omnibus  et 
singulis  serventur  et  servari  debeant  provisiones  et  ordinamenta 
facte   et   factìi  de  et  super   suprascriptis    taschis  nunc  vigentibus. 


^'>  FERRUCCIO    RIZZELLI 

2.  1361,    luglio  2H   (s.   p.). 

|K.  Arcliivio  (li  Stato  in  Pisa.   A.  107.  e.  SU  t.  e  se-i-i.]. 

Prorrinioue   fafld  dai   Sari  sul/e  h<>r.<i('  (leijlì  A n ciani 
e  (lei  loro   ( 'aìtccììieri  e   Xofari. 

CoiiKiliuiii  sen;itu<  et  ciedeiitie  (loiiiiiiornui  Aiitlnanoruiii  pisani 
])oinili  et  eoriini  consilii  miiioris  et  maioris.  videlicet  decem  per 
qiiarteriuin  et  oeto  ])()])iili  eoiisiiliini  maris,  eonsulum  mercatoriini, 
consulum  artis  lane,  capitaneoruni  et  priorum  septem  artiiim.  et 
quiiuleeiiii  sa}>ieiitiiiii  viroruiii  per  (jiiodlilK  t  ([uarterium  pisane  ci- 
vitatis  a  dominio  Antiani.s  pisani  pox)nli  eleetornni  et  hnic  Consilia 
additormii  secundnm  formam  Brevis  pisani  Coniunis  a  nobili  et  po- 
r<'nt<'  \  irò  domino  Chino  Marcinone  de  C'ivitella  pisanornni  pote- 
state  snb  sacramento  petitum. 

Cnm  intellexeritis  nnnc  corani  vol»is  le.ui  et  explanari  i)rovi- 
sionem  dominoriim  Antianonim  pisani  i)opnli  snprascriptam  lioc 
anno  et  indictione,  quarto  kalendas  Angusti,  de  et  super  ordina- 
mentis  tascliarum  dominorum  Antianonim  pisani  populi,  cancella- 
riorum  pisani  Comunis,  cancellarioriim  <lominorum  Anthianornni 
]>isani  populi,  cancellariorum  lucani  Comunis  et  notaiiorum  ipsoriim 
dominorum  Antianorum  pisani  ])opuli  niiper  coiiticiendarum  et  de 
aliis  et  super  aliis  in  dieta  provisione  et  ordinamentis  compreliensis; 
cuius  quideni  ])roYÌsionis  et  ordinamentorum  tenor  talis  est: 

Dominice  Incaniationis  anno  millesimo  trecentesimo  sexage- 
simo  primo,  indictione  tertia  decima,  quarto  kalendas  Augusti. 
Providerunt  domini  Antiani  pisani  populi,  partitu  facto  inter  eos 
ad  <lenarios  albos  et  giallos  secundnm  formam  Brevis  pisani  populi, 
et  providendo  ratitìcaverunt,  conlirmaverunt  et  approbaverunt  in- 
frascriptam  provisionem  sapientum  virorum  pisane  civitatis  ad  liec 
a  dominis  Antianis  pisani  populi  electoriim  t'actam  suprascriptis 
anno  et  indictione.  ([uinto  kalendas  Augusti  in  omnibus  et  per 
omnia  i)rout  et  sicut  in  ea  continetur  et  i)lenius.  Cuius  quidem 
provisionis  tenor  talis  est:  Su^H'ascriptis  anno  et  indictione,  quinto 
kal.  Augusti.  Providerunt  infrascripti  sapientes  viri  super  biis  a 
dominis  Antianis  pisani  populi  electi  ])ro  e\  identi  utilitate  pisani 
Comunis  et  prò  quiete,  pace  et  eijiiitate  civium  pisanorum  et  paci- 
fico statii  ])isane  civitatis  saliibiiter  conservandis 

(jiiod 
ofHcium  et  regimen  Antianatus  pisani  po])uli   leformetur  et  refor- 
mari   possit  et  debeat  ]n*o  duolms  annis  et  sex  mensibus  inci]»iendis 


Gl.l   ANZIANI    NEL   GOVERNO    DEL   COMUNE   PISANO  87 

in  kaleiulis  Noveiiibiis  proxime  veiitiiri  per  nioduni  tascliaium  et  eo 
modo  et  fonila,  de  ([iiibus  et  pront  inferins  deelarabitur,  videlicet 

(  pioti 
V  Un'iio  si  ve  eleetioiies  et  taseìie  domiuorimi  Aiitliiaiioriini  pisani 
p(»pnli  tìant  et  tieii  possint  et  debeant  de  prioribus  ipsoruni  donii- 
nonim  Antianonnn  pio  tribiis  annis  et  durent  et  durare  possint 
tantnmniodo  annis  duobus  et  mensibus  sex  tantum,  incipiendis  in 
dietis  kalendis  Xovembris  proxime  venturi.  ì)e  mercatoribus  vero 
er  artitlcibus  prò  annis  quattuor  et  durent  et  durare  possint  et  de- 
beant duobus  annis  et  mensibus  sex  tantum,  ut  sujìra  dictum  est 
de  prioribus,  incipiendis  in  dictis  kalendis  Xovembris  proxime 
venturi.  Et  tìant,  ut  supra  dicitur,  videlicet 

quod 
eligantiu-  per  dominos  Antianos  pisani  populi,  nunc  in  officio  exi- 
stentes,  sapientes  (piadraginta  poxmlares  de  melioribus  et  suificien- 
tioribus  civitatis  pisane,  videlicet  decem  per  quodlibet  quarterium 
civitatis  i)isane,  et  octo  sa^iientes  eligantur  et  eligi  possint  per  Magni- 
ticujn  dominum  dominum  Gualterium  imperialem  vicarium  etc.  de 
melioribus  et  sufficientioribus  diete  civitatis,  videlicet  duo  per  quar- 
terium in  electores  et  prò  electoribus  dictorum  dominorujn  Antia- 
norum  eligendorum.  De  (juibus  vero  factis  omnibus  electoribus  duo 
a<l  minus  et  usqiie  in  tres  ad  voluntatem  dominorum  Antliianoruni 
prò  quolibet  quarterio  pisane  civitatis  sint  et  esse  debeant  artitìces 
et  de  sei)tem  artibus  x>isane  civitatis.  Quibus  electis,  cohadunentur 
et  habeantur  in  presentia  pretati  magnifici  domini  domini  Gualterii 
et  in  eius  palatio,  ubi  sint  Cancellarius  maior  pisani  Comunis  et  Can- 
cellarius  dominorum  Antianorum  pisani  populi  et  non  alius  Ael  alii. 
Et  sic  cohjidunati  nominent  et  nominare  possint  et  tacere  scribi 
prò  Antianis  in  priores  et  prò  prioribus  (pioscumque  volent,  vi<lelicet 
usque  in  tres  prò  (piolibet  eorum  tantum.  Et  facta  dieta  nomina- 
rione,  priores  predicti  nominati  scruj^tinentur  per  dictos  quadra- 
ginta  octo  sapientes  ad  scruptineum  secretum  ad  denarios  albos  et 
giallos,  ut  infra  dicitur,  videlicet  (piod  de  quolibet  et  prò  quolibet 
nominato  in  priorem  sive  prò  priore  fiat  scruptineum  secretum  et 
}»artitus  ad  denarios  albos  et  giallos.  Et  ille  et  illi  qui  habuerit  et 
habuerint  maiorem  partem  vocum  dictorum  electorum  sive  de  <pio 
vel  quibus  maior  pars  dictormn  electorum  concordabit,  scribatur  et 
signetur  prò  facto  priore.  Et  illi,  in  quibus  maior  pars  non  concor- 
<labit,  scribantur  et  signentur  prò  non  factis.  Xicliilominus  tamen 
omnes  tam  facti  (]uani  non  facti  signentur,  quot  voces  habuerint  in 
partitu  de  eis  facto,  cpio»!  quidem  scruptineum  recipiatur  per  prefa- 
tum  dominum  Gualterium  et  Cancellarios  suprascriptos.  De  quibus 


88  FERRUCCIO   RIZZELLI 

vero  prioribus  eligantur  et  cernantur  tle  dictis  scriiptinatis  decein 
octo  priores  in  quolibet  et  de  quolibet  quarterio.  Et  facta  dieta  cerna 
et  electione,  ut  siipra  dicitur,  illi  qui  erunt  creti  per  dictum  domi- 
num  Gualtei'ium  prò  factis  prioribus,  modo  predicto,  intelligantur 
et  8int  priores  prò  dicto  tempore  duorum  annorum  et  mensium  sex. 
Et  si  contigerit  quod  illi  ex  dictis  prioribus  qui  essent  signati  et 
scripti  prò  factis  dicto  modo,  non  essent  ad  suftìcientiam  sive  nu- 
mero necessario  prò  dictis  decemocto  antianatibus  ;  et  si  reperi- 
rentur  scripti  et  signati  prò  factis  plures  quam  essent  necessarii 
prò  dictis  decemocto  antianatibus,  per  prefatum  dominum  Gualte- 
rium  reducantur  ad  decem  et  octo  tantum,  dimictendo  illos  qui 
pauciores  voces  liabuerint.  Et  si  in  pluri  rei  minori  quantitate  eve- 
nerit  casus  quod  aliciui  essent  in  pari  numero  vocum,  fìat  per  di- 
ctum dominum  Gualterium  et  Cancellarios  predictos  inde  ad  sortem 
scilicet  per  apodixas  lioc  modo,  quod  cui  ex  eis  venerit  apodixa 
piena  sit  prior,  si  erit  de  illis  in  quibus  numerus  defìceret.  Et  si 
erit  de  illis  in  quibus  numerus  excederet  et  sibi  venerit  apodixa 
piena  ad  sortem,  sit  prior.  Quod  quidem  scruptineum  et  partitus 
predictos  predicti  Cancellarii  teneantur  tenere  in  credentia  et  se- 
creto et  nemini  di  cere  vel  pandere  sub  iuramento.  Et  facta  electione 
predictorum  iniorum,  ut  dictum  est,  electores  predicti  in  et  de  suo 
et  prò  suo  quarterio  tantum  nominent  et  nominare  possint  et  fa- 
cere  scribi  prò  Antianis  in  mercatores  vel  artilices  quoscumque 
volent,  videlicet  usque  in  sex  tantum  prò  mercatoribus  et  usque 
in  alios  sex  tantum  prò  artificibus  i^ro  quolibet.  Et  facta  dieta  no- 
minatione  dictorum  mercatorum  et  artifìcum,  scruptinentur  per  di- 
ctos  quadraginta  octo  sapientes  ad  scruptineum  secretum  ad  de- 
narios  albos  et  giallos,  ut  infra  dicitur,  videlicet  quod  de  quolibet 
et  prò  quolibet  nominato  per  mercatorem  vel  artiflcem  fiat  scru- 
ptineum secretum  et  partitus  ad  denarios  albos  et  giallos.  Et  ille 
et  illi  qui  habuerit  et  liabuerint  maiorem  partem  vocum  dictorum 
electorum  sive  de  quo  vel  quibus  maior  pars  dictorum  electorum 
concordabit  scribantur  et  signentur  prò  factis  Antianis  prò  mer- 
catoribus et  artificibus.  Et  illi,  in  quibus  maior  pars  non  concor- 
dabit, scribantur  et  signentur  non  factis,  nichilominus  tamen  omnes 
tam  facti  quam  non  facti  signentur  ({uot  voces  liabuerint  in  partita 
de  eis  facto.  Quod  quidem  scruptineum  recipiatur  i)er  prefatum  do- 
minum Gualterium  et  cancellarios  supradictos,  ut  supra  dictum 
est  de  prioribus.  De  quibus  vero  mercatoribus  et  artificibus  eli- 
gantur et  cernantur  per  prefatum  dominuui  Gualterium  de  dictis 
scruptinatis  viginti  quactuor  mercatores  et  viginti  quactuor  arti- 
fices  in  (piolibet  et  de  quolibet  (piarterio  pisane  civitatis.  Et  facta 


(ìli    anziani    XKl.   I.UVEHXO    DEL   COMUNE    PISANO  89 

iliota  cernii  et  electione,  ut  siipia  (licitar,  illi  qui  erunt  creti  per 
predictum  doiuinuni  Gualteriuni  prò  factis  Antianis,  prò  mercato- 
ribus  vel  artitìcibus.  modo  predicto,  iutelligantur  et  sint  Antiani 
prò  niercatoribus  et  artitìcibus  prò  dicto  tempore  duorum  annorum 
et  mensium  sex.  Et  servetur  et  fiat  In  eis  et  de  eis  modus  et  forma, 
qui  et  «pie  servari  debet  in  jivioribus  ipsorum  Antianorum,  de  qui- 
bus  supra  tìt  mentio. 

Et  facta  electione  dictorum  Antianorum  tam  priorum  quam 
mer«*atorum  et  (piani  artiticum  eo  modo,  ut  dictuni  est,  Antiani 
omnes  predirti,  sicut  dictum  est,  sive  eorum  nomina  apodixentur 
et  scribantur  per  suprascriptos  cailcellarios  in  presentia  prefati  do- 
mini Gualterii  in  apodixis  siniplioibus  sive  spicinatis  tantum,  dum- 
modo  in  (jualiliet  npodixa  ponatur  sive  soribatur  unus  Antianus 
sive  nomen  unius  Antiani  tantum.  Et  si  (piis  vel  si  (pii  ex  toto 
proliibitus  vel  proliibiti  esse  Antianus  vel  Antiani  secundum  pre- 
sentia ordinamenta,  electus  vel  electi  fuerit  vel  fuerint  Antianus 
vel  Antiani,  non  ponatur  vel  ponantur  in  dictis  tascbis  vel  aliqua 
earum,  sed  sint  ac  si  electi  non  essent.  Et  Cancellarii  predicti  sub 
iuramento  teneantur  talem  vel  tales  sic  electuni  vel  electos  non 
ponere  vel  mietere  in  dictis  taschis  vel  ali(pm  earum.  Et  (piod  fiant 
(juactuor  tascbe  priorum,  videlicet  una  prò  quolibet  quarterie,  in 
quarum  (pialibet  ponantur  et  mictantur  priores  decem  octo  illius 
(piarterii.  Et  similiter  fiant  quactuor  tasche  mercatorum  et  quactuor 
artifirum,  videlicet  una  prò  quolibet  (piarterio  dictorum  mercato- 
rum  et  similiter  artificum.  In  (piarum  (^ualibet  dictorum  mercatorum 
ponantur  et  mictantur  viginti  tpiattuor  mercatores  et  in  qualibet 
artificum  ponantur  viginti  (piattuor  mercatores  et  in  qualibet  ar- 
tificum i)onantur  viginti  (piattuor  artifices.  Et  omnes  predicte  tasche 
predictorum  Antianorum  sigillentur  et  aperiantur  prout  et  sicut  in 
cai>itulo  Brevis  pisani  populi  lotpiente  de  taschis  Antianorum,  quod 
incipit  qiioniam  ad  rem  sacram  lathis  conUnetur^  et  ponantur  et 
stent  in  ca])sa  solita,  cuius  claves  unam  teneat  prior  dominorum 
Antianorum  et  aliam  Cancellarius  maior  pisani  Comunis,  ut  moris 
est.  Et  postea  singulis  duobus  mensibus  videlicet  per  dies  decem 
ante  exitum  Antianorum,  (jui  tunc  fuerint,  de  dieta  tascha  Antia- 
norum in  (jua  erunt  diete  apodixe  spici  nate  per  dominum  cajjita- 
neum  i>isani  i)<)piili  Ael  eiui^  viearium  in  sala  palatii  pisani  populi 
in  presentia  Consilii,  ut  moris  est,  extrahantur  et  extrahi  debeant 
ad  fatum  (piactuor  priores,  (piatuor  mercatores  et  quatuor  artifices 
dictarum  tascharum,  scilicet  unus  prior,  unus  mercator  et  unus  ar- 
tifex  cuiustpie  (piarterii  pisane  civitatis,  ita  tamen  quod  in  extra- 
ctione  artificum  infrascriptus  modus  servetur,  videlicet  (piod  prima 


90  FERRUCCIO   RIZZELLI 

vice  qua  extralieiitiir  Antiani  de  dictis  taschis,  extraliatur  et  extraìii 
(lebeat  primo  miiis  artifex  de  tasclia  artifìcum  qiiartevii  pontÌ8,  .se- 
cuiida  vero  vice  extraliatur  primo  uiius  ai-tifex  «le  ta*»cha  artifìcum 
qua.rt<erii  H\e<lii,  t-ertia  vero  vice  extraliatur  primo  uiius  artifex  de 
tasclia  artiiicum  quarterii  forisporte  et  (]uarta  vice  extraliatur  primo 
uuus  artifex  <le  tasclia  artifìcum  (piarterii  Kintlnce.  Et  sic  fìat  con- 
tinuo per  circuluni  in  quolibet  quarterio  pisane  civitatis  durante 
dieta,  tasclia  temj)ore  extractionis  ipsorum  Antianorum,  extractis 
primo  prioribus  et  mercatoribus.  Et  illi,  qui  sic  extracti  erunt, 
sint  et  esse  intelligantur  Antiani  prò  illis  duobus  mensibus  tunc 
proxime  venturis.  Veruni  si  aliquis  vel  aliqui  extractus  vel  extracti 
fuerit  vel  fuerint  i)ro  Antiano  vel  Antianis,  qui  secundum  presentia 
ordinamenta  esse  non  possit  vel  possint  X)ro  illa  A'ice,  alius  vel  alii 
liabilis  vel  habiles  extrahatur  vel  extraliantur  loco  eius  vel  eorum 
de  tascha  vel  taschis,  de  qua  vel  quibus  extractus  vel  extracti  fuerit 
vel  fuerint.  Et  si  in  dictis  taschis  vel  aliqua  earum  non  reperire- 
tur  aliquis  qui  illa  vice  posset  esse  Antianus  tempore  extractionis, 
tunc  et  in  dicto  casu  Antiani  presentialiter  extracti  de  dictis  ta- 
schis, qui  comode  liaberi  poterunt,  eligant  illuni  vel  illos  qui  de- 
fìceret  vel  defìcerent  in  dicto  Antianatii,  eligendo  pei-sonam  vel 
personas  habilem  vel  habiles  ad  dictum  ofìicium  habendum,  secun- 
dum presentia  ordinamenta. 

Et  prior  dominorum  Antianorum  tunc  in  ofìicio  existentium 
teneatur  sub  iuramento  ipsa  die  extractionis  predictorum  Antia- 
norum facere  ipsos  Antianos  coliadunari  in  palatio  ipsorum  An- 
tianorum in  aliquo  convenienti  loco  illos  qui  comode  liaberi  ])o- 
terunt  ad  faciendum  et  tìeri  facere  i)er  eos  electionem  dicti  talis 
Antiani  vel  Antianorum,  qui  in  eorum  Antianatu  defìceret  vel  de- 
fìcerent, ut  dietimi  est.  Et  dictus  talis  Antianus,  vel  Antiani  extra- 
ctus vel  extracti  non  valens  vel  valentes  esse  illa  vice  Antianus 
vel  Antiani  reponatur  et  reponantur  in  tascham  vel  taschas  nude 
extractus  vel  extracti  fuerit  vel  fuerint.  Cui  electioni  et  electoribiis 
intersint  Cancellarius  inaior  pisani  comunis  et  Cancellarius  dojui- 
noruni  Antianorum  pisani  populi  vel  salteni  unus  eorum,  si  alter 
esset  impeditus  et  non  alius  vel  alii. 

Et  quod  infrascripti  per  hec  ordinamenta  prohibeantur  e.sse 
ad  dictum  olfìcium  Antianatus,  (luando  extra lierentur  de  taschis  i)re- 
dictis  sive  eligerentur  et  loco  eorum  debeant  extrahi  et  esse  alii 
habiles,  videlicet: 

Operariiis  pisane  maioris  ecclesie.  Operarius  sancte  Marie  de 
ponte  novo.  Ultra  unum  de  foriiitoribus  castrorum  et  roccharum 
pisani  Comunis,  eis  existentibus  in  dictis  ofìiciis.  Possit  tamen 
esse  Antianus   ille   ex   eis  qui  ftniret   ofììcium   suum   tempore  <iiio 


GLI    ANZIANI    NEL  GOVERNO   DEL   COMUNE   PISANO  91 

haberet  iiitraiv  atl  Uictiuii  otìiciuin  Antianatus  taiitiiin.  Et  eo  exi- 
sreiite  Antiano  modulali  non  debeat  de  officio  quod  habuisget. 
C'aneellarius  ad  lioteras  tam  ille  <iui  tempore  extractìonis  esset 
in  officio  qnam  ille  i\m  esset  intraturus  ad  officium  tempore  quo 
intrare  deberet  ad  officium  Antianatus.  Cancellarius  pisani  co- 
munis  ad  Consilia  et  provisiones  et  cancellarius  dominorum  Antia- 
noium  pisani  populi,  et  similiter  notarius  Antianorum  existentes 
in  officio  et  ille  qui  esset  intraturus  ad  officium,  ut  supra.  Doa- 
neriiis  «loane  salis  in  Plumbino.  Doanerius  doane  salis  in  Casti- 
lione  ])iscliarie.  Doanerius  <loane  salis  in  8arzana.  Doanerius  vene 
t'eiii  de  liba,  eis  existenribus  in  dictis  officiis.  Et  etiam  Castel- 
lani et  Rectores  Luce,  fornitor  eastiorum  et  Roccliarum  de  Luca 
et  (juilibet  alius  qui  tempore  quo  intiare  deberet  ad  officium  An- 
tianatus, esset  in  alitino  officio  pisani  Comunis  in  civitate  vel  di- 
strictu  lucano  eis  existentibus  in  officiis  et  etiam  ex  quo  electi  es- 
sent  ad  ea  et  illa  officia  iurassent  et  acceptassent  seu  illa  iurare 
«  t  acceptare  conpelli  possent. 

Potestas,  Capitaneus,  Index  et  Castellanns  cuiusque  terre  pisani 
Comunis  seu  que  distringantur  per  Comune  pisanum  eis  existentibus 
in  officiis  iJiedictis,  et  etiam  ille  qui  esset  intraturus  ad  aliquod 
dictorum  officiorum  tempore  quo  intrare  deberet  ad  officium  An- 
tianatus. Et  idem  intelligatur  de  potestate  Suvereti  et  de  potestate 
Scherlini  et  de  vicariis  pisani  et  lucani  comitatuum.  Possit  tamen 
esse  Antianus,  (luando  extralieretur  vel  eligeretur,  quilibet  predi- 
ctoiiim  officialium  qui  lìniret  officium  suum  tempore  quo  intrare 
deberet  ad  officium  Antianatus,  tamen  eo  existente  Antiano  de  of- 
iicio,  quod  liabuisset,  modulari  non  possit  vel  debeat. 

Absens  a  civitate  pisana  per  miliariji  sexaginta  a  civitate  pi- 
sana numeranda,  dum  tamen  non  intelligatur  de  absentibus  a  dieta 
civitate,  cpii  essent  in  comitatu  vel  districtu  i)isano,  licet  essent 
absentes  a  dieta  civitate  per  miliaria  sexaginta. 

Ille  qui  non  vacasset  a  dicto  officio  per  mensem  decem  et  octo. 

Ultra  unum  de  eadem  domo  sive  patrimonio. 

Ultra  unum  de  una  et  eadem  arte. 

In  uno  et  eodem  Antianatu  esse  non  possit  tiliiis,  frater  car- 
nalis  vel  uterinus,  nepos  carnalis,  patruus,  avnnculus,  frater  pri- 
mocosinus,  socer  et  gener. 

Et  qui  iurati  non  essent  in  populo  pisano  et  non  diligentes 
bouum  statum  pisani  Comunis  et  popiili. 

Et  qui  nati  non  essent  de  legiptimo  matrimonio,  intascliari  et 
esse  possit  unus  prò  quolibet  (luarterio  pisane  civitatis  tantum. 
Dummodo  ipsi  tales  intascliandi  non  nati  de  legitimo  matrimonio 
sint  et  esse  debeat  {sic)  legiptimati  tempore  quo   extraberetur  ad 


92  FERRUCCIO    RIZZELLI 

dietimi  officium  Antiaiiatus.  J^t  8i  tempore  quo  ad  dictum  ortìciuiu 
Antianatus  extralierentiir,  legiptiinati  non  esseht,  non  possint  vel 
debeant  ipsi  vel  aliquis  eorum  esse  Antianus  vel  Antiani  et  donec 
legiptimatus  vel  legiptimati  non  fuerit  vel  fnerint,  durante  dieta 
tasclia.  Et  lieeat  eancellariis  pisani  Coniunis  et  dominorum  Antia- 
norum  pisani  populi  unum  per  quarterium  pisane  eivitatis  tantum 
de  non  natis  de  legiptimo  matrimonio  in  tascliis  ipsorum  Antia- 
norum  intasehare.  Et  si  aliqui  essent  in  paribus  vocibus,  de  eis 
servetur  forma  supra  tradita. 

Et  qui  nati  non  essent  in  eiA^tate  pisana  vel  eius  distri  e  tu 
ipsi  vel  eorum  patres. 

Et  minores  annis  viginti  quinque. 

Et  usurarli  qui  ex  publica'fama   liaberentur  publici   usurarii. 

Et  qui  aliquo  tempore  in  eivitate  Pisarum  vel  eius  distrietu 
feeerint  galicam  ipsi  vel  eorum  patres. 

Et  qui  fideles  essent  alieuius  de  patrimonio  vel  alieuius  alte- 
rius  persone  layce  pisane  eivitatis  vel  distrietus,  de  qua  fìdelitate 
esset  publicum  instrumentum. 

Et  omnes  de  septem  artibus  prò  arte  aliqua  qui  artem  suam 
prineipaliter  et  direete  eontinue  tamquam  magister  de  ipsis  arti- 
bus  non  exereeant  et  exereuerint  a  die  qua  extraetus  fuerit  An- 
tianus iwY  triennium  ad  minus,  et  qui  fuissent  rebelles  pisani  Co- 
munis  prò  gueltìs  vel  descendentes. 

Et  <iui  tempore  extractionis  esset  in  eareeribus  pisani  Co- 
munis,  quacumque  de  causa,  non  x)ossit  vel  debeat  esse  Antianus 
prò  illa  viee  ullo  modo  et  sic  servetur  et  fiat  durante  dieta  taselia, 
Aliqua  vero  alia  exceptio  vel  contrarietas  non  obstet  nec  obstare 
debeat  ijisis  Antianis  extrahendis  vel  eligendis  de  dictis  taseìiis 
vel  ad  OS,  sed  debeant  ad  ipsum  officium  iurandum  et  exercendum 
cogi,  nulla  alia  exceptione  obstante. 

Et  (luod  Antiani  predicti  vel  aliquis  eorum  non  possint  a  el 
debeant  ire  prò  potestate  vel  eapitaneo  pisani  populi  quando  ve- 
nirent  ad  palatium  vel  ad  ecclesiam  maiorem  vel  ad  alium  locum, 
nec  eos  vel  aliquem  eorum  somare  quando  recederent  a  palatio  vel 
ab  ec^clesia  vel  alio  loco.  Et  de  lioc  teneantur  iuramento  et  pena 
arbitrio  modulatorum  eorum. 

Et  si  quis  artifex  de  septem  artibus  de  dictis  tascliis  extraetus 
fuerit  Antianus  vel  electus  ad  os  prò  priore  vel  mercatore  et  talis 
extraetus  sive  electus  si  fuerit  notarius,  ipse  notarius  ab  inde  in 
antea  eligi  vel  esse  non  possit  ad  aliquod  officium  notarie  pisani 
Comunis  nec  eius  artem  ullo  modo  exereere.  Et  si  exerceret  ullo 
modo  dictam  artem  vel  aliquod  officium  notarie  pisani  Comunis, 
non  valeat  nec  teneat  illud  quod  faeeret  vel   gereret   in   dieto  of- 


'il.l    ANZIANI    NEL   (tUVEHNO   DEL   COMUNE    PISANO  93 

lirio  aliqiio  modo  vel  iure.  Et  iiicìiiloiiiiims  ])08sit  et  debeat  pniiiri 
et  eondemimari  a  Sindieo  et  Modulatore  ofticialium  pisani  Comii- 
iiis  totieiis  quotieiis  lioc  fecerit  in  libri»  centum  denariorum  pisa- 
noriim.  FA  ai  fuerit  alius  artifex  vel  de  alia  arte  de  septem  artibiig;, 
ab  inde  in  antea  eligi  vel  esse  non  })OS8Ìt  ad  aliquod  offieium  sue 
artis.  Et  etiam  si  dictus  talis  artifex  sic  electus  Antianus  prò  priore 
A  el  mercatore  acceptaverit  et  exercuerit  et  postea  aliquod  offieium 
sue  artis  exercuerit,  numquam  esse  possit  Antianus  pisani  populi 
aliquo  modo  vel  iure,  et  nichilominus  si  dictam  eius  artem  exer- 
cuerit vel  aliquod  offieium  sue  artis  acceptaverit  et  exercuerit  in 
libris  centum  denariorum  pisanorum.  Et  quod  predicti  domini  Ca- 
pitaneus  pisani  poi)uli  et  Sindicus  et  ]\lodulator  officialium  pisani 
Comunis  teneantur  et  (^uilibet  eorum  teneatur  sub  iuramento  et 
l»ena  librarum  centum  denariorum  pisanorum  prò  quolibet  eorum 
quotiens  contrafecerint  vel  remissi  fuerint  vel  contrafecerit  vel  re- 
missus  fuerit  ab  eorum  et  cuiusque  eorum  modulatoribus  auferenda. 

Et  quod  nullus  de  eligendis  et  intaschandis  prò  Antianis,  ut 
dictum  est,  esse  possit  Antianus,  durante  dieta  tasclia,  nisi  semel 
tantum. 

Et  quod  in  quolibet  Antianatu,  durantilnis  dictis  taschis,  sit 
et  esse  debeat  unus  notarius  prò  Antiano  de  intascLatis  in  dictis 
taschis.  Et  si  nullus  notarius  reperiretur  esse  in  dictis  taschis  An- 
tianorum  vel  si  in  eis  nullus  reperiretur  habilis  ad  dictum  offieium 
habendum,  tunc  et  in  eo  casu  eligatur  et  eligi  possit  ad  os  x^^i' 
alios  Antianos,  qui  tunc  de  dictis  taschis  ad  dictum  offieium  An- 
tianatus  electi  sive  extracti  fuerint,  vel  maiorem  partem  eoruni 
immediate  post  eorum  electioneni  sive  extractionem  ad  dictum  of- 
fieium de  dictis  taschis  unus  bonus  et  sufficiens  notarius  de  col- 
legio notariorum  pisane  civitatis  habilis  ad  dictum  offieium  in 
Antianum  et  prò  Antiano  pisani  populi  prò  duobus  mensibus  tunc 
proxime  secuturis.  Cui  electioni  sic  fìende  intersint  et  interesse  de- 
beant  Cancellarius  maior  pisani  Comunis  ad  provisiones  et  Consilia 
et  Cancellarius  dominorum  Antianorum  pisani  populi  vel  saltem 
unus  ex  eis,  si  alter  impeditus  esset  et  non  alius  vel  alii. 

Et  quicumque  nominatus  et  scruptinatus  fuerit  prò  priore  do- 
minorum Anthianorum  pisani  j)opuli  non  possit  vel  debeat  nomi- 
nari  vel  scruptinari  prò  mercatore  vel  artifice.  Et  idem  fiat  et 
servetur  de  mercatoribus  et  artificibus.  Et  quicumque  fuerit  no- 
minatus vel  scruptinatus  prò  Antiano  pisani  populi,  non  possit 
vel  debeat  nominari  prò  Cancellario  pisani  Comunis  vel  Cancel- 
lario  dominorum  Antianorum  ijisani  populi  aut  Cancellario  lucani 
Comunis,  nec  etiam  prò  notario  dominorum  Anthianorum  pisani 
j)opuli.  Et  quicunupie  nominatus  vel  scruptinatus  fuerit  prò  Can- 


94  FERRUCCIO   RIZZET>Lr 

ct'llurio  pisani  Comniiis,  non  possit  ve!  debeat  noniinari  vc4  scrii- 
ptinari  prò  Cancellario  (loniinonini  Antianoriim  pisani  ])opuli  aiit 
Canci'llario  lucani  Comunis.  Kt  (juicniiKiiic  fiicvif  noniinatus  voi 
scniptinatus  prò  Cancellario  dominovuni  Antianoruni  i)isani  j)opuli, 
non  i)ossit  ypl  debeat  noniinari  vel  sciuptinari  prò  Cancellario 
lucani  Conninis  vel  doniinormn  Antliianorum  i)isani  populi.  P]t 
idem  liat  et  seivetur  de  notavi i;^  dominorum  Antianorum  pisani 
populi.  Et  8i  noniiiniti  vel  scru])tinati  forent,  ipsorum  vel  alicuius 
eorum  nominatio  <'t  sciuptinatio  non  valeat  nec  teneat  ullo  modo  ; 
set  i])so  iure  sit  irrita  et  inanis.  Et  quod  Cancellarli  pisani  Co- 
iiiuiiis  et  dominorum  Antianorum  pisani  populi  vinculo  iuramenti 
teneantiir  nullum  de  nominatis  vel  scru[)tinatis  contra  dictam 
formam  intascltaie  in  ali(iiiam  «lictarum  tascliarum  ad  penam  eis 
et  cuius(iue  eoruni  a  Siudico  (^t  Modulatoi'e  ofticialium  pisani  Co- 
munis. si  contrafec-erint,  eius  arbitrio  auferendam. 

Et  (]uicum<pie  non  fuerit  Antianus  pisani  populi.  non  possit 
A'el  debeat  iilb»  modo  nominar!  vel  scruptinari  i)r<)  ])riore  domi- 
norum Antianorum  pisani  i>opuli,  et  si  nominatus  vel  scruptinatus 
fuerit,  di(^ta  nominatio  vel  scruptinatio  non  valeat  nec  teneat, 
set  ii^so  iure  sit  irrita  et  inanis.  Et  quod  Cancellarii  pisani  Co- 
munis et  dominoium  Antianorum  pisani  populi  vinculo  iuramenti 
teneantur  nullum  nominatum  vel  scruptinatum  contra  dictam  for- 
mam intascliare  in  ali([uam  tasdiam  dictorum  priorum  ad  penam 
eis  <'t  cuicjue  eorum  a  Sindico  et  Modulatore  oftìcialium  pisani 
Coìuunis,  si  contrafecerit,  eius  arbitrio  auferendam.  Et  quod  ele- 
etiones  et  tasclie  dominorum  Antianorum  ]»isani  ])opuli  prò  futuro 
tempore  incipiendo  fìnitis  taschis  nuper  conticiendis,  liaiit  et  lieri 
possint  et  debeant  tempore  penultimi  Antianatus  extraliendi  de 
su])rascri]>tis  tascliis.  Et  domini  Antiani  pisani  populi  vinculo 
iuramenti  et  i)ena  librarum  centum  denariorum  pisanorum  eis  et 
cuique  eorum  a  Sindico  et  Modulatore  officialium  pisani  Comunis 
auferenda  nullo  modo  ante  predictum  tem])us  possint  vel  debeant 
jjetere  bailiam  vel  provisionem  facere  de  faciendo  aliquas  taschas 
vel  electiones  dominorum  Anthianorum  pisani  populi  vel  taschas 
facere  vel  iieri  facere  per  se  vel  alios  de  dominis  Antianis  pisani 
populi,  Cancellariis  dominorum  Antianorum  pisani  populi,  Can- 
cellariis  pisani  Comunis  vel  Cancellariis  lucani  Comunis  aut  No- 
tariis  ipsorum  dominorum  Anthianorum  vel  de  corrigendo,  provi- 
ilendo  A-el  ordinando  directe  vel  per  obliquum  aliciuid  super  dictis 
tascliis  vel  alicjua  earum  nu])er  contici endis,  addendo  vel  minuendo, 
et,  si  fieret,  non  valeat  nec  teneat  ullo  modo.  Et  quod  Cancellarii 
pisani  Comunis  et  dominorum  Antianorum  pisani  populi  vinculo 
iuramenti    teneantur    nullam    s<'ripturam    facere    vel  scribere.  nec 


GLI    ANZIANI    NEL  GOVERNO   DEL   COMUNE    PISANO  1>5 

ali(|uaiii  provisioneni  si^illair  coutia  piedistalli  fovinam  ad  peiiaiii 
librariiHi  centuni  denarioiuiiì  pisaiiorinn  eis  et  eui([ue  eonim  a 
Siiidico  et  Modulatore  oftìeialiiim  pisani  Coinunis  aiifereiidaiu. 

Et  (piod  tempore  dicti  penultimi  Antiaiiatus  in  faeiendo  seu 
tieii  faeiendo  de  novo  tascìias  et  eleetione^  dominorum  Antianornm 
pisani  populi.  Caneellarioiiim  pisani  Comunis  et  dominorum  An- 
tianornm pisani  populi  et  lucani  Comunis  ac  etiam  notarioruni 
ipsorum  dominorum  Antliianoruni  talis  modus  et  forma  servetur: 
Qiioil  per  ipsos  dominos  Antianos  in  i^rincipio  eorum  oftìcii  vel 
quando  inde  j^lacuerit,  liabeatur  eonsilium  quadrauinta  sapientum 
virorum  ad  minus  de  melioribus  et  suttìcientiori])Us  pisane  civitatis 
et  presentis  status,  in  quo  quidam  Consilio  interesse  debeant  vi- 
giliti quattuor  de  i^roximioribus  prioribus  Antianorum  Antianatu 
predi cto  ad  minus.  Et  in  dicto  Consilio  proponatur  de  tunc  novis 
tasoliis  eonlìeiendis  tam  dominorum  Antianorum  pisani  po^mli 
(juani  etiam  Cancellariorum  et  notarioruin  predictorum  et  de  liiis 
niodis  et  aliis  tenendis  et  observaiidis  in  confìciendo  ipsas  tasclias 
et  «piambibet  earuin.  Et  prout  tune  in  dicto  Consilio  providebitiir, 
ordinabitur  et  deliberabitur,  ita  et  taliter  fìat  et  executioni  ple- 
narie mandetur  et  sic  in  posterum  successive  servetur  et  fìat  de 
tempore  in  tempus. 

Et  quod  fìat  tasclia  Cancellariorum  pisani  Comunis  ad  Consilia 
et  provisiones  in  termino  trium  annorum  incipiendorum  in  ka- 
leiidis  Martii  proxime  venturi  j)er  illos  sai)ientes  A'iros,  quos  nia- 
i^iiifìcus  dominus  dominus  Gualterius  ad  liec  duxerit  eligendiim 
ad  scruptineum  secretum,  ad  denarios  albos  et  giallos  et  in  eius 
preseiitia,  quod  quidem  scrui)tiiieuin  per  dictuin  dominum  Gual- 
terium  recipiatur  et  cancellarios  suprascriptos.  In  ([ua  quidem 
fascila  ponantur  et  intasclientur  notarii  tres  sive  nomina  notario- 
rum  trium  plures  voces  liabentium  per  prefatum  dominum  dominum 
Gualterium.  Et  si  aliqui  concordarent  in  paribus  vocibus,  de  eis 
fìat  et  sequatur,  prout  supra  dictum  est,  de  Antianis  pisani  poi)uli. 
Et  inde  extrabatur  notarius  unus  ad  fatum  habilis  ad  dictum 
olfìciuin  liabendum  secundum  formam  brevi  uni  et  ordinamentorum 
l)isani  Comunis  et  populi  tempore  quo  ipsum  ofticium  reformari 
de])ebit  ante  per  dies  decem  ad  miiuis,  ita  quod  otììcium  cuiuscine 
extracti  sive  extraliendi  de  dieta  tascha  non  duret  seu  durare 
possit  vel  debeat  nisi  uno  anno  tantum.  Et  ille  cpii  sic  extractus 
fuerit  Cancellarius,  sit  et  esse  debeat  Cancellarius  pisani  Comunis 
ad  Consilia  et  provisiones  prò  uno  anno  tunc  proxime  venturo  cum 
otHcio  salario  et  aliis  consuetis.  Et  (juod  Hat  fascila  de  offìcio 
Cancellariorum  dominorum  Antianorum  pisani  populi  prò  (piactuor 
annis  incipiendis  in  kalendis  Decembris  proxime   venturi  per  su- 


96  FERRUCCIO    RIZZELLI 

prascriptos  sapientes.  Et  de  eis  tiat  et  seqiiatiir,  prout  (lictuiu  est 
supra  (le  Cancellariis  pisani  Comunis,  et  durent  et  durare  debeant 
aimis  tribus  tantum  et  non  ultra.  In  qua  quideni  tasclia  niictantur 
notarii  octo  sive  nomina  notariorum  octo  et  inde  extrahatur  no- 
tarius  unus  ad  fatum  habilis  ad  dietuni  oflìeium  habendum  secun- 
dum  formani  brevium  et  ordinamentorum  pisani  Comunis,  tempore 
quo  dictum  oftieium  reformari  debebit  antea  j^er  decem  die.s  ad 
minus,  ita  quod  officium  ouiusque  extracti  sive  extrahendi  de  dictis 
taschis  duret  et  durare  debeat  mensibus  sex  tantum  et  non  ultra. 
Et  ille  qui  sic  extractus  fuerit  Cancellarius,  sit  et  esse  del)eat 
Cancellarius  dominorum  Antliianorum  pisani  i)opuli  prò  mensibus 
sex  tunc  proxime  venturis  cum  officio,  salario   et   aliis  consuetis. 

Et  quod  fìat  tasclia  Cancellariorum  lucani  Comunis  in  termino 
quactuor  annorum  incipiendorum  in  kalendis  Aprelis  proxime  ven- 
turi per  suprascriptos  sapientes  et  de  eis  fiat  et  sequatur,  prout 
dictum  est  supra  de  Cancellariis  pisani  Comunis,  et  duret  et  du- 
rare debeat  annis  tribus  tantum  et  non  ultra,  in  qua  quidem  tascba 
mictantur  octo  notarii  sive  nomina  notariorum  octo.  Et  inde  extra- 
hatur notarius  unus  ad  fatum  liabilis  ad  dictum  officium  habendum 
secundum  formam  brevium  et  ordinamentorum  pisani  Comunis  et 
populi,  tempore  quo  dictum  officium  reformari  debebit  antea  per 
decenj  dies  ad  minus,  ita  quod  officium  cuiusque  extracti  sive 
extrahendi  de  dictis  taschis  duret  et  durare  debeat  mensibus  sex 
tantum  et  non  ultra.  Et  ille,  qui  sic  extractus  fuerit,  Cancelbirias 
sit  et  esse  debeat  Cancellarius  lucani  Comunis  j)ro  sex  niensi])us 
tantum  tunc  proxime  venturis  cum  officio,  salario  et  aliis  consuetis. 

Et  quilibet  suprascriptorum  omnium  Cancellariorum  tani  pi- 
sani Comunis  quam  dominorum  Antianorum  pisani  populi  et  quam 
lucani  Comunis  a  dictis  eorum  et  cuiusque  eorum  Cancellariatus 
officiis  vacet  et  vacare  debeat  a  die  depositi  eorum  et  cuiusciue 
eorum  officii  ad  unum  annum  tunc  proxime  venturum. 

Et  quod  nullus  dictorum  Cancellariorum  pisani  Comunis  do- 
minorum Antianorum  pisani  populi  et  lucaiìi  Comunis  possit  vel 
debeat  in  dictis  officiis  vel  aliquo  eorum  confirmari  vel  de  novo 
eligi  vel  eius  officium  prorogari  seu  modo  aliquo  in  dictis  officiis 
vel  aliquo  eorum  esse  ultra  tempora  suprascripta.    ' 

Et  qui  intaschatus  fuerit  in  dictis  taschis  Cancellariorum  pi- 
sani Comunis,  Cancellariorum  dominorum  Antianorum  pisani  po- 
puli et  Cancellariorum  lucani  Comunis  et  extractus  fuerit  de  dictis^ 
taschis  vel  aliqua  earum  ad  aliquod  dictorum  officioruni  et  illud 
habuerit,  non  possit  vel  debeat  postea  de  ipsis  taschis  vel  ali  (pia 
earum  aliquod  officium  liabere.  durantibiis  dictis  taschis,  ali(iuo 
modo  vel  iure. 


.N( 

Et  qnoiì  taselia  et  electioiies  notarioium  (loiiiinoruni  Antiano- 
niiii  pisani  populi  tìaiit  et  tìeri  possiiit  et  debeant  j)er  (loininos 
Antianos  pisani  populi  iiunc  presentes  in  officio  prò  eo  tempore  et 
t«'iiipovibiis  et  termino  et  de  illis  notariis  X)isane  civitatis,  de  (^iio 
et  (juihiiK  et  eo  modo  et  forma  et  prout  et  siciit  prefatis  dominio 
Antianis  vel  octo  ex  eis  videbitiir  et  placebit. 

Et  qiie  qiiidem  provisio  et  ordinamenta  et  compreliensa  in  eis 
examinata  et  aiiprobata  fnerunt  a  Consilio  et  in  Consilio  triginta 
quiniiue  sapientum  virorum  pisane  civitatis  secundum  formam 
ordinamentoium  pisani  Comunis  inde  loqiientium.  Et  expediat 
«lictam  provisionem  et  ordinamenta  ratificali  etc. 

Quod  ([uidem  Consilium  senatus  celebra tum  fuit  dominice  In- 
carnationis  anno  millesimo  trecentesimo  sexagesimo  primo,  indi- 
ctione  tertiadecima,  tertio  kalendas  Augusti. 

3.  1357,  gennaio  5. 

[R.  Archivio  di  Stato  in  Pisa.  A.  27]. 

JRisj9osta  degli  Anziani  di  Pisa  a  Xiecolò  d^Alife,  amhasciatore  dei 
lìeali  di  Xapoli  al  Comune  pisano^  per  cliiedere  il  sussidio  navale 
o  il  denaro  promesso  per  l^  impresa  della  Sicilia. 

Ser  Vannes  Scaccerius  prior,  Bonaiunta  Spanus,  Lemnus  Vail- 
nes,  Xicolaus  Assopardus,  Johannes  Lambertucci,  Pierus  dictus 
Castrone  vinarius,  dominus  Filippus  Cleri cus,  Pellarins  Grippes, 
Bartliolomeus  de  Calci  notarius,  Andreoctus  de  Vada,  Uguccione 
Pieri  Rau  et  Bindus  Nocchi  tabellarius  Anthiani  pisani  populi 
eorum  officio  et  vice  et  nomine  pisani  Comunis  residentes,  dictis 
et  requisitionibus  eis  prò  dicto  Comuni  et  ipsi  Comuni  factis  per 
nobilem  et  prudentem  virum  dominum  Nicolaum  de  Alifia  militem 
magne  curie  Regis  et  reginalis  magistrum  ractionalem,  procu- 
ratorem  et  nuntium  spetialem,  ut  asserit,  Serenissimorum  do- 
minorum  Ludovici  et  Johanne  dei  gi-atia  Jerusalem  et  Sicilie 
regis  et  regine  et  licteris  prò  parte  dominorum,  Regis  et  Re- 
gine, Capitaneo,  Anthianis,  Regiminibus,  Consilio  et  Comuni  civi- 
tatis pisane  directis  datis  Neocastri  die  vigesimoquinto  Novembris, 
decima  indictione  et  ipsis  dominis  Anthianis  per  suprascriptum 
dominum  Nicolaum  presentatis;  per  quas  ambaxiatas  et  licteras 
iidem  domini  Rex  et  Regina  requirunt  a  comuni  Pisarum  subsi- 
dium  quinque  galearum  prò  mensibus  tribus  seu  florenos  septem 
milia  (juingentos  secundum  (luod  comune  Pisarum  eisdem  dare 
Akch.  Stob.  It.,  5.»  Serie.  —  XXXIX.  7 


98  FERRUCCIO   RIZZELLI 

teneri  as.seruiit  ex  forma  revereiulariim  conventionum  olim  emù 
serenissimo  principe  domino  Kege  Eoberto  initarum,  cimi  ipsi  as- 
serant  se  armasse  et  continuare  intendant  armatam  prò  recupe- 
rando residuo  insule  Sicilie,  corani  me  infrascripto  notario  etc. 
dixerunt  et  responderunt  et  dicunt  et  respondent  ipsi  domino 
Xicolaio,  presenti,  audienti  et  intelligenti:  Quod  comune  Pisarum 
semper  observavit  et  observare  intendit  predictas  reverendas  con- 
Tenctiones  initas  cum  olim  Serenissimo  principe  domino  Rege 
Roberto  lerusalem  et  Sicilie  rege,  tamen  comuni  Pisarum  per  nar- 
rata et  obstensa  sibi  seu  per  ea,  que  comune  Pisarum  sciat  vel 
scire  potuerit,  non  constat  taliter  prefatam  armatam  procedere 
vel  jìrocessisse,  quod  ius  subsidii  in  dictis  reverendis  conventio- 
nibus  contenti  et  quod  petitur  a  dicto  domino  Nicolaio  a  dicto 
Comuni  prò  parte  dictorum  dominorum  Regis  et  Regine  ipsi^  do- 
minis  Regi  et  Regine  iuridice  debeatur.  Xichilominus  tamen  in 
casu  quo  armata  in  ambaxiata  dicti  domini  Nicolay  et  in  prefatis 
licteris  regiis  exposita,  narrata  et  comprehensa  fìat  et  procedat 
aut  facta  erit  modo  et  forma,  quibus  dietimi  comune  Pisarum  ex 
forma  dictarum  reverendarum  conventionum  ad  dietimi  subsidiuni 
teneatur. 

Et  aliam  conciiirant  que  del>ent  concurrere  ex  forma  dictarum 
reverendaTimi  conventionum,  comune  Pisarum  intendit  dietimi  su- 
bsidium  in  quantum  ad  ipsuiii  subsidium  teneatur,  ut  supra  dietimi 
est,  in  pecunia  impendere  et  sic  eligit  in  casu  quo  predicta  armata 
procedat  et  aliam  concurrant,  ut  supra  dictuin  est,  secimdum  for- 
mam  dictarum  conventionum. 


4.  1404. 

|R.  Archivio  di  Stato  in  Pisa,  A.  197  e.  224  r.  e  t.]. 

Capitoli  relativi  alle  attrihuziom  degli  Aìi:)iani. 

Primo  quod  infrascriptis  omnibus  agendis  per  Antianos  debeat 
interesse  vicarius  domini  et  aliter  vel  alio  modo  nichil  fìat  per 
eos.  Et  intelligatur  vicarius  domini  ille  quem  dominus  disposuerit 
debere  esse  cum  Antliianis  predictis  imiis  vel  plures. 

Item  in  omnibus  provisionibus  flendis  per  dietimi  vicarium  do- 
mini et  Antianos  apponatur  titulus  in  forma  infrascripta,  videlicet 
primo  lìonatur  dies  cum  annis  domini  et  indictione  deinde  dicaturj 

Mandato  et  voluntate  Illustris  principis  et  excellentissimi  do- 
mini   domini    Gabrielis    Marie   Vicecomitis    Pisarum   etc.    domini 


GLI  ANZIANI  NEL  GOVERNO   DEL  COMUNE  PISANO 

provideruut  (loiiiiuus  vicarius  pretati  doiuiiii  et  Anthiani  pisani 
poimli  i>aititii  facto  inter  eos  ad  deiiarios  albos  et  giallcs  seoiinduiii 
foiiiiaiii  Brevis  i)isaiii  populi.  Et  sic  in  omnibns  provisionibus 
<»bxervetur. 

Et  liabeant  predicti  doniinus  vicarius  et  Antiani  providere  oni- 
nes  provisiones  ordinarias  qiiorunicumque  salariorum  solvendoruni 
otti«'ialibns  pisane  civitatis  tam  civibus  quani  forensibus  sicut  offici a- 
libus  Curie  cabelle  niaioris,  Curie  cabelle  vini,  Curie  gl'asse  et  do- 
liane  salis  portaruni  pisane  civitatis,  Campanariorum,  banneriorum, 
Exactorum,  Curiaruni  nunptiorum,  recercatorum,  notariorum,  Came- 
rarii  Cak-ulatoruni,  et  alioruni  omnium  recipientium  sabirium  vigore 
suarum  electionum  sive  vigore  ordinamentorum  pisani  Comunis. 

Iteni  habeant  facere  provisiones  domini  potestatis  executoris 
stipendiiirorum  ab  equo  et  pede  posteriorum  Castellanorum  de  eorum 
soldis.  dummodo  ipse  provisiones  sint  primo  ascultate  ad  bancum 
stipendiariorum  predictorum. 

Item  provisiones  militis  exbannitorum,  potestatuum  terrarum 
pisani  comitatus  et  Capitaneorum  recipientium  salaria  de  pecunia 
condepnationum  in  forma  consueta  et  alias  omnes  provvisiones 
ordinarias. 

Item  babeant  facere  provvisiones  extraordinari as  expensarum 
sicut  ambaxiatorum,  qui  mitterentur,  expensarum  massarii  pisani 
Comunis  prò  biboreriisfiendis,  dummodo  primo  revideantur  rationess 
per  calcubitores  pisani  Comunis. 

Item  habeant  facere  j)rovisione8  vini  vendendi  in  grossum  per 
vinarios,  dummodo  non  sit  vinum  venale  ad  minutum  et  petictiones 
primo,  quam  providentur,  sint  subscripte  per  officialem  curie  ca- 
belle vini  quod  sic  sit. 

Item  habeant  facere  provisiones  elimosine  salis  quod  singiilis 
<hiobus  mensibus  erogatur  conventibus,  monasteriis  et  aliis  piis 
locis  et  liospitalibus  in  forma  consueta. 

Item  liabeant  facere  provisiones  extraordinarias  comitatus  prò 
laboreriis  ibi  fìendis  tam  vianim  quara  aggerura  et  aliorum  expe- 
dientium  reaptari  et  commissiones  sive  electiones  necessarias  prò 
predi  et  is. 

Item  habeant  facere  provisiones  comitativorum  maiorum  annis 
septuaginta  qui  volunt  se  eximi  facere  de  partitu  pisani  comitatus 
prò  oneribus  personalibus  et  alias  provisiones  similes  prò  comi- 
tativis  non  respicientes  in  aliquo  statum  domini. 

Item  faciant  electiones  quorumcumque  modulatorum  offlcialium, 
reservata  semper  bailia  domino  addendi  unum  vel  plures,  si  res 
recjuireret. 


100        FERRUCCIO   RIZZELLI,  GLI   ANZIANI   NEL  GOVERNO   EC. 

Item  si  expediret  aliqiiando  requirere  cives  ad  Consilia,  faciant 
dictam  electionem  reservato  semper  arbitrio  domino  addendi  vel 
minuendi. 

Item  faciant  electiones  illoriim  civium,  qui  singulo  anno  duabus 
vicibus,  una  videlicet  in  paschate  resurrexionis  Domini  et  alia  in 
testo  sancte  Marie  mensis  augusti,  eligantur  super  relaxationem  car- 
ceratorum  et  facere  inde  j^rovisiones  opportunas,  reservato  semper 
arbitrio  domini,  ut  supra. 

Item  facere  alias  provisiones  occurrentes,  non  tangentes  sta- 
tum  domini  in  aliquo,  dummodo  ipse  provisiones  fìant  secunduni 
brevia  et  statuta  pisane  civitatis  et  non  aliter. 

Item  facere  alias  provisiones,  que  eis  imponerentur  per  do- 
minum. 

Item  quod  omnes  provisiones,  quas  fecerint,  primo  quam  po- 
nantur  in  libro,  notifìcentur  domino  et  eius  Consilio.  Et  si  appro- 
bate  fuerint,  tunc  scribantur  et  dentur  requirentibus. 

Item  quod  provisiones  subscribantur  per  vicarium  domini  et 
sigillentur  sigillo. 

Item  conveniant  Antiani  simul  singula  ebdomada  terrarum. 
videlicet  die  lune  et  die  mercurii  ad  j^rovidendum  et  die  veneri s 
in  palatio  domini  ad  referendum  et  pluries  ad  voluntatem  domini, 
si  requirentur. 

Item  faciant  incantus  cabellarum  more  consueto  et  provisiones 
necessarias  in  predictis  et  in  dictis  incantibus  intersit  cum  eis. 

Item  electiones  oftìciorum  fiendorum  tam  ad  os  quam  per  ta- 
sclias  scribantur  more  consueto  et  detiu*  electio  unicuique.  Demum 
solvatur  cabella  et  post  modum  accipiantur  fìdeiuxiones  idonee  per 
notarios  cancellarle  pisani  Comunis  more  solito.  Et  litera  ultima 
officii  fiat  per  cancellarium  domini  et  non  alio  modo. 

Item  quod  per  eorum  provisiones  non  possit  derogari  officio 
potestatis  in  offlciis  curie  maris  et  mercatorum. 


-^ 


-^- 


Postilla. 


Il  prof.  Amedeo  Grivellucci,  che  da  tanti  anni  si  occupa 
di  Paolo  Diacono,  ha  voluto  portare  il  suo  esame  sull'  opu- 
scoletto  De  ter  min  ai  ione  Provinciarum  Italiae,  che  io  pub- 
blicai dal  codice  Ambrosiano  A.  226.  inf.  del  sec.  XIV  (1). 
Nel  pubblicarlo  io  posi  il  quesito  :  che  cosa  è  lo  scritto  del 
nostro  codice?  E  risposi:  «Le  ipotesi  possono  essere  due: 
«  o  uno  scrittore  ha  preso  la  descrizione  di  Paolo,  vi  ha 
«  adattato  un  principio  ed  un  fine  proprio,  ha  mutato  qua 
«  e  là,  ha  fatto  qualche  aggiunta  etimologica  e  qualche  sop- 
«  pressione  di  nomi  di  città  e  ha  composto  quest'operetta  ; 
«  oppure  Paolo  ha  trovato  una  operetta  De  ter minat ione  pro- 
«  vinciarum  Italiae  e  T  ha  usufruita,  trasportandola  quasi 
«  di  peso  nel  II  libro  della  sua  storia  ».  Nel  corso  della 
trattazione  io  esaminai  partitamente  le  due  ipotesi  ed  addussi 
le  ragioni  che  potrebbero  avvalorare  l' una  o  l' altra  ;  e  con- 
clusi col  ritenere  più  probabile  la  seconda  ipotesi,  pur  senza 
professarne  assoluta  certezza.  Le  mie  espressioni  anzi  erano 
piene  di  riserve  :  sicché  dopo  aver  compulsato  le  prove  dal- 
l'una  parte  e  dall'altra  io  concludevo  :  «Tutti  questi  indizi 
«  paiono  avvalorare  la  seconda  delle  due  ipotesi  dette.  Ed  è 
«  possibile  dunque  che  si  abbia  qui  una  operetta  del  sec.  VII, 
«  usufruita  da  Paolo  e  per  la  maggior  parte  da  lui  rifusa  nel- 
«  l'opera  sua  ».  Ad  ogni  modo  io  speravo  che,  pur  prescin- 
dendo da  siffatta  questione,  per  la  quale  io  stesso  non  pro- 
fessavo certezza,  gli  studiosi  di  Paolo  Diacono  avrebbero 
gradito  la  conoscenza  del  testo  antico  che  io  loro  presen- 
tavo. Di  quella  parte  del  libro  II  di  Paolo  si  hanno  alcuni 
excerpta  e  gli  storici  hanno  creduto  opportuno  di   farli  co- 


(1)  Cfr.  Crivkllugci,  nel  periodico  Stiulì  Storici,  voi.  XV,  fase.  I, 
pp.  115  wegg.  La  mia  pubblicazione  è  yvqW Archivio  Storico  Italiano, 
2.a  dispensa  del  19()6. 


102  CARLO   PASCAL 

noscere  agli  studiosi,  benché  spesso  le  variazioni  del  testo  fos- 
sero del  tutto  insignificanti  :  perchè  avrebbe  dovuto  essere  poco 
gradita  la  conoscenza  di  questo  testo,  che  presentava  varianti 
ed  aggiunte  di  qualche  rilievo,  ed  organismo  di  opera  com- 
piuta e  titolo  speciale  ed  attribuzione  ad  autore  diverso? 

Queste  ragioni  non  hanno  ottenuto  grazia  presso  il  pro- 
fessore Grivellucci.  Tutti  gli  altri  testi  di  quella  descrizione 
egli  gradisce  di  conoscerli  e  li  cita  e  se  ne  giova  (p.  121); 
il  mio  no;  anzi,  secondo  lui,  io  potevo  risparmiarne  la  pub- 
blicazione (p.  122),  e  così,  egli  soggiunge,  avrei  risparmiato 
a  lui  la  sua  recensione,  di  cui  i  suoi  studi  su  Paolo  gli  han 
fatto  quasi  un  dovere.  V^ediamo  dunque  che  cosa  dice  que- 
sto provetto  studioso  di  Paolo. 

Quei  termini  così  discreti  che  io  avevo  fìssati,  circa  T  ac- 
cettazione dell'  una  ipotesi  o  dell'  altra,  egli  li  varca  risolu- 
tamente. Secondo  lui  io,  per  risolvere  la  questione  nel  senso 
che  a  me  piace,  ricorro  ad  argomenti  ingegnosi  e  sottili,,  ma 
che  non  reggono  alla  critica.  Vediamo  perchè.  La  prima 
ragione  da  me  addotta  è  che  la  descrizione  d' Italia,  colà 
dov'è  in  Paolo,  ci  si  presenta  quasi  come  una  intrusione, 
mentre  nel  nostro  testo  ha  l' aspetto  di  opera  compiuta  ed 
organica.  È  una  impressione,  s'intende,  ne  io  avevo  dato  a 
cotal  ragione  valore  che  eccedesse  tali  limiti  ;  avevo  anzi 
scritto:  Si  ha  insomma  l'impressione  che  l'autore  (Paolo) 
avendo  nominato  in  quel  punto  la  Venetia  abbia  voluto  illu- 
strarla geograficamente  e  sia  ricorso  a  un  trattato  ecc.  Que- 
sta impressione  non  ha  trovato  favorevole  accoglimento  presso 
il  Grivellucci.  Si  noti  tuttavia,  egli  dice  (p.  117),  che  quella 
descrizione  è  opportunissima  in  una  storia  dei  Longobardi 
in  Italia,  e  proprio  lì,  al  momento  in  cui  essi  penetrano 
nella  penisola  e  fa  anzi  onore  a  Paolo  come  storico  l'aver 
sentita  V  opportunità  di  premettere  cpiella  descrizione.  Se- 
nonchè  la  descrizione  d' Italia  abbraccia  tutte  le  regioni,  fin 
giù  giù,  e  si  estende  alla  Sicilia,  alla  Corsica,  alla  Sardegna 
e  finisce  con  le  favole  circa  i  primitivi  abitanti  d' Italia,  e 
con  un  accenno  circa  l'origine  dei  suoi  nomi:  si  può  proprio 
sostenere  che  tutto  questo  abbia  a  che  fare  con  l'entrata 
dei  Longobardi  in  Italia?  Ad  ogni  modo,  può  osservarsi, 
anche  ammesso  che  in  quel  punto  la  descrizione  d'Italia  sia 


SÙLl/OPERA  «  DE  TEKMIXATIONE  PROVINCIARUM  ITALIAE  »     lOo 

una  intrusione,  e  che  Paolo  abbia  tolto  di  peso  da  un  trat- 
tato, chi  ci  dice  che  questo  trattato  sia  quello  del  codice 
Ambrosiano'^?  Chi  ci  dice  invece  che  il  testo  Ambrosiano  non 
sia  un  excerptmn  di  Paolo?  Giustissimo:  dol)biamo  dunque 
esaminare,  l'uno  di  fronte  all'altro,  i  due  testi:  quello  di 
Paolo  e  quello  del  codice  Ambrosiano  ;  quale  dei  due  ha  in- 
dizi di  seriorità  rispetto  all'altro?  Per  me  l'opera  più  an- 
tica è  quella  del  codice  Ambrosiano,  per  il  Grivellucci  que- 
sta non  è  che  un  excerptnm  di  Paolo.  Ma  che  cosa  ha 
opposto  alle  ragioni  mie  il  chiaro  critico?  Il  nostro  ms.  no- 
mina la  città  di  Ticimis;  Paolo  dice  :  Ticinits  quae  alio  no- 
mine Papia  appellatur  ;  queste  parole  non  hanno  tutta  l'aria 
di  un'aggiunta,  fatta  per  menzionare  anche  il  nome  recente 
della  città  ?  (1).  Ma  può  pensarsi  ad  una  omissione  dell'e^c- 
cerptor  Ambrosiano  !  Sicuro,  ed  anch'  io  avevo  ciò  dichia- 
rato; si  dovrebbe  anzi  pensare  a  ciò,  se  non  avessimo  che 
questo  unico  indizio  :  ma  se  invece  tutti  gli  altri  indizi  co- 
spirano a  questa  unica  conclusione,  a  farci  ritenere  cioè 
seriore  il  testo  di   Paolo,  dobbiamo  crederli   casuali  tutti  ? 

La  Terminano  ha  totius  mundi  caput  urbem  Bomam. 
Paolo  ha  :  Roma  quae  olim  totius  mundi  caput  extitit.  Roma 
continuò  certamente  ad  esser  chiamata  caput  mundi,  per 
tradizione,  anche  dopo  Paolo  ;  ma  io  domando  :  tra  le  due 
frasi,  quale  rivela  uno  studio  di  esattezza  e  di  precisione 
maggiore?  quale  dunque  si  manifesta  dovuta  al  desiderio 
di  emendar  l'altra?  Certamente  quella  di  Paolo,  che  dice: 
quae  olim...  extitit.  Oppure  si  dovrà  ricorrere  anche  qui  alla 
ipotesi  della  omissione? 

Andiamo  avanti:  la  Terminatio,  avevo  detto  io,  contiene 
errori,  ma  non  contraddizioni.  Ma  Paolo,  per  ripetere  macchi- 
nalmente quegli  errori,  cade  in  parecchie  contraddizioni  con 
le  notizie  che  egli  dà  in  altre  parti  dell'opera  o  della  descrizione 
stessa  d'Italia.  Apportiamo  un  esempio.  Bohium  si  trova  presso 
(li  lui  nella  quinta  provincia  e  nella  nona.  La  verità  è  che 
doveva  porsi  appunto  nella  quinta,  e  Paolo  stesso  infatti 
in  TV.  41  l'attribuisce  alle  Alpes  Cottiae  (quinta  pi'ovincia). 

(1)  ]j'('xr('rj)for  del  cod.  Vatic.  Palat.  Lat.  1)65,  del  sec.  XIV,  vivendo  in 
epoca  nella  quale  il  nome  /^fipla  aveva  ormai  assoluta  prevalenza,  cambia 
risolutamente  così:  Papia  (/tic  oliiii  vacata  rsf  Tijcìiìuh  a  fUivUt  Ticino. 


104  CARLO   PASCAL 

Ora  la  Terminatio  noi  pone  nella  quinta,  e  nella  nona 
pone  invece  Bohinium.  Si  tratterà  anche  qui  di  una  omis- 
sione nella  quinta  provincia?  Non  si  può  escludere,  perchè 
nel  §  15  della  Terminatio  par  che  il  testo  sia  bruscamente 
interrotto  dopo  Gallortim ;  ma  d'altra  parte  sembra  pure 
ovvia  r  idea  che  Paolo  sia  stato  indotto  da  quel  Bobiniuni 
a  porre  erroneamente  un  Bohìum  nella  nona  provincia.  Ed 
il  fatto  è  che  nell'  ambito  della  Terminatio  non  vi  sono  con- 
traddizioni e  incongruenze,  e  nella  descrizione  di  Paolo  vi 
sono  :  il  preteso  excerptor  avrebbe  dunque  fatto  un  lavoro 
critico  sull'opera  di  Paolo  per  eliminarle?  Tutto  si  può  sup- 
porre, ma  è  proprio  questa  l' ipotesi  più  probabile?  o  non 
piuttosto  che  Paolo,  riproducendo  macchinalmente  la  Ter- 
minatio, non  si  sia  accorto  delle  contraddizioni  in  cui  ve- 
niva a  cadere  con  sé  stesso? 

Ma  il  chiaro  critico  aggiunge  le  presunte  prove  della 
seriorità  della  Terminatio.  E  sono  prove  linguistiche.  La 
Terminatio,  ad  esempio,  sostituisce  in  occiduiim  a  in  eii- 
mm  (§  1),  dicitur  a  perhihetur  (§  9),  fertilissima  a  satis 
ferax  (§  12),  sìint  a  consistunt  (§  13),  Umbria...  habet  a  in 
Umbria...  consistunt  (§  18):  insomma  rivela  la  tendenza  a 
semplificare  ed  abbreviare  i  testi.  Il  guaio  è  che  in  occiduum, 
come  avvertimmo,  è  lezione  dubbia  (1)  e  che  ad  ogni  modo  nep- 
pure la  parola  enriim  può  dirsi  sicuramente  estranea  alla  Ter- 
minatio, giacché  forse  é  da  riporre  al  §  15  (v.  ivi  nota);  e  cosi 
pure  la  Terminatio  ha  al  §  42  consistit,  al  §  56  quorum  fe- 
rax est;  perché  in  questi  passi  V excerptor  non  avrebbe  so- 
stituito le  parole  più  comuni?  Nel  §  1  la  Terminatio  ha 
tyrrheni  aut  hadriatici  maris,  Paolo  ha  sire.  L' aut  è  più 
vicino  all'uso  classico,  sire  in  tal  senso  é  medioevale;  dove  é 
dunque  l' indizio  di  seriorità  ?  Nel  §  30  la  Terminatio  ha  :  a 
Poenis,  Paolo  ha:  a  Punicis  hoc  est  Annibale  et  eius  exer- 
citii.  Non  si  ravvisano  qui  evidenti  segni  di  un'aggiunta, 
fatta  per  dichiarare  e  spiegare  meglio?  Gli  esempì  addotti 
dal  Grivellucci  non  provano  quindi,  pare  a  me,  la  sua  tesi. 

Infine  aggiungerò  qualche  parola  circa   il  codice  Vati- 


(1)  Come  già  notammo,  il  codice  ha  i  ned  Uni.  Piol)al)ilmente  il  suo 
originale  aveva  In  eonin.  come  ha  il  Vat.  Lat.  i:361,  f.  8.°,  che  gli  è 
strettamente  affine. 


sull'opera  «  DE  TERMINATIONE  PROVIXCL^RUM  ITALIAE  »     105 

(•ano  Liit.  1361,  del  sec.  Xll,  su  cui  richiama  1^  attenzione  il 
prof.  Grivellucci  (1).  Egli  giustamente  notii  la  grande  affinità 
che  è  tra  le  lezioni  di  quel  codice  e  quelle  del  nostro.  Per 
apportare  qualche  prova,  dirò  che  nell'  uno  e  nell'  altro 
sono  i  medesimi  errori  grafici;  ad  es.  (n.  l23)  ah  urbe  Roma 
per  ah  iiherrima,  (n.  i25)  a  regione  per  a  reginae,  ecc.  Di  più 
la  descrizione  d' Italia  che  è  in  questo  codice  ha  l'etimolo- 
gia di  Capua,  come  la  TerminaUo,  non  ha  il  nome  più  re- 
cente Papia,  di  Roma  dice  totius  mundi  caput  urhem  Ro- 
ma m,  e  non  ha  la  menzione  del  monasterium  Bohitim. 
Differisce  quindi  dalla  TerminaUo  solo  perchè  quest'  ultima 
aggiunge  l'etimologia  del  nome  Sicilia  a  ficii  et  oleo  ed  in 
fine  \)o\  il  primo  miracolo.  Evidentemente  i  due  scritti  hanno 
tra  di  loro  stretto  rapporto.  Ma  che  cosa  è  lo  scritto  del  co- 
dice Vaticano?  Esso  è  anonimo  e  senza  titolo,  come  ho 
novellamente  verificato  sul  codice  ;  e  fa  seguito  (foglio  8.'^ 
del  cod.)  ad  un  catalogo  di  papi  sino  a  Innocenzo  II  e  ad 
un  catalogo  d' imperatori  sino  a  Lotario  III  ;  il  raccogli- 
tore aggiunse  a  quelle  notizie  storiche  d' Italia  quest'  al- 
tro scritto  di  indole  storico -geografica.  Dato  quindi  che 
la  ipotesi  di  una  operetta  De  terminatione  provinciarum 
anieriore  a  Paolo  semhri  la  più  probabile,  noi  non  avremmo 
nel  codice  Vaticano,  se  non  una  copia  del  sec.  XII  di  tale 
operetta.  Ad  ogni  modo,  confesso  di  non  comprendere  come 
il  riscontro  di  tal  codice  abbia  potuto  sembrare  decisivo  per 
fare  respingere  l' ipotesi  mia.  La  quale  ipotesi  io  ripresento 
ora  con  rinnovata  fiducia,  non  perchè  io  professi  per  essa 
un'assoluta  certezza,  o  stimi  dovere  abbandonare  le  riserve 
di  cui  già  la  circondai,  ma  perchè  mi  pare  tuttora,  riesa- 
minate le  ragioni  tutte,  la  più  piobabile. 

Catania.  Carlo  Pascal. 


(1)  II  Crivellucei  enumera  cinque  codici  della  descrizione  d'Italia, 
Clii  vuol  notizie  più  particolari  sui  detti  codici  potrà  ricorrere  ai  lavori 
da  me  citati  in  principio  del  mio  primo  studio  (p.  4  dell' estr.),  ove  però 
l'indicazione:  Xoticea  et  extr.,  XXXI,  1,  è  da  correggere  XXXII,  1.  Altre 
copie  di  quella  descrizione  cita  il  Graf,  Homo  nelìa  nunnurla  ec,  I,  p.  68, 
Di  altre  tre  copie  darò  prossimamente  notizia.  neW Archivio  storico  per 
hi  SicHi(f  (ti'it'nldlo . 


Aneddoti  e  Varietà 


Galileo   Galilei    e   Don   Giovanni   de'  Medici. 

Tra  i  fatti  rimasti  oscuri  nella  biografia  di  Galileo,  e  che  for- 
tunatamente sono  ormai  ridotti  ad  assai  pochi,  oscurissimo  per  chi 
non  voglia  limitarsi  a  ripetere  le  altrui  affermazioni  è  quello  dei 
motivi  per  i  quali  egli  si  indusse  ad  abbandonare  dopo  un  triennio 
di  lettura  lo  Studio  di  Pisa.  Ch'  egli  avesse  già  pensato  a  lasciarlo 
appena  insediatovi,  abbiamo  indubbiamente  da  una  lettera  scrit- 
tagli da  Guidobaldo  del  Monte  sotto  il  io  aprile  1590,  poiché 
altrimenti  non  potrebbero  interpretarsi  quelle  parole  :  «  Mi  è  som- 
«  mamente  caro  di  haver  nuova  di  lei  ;  ma  io  non  resto  compita- 
«  mente  satisfatto,  perchè  la  vorrei  veder  più  contenta  e  meglio 
«  trattata,  secondo  li  meriti  suoi  »  (i),  mentre  tutto  il  rimanente 
della  lettera  tratta  di  pratiche  che  il  Marchese  del  Monte  aveva 
intavolate  a  Venezia,  con  la  mira  di  Padova,  ed  a  Bologna  per 
procurare  al  suo  giovane  amico  più  onorevole  od  almeno  più  pro- 
ficuo collocamento.  Ma  perchè  Galileo,  le  cui  condizioni  econo- 
miche, già  poco  liete,  s'erano  aggravate  per  la  morte  del  padre, 
si  decidesse  a  rinunziare  a  quel  pane,  per  quanto  scarso  ed  in- 
grato, dovettero  certamente  intervenire  altre  circostanze  oltre  alle 
opposizioni  che  per  parte  della  maggioranza  dei  suoi  colleghi  ave- 
vano incontrato  le  idee  novatrici  da  lui  enunciate  e  sostenute;  e 
ciò  tanto  più  perchè  anche  le  condizioni  che  da  principio  gli  fu- 
rono fatte  a  Padova  non  erano  per  verità  tanto  laute  da  giusti- 
ficare la  deliberazione  di  espatriare. 

Ora,  se  noi  dovessimo  prestare  piena  fede  ai  due  biografi  che 
furono  testimoni  degli    ultimi  anni  della  sua  vita  e  che  contempo- 


(i)  Le  Opere  di  Gauleo  Galilei,  Edizione  Nazionale  sotto  gli  auspici 
di   Sua  Maestà  il  Re  d'Italia,   voi.   X,  Firenze,  tip.  G.  Barbèra,  1900,  p.  42. 


ANTONIO   FAVARO,   GALILEO   GALILEI   EC.  107 

rancamente  (t)  ne  tesserono  la  biografia,  mancherebbe  ogni  ragione 
di  incertezza  e  di  oscurità,  le  quali  invece  rimangono  e  si  fanno 
più  gravi  e  più  dense  per  il  fatto  che  le  loro  asserzioni  non  erano 
finora  confortate  dal  più  lieve  ed   anco  indiretto  documento. 

Dell'insegnamento  tenuto  da  GaHleo  in  Pisa,  e  delle  ragioni 
per  le  quali  si  indusse  a  lasciarlo,  scrive  infatti  Vincenzio  Viviani: 
«  Sostenne  perciò  questa  cattedra  con  tanta  fama  e  reputazione 
«  appresso  gì'  intendenti  di  mente  ben  affetta  e  sincera,  che  molti 
«  filosofastri  suoi  emuli,  fomentati  da  invidia,  se  gli  eccitarono  con- 
«  tro  ;  e  servendosi  di  strumento  per  atterrarlo,  del  giudizio  dato 
«  da  esso  sopra  una  tal  macchina,  d'invenzione  d'un  eminente 
«  soggetto,  proposta  per  votar  la  darsina  di  Livorno,  alla  quale  il 
«  Galileo  con  fondamenti  meccanici  e  con  libertà  filosofica  aveva 
«  fatto  pronostico  di  mal  evento  (come  in  efì'etto  seguì),  seppero 
'<  con  maligne  impressioni  provocargli  l'odio  di  quel  gran  perso- 
«  naggio:  ond'egli,  rivolgendo  l'animo  suo  all'offerte  che  più  volte 
«  gì'  erano  state  fatte  della  cattedra  di  Padova,  che  per  morte  di 
«  Gioseppe  INIoleti  stette  gran  tempo  vacante,  per  consiglio  e  con 
«  r  indirizzo  del  Signor  Marchese  Guidubaldo  s'elesse  con  buona 
«  grazia  del  Ser."^®  Gran  Duca,  di  mutar  clima,  avanti  che  i  suoi 
«  av\'ersarì  avessero  a  godere  del  suo  precipizio  »  (2).  Qui  dunque 
il  Viviani  non  fa  il  nome  dell'inventore,  e  dice  soltanto  ch'era 
«  un  eminente  soggetto  »  ;  ma  poiché  Monsignore  Niccolò  Gherar- 
dini,  che  ripete,  come  vedremo  subito,  in  termini  analoghi  la  me- 
desima narrazione,  dice  chiaramente  che  si  trattava  d'uno  di  casa 
siedici,  si  comprende  senz'altro  come  il  Viviani,  che  scriveva  per 
commissione  del  Principe  Leopoldo,  l'abbia  taciuto. 

11  Gherardini  infatti,  detto  dell'  insegnaipento  impartito  da  Ga- 
lileo in  Pisa,  soggiunge  :  «  ma  per  accidente  occorso,  non  stimò 
«  bene  di  continuare  in  quella  lettura.  La  resoluzzione  ebbe  que- 
«  sta  causa.  In  quei  giorni  haveà  proposto  il  S.''  D.  Giovanni  ch'in 
«  Pisa  si  facesse  una  certa  fabbrica,  non  so  già  se  di  fortificazzione 


(l)  Sene  deciviasettima  di  Scampoli  Galileiani,  raccolti  da  ANTONIO 
Fa  VARO  {Aiti  e  Memorie  della  R.  Accademia  di  scienze,  lettere  ed  arti  in 
Padova,  Nuova  serie,  voi.  XXIII,  pag.  il),  Padova,  tip,.  G.  B.  Randi,  1907. 

(2;  Le  Opere  di  Galileo  Galilei,  Edizione  Nazionale  ec,  voi.  XIX, 
\).  606. 


108  ANTONIO   FAVARO 

«  o  d'altro  edifizio.  Per  l'effettuazzione  del  disegno  si  era  concluso 
«  di  metter  in  opra  alcune  macchine,  quali,  con  il  parere  de' periti, 
«  erano  giudicate  molto  a  proposito:  solo  il  S.^"  Galileo  s'oppose, 
«  e  con  ragioni  forse  troppo  vive  procurò  impedirne  l'esecuzzione. 
«  Quello  che  seguisse,  io  non  lo  so;  so  bene  che  la  contradizione 
«  non  fu  grata  al  S.''  D.  Giovanni,  il  quale  con  parole  di  molto  sdegno 
«  ne  mostrò  risentimento  :  di  che  si  intimori  il  S/  Galileo  di  ma- 
«  niera,  che  stimò  bene  non  dopo  molto  tempo  domandar  licenza 
«  da  quella  condotta,  con  disgusto  grande  di  quel  S.J*  dal  Monte, 
«  quale  procurò  di  distorlo  dal  pensiero,  offerendosi  per  ogni  buono 
«  offizio  appresso  di  chiunque  fosse  bisognato;  ma  noi  potè  otte- 
«  nere,  perchè  il  S/  Galileo  havea  stabilito  di  voler  tentare  altra 
«  fortuna  »  (i).  Il  qual  «  S.""  D.  Giovanni  »  è  appunto  quello  del 
quale  poche  linee  più  sopra  scrive  il  Gherardini  che  la  grande 
reputazione  di  cui  incominciò  a  godere  Galileo  poco  più  che  ado- 
lescente «arrivò  all'orecchie  dell' Ecc.'"^  S.  D.  Giovanni  de'  Medici, 
«  signor  di  gran  qualità  et  esperienza  di  guerra,  se  si  considera 
«  principalmente  l'intelligenza  che  hebbe  singolarissima  delle  for- 
«  tificazioni  e  delle  macchine  d'ogni  sorte  ».  Ed  è  ancora  lo  stesso 
del  quale  il  Viviani  citato  scrive  ch'ebbe  Galileo  «  gratissimo  e 
famigliare  »  a  motivo  dei  grandi  elogi  che  gliene  aveva  fatti  il 
Marchese  Guidobaldo  del  Monte,  lasciando  comprendere  che  non 
senza  qualche  sua  partecipazione  ebbe  luogo  la  condotta  allo 
Studio  di  Pisa  (2)  :  partecipazione  la  quale  invece  è  dal  Gherar- 
dini esplicitamente  affermata,  cosi  anzi  da  far  credere  che  ad  essa 
sia  andato  esclusivamente  debitore  Galileo  della  sua  elezione  (3). 
Il  Don  Giovanni  de'  Medici,  che  viene  in  modo  tanto  significativo 
ad  entrare  nella  vita  di  Galileo,  era  il  figlio  naturale  che  il  Granduca 
Cosimo  aveva  avuto  da  Leonora  degli  Albizzi  addì  13  maggio  del 
1567  (4),  e  che    venne  subito  legittimato  con  grande    solennità  e 


(1)  Op.  cit.,  voi.  XIX,  p.  638. 

(2)  Op.  cit.,  voi.  XIX,  p.  605. 

(3)  Op.  cit.,  voi.  XIX,  p.  638. 

(4)  I  libri  battesimali  dell'Opera  di  Santa  Maria  del  Fiore  di  Firenze 
ne  serbano  questa  memoria:  «  1567,  giovedì,  addì  15  maggio;  don  Giovanni 
«  dello  ill.mo  Sig.  Duca  Cosimo  de'  Medici,  duca  di  Firenze  et  Siena,  po- 
«  polo  di  Santa  Felicita.  Nato  addi  13,  hore  20^/^.  Compari  il  signor  An- 
«  tonio  da  Montalvo  e  madonna  Margherita  Filopetra  de'Bertini  ». 


(i.M.ILKn   GALILEI   E   DON   GIOVANNI   DE' MEDICI  109 

riccamente  dotato  (i),  mentre  poco  dopo,  fors' anco  perchè  all'or- 
mai provetto  Cosimo  arrideva  la  prospettiva  dei  nuovi  amori  con 
la  Martelli,  faceva  sposare  la  madre  a  Carlo  di  Bartolomeo  Pan- 
ciatichi  (2).  Crebbe  Don  Giovanni  carissimo  al  padre  ed  anche 
al  fratello  Francesco,  il  quale  anzi  lo  mandava,  dodicenne  appena^ 
a  capo  di  quella  famosa  ambasceria  che  doveva  ringraziare  la 
Serenissima  Repubblica  Veneta  per  aver  dichiarata  la  Bianca  Cap- 
pello vera  e  particolar  figliuola  di  San  Marco,  in  considerazione 
«  di  quelle  preclarissime  e  singolarissime  doti  che  dignissima  la 
fanno  di  ogni  gran  fortuna  ».  Don  Giovanni  anzi  nel  ritornare  a 
Firenze  fu  colpito  a  Padova  dal  vainolo,  e  la  Repubblica  non  ri- 
sparmiò premure  e  diligenze  perchè  fosse  assistito  e  curato  dai 
Rettori  della  città  e  dai  due  più  famosi  medici,  il  Mercuriale  ed 
il  Capodivacca  (3). 

A  partire  dall'anno  1582  intorno  ai  fatti  di  Don  Giovanni 
de'  Medici  ci  informa  una  narrazione  che  ne  lasciò  Cosimo  Ba- 
roncelli  (4),  patrizio  fiorentino,  entrato  al  suo  servizio  in  qualità  di 
paggio  appunto  in  quest'anno  e  che  gli  fu  quasi  costantemente 
compagno  nella  brillante  carriera  militare  che  incominciò  nel  1585 


(i)  Tra  le  Perga?nene  Medicee  del  Diplomatico;  e  nei  libri  dei  Privi- 
legi, presso  V Atiditore  delle  Rifor^nagioni  (1567-70),  sono  i  diversi  atti  di 
donazione  che  Cosimo  fece  a  questo  suo  figlio  naturale  e  che  gli  costitui- 
vano un  cospicuo  patrimonio. 

(2)  Cfr.  Tragedie  medicee  do7nestiche  (i55'J-8'j),  narrate  su  documenti 
da  Guglielmo  Enrico  Saltini,  premessavi  una  introduzione  sul  governo 
di  Cosimo  I,  Firenze,  G.  Barbèra  editore,    1898,  pp,   178-227. 

(3)  Istoria  del  Granducato  di  Toscana  sotto  il  governo  della  Casa  Me- 
dici, to.  II,  Firenze,  MDCCLXXXI,  per  Gaetano  Cambiagi,  p.   316. 

(4)  Discorso  istorico  del  sig.  Cosimo  là ASsmcKLLi,  fatto  a'  stcoi figliuoli 
della  vita  e  morte  di  Don  Giovanni  de'  Medici,  figlio  ftaturale  del  Gran 
Duca  Cosimo  Primo,  con  la  morte  di  Concino  Concini  e  della  Dianora  Bosi 
sua  moglie  seguita  a  Parigi,  essendo  i  favoriti  del  Re  Enrico  4"  e  della 
Regina  Alaria,  figlia  del  Gran  Duca  Francesco  de'  Medici,  con  gli  accidenti 
della  Signora  Livia  Vernazzi  moglie  del  stid.o  Don  Giovanni  e  sopra  V  in- 
validità del  matrimonio  della  stid.<^  e  con  altri  notabili  accidenti.  AIs.  Ma- 
gliabechiano  della  Biblioteca  Nazionale  di  Firenze,  segnato  Classe  XXV,. 
370  :  un  esemplare  se  ne  ha  pure  nella  Biblioteca  Marucelliana,  scaff.  A,. 
fase.   224. 


110  ANTONIO   FAVxVRO 

recandosi  al  servizio  della  Spagna  in  Fiandra,  dov'era  la  miglior 
scuola  di  guerra  di  quei  tempi. 

Senonchè,  morto  il  Granduca  Francesco,  e  mutato  con  la 
ascensione  di  Ferdinando  al  trono  di  Toscana,  anche  in  conse- 
guejiza  del  suo  matrimonio  con  Cristina  di  Lorena,  l'indirizzo  po- 
litico, sotto  pretesto  che  i  suoi  servizi  non  erano  tenuti  nel  debito 
conto,  Don  Giovanni  fu  richiamato;  e  convien  dire  che,  sebbene 
appena  ventenne,  egli  godesse  già  di  una  singolare  riputazione 
nelle  cose  militari,  perchè,  poco  dopo  ripatriato,  il  Granduca  lo 
mandò  per  tutto  lo  Stato  a  rivedere  i  luoghi  fortificati  e  suggerire 
quali  altri  avrebbero  dovuto  essere  muniti. 

Don  Giovanni  era  adunque  in  Toscana  al  tempo  in  cui,  con- 
forme riferiscono  i  citati  biografi  di  Galileo,  ne  avrebbe  favorita 
la  elezione  alla  Cattedra  di  Pisa,  ed  in  Toscana  pare  sia  rimasto 
(tranne  i  frequenti  viaggi  a  Roma  per  inchinarvi,  di  commissione 
del  Granduca,  i  quattro  Papi  che  si  succedettero  a  cosi  breve  di- 
stanza l'uno  dall'altro:  Urbano  VII,  Gregorio  XIV,  Innocenzio  IX 
e  Clemente  VIII)  fino  al  1594:  vi  era  dunque  anche  al  tempo  nel 
quale,  conforme  più  o  meno  esplicitamente  afi'ermano  il  Viviani 
ed  il  Gherardini,  avrebbe  avuto  luogo  lo  screzio  fra  di  lui  e  Ga- 
lileo, a  motivo  del  parere  dato  da  questo  intorno  alla  invenzione 
proposta  da  Don  Giovanni,  per  la  darsena  di  Livorno  secondo  il 
primo,  per  certa  costruzione  in  Pisa  conforme  il  secondo. 

Ora  il  Dott.  EmiUo  Wohlwill,  acutissimo  fra  gli  studiosi  di  cose 
galileiane,  notò  di  recente  (i)  la  soverchia  facilità  con  la  quale  la 
narrazione  dell'episodio  era  stata  accolta  sulla  fede  delle  due  as- 
serzioni citate,  che  evidentemente  tanto  il  Targioni  -  Tozzetti  (2) 
quanto  il  Nelli  (3),  se  anche  non  le  citarono  né  l'uno  né  l'altro,  si 
tennero  a  ripetere  senza  sottoporle  a  controllo;  e  mentre,  come 
egli   giustamente  osserva,    di  un  apparato  che    doveva    servire  ad 


(1)  Galilri-Studien,  von  Emil  Wohlwill.  II,  Der  Abschied  von  Pisa 
(Schluss).  Separatabdruck  aus  Mitteiluiigen  ziir  Geschichte  der  Medizùi  ri.nd 
Natttr'wisseJischaften.  n,    18,  V  Band,  n.   2   und  n.   3,    1906,    pp.    439    segg. 

(2)  Notizie  degli  aggrandimeiiti  delle 'scienze  fisiche  accaduti  in  Toscana 
nel  corso  di  anni  LX  del  secolo  XVII,  raccolte  dal  dr.  Gio.  Targioni- 
TozzETTi,  tom.  I,  in  Firenze,  MDCCLXXX,  pp.   529-30. 

(3)  Vita  e  cofiimercio  letterario  di  Galileo  Galilei  ecc.,  scritta  da  Gio. 
Battista  Clemexte  de' Nelli,  voi.  I,  Losanna,   1793,  p.  47. 


GALILEO  GALILEI  E  DON  GIOVANNI  DE  MI 

USO  pubblico,  così  del  disegno  come  del  parere  dei  competenti 
in  materia,  e  tanto  del  successo  quanto  dell'insuccesso  gli  archivi 
fiorentini  avrebbero  dovuto  serbare  qualche  traccia,  nulla  nulla 
affatto,  non  ostante  le  indagini  che,  ben  si  comprende,  devono 
essere  state  ripetutamente  istituite,  si  è  rinvenuto  di  relativo  a 
questo  argomento,  è  indotto  a  sollevare  più  che  ragionevoli  dubbi 
sulla  verità  del  fatto,  ed  a  cercare  con  il  suo  consueto  acume,  se 
i  due  biografi  o  avessero  asserita  cosa  destituita  di  qualsiasi  fon- 
damento, o  quanto  meno  fossero  caduti  in  un  equivoco. 

E  seì)bene  noi  siamo  ben  lungi  dal  portare  completa  luce  sul- 
l'argomento in  questione,  confidiamo  di  farne  travedere  almeno  un 
bagliore  e  di  porgere  con  esso  un  filo  che  guidi  alla  scoperta  di 
tutta  intera  la  verità  ;  dimostrando  ancora  una  volta  che,  per  quanto 
tutto  ciò  che  vien  riferito  dal  Viviani  e  dal  Gherardini  non  possa 
prendersi  come  oro  di  coppella,  pur  tuttavia,  particolarmente  per 
quelle  circostanze  della  vita  di  Galileo  che  è  presumibile  abbiano 
potuto  attingere  dalle  sue  labbra  istesse  e  riferire  poi,  quanto  pur 
si  voglia  alterate,  le  loro  narrazioni  sono  assai  più  degne  di  fede 
di  quello  che  generalmente  si  creda  (x). 

Sta  anzitutto  il  fatto  che  intorno  al  1590  (2)  il  Granduca 
Ferdinando  volse  tutte  le  sue  cure  a  colorire  quell'antico  disegno 
di  Casa  Medici,  secondo  il  quale  Pisa  avrebbe  dovuto  essere  l'em- 
porio della  mercatura,  e  Livorno  servirle  di  porto,  raccogliendo 
così  le  tradizioni  commerciali  e  marittime  dell'antica  Repubblica 
Pisana.  A  questo  fine  il  Granduca  Cosimo  aveva  da  un  lato  con 
privilegi  e  comodi  d'ogni  specie  ricniamate  le  persone  più  speri- 
mentate nei  traffici,  e  curata  dall'altro  la  congiunzione  di  Pisa  con 
Livorno   mediante  un    canale    navigabile:  Ferdinando   poi,  conve- 


(i)  Senza  ripetere  qui  i  motivi  per  i  quali  dissento  a  tale  proposito 
dal  mio  egregio  amico,  dr.  Emilio  Wohlwtcll,  mi  richiamo  a  ciò  ch'ebbi 
a  scriverne  nella  nota  intitolata  :  U  episodio  di  Giistccvo  Adolfo  di  Svezia 
nei  racconti  della  Vita  di  Galileo  {Atti  del  R.  Istituto  veneto  di  scienze, 
lettere  ed  arti,  to.  LXV,  par.  II,  pp.  17-39),  Venezia,  officine  grafiche  di 
C.  Ferrari,  1906  ed  a  p.  6-12  della  mia  Serie  decimasettima  di  Scampoli 
Galileiani  {Atti  e  Meviorie  della  R.  Accademia  di  scienze,  lettere  ed  arti  in 
Padova,  voi.  XXIII),  Padova,   tip.  G.  B.  Randi,    1907. 

(2)  Istoria  del  Granducato  di  Toscana  sotto  il  governo  della  Casa  .!/■- 
dici,  to.  III,  Firenze,  MDCCLXXXI,  per  Gaetano  Cambiagi,  pp.  34-35. 


112  ANTONIO   F AVARO 

nuto  con  alcuni  dei  principali  mercanti  genovesi  che  a  Pisa  si  tra- 
sferissero le  celebri  fiere  di  Besanzone,  «  si  portò,  scrive  il  Galluzzi, 
«  egli  stesso  a  Livorno  per  dar  principio  ad  un  porto,  ad  una  città 
«  e  ad  una  nuova  fortezza.  Seco  era  Don  Giovanni  de'  Medici  suo 
«  fratello  già  istruito  nell'architettura  militare  e  Fra  Antonio  Mar- 
«  telli  Cavaliere  Gerosolimitano  destinato  a  dirigere  l'escavazione 
«  del  porto.  Fu  quivi  stabilito  che  si  riempisse  di  case  e  di  abi- 
«  tatori  il  circondario  eretto  da  Francesco,  e  che  a  questa  nuova 
«  città  si  aggiungesse  una  cittadella  che  gli  facilitasse  la  difesa  e  la 
«  communicazione  di  terra  ferma  :  il  Bontalenti  e  Don  Giovanni 
«  de'  Medici  ne  avevano  già  concertate  le  piante.  Li  dieci  di  Gen- 
«  naio  [1590]  si  gettarono  i  fondamenti  della  fortezza  nuova  e  il 
«  G.  Duca  assistè  con  la  sua  presenza  per  dar  vigore  in  quel  prin- 
«  cipio  a  un'opera  cosi  importante  »  (i).  Fra  le  più  gravi  difficoltà 
tuttavia  che  si  opponevano  era  che  il  porto  non  potè  mai  «  con- 
«  servarsi  netto  dall'aliga  e  dalle  immondezze  che  il  mare  vi  de- 
«  positava  e  che  insidiavano  la  salubrità  del  Paese  »  (2). 

Di  qui  adunque  risulta  assodato  che  a  provvedimenti  e  co- 
struzioni in  Pisa  ed  in  Livorno  era  stato  posto  mano  nel  1590  e 
che  tra  coloro  che  erano  stati  chiamati  a  contribuire  con  l'opera 
e  col  consiglio  era  pure  Don  Giovanni  de'  Medici:  quindi  la  va- 
rietà dei  particolari  concernenti  Livorno,  secondo  il  Viviani,  e 
Pisa,  secondo  il  Gherardini,  rimarrebbe  fino  ad  un  certo  punto  spie- 
gata. Che  poi  Don  Giovanni  abbia  prestata  effettivamente  l'opera 
sua  e  che  nel  1591  o  nel  1592  attendesse  in  Livorno  ad  un  «  mo- 
dello »  che,  secondo  ogni  probabilità,  aveva  relazione  con  i  lavori 
del  porto,  risulta  indubbiamente  da  una  sua  lettera  al  Granduca 
che  ci  venne  conservata  tra  le  carte  di  Don  Giovanni  ultimamente 
legate  dal  Conte  Cosimo  degli  Alessandri  al  Comune  di  Firenze 
con  facoltà  di   depositarle   in  quell'istituto    scientifico    della    città 


(i)  Op.  cit,  p.  36. 

(2)  Op.  cit.,  p.  37.  Nel  Diario  ben  noto  del  Settimanni,  a  e.  228  r. 
del  voi.  V:  «  Addi  ix  di  febbr.  1590  »  (s.  f.)  si  parla  di  lavori  fatti  «  vo- 
«  lendo  il  Ser.mo  Granduca  votare  e  fabbricare  una  nuova  darsina,  congiunta 
«  di  verso  mezzo  giorno  al  Porto  Vecchio  di  Livorno  »  e  a  e.  281  r.  del 
medesimo  volume:  «  Addi  vni  di  febbraio  1591  »  (s.  f.),  si  narra  che  fu 
incominciato  a  votare  il  Porto  Nuovo  a  Livorno. 


'i.VLlLEO    GALILEI    E   DON    LilUVAXNI    DE'MEDICI  Ilo 

<  .iv  ci^^>.-^c  .stimato  meglio  opportuno,  che  negli  Alessandri  erano 
pervenute  dai  Baroncelli  nei  quali  erano  rimaste  con  la  eredità  di 
c|uel  Cosimo  che  abbiamo  già  avuta  occasione  di  ricordare,  e  che 
presentemente  sono  nell'Archivio  di  Stato  di  Firenze.  Questa  lettera 
è  a  car.  173  d'una  busta  oggidì  segnata  col  n.°  5154,  è  in  data 
17  marzo  1591  e  quindi  non  può  escludersi  la  possibihtà  che  sia 
Aò  Incarnai  ione  ^  cioè  del  1592,  ed  in  essa  testualmente  leggiamo: 
«  Il  modello  si  va  finendo  tuttavia  et  Maestro  Raffaello  è  venuto 
«  molto  a  proposito,  che  mi  dà  aiuto  grande  dopo  le  sue  faccende 
«  del  misurare.  Non  ci  sono  ancora  né  mattoni  né  sassi,  né  si  pos- 
«  sono  condurre  con  questi  mali  tempi,  tuttavia  si  va  spianando 
«  et  facendo  quel  che  si  può,  né  partirò  di  qua  senza  bavere  la- 
«  sciato  il  modello  finito  di  tutto  punto.  Et  con  questo  di  nuovo 
«  fo  reverenza  humilmente  a  \'.  A. 

«  Di  Livorno,  li  17  di  Marzo  1591. 

«  Di  V.  A.  Ser.ma 

«  Humiliss.nfio  et  Obligat.^o  Ser.^e 

«  Don  Giovanni  Medici  ». 

La  esistenza  di  un  «  modello  »  ideato  da  Don  Giovani  de'  Me- 
dici intorno  al  1591  o  1592,  in  relazione  con  i  lavori  che  desta- 
vano le  maggiori  preoccupazioni  per  il  porto  di  Livorno,  è  quindi 
posta  fuor  di  dubbio,  ma  purtroppo  tra  le  minute  granducali  non 
abbiamo  rinvenuta  la  risposta  a  questa  lettera,  né  trovammo  alcuna 
altra  notizia  a  questo  argomento  relativa,  sicché,  almeno  per  ora, 
non  siamo  in  grado  d'aggiungere  ulteriori  schiarimenti.  Noi  non 
crediamo  ad  ogni  modo  che,  come  forse  di  suo  aggiunge  il  Nelli, 
intomo  al  modello  sia  stato  chiesto  dal  Granduca  il  parere  di 
Galileo,  ma  è  tutt'altro  che  fuori  di  luogo  ch'egli,  sia  pur  priva- 
tamente, abbia  espresso  il  suo  parere  contrario  alla  effettuazione 
di  quel  disegno,  e  che  da  alcuni  suoi  malevoli  sia  stato  riferito  a 
Don  Giovanni,  con  le  conseguenze  che  si  possono  agevolmente  sup- 
porre. Dell'insuccesso  della  invenzione  si  ha  ad  ogni  modo  la 
quasi  certezza  da  quanto  di  sopra  abbiamo  riferito,  né  vogliamo 
spingerci  ulteriormente  con  le  ipotesi  che  ciascuno  può  fare  da 
sé  e  che  troverebbero  appoggio  in  alcune  presunzioni  di  certo 
mal 'animo  che  Don  Giovanni  de'  Medici  conservò,  o  si  credette 
che  conservasse,  verso  Galileo. 

Arch.  Stor.  It.,  5."  Serie.  —  XXXIX.  8 


114  ANTONIO   FAYARO 

Quando  infatti  contro  le  scoperte  celesti  partecipate  al  mondo 
dal  Sidereus  Nuncms  si  levò  la  turba  degli  oppositori,  uno  tra  essi, 
e  dei  peggio  avvisati,   Francesco  Sizzi,    imbastita   la  sua   Dianoia, 
non  trovò  di  meglio  a  cui  indirizzarla  che  a  Don  Giovanni  de'  Me- 
dici, e  siccome  recava  la  consuetudine  che  le  dedicatorie   fossero 
preventivamente  accettate,  e  nel  caso  in  questione  gì'  intendimenti 
ostili  dell'autore  verso  Galileo   erano  anche  troppo  palesi    dal  ti- 
tolo stesso  dell'opera  (i),  convien  credere  che  Don  Giovanni,  in- 
terpellato,   non    vi    si    sia    rifiutato,    o    che    per   lo    meno    il    Sizzi 
conoscesse  i  sentimenti  di  lui  verso  Galileo  e  fors'anco  le  opinioni 
intorno    alle  scoperte  annunziate,,  e  fosse    indotto    a   pensare  che 
non  gli  sarebbe  tornata  sgradita.    E  se  nulla  di  ciò    può  rilevarsi 
dai  termini  nei  quali  la  dedicatoria  è  concepita,  ben  diversamente 
passarono  le  cose,  in  un  caso  analogo,  quando  cioè  Lodovico  delle 
Colombe,  antico  avversario    di   Galileo   a   proposito    della   Nuova 
Stella  del  1604,  prese  ad  impugnarne  i  ragionamenti  e  le  conclu- 
sioni intorno  alle   cose  che  stanno  su  l'acqua    o    che  in  quella  si 
muovono,  imperciocché,  dedicando  egli  il  suo  Discorso  apologetico  a 
Don  Giovanni  de' Medici,  espressamente  scrive:  «  A  Lei  si  doveva 
«  dedicar  questa  mia  disputa....  quale  ella  si  sia  :  imperocché....  la 
«  risolvette  in  favor  mio  »   (2);  e,  come   si   rileva  da   altro    luogo 
del  Discorso,  lo  stesso  Don  Giovanni  era  presente  almeno  ad  alcune 
tra  le  dispute  alle  quali  la  controversa  questione  aveva  dato  argo- 
mento (3).  Le  quali   dispute;   se   anche   avevano   condotto  a  con- 
clusioni soltanto  nel  secondo  semestre  dell'anno   161 1,  e  provocata 
la  ben  nota  stampa  di  Galileo  nel  1Ó12,  avevano  però  avuto  prin- 
cipio alcuni  anni  innanzi,  come  si  rileva  da  un  frammento  cancel- 
lato degli  studi  di  Galileo  a  quell'argomento  relativi  e  che  abbiamo 
per  la  prima   volta  restituito  alla  luce  e   pubblicato.  Colà  infatti, 
sotto  le  cancellature,  abbiamo  letto  :  «  Io  so  che  1'  A.  V.  benissimo 
«  si  ricorda,  come  quattro  anni    fa  mi    occorse  alla  presenza    sua 


(1)  Aiavoia  astronomica,  optica,  physica,  qjia  Syderei  Nnntn  7-wnor  de 
qitatttor  planetis  a  Galilaeo  Galilaei  rnaiheìnatico  celeberrimo,  recens  per- 
spicilU  cuiusdam  ope  conspectis,  vamcs  reddittir,  Auctore  FRANCrsco  SiTlO 
fiorentino,  Venetiis,    161 1,   apud  Petrum  Mariani   Bertanum. 

(2)  Le  Opere  di  GALILEO  GALILEI,  Ediz.  Nazionale  ec,  voi,  IV,  \).  315. 

(3)  Op.  cit.,  voi.  IV,  p.  319. 


(iAl.ll,K(>    (.Al. ILEI    K    DON    UlOVANXI    DE' MEDICI  115 

«  contradire  al  parere  di  alcuni  ingegneri,  per  altro  eccellenti 
«  nella  profession  loro,  li  quali,  nel  divisare  il  modo  di  contessere 
«  una  larghissima  spianata  di  legnami,  la  quale,  aiutata  dalla  pro- 
«  pria  leggerezza  del  legno  e  da  gran  moltitudine  di  vasi,  pur  di 
«  legno  ma  concavi  e  pieni  d'aria,  sopra  i  quali,  già  sottopostigli 
«  in  aqqua,  la  detta  spianata  riposasse,  facevano  gran  capitale  del- 
«  l'aiuto,  il  quale  si  promettevano  dall'ampiezza  della  superficie,  la 
«  quale,  distesa  sopra  larghissimo  campo  di  aqqua,  speravano  che 
«  fusse  per  dovere  e  poter  sostenere,  senza  sommergersi,  il  doppio 
«  o'  1  triplo,  più  di  peso,  che  il  computo  minuto  e  particolare, 
«  raccolto  separatamente  da  i  detti  vasi  tavole  e  travi,  non  dimo- 
«  strava  loro.  Sopra  della  qual  credenza  io  dissi,  che  non  bisognava 
«  far  capitale  che  quella  macchina,  ancor  che  spaziosissima,  fusse 
«  per  sostenere  niente  di  più  di  quello  che  sosterrebbero  le  sue 
«  parti  disgiunte  e  separate,  o  in  altra  macchina,  di  qual  si 
«  volesse  altra  forma,  riunite;  concludendo  io  generalmente,  che 
«  la  figura  non  poteva  essere  di  aiuto  o  disaiuto  a  i  corpi  solidi 
«  nell'andare  o  non  andare  al  fondo  nell'aqqiia  »  (i). 

Galileo  adunque  ricorda  qui  una  discussione  seguita  quattro 
anni  prima,  e  sebbene  gli  studi  preparatori  alla  definitiva  stesura 
del  trattato  si  debbano  benissimo  supporre  intrapresi  nel  1611,  e 
quindi  possa  intendersi  che  egli  voglia  risalire  al  1607,  io  credo 
fermamente  che  il  dibattito  qui  ricordato  abbia  avuto  luogo  nel 
1608,  e  precisamente  nell'estate  di  quest'anno,  poiché  nel  1Ò07 
Galileo  non  fu,  almeno  per  quanto  finora  ci  risulta,  in  Toscana, 
mentre  vi  si  trattenne  durante  tutte  le  vacanze  del  1Ó08,  essendo 
anzi  ed  a  lungo  ospite  della  Corte  nella  Villa  Ferdinanda  ad 
Artimino  (2).  La  Altezza,  alla  quale  Galileo  si  rivolge  nel  suo  discorso, 
è  Cosimo  II  Granduca,  che  nel  1608  era  ancora  Granprincipe  di 
Toscana. 

Si  potrebbe  ora  desiderare  di  sapere  se  Don  Giovanni  de'  Me- 
dici, il  quale  condusse  così  gran  parte  della  sua  vita  fuori  della 
patria,  sia  stato  presente  alla  disputa  a  cui  in  termini  cosi  chiari 
ed  espliciti  accenna  Galileo,  e  per  questo  converrà  che,  sia  pur 
per  sommi  capi,  lo  andiamo  seguendo  con  la  scorta  principale  della 
narrazione  citata  del  Baroncelli. 


(i)  Op.  cit.,  voi.   IV,  p.   32,   nota  3. 
(2)  Op.   cit,   voi.   X,   pp.   217-23. 


116  ANTONIO   FATAR 0 

Fino  al  1594  adunque  egli  si  trattenne  in  Toscana  trascor- 
rendo il  tempo  negli  studi  di  architettura  civile  (i)  e  militare  e 
raccogliendo  gli  studiosi  nel  suo  palazzo  in  Parione  e  splendida- 
mente trattenendoli  e  qui  e  nelle  ville  dalle  quali  troviamo  fre- 
quentemente date  le  sue  lettere  conservateci  nelle  carte  Ales- 
sandri :  benché  giovanissimo  ancora,  non  disdegnava  gli  studi  più 
severi  e  le  conversazioni  con  i  più  gravi  filosofi  e  in  Firenze  e 
in  Pisa,  di  che  fornisce  indiretta  testimonianza  anche  Iacopo  Maz- 
zoni che  lo  dice  «  omni  scientiarum  genere  cumulatissime  ornatus  » 
nell'opera  (2)  che  diede  occasione  alla  ben  nota  lettera  indiriz- 
zatagli da  Galileo  (3).  Ma  appunto  nel  1594,  eletto  dall'Imperatore 
Rodolfo  II  a  Generale  dell'  artiglieria  nella  campagna  contro  il 
Turco,  lasciava  la  Toscana  e  l'Italia  avendo  al  suo  comando  ben 
duemila  fanti  e  quattrocento  cavalli  armati  e  mantenuti  a  tutte 
spese  del  Granduca  in  quella  guerra  nella  quale  Don  Giovanni 
diresse  fra  altro  la  espugnazione  di  Strigonia  e  l'assalto  di  Vis- 
grado,  benché  la  infelice  perdita  di  Giavarino  impedisse  che  da 
quella  campagna  si  raccogliessero  tutti  i  frutti  che  se  ne  erano 
sperati. 

Di  ritorno  dalla  guerra,  come  comandante  in  capo  delle  ga- 
lere toscane  prese  parte  nel  1597  alla  ben  nota  spedizione  di 
JMarsiglia,  dove  pare  abbia  avuto  il  torto  di  lasciarsi  sfuggire  e  di 
non  saper  poi  raggiungere  il  famoso  corsaro  Amurat  Rais,  dal  quale 
i  Marsigliesi  non  erano  rifuggiti  dall'  invocare  aiuto. 


(i)  Fra  le  più  cospicue  opere  d'arte  alle  quali  Don  Giovanni  de'Me- 
DICI  attese  nel  corso  della  sua  vita,  vogliamo  qui  in  particolar  modo  ricor- 
dare le  Cappelle  IMedicee  in  San  Lorenzo  {Delle  tre  sorduose  cappelle  vie- 
dicee  situate  nelV  Imp.  Basilica  di  San  Lorenzo,  Descrizione  istorico-critica 
del  canonico  Domenico  AIoreni  ec,  Firenze,  presso  Carli  e  Comp.,  1813, 
pp.  200,  301-45),  in  concorso  con  Bernardo  Buontalenti,  che  vuoisi  sia 
stato  suo  maestro,  e  la  facciata  di  Santa  Maria  del  Fiore  {Vita  e  cojnt?iercio 
letterario  di  Galileo  Galilei  qc,  scritta  da  Gio.  BATTISTA  Clemente  de' Nelli, 
voi.  I,  Losanna,   1793,  p.   826). 

(2)  Jacobi  Mazzonii  Caesenatis,  in  almo  Gymnasio  Pisano  Aristotelem 
ordinarie,  Platonem  vero  extra  ordinem  profitentis.  In  tiniver sarti  Platonis 
et  Aristotelis  Philosophiatn  praeludia,  sive  de  cotnparatione  Platonis  et  Ari- 
stotelis  ec,  lib.  I,  Venetiis,  M.D.XCVII,  apud  Ioannem  Guerilium,  p.  195. 

{3)  Le  Opere  di  Galileo  Galilei,  Edizione  Nazionale  ec,  voi.  II, 
pp.   197-202. 


GALILEO   GALILEI   E   DON   GIOVANNI   DE' MEDICI  117 

Nel  1599  lo  troviamo  in  Ispagna  a  capo  della  Ambasceria 
mandata  a  Re  Filippo  III,  dove,  causa  la  macchia  della  sua  ori- 
gine, non  potè,  nonostante  i  grandi  servigi  resi  già  in  Fiandra, 
conseguire  il  Grandato  al  quale  aspirava. 

Nel  1600  comandava  le  diciotto  galere  che.  con  inaudita  e 
più  che  regale  magnificenza,  accompagnarono  a  Marsiglia  la  nuova 
Regina  Maria  de'  Medici,  e  dopo  aver  nuovamente  militato  in  Fian- 
dra, fallitogli  il  tentativo  d' accomodarsi  con  Re  Giacomo  d' Inghil- 
terra, fu  assunto  ai  servigi  di  Enrico  IV  con  ragguardevole  sti- 
pendio e  con  straordinarie  distinzioni;  ma  coinvolto  nei  famosi 
intrighi  di  quella  Corte  e  poco  gradito  alla  Regina,  la  quale  anzi 
ripetutamente  ebbe  a  lagnarsene  col  Granduca,  con  grande  ram- 
marico del  Re  se  ne  licenziò. 

Preceduto  dal  fido  Baroncelli,  Don  Giovanni  fece  ritorno  in 
Italia  nell'aprile  del  1608  e  confidando,  per  le  promesse  fattegliene 
dall'Ambasciatore  Veneto  a  Parigi  (i),  di  poter  essere  subito  con- 
dotto agli  stipendi  della  Serenissima,  venne  a  Venezia  e  si  pre- 
sentò in  Collegio  addi  17  maggio  ricevuto  dal  Doge  con  ogni 
dimostrazione  d'onore  ed  in  risposta  alle  sue  domande  ed  esibi- 
zioni ebbe  le  seguenti  parole  :  «  La  proferta  poi  di  V.  S.  della 
«  sua  persona  sarà  conservata  da  noi  et  da  questi  Sig.""'  per  un 
«  principal  deposito  ne' nostri  cuori,  et  per  farne  alle  occasioni 
«  quella  molta  stima  che  si  deve.  La  sia  dunque,  diremo  cosi,  la 
«  benvenuta,  con  sicurezza  di  essere  et  amata  et  benissimo  veduta 
«  da  tutti,  et  si  prometta  di  dover  o  in  questa  città,  o  Padoa,  o 
«  altro  luogo  che  si  fermerà,  ricever  tutte  quelle  sodisfattioni,  che 
«  merita  la  sua  persona,  et  la  sua  particolar  buona  dispositione 
«  verso  questo  Dominio  »  (2).  Nulla  dunque  era  stato  predisposto 
perchè  Don  Giovanni  venisse  condotto,  conforme  gli  era  stato  fatto 
sperare  a  Parigi,  sicché  egli  si  trattenne  in  attesa,  come  e  dove 
risulta  da  quest'altro  documento  in  data  21  maggio  1608:  «  Venuto 


(i)  Pietro  Friuli  e  forse  anche  Antoxio  Foscarixi,  perchè  l'ultimo 
dispaccio  del  primo  è  del  19  aprile  1608  ed  il  primo  del  secondo  sta  sotto 
il  dì  26  dicembre  1607.  Ved.  a  questo  proposito  il  citato  Discorso  istorico 
del  Baroncelli,  a  c.  58. 

(2)  Archivio  di   Stato    di   Venezia,    Esposizioni   Principi,    reg.   20, 

PP.  33-35- 


118  ANTONIO   FAVARO 

«neirEcc.™°  Collegio  1' 111."^°  SìgJ  Geronimo  Capello  (i)  fu  del- 
«  rill.™°  SìgJ  Vincenzo,  disse  che  essendo  andato  il  SìgJ  Don  Gio- 
«  vanni  de'  Medici  per  visitarlo,  Sua  Signoria  lU.'"^  fece  far  la  iscusa- 
«  tione  di  non  poter  ricever  la  visita  per  le  leggi  della  Ser.'"^  Rep.'^^ 
«  Ma  che  ricercata  licenza  alli  Ecc,™^  Sig/ì  Capi  di  andarlo  a  visi- 
«  tare,  et  passati  li  debiti  ufficii  di  complimento,  esso  Sig.^  Don  Gio. 
«  le  disse  che  voleva  esser  servitor  non  di  parole  ma  di  fatti  a 
«  questa  Ser.""^  Rep.^^  et  per  ciò  haveva  preso  casa  in  Padoa  et 
«  la  voleva  prender  anco  in  questa  città,  per  fermarsi  in  questo 
«  Stato  et  che  non  dimandava  titolo,  et  quanto  al  resto  si  sarebbe 
«  accomodato  alla  volontà  di  Sua  Ser.*^,  pur  che  potesse  ha  ver 
«  qualche  iscusatione  presso  a  gli  altri  Principi  di  fermarsi  più  in 
«  questo  Stato  che  in  altro  luoco;  il  che  potria  far  con  maggior 
«  quiete  di  animo  quando  fusse  fatto  degno  di  servir  con  effetti 
«  a  questa  Ser.""^  Rep.^^.  Il  che  tutto  haveva  voluto  rifferire,  acciò 
«  Sua  Ser.t^  restasse  conscia  di  quanto  haveva  inteso  »  (2). 

Nel  maggio  1608  aveva  dunque  Don  Giovanni  presa  stabile 
dimora  in  Padova  e  vi  si  trovò  quindi  contemporaneamente  a  Ga- 
lileo ;  e  poiché  non  risulta  in  alcun  modo  di  relazioni  passate  tra 
loro  in  tale  occasione,  è  lecito  argomentare  non  corressero  tra  di 
essi  amichevoli  rapporti,  contribuendovi  fors'anco  certi  attriti  tra 
Giovanni  de'  Medici  e  Giovanni  Battista  del  Monte,  generale  delle 
fanterie  della  Repubblica,  residente  in  Padova  e  col  quale  Gali- 
leo si  trovava  ormai  da  tanti  anni  in  amichevole  relazione.  Non 
si  protrasse  tuttavia  a  lungo  il  soggiorno  di  Don  Giovanni  in  Pa- 
dova, poiché  dovendosi  nell'autunno  di  quello  stesso  anno  cele- 
brare le  nozze  del  Granprincipe  Cosimo  con  l'Arciduchessa  Maria 
Maddalena  d' Austria,  vi  fu  invitato  egli  pure  e  si  recò  a  Firenze, 
e  quindi  può  benissimo  essersi  trovato  alla  Corte  nella  occasione 
in  cui  alla  presenza  di  Cosimo   ebbero  luogo  le  accennate   prime 


(t)  Ci  sembra  di  dover  notare  die  questo  illustre  Patrizio,  che  aveva 
già  coperte  varie  cariche  nel  Governo  della  Serenissima,  era  in  ottime  rela- 
zioni con  la  Casa  Medici,  e  di  queste  si  era  anzi  giovato  Galileo  per  vedere 
esaudite  dal  Senato  Veneto  alcune  sue  domande.  Cfr.  Galileo  Galilei  e  lo  Studio 
di  Padova,  per  ANTONIO  Favaro,  voi.  IT,  Firenze,  successori  Le  Mounier, 
1883,  pp.    130-31. 

(2)  AR(.:hivio  di  Stato  di  Venezia,  Esposizioni  Principi,  reg,  20,  p.  36. 


GALILEO   GALILEI    E   DON   GIOVANNI   DE'MEDICI  119 

avvisaglie  delle  dispute  sulle  Galleggianti  delle  quali  abbiamo  toc- 
i:ato,  sebbene  il  diario  ben  noto  del  Tinghi  (i)non  menzioni  Don  Gio- 
vanni fra  le  persone  che  furono  ospiti  della  Villa  Ferdinanda  ad 
Artimino,  la  quale  fermamente  noi  teniamo  sia  stata  la  scena  di 
i[uelle  discussioni:  sebbene  d'altra  parte  non  crediamo  che  queste 
siano  state  appunto  a  dar  motivo  agli  stridori  fra  Don  Giovanni  e 
Galileo,  come  presumerebbe  il  Wohlwill  citato,  il  quale  stima  siano 
caduti  in  equivoco  il  Viviani  ed  il  Gherardini  che  li  fanno  risa- 
lire a  tanti  anni  innanzi  e  vi  riconoscono  anzi  le  cause  per  le 
quali  Galileo  si  indusse  a  lasciare  lo  Studio  di  Pisa. 

Si  trattenne  Don  Giovanni  in  Firenze  anche  dopo  celebrate 
le  nozze  granducali,  e  mentre  si  disponeva  a  far  ritorno  a  Padova 
venne  a  morte  il  Granduca  Ferdinando,  sicché,  pur  sempre  col- 
tivando la  idea  di  entrare  ai  servigi  della  Serenissima,  fu  costretto 
a  trattenersi  per  allora  in  Toscana.  Vedendo  pertanto  come  gravi 
difficoltà  si  opponessero  al  conseguimento  del  suo  desiderio,  nel- 
r  ottobre  1Ò09  mandava  a  Venezia  il  fido  Baroncelli,  il  quale,  rac- 
tomandato  da  lui,  veniva  condotto  come  capitano  d'armi  agli 
stipendi  della  Serenissima  (2),  riuscendo  ai  suoi  abili  maneggi  di 
ottenere  che  circa  un  anno  dopo  fosse  condotto  a  condizioni  ono- 
revolissime anche  Don  Giovanni.  Questa  condotta  veniva  delibe- 
rata addì  24  settembre  1610  (3),  e  quindi  allorché  egli  si  recava  a 
Venezia  per  assumerla,  Galileo  aveva  già  abbandonata  la  lettura 
nello  Studio  di  Padova. 

Come  poi  abbia  potuto  Don  Giovanni  de'  Medici  trovarsi  pre- 
sente alla  disputa  ricordata  da  Lodovico  delle  Colombe  si  spiega 
col  fatto  che  addi  11  febbraio  lóii  egli  aveva  ottenuta  dal  Se- 
nato una  prima  licenza  di  due  mesi,  prorogata  di  altri  due  il 
22  aprile  e  nuovamente  il  9  luglio  e  fino  al  27  dicembre,  giorno 
nel  quale  gU  fu  concessa  la  sanatoria  per  l'assenza  durata  oltre 
il  permesso  (4);  mentre  sappiamo  d'altra  parte  che  durante  tutto 


(i)  Biblioteca  Nazionale  di  Firenze,  mss.  Gixo  Capponi,  261,  voi.  I, 

ce.    213t.-2l8t. 

(2)  Archivio  di  Stato  di  Venezia,   Senato,    Secreti,    filza  80.    Deli- 
1)  razione  20  febbraio   1609  m.  v. 

(3)  Ibid.,   Senato,   Secreti,  filza  81. 

(4)  Ibid.,   Senato,   Secreti,  filza  81;  Senato   Terra,  filze  197-98-99,  201. 


120  ANTONIO   FAYARO 

questo  tempo  egli  si  era  trattenuto  in  Toscana  per  soprintendere 
ai  lavori  ripresi  nel  porto  di  Livorno  (i). 

Le  successive  vicende  della  vita  di  Don  Giovanni  de'  Medici 
non  presentano  per  Io  scopo  nostro  alcun  interesse:  diremo  sol- 
tanto che,  scaduto  dalla  condotta  della  Repubblica  per  averla 
senza  le  debite  licenze  abbandonata  (2),  disgustato  poi  della  Corte 
di  Toscana  per  conto  della  quale  aveva  ancora  abilmente  con- 
dotti negoziati  delicatissimi  senza  averne  riconoscimento  pari  alle 
sue  benemerenze,  e  per  altri  intimi  motivi  che  provocarono  cause 
clamorose  le  quali  non  entrano  nel  quadro  della  nostra  narrazione, 
procurò  ed  ottenne  d'essere  ricondotto  (3),  e  ritiratosi  definitiva- 
mente negli  Stati  della  Serenissima,  mancò  ai  vivi  in  Murano 
addì  19  luglio  162 1. 

Nessuna  traccia  di  relazioni  dirette  tra  Don  Giovanni  de'  Me- 
dici e  Galileo  è  conservata  nei  Manoscritti  Galileiani  da  noi  ormai 
così  compiutamente  studiati  da  dover  escludere  che  potesse  esserci 
sfuggita.  In  quelle  buste  però  ch'ebbimo  la  ventura  di  scoprire 
nel  1885  fra  i  resti  della  Bibhoteca  Palatina  (4),  e  che  sono  pre- 
sentemente nella  Nazionale  di  Firenze  in  appendice  alla  Colle- 
zione Galileiana  propriamente  detta,  abbiamo  trovata  una  carta 
nella  quale  trovansi  insieme  riuniti,  e  non  sapremmo  per  quale 
caso,  il  nome  di  Don  Giovanni  de'  Medici  e  la  mano  di  Galileo. 
Le  carte  313-314  della  busta  segnata  col  n*'  9  (5)  contengono 
infatti  una  canzone  «  AH'  Ecc.'"»   Sisf.  D.  Giovanni  Medici  »  e  nel 


(i)  Potremmo  di  ciò  addurre  molti  documenti,  ma  ci  limiteremo  a 
riferirci  a  quanto  ne  narra  il  Galluzzi  nella  Istoria  del  Gramhicato  di  To- 
scana sotto  il  governo  nella  Casa  Medici,  tom.  Ili,  Firenze,   MDCCLXXXI, 

P.   313. 

(2)  Archivio  di  Stato  di  Venezia,  Senato,  Secreti,  filza  86,  Fra 
altri  documenti,  reggasi  quello  sotto  il  dì   7   agosto   161 3. 

(3)  Ibid.,  Senato,  filza  93.  Deliberazione  degli  li  novembre  161 6  e 
documenti  ad  essa  allegati. 

(4)  Intorno  ad  alcuni  Documenti  Galileiani  recentemente  scoperti  nella 
Biblioteca  Nazionale  di  Firenze,  per  Antonio  Fa  varo  (estratto  dal  Bullet- 
tino  di  Bibliografia  e  di  Storia  delle  Scienze  tnatematiche  e  fisiche,  tom.  XIX, 
gennaio,   1886),  Roma,  tip.  delle  Scienze  matematiche  e  fisiche,    1886. 

(5)  Intitolata  sul  dorso:  /.  Galileo.  Lavori  per  servire  alla  vita  di 
Galileo,  raccolti  dal  ViVlANi  e  dal  Xelli. 


GALILEO   GALILEI    E   DON   GIOVANNI   DE' MEDICI  121 

tergo  della  314  leggiamo  scritto  di  mano  di  Galileo:  «  Canzone 
del  S.  Chiabrera  ».  Questa  è  la  stessa  stampata  fra  le  opere  del 
Chiabrera  col  titolo:  «  Canzone  all'Illus.  ed  Eccel.  Sig.  D.  Gio- 
«  vanni  Medici.  Da  alcune  poesie  sopra  la  morte  del  Principe 
«  D.  Francesco  Medici  »  (i).  Il  quale  Chiabrera  poi  dovette  essere 
in  assai  strette  relazioni  con  Don  Giovanni,  poiché  molte  altre 
volte  indirizzò  sue  composizioni  poetiche  al  valoroso  bastardo  Me- 
diceo (2),  ed  una  anche  «  Al  Signor  Cosimo  Baroncelli,  quando 
D.  Giovanni  Medici  fu  condotto  da'  Veneziani  »  (3)  ;  e  finalmente 
noteremo  che  Don  Giovanni  stesso  in  una  lettera  al  Baroncelli 
data  da  Venezia  sotto  il  dì  5  settembre  1Ó15,  e  che  si  legge  a 
car.  Ó4  della  busta  2^  del  legato  Alessandri,  scriveva:  «  Hebbi  il 
«  Poema  del  S.  Chiabrera,  et  con  questa  sarà  la  risposta:  V.  S. 
«  a  mio  nome  lo  ringrazi  e  me  gli  offerisca  affettuosamente  sic- 
«  come  cordialmente  io  l'amo  ». 

Padova.  Antonio  Favaro. 


(i)  Delle  Opere  di  Gabbriello  Chiabrera.,  tom.  IV,  contenente  le 
poesie  liriche  omesse  nella  edizione  di  Roma  ec,  in  Venezia,  presso  An- 
giolo Geremia,  MDCCXXXI,   pp.    1-2. 

{2)  Delle  Opere  di  Gabbriello  Chiabrera,  in  questa  ultima  impres- 
sione tutte  in  un  corpo  novellamente  unite,  tom.  I,  contenente  le  canzoni 
eroiche,  le  lugubri,  le  morali  e  le  sagre  ec,  in  Venezia,  presso  Angiolo 
Geremia,  MDCCXXX,  pp.   33-47,   303-04,   427-29. 

(3)  Op.  cit.,  pp.  443-44- 


^^ 


Rassegna  Bibliografica 


Sebastiano   Salomone,  Storia  di  Augusta.  —  II  ed.,  Augusta,  1905. 

Il  signor  S.  Salomone  ha  pubblicato  la  seconda  edizione  della 
sua  Storia  di  Augusta,  uscita  la  prima  volta  nel  1876.  Questo  lavoro, 
ora  più  completo  e  più  organico,  non  ha  grandi  pretese,  ma  è  con- 
dotto con  grande  amore,  con  giusta  misura  e  in  forma  popolare.  Qua 
e  là  forse  sarebbe  stato  meglio  approfondire  certe  questioni,  ma  ciò 
non  toglie  niente  al  merito  del  lavoro.  Il  S.  tratta  dei  primi  abi- 
tatori di  quella  contrada,  poi  di  Megara  Iblea,  delT espansione  dei 
3Iegaresi,  che,  oltre  a  fondare  Selinunte,  andarono  a  popolare  la  città 
di  Xifonia;  della  distruzione  di  Megara  per  opera  di  Marcello,  delle 
reliquie  di  Megara  e  delle  istituzioni  megaresi.  Continua  dicendo  che 
i  cittadini  profughi,  temendo  di  non  potere  ricostruire  Megara,  se 
ne  vennero  in  Xifonia  imponendole  il  nome  della  loro  terra  origi- 
naria, che  questa  nuova  città  venne  distrutta  da  Sesto  Pompeo 
nella  guerra  civile  coi  Triumviri,  essendo  quei  cittadini  partigiani 
dì  Augusto,  e  che  questi  sulle  rovine  ancora  fumanti  fece  ricostruire 
la  città  dandole  il  nome  di  Augusta  (42  a.  C).  Essa  ebbe  poche  vi- 
cende importanti  sino  al  principio  del  secolo  XIII,  quando  venne  in 
quel  posto  «  Federico  II  per  ripararsi  dai  furori  di  una  tempesta,  e 
«  vedendo  la  bellezza  del  sito,  la  sicurezza  della  rada,  la  posizione 
«  strategica  della  rocca  normanna,  concepì  il  disegno  di  fondarvi  una 
«nuova  città  e  d'ingrandire  il  castello». 

L'Imperatore  concesse  alla  città  di  poter  mandare  due  Deputati 
al  Parlamento  di  Foggia  (1240)  e  il  diritto  di  partecipare  a  tutti  i 
Parlamenti  del*  regno.  Augusta,  per  la  sua  fedeltà  agli  Svevi,  fu  pu- 
nita terribilmente  dagli  Angioini  che  vi  commisero  stragi  nefande. 
Dopo  il  Vespro  sostenne  un  lungo  assedio,  ma  finalmente  cadde  in 
potere  degli  Aragonesi  ;  e  allora  il  re  Federico  prima  e  Ferdinando 
di  Castiglia  dopo  concedettero  in  feudo  la  città  che,  salvo  un  breve 
intervallo,  rimase  città  feudale  sino  al  1575.  Nel  1641  soffri,  come 
tutta  l'Isola,  una  gravissima  carestia;  nel  1675,  essendo  insorta  Mes- 
sina ed  essendosi  accordati  i  Messinesi  con  Luigi  XIV  per  cedergli 


SALOMONE,   STORIA   DI   AUGUSTA  123 

la  Sicilia,  questi  spedi  un'armata  che  riuscì  ad  impadronirsi  di  Au- 
uiista  e  che  fu  poi  sconfìtta  dal  famoso  ammiraglio  olandese  liuyter 
(^essendo  l'Olanda  alleata  allora  della  Spagna)  (22  aprile  1676). 
Luigi  XIV,  dopo  quasi  tre  anni  di  inutile  lotta,  abbandonò  l'Isola 
e  lasciò  i  suoi  partigiani  e  specialmente  i  Messinesi  in  balla  degli 
Spagnuoli  che  si  vendicarono  barbaramente  dei  loro  sudditi  ribelli. 
Seguono  altre  notizie  sulla  casa  di  Savoia  in  Sicilia,  su  Augusta  nel 
secolo  XIX  e  specialmente  sui  Carbonari  nel  1820,  sul  colera  del  1837, 
sul  grave  terremoto  del  1848,  sulla  rivoluzione  dello  stesso  anno 
e  su  quella  del  1860.  Il  S.  accenna  anche  agli  uomini  illustri  di  Au- 
gusta, ma  si  dilunga  troppo  sulla  città  d'oggi,  sui  nomi  antichi  delle 
vie,  sulle  chiese,  sui  conventi,  sulle  opere  pubbliche,  sulle  condi- 
zioni economiche,  sulla  marina  da  cabotaggio,  sulla  demopsicologia 
()  folMore  augustano,  ec.  ec.  Quest'ultima  parte  del  lavoro  è  molto 
prolissa  e  sarebbe  riuscita  più  confacente  all'indole  di  esso,  se  fosse 
stata  più  riassunta.  Insomma  il  lavoro  del  S.  merita  di  essere  lodato 
abbastanza. 

Massa.  G.  Bianco. 


Pio  Pecchiai,  L'Opera  della  Frimaziale  Pisana.  Notizie  storiche  e 
documenti.  Elenco  degli  Operai.  Begesto  di  diplomi  a  tutto  il  do- 
dicesimo secolo.  —  Pisa,  Mariotti,  1906. 

Con  la  guida  sicura  di  autentici  documenti  e  portando  un  con- 
tributo alla  storia  dell'Opera  della  Primaziale  Pisana,  il  Pecchiai 
ha  provato  chiaramente  non  esser  quella  fino  dalle  sue  origini 
una  istituzione  di  Stato,  come  taluno  ha  preteso  di  addimostrare. 
Quest'Opera  cominciata  ecclesiastica  è  addivenuta  istituzione  civile, 
senza  però  esser  mai  istituzione  di  Stato.  Difatti,  salvo  rarissime 
eccezioni,  sopra  di  essa  nessun  atto  d'imperio,  ma  solo  di  protezione 
e  tutela,  hanno  esercitato  i  governi,  che,  nello  svolgere  dei  secoli, 
in  Pisa  si  son  succeduti.  Che  se  talora  questa  tutela  apparve  e  fu 
soverchiamente  grave,  non  fu  mai  tale,  che  potesse  dirsi  esser  quel- 
l'Opera addivenuta  istituzione  di  Stato. 

Del  resto  essa,  come  tutte  le  istituzioni  simili  a  questa,  che  con 
nomi  diversi  si  trovano  allato  alle  antichissime  chiese,  specialmente 
cattedrali,  sono  state  costituite  per  la  necessità  di  provvedere  al- 
l'amministrazione dei  beni,  che  la  pietosa  magnificenza  dei  principi 
o  la  devozione  dei  popoli  donavano  alle  chiese.  Queste  donazioni  di 
sovente  ricchissime  per  larghe  possessioni,  per  danari  e  cose  pre- 
ziose, doveano  servire  al  culto   delle   chiese,   al   sostentamento   del 


124  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

vescovo  e  del  clero  ed  al  mantenimento  delle  fabbriche  sacre,  e  per- 
chè fatte  alla  chiesa,  erano  dai  sacri  canoni  e  dai  vescovi  nominati 
prima  fra  gli  nomini  di  chiesa,  e  poi  anche  nel  laicato  coloro  che 
per  la  chiesa  dovevano  conservare  ed  amministrare  tali  beni.  Circa 
il  secolo  XIII  le  civili  autorità  pretesero,  togliendolo  ai  vescovi  ed 
al  clero,  il  diritto  di  nominare  gli  amministratori  del  patrimonio 
delle  chiese,  ma  non  si  fecero  mai  lecito  di  esercitare  tale  ufficio, 
come  funzione  di  governo,  ma  solo  per  tutela  e  difesa  delle  chiese 
medesime.  Come  questo  sia  avvenuto  nella  chiesa  Pisana  ha  mostrato 
il  Pecchiai,  narrando  sempre  con  l'aiuto  delle  antiche  carte  lo  svol- 
gimento storico  dell'Opera  della  Primaziale  Pisana,  contro  chi  per  i 
suoi  fini  leggendo  a  suo  modo  i  documenti  avea  di  quest'Opera 
preteso  falsarne  la  natura  col  farla  una  istituzione  di  Stato. 

Dobbiamo  poi  esser  grati  all'autore  di  questa  monografia  per 
averci  dato  completo  l'elenco  degli  operai  con  esattissima  diligenza 
copiato  dagli  autentici  documenti  dei  ricchi  archivi  Pisani,  per  il 
valido  aiuto  che  tali  compilazioni,  quando  son  condotte  a  dovere, 
porgono   agli    studiosi  delle   cose   avvenute   nei   tempi  che    furono. 

Che  se  meritevole  di  lode  si  è  reso  il  Pecchiai  pubblicando 
l'elenco  degli  operai,  di  tanta  maggiore  importanza  avrebbe  dotato 
il  suo  studio,  se  il  regesto  dei  documenti  riguardanti  l'Opera  del 
Duomo  di  Pisa  fosse  stato  fatto  di  pubblica  ragione  nella  sua  in- 
tegrità, senza  trascurare  quelle  indicazioni,  che  rendendolo  completo 
lo  avrebbero  fatto  tanto  più  utile  agli  studiosi  della  storia  Pisana 
per  le  persone  ed  i  luoghi  nominati  in  quelle  carte. 

Del  resto,  lo  studio  del  Pecchiai  prova  quanto  sieno  utili  i  re- 
gesti delle  carte  specialmente  delle  chiese  e  monasteri,  che  hanno 
avuto  i  loro  principi  nella  più  remota  antichità. 

Firenze.  G.  B.  Ristori. 


G.  Volpe,  Per  la  Storia  giuridica  ed   economica  del  Medio  Ero.  — 
(Estr.  dagli  Studi  Storici,  voi.  XIV,  fase.  TI.  Pisa,  1905). 

Dall'esame  di  tre  recenti  libri  d'indole  storica  e  giuridica,  che 
hanno  fatto  fare  un  passo  importante  agli  studf  economici  e  sociali, 
il  prof.  Volpe  coglie  occasione  per  porre  in  termini  netti  e  precisi 
le  questioni  che  concernono  la  proprietà  fondiaria  nel  M.  E.,  i  patti 
agrari,  la  condizione  personale  e  lo  stato  giuridico  degli  agricoltori 
nella  vita  curtense,  le  origini  nell'alto  M.  E.  del  lavoro  industriale, 
lo  sviluppo  dei  commerci  nell'Italia  superiore,  ecc. 


VOLPE,  STORIA  (tIVRIDICA  ED  ECONOMICA  DEL  MEDIO  EVO      125 

Le  opere  prese  ad  esame  sono:  1."  Un  volume  di  L.  M.  Hart- 
ìiANX  contenente  sei  monografie,  raccolte  sotto  il  titolo  Zur  Wirt- 
!<chaftsgeschìchte  Italiens  in  frùhen  M.  E.  —  2.'^  /  contratti  agrari 
in  Italia  nelVaUo  M.  E.  (Torino,  1904),  di  S.  PiVANO.  —  3.''  Bistun\ 
loid  Geldwirtscliaft  dello  Schneider,  in  Queìlen  und  Forschungen 
dell'Istituto  Prussiano  in  Roma,  Vili,  1905. 

Il  primo  scrittore  rivolge  i  suoi  studi  ad  alcune  fra  le  maggiori 
proprietà  ecclesiastiche,  alle  corporazioni  d'arte  nell'Italia  bizantina, 
;il  commercio  nella  valle  del  Po,  ai  diritti  di  mercato,  agli  oneri 
dei  cittadini  per  le  opere  pubbliche.  Sostiene  la  tesi  che  l'ordina- 
mento fondiario  del  M.  E.  è  in  sostanza  una  continuazione  o  tra- 
sformazione dell'ordinamento  romano.  Esaminando  le  proprietà  ec- 
clesiastiche, la  prova  del  fatto  riesce  più  evidente,  perchè  nella 
Chiesa  si  conservò  più  intatta  la  tradizione  antica. 

Il  dotto  tedesco  considera  il  livello  e  Fenfiteusi  come  due  veri 
contratti  agrari,  distinti  fra  loro  per  la  durata,  la  entità  della  con- 
cessione, la  persona  del  concessionario,  ecc.  Invece  il  Pivano.  con 
una  teoria  nuova  e  convincente,  divide  i  contratti  in  due  grandi 
categorie:  contratti  formali,  cioè  il  livello,  la  precaria  e  la  prestarla; 
contratti  reali,  cioè  l'enfiteusi,  il  pastinato,  la  porzionaria,  la  co- 
Ionia,  la  masseria,  l'usufrutto  vitalizio,  la  locazione  a  tempo  e  la 
parziaria.  Questa  distinzione  sembra  al  nostro  A.  troppo  rìgida, 
perchè  non  vi  è  considerata  in  giusta  misura  l'importanza  delle  ra- 
dicali modificazioni  che  la  natura  dei  contratti  agrari  ebbe  a  subire 
nei  diversi  tempi.  Lo  stesso  Pivano  è  costretto  a  riconoscere  che 
coll'andar  del  tempo  il  livello  perdette  la  sua  natura  di  contratto 
formale  e  si  confuse  con  l'enfiteusi.  Ad  ogni  modo,  osserva  il  Volpe^ 
l'aver  dato  poco  peso  allo  svolgimento  storico  non  toglie  merito 
alla  concezione  del  Pivano,  perchè  giuridicamente  la  teoria  rimane 
intatta. 

Una  monografia  dell'Hartmann  sulla  economia  del  monastero  di 
Bobbio  offre  al  Volpe  l'opportunità  di  studiare  il  livello  nel  suo 
svolgimento  storico  e  di  considerare  alcuni  aspetti  meno  noti  del- 
l'ordinamento agrario  in  Italia  nell'alto  M.  E.  Egli  propone  la  se- 
guente classificazione  delle  plebi  rurali,  cioè  dei  lavoratori  della 
terra  non  proprietari:  da  una  parte  il  personale  dominico,  costituito 
da  servi  rustici,  domestici  e  artigiani  curtensi;  dall'altra  gli  agri- 
coltori che  hanno  un  manzo  in  cultura  autonoma,  siano  essi  servi 
o  massari,  aldi  o  coloni,  livellari  o  commendati.  Nei  fondi  eccle- 
siastici, a  differenza  di  quel  che  avviene  nei  laici,  la  prima  cate- 
goria di  uomini  scarseggia,  la  seconda  invece  è  numerosa.  Il  nostro 
A.  continua  col  considerare  la  condizione  dei  coloni,  dei  massari  e 


126  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

dei  livellari,  i  quali  tutti  dopo  il  sec.  Vili  tendono  a  conglobarsi 
in  una  massa  unica. 

Quanto  al  lavoro  industriale,  il  Volpe  enumera  i  modi  coi  quali 
si  provvedeva  al  bisogno  dei  prodotti  dell'industria  nelle  corti.  Una 
parte  del  lavoro  era  compiuto  in  economia  dai  dipendenti  della 
corte;  un'altra  parte  dai  liberi  lavoratori,  che  vendevano  i  loro  pro- 
dotti nei  mercati.  I  liberi  artigiani  crebbero  dall' Vili  secolo  in  poi, 
e  si  raccolsero  in  corporazioni  o  scolae,  nelle  quali  l'Hartmann  vede, 
come  nell'ordinamento  agrario,  la  continuità  della  tradizione  ro- 
mana. Questo  scrittore  tratta  dell'argomento,  prendendo  ad  esame 
i  documenti  dell'Italia  bizantina,  nella  monografia  intitolata  Zur 
GescMchte  der  Ziinfte  in  friihen  M.  E.  Il  Volpe  ammette  il  fatto 
per  le  città  bizantine,  quaJi  Roma  e  Ravenna,  ove  la  tradizione  la- 
tina ebbe  salde  radici:  ma  nega  che  lo  stesso  principio  si  possa 
estendere  alle  regioni  dell'Italia  non  bizantina.  In  queste  la  ten- 
denza corporativa  si  sviluppò  più  tardi,  non  prima  forse  del  sec.  XI  ; 
e  non  fu  di  origine  curtense,  né  derivazione  dall'antico.  Fu  invece 
una  nuova  creazione  storica,  coeva  o  posteriore  a  quella  che  dette 
vita  alla  più  ampia  corporazione  del  Comune. 

Gli  ultimi  due  studi  dell'Hartmann:  ComaccMo  iind  der  Po- 
Handel  e  Marktrecht  iind  Mimerà  trattano  del  commercio  italiano 
nell'alto  M.  E.  Prime  forme  di  scambi  sono  il  trasporto  dei  prodotti 
agricoli  dalle  corti  lontane  alla  centrale  e  quello  degli  stessi  dalle 
campagne  alla  città,  per  la  vendita  sul  mercato.  A  quest'  ultimo  in- 
tento i  grandi  proprietari,  e  specialmente  le  Chiese  più  ricche  di 
fondi,  hanno  casa  o  corte  nella  città  più  vicina  al  luogo  di  loro 
residenza  ;  e  speciali  impiegati,  scelti  fra  i  loro  dipendenti,  so- 
vrastanno all'azienda  commerciale  e  trasportano  per  le  vie  fluviali 
su  navicelli  propri  i  prodotti,  che  vanno  al  mercato.  Altro  cespite 
commerciale  è  il  lavoro  dei  liberi  artigiani.  Ma  assai  più  impor- 
tante è  il  commercio  interregionale  e  internazionale,  esercitato 
dalla  classe  dei  mercatores.  La  via  di  comunicazione  più  comoda 
nell'alta  Italia  per  i  mercanti  di  professione  è  il  corso  del  Po:  e 
le  città,  che  presto  acquistarono  maggiore  importanza  commerciale 
in  questa  zona  territoriale,  furono  Venezia  e  Comacchio.  L'Hart- 
mann esamina  e  analizza  i  trattati  che  re  Liutprando  stipulò  con 
queste  due  città;  e  mostra  come  la  maggior  parte  dei  diritti  por- 
tuali, di  ripatico  ed  altre  rendite  e  privilegi  commerciali  passarono 
a  po'  per  volta  nelle  mani  degli  ecclesiastici.  Similmente  avvenne 
dei  mercati  (anche  essi,  secondo  l'Hartmann  di  origine  romana  e 
distinti  fra  settimanali  e  annuali,  .cioè  urbani  e  rurali)  e  delle  re- 
lative rendite.  Coi  diritti  di  mercato  le  chiese  acquistarono,  mediante 


VOLPE,  STORIA  GIURIDICA  ED  ECONOMICA  DEL  MEDIO  EVO       127 

diplomi  reg'i,  iincho  aree  di  territorio  e  edifici  attig'ui  al  luogo,  ove 
il  mercato  era  aperto.  Conseguenza  di  ciò  fu  che  coir  andar  del 
tempo  molti  vescovadi  diventarono  proprietart  della  maggior  parte 
del  suolo,  deg-li  edifici  e  delle  piazze  nelle  città  e  nei  territori  cir- 
costanti :  avviamento  questo  alla  conquista  del  potere  temporale  per 
parte  dei  vescovi,  con  l'autorità  di  conti. 

L'affinità  dell'argomento  trasporta  l'Hartmann  ad  occuparsi  an- 
che dei  beni  comuni  nelle  città.  Il  Volpe  promette  di  studiare  a 
fondo  questa  materia  in  un  suo  lavoro.  Per  ora  espone  sommaria- 
mente le  idee  che  svolgerà  nella  trattazione.  Egli,  fra  coloro  che, 
come  l'Hartmann,  vogliono  far  risalire  l'istituto  dei  beni  comuni 
all'età  romana,  e  quelli  che  lo  considerano  un  fatto  di  formazione 
nuova,  crede  doversi  seguire  una  via  di  mezzo  ;  perchè,  se  si  consi- 
derano le  terre  pascne  e  boschive  per  sé,  i  beni  collettivi  si  possono 
riconnettere  con  un  simile  istituto  già  esistente  nell'antichità:  ma 
se  si  pon  mente  al  titolo  del  godimento,  cioè  alla  trasformazione 
dell'uso  secolare  di  detti  beni  in  proprietà  comuni  (trasformazione 
avvenuta,  come  tante  altre,  per  il  tramite  della  Chiesa),  i  beni 
comuni  del  M.  E.  costituiscono  un  fatto  nuovo. 

E  veniamo  all'ultimo,  lavoro,  che  il  Volpe  sottopone  ad  esame 
critico,  cioè  la  monografia  dello  Schneider  sul  Vescovado  di  Vol- 
terra. Studiando  la  storia  di  questa  città  nel  tempo  in  cui  ebbero 
autorità  di  vescovi-conti  più  personaggi  della  nobil  casa  dei  Pan- 
nocchieschi,  lo  Schneider  rileva  il  fatto  che  in  pochi  anni,  dopo  una 
politica  fatta  alla  grande,  il  vescovado  si  ingolfò  nei  debiti  e  giunse 
alla  bancarotta.  Qual'è  la  ragion  vera  del  disastro  finanziario?  A  parer 
suo  il  fatto  è  conseguenza  diretta  della  lotta  economica  fra  la  pro- 
prietà fondiaria  e  la  proprietà  mobiliare,  cioè  fra  la  ricchezza  agricola 
e  fabbricativa  da  una  parte  e  la  ricchezza  commerciale,  industriale  e 
monetaria  dall'altra.  Quest'ultima  riusci  vittoriosa,  e  i  proprietari 
di  fondi  e  di  stabili  furono  travolti  nella  sconfitta  e  fallirono.  Ve- 
scovi e  signori,  per  il  crescere  della  ricchezza  mobiliare,  videro  de- 
prezzate ad  un  tratto  le  loro  proprietà;  non  seppero  trarsi  d'im- 
barazzo col  porsi  alla  testa  del  nuovo  movimento  industriale  e 
commerciale;  e  non  trovarono  altro  mezzo,  per  far  fronte  ai  bisogni 
d'ogni  giorno,  se  non  quello  di  dare  in  pegno  i  propri  beni.  Le 
usure  assorbirono  in  breve  tempo  i  capitali  rappresentati  dalle  pro- 
prietà oberate  dai  debiti:  d'onde  la  bancarotta. 

Ma,  osserva  il  Volpe,  in  questo  modo  si  considera  la  questione 
da  un  sol  punto  di  vista  ;  e  invece  di  trarre  dai  fatti  storici  le  con- 
seguenze che  naturalmente  ne  scaturiscono,  si  pongono  i  fatti  e  i 
documenti   a   servigio   d'una   idea   preconcetta.   Se    la   teoria   dello 


128  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Schneider  fosse  sicura  ed  assoluta,  le  stesse  vicende  che  si  riscon- 
trano a  Volterra  sarebbero  avvenute  ovunque.  Invece  molte  altre 
Chiese  vescovili  si  adattarono  bene  alla  nuova  condizione  di  cose, 
superarono  la  crise  del  deprezzamento  dei  beni  immobili  e  conser- 
varono a  lungo  ricchezza,  autorità  e  forza  materiale.  Dunque  bisogna 
cercare  anche  in  altre  cause  il  repentino  decadimento  della  contea- 
vescovado  di  Volterra.  Tra  le  quali  il  Volpe  enumera  la  posizione 
geografica  della  città,  che  mancava  di  un  comodo  sbocco  al  mare: 
i  rapporti  di  Volterra  con  le  altre  città  della  Toscana,  specie  con 
Pisa,  vicina  temibile,  contro  la  quale  il  vescovo  volterrano  ebbe 
a  lottare  per  la  propria  indipendenza  spirituale  e  per  gravi  contro- 
versie di  giurisdizione  territoriale:  la  lunga  lotta  fra  i  cittadini,  che 
aspiravano  a  togliere  il  potere  temporale  al  vescovo  e  a  costituirsi 
in  comune  libero,  e  il  vescovo  conte,  che  contrastava  tali  pretese  e 
voleva  conservati  appieno  i  diritti  dagli  imperatori  con  ripetuti 
diplomi  concessi;  la  vittoria  finale  della  cittadinanza  che  riusci  a 
stabilire  una  amministrazione  laica  autonoma,  e  via  dicendo.  Insomma 
le  ^particolari  condizioni  dello  stato  volterrano,  assai  più  che  ragioni 
economiche  d'indole  generale,  determinarono  l'abbassamento  repen- 
tino della  potenza  dei  vescovi-conti  di  Volterra  di  casa  Pannocchiesea. 

Firenze.  Pietro  Santini. 


Armando   Tallone,    Begesto    dei   Marchesi   di   Saluzzo   {1091-1340). 

(Bibl.  della  Società  storica  subalpina,  XVI  :  Reg.  I).  —  Pinerolo, 

Chiantore-Mascarelli,  1906.  —  In  S"*,  pp.  14,  xviii,  547. 
Gabotto  F.  e  G.  B.  Barberis,  Le  carte  dello   archivio   arcivescovile 

di    Torino  fino   al   1310.   Indice   compilato    da    G.   M.    Sartore. 

(Bibl.  della   Società   storica    subalpina,  XXXVI,  Corpus  chart. 

Italiae,  XXIV).  —  Pinerolo,  Chiantore-Mascarelli,  1906.  —  In  8.-, 

pp.  viii-449. 

Le  due  opere  sopra  enunciate  hanno  importanza  per  la  scienza 
storica,  poiché  contengono  i  più  antichi  documenti  di  due  istituzioni, 
che,  ciascuna  nella  sua  sfera,  estesero  la  loro  influenza  ed  il  loro 
dominio  su  gran  parte  delle  terre  subalpine.  In  verità,  cosi  dell'una 
come  dell'altra,  storici  ed  eruditi  si  erano  già  occupati  ex-professo 
ed  avevano  anche  pubblicate  parecchie  carte  ;  ma  la  raccolta  e  l'edi- 
zione sistematica  di  queste  erano  da  un  pezzo  desiderate,  perchè 
speravasi,  come  si  verifica  ora,  che  recassero  luce  più  viva  sull'ori- 
gine, sullo  svolgimento  e  sull'estensione  della  potenza  dei  Marchesi 


STUDI    DI   STORIA   SUBALPINA  129 

(li  Saluzzo,  e  un  contributo  notevole  alla  storia  cosi  di  essi,  come 
del  vescovado  torinese. 

In  una  profonda  ed  interessante  introduzione  al  Corpus  dei  do- 
cumenti saluzzesi,  il  prof.  Gabotto  tratta  rapidamente  dell'origine 
della  casa  marchionale  di  Saluzzo,  secondo  gli  ultimi  studi  e  segna- 
tamente secondo  i  suoi  propri  e  quelli  del  Bandi  di  Vesme.  I  membri 
della  quale  casa,  gli  antichissimi  Marchesi  del  Vasto,  come  i  Mar- 
chesi di  Monferrato,  i  Capetingi,  gli  Arduinici  di  Torino,  la  R.  Casa 
di  Savoia  ed  i  Duchi  di  Borgogna,  ec.  derivano,  per  lui,  da  quel 
grande  ed  unico  stipite  che  fu  Aetelberto,  re  di  Kent  (563-612). 
Quindi,  per  sommi  capi  il  Gabotto  ricorda  le  vicende  dei  Marchesi 
e  degli  altri  rami  della  famiglia  di  Saluzzo,  per  giungere  fino  agli 
attuali  Saluzzo  di  Paesana.  Cosi  aperta  la  strada,  lascia  la  penna 
al  Tallone;  il  quale  in  due  parti  distinte  pubblica  fonti  notevo- 
lissime per  la  storia  del  Marchesato  di  Saluzzo,  da  Bonifacio  del 
Vasto  a  Manfredo  IV,  e  in  generale  per  la  storia  subalpina.  Nella 
prima  parte  raccoglie  1016  regesti  precisi  e  sufficientemente  ampi 
di  tutti  i  documenti  che  vennero  a  sua  conoscenza  nei  lunghi  anni 
nei  quali  pazientemente  attese  a  questa  lodevole  fatica.  Nella  se- 
conda, pubblica  integralmente  162  carte  e  diplomi  inediti  concernenti 
quei  Marchesi  e  quello  Stato. 

Basterebbe  già  questa  ultima  parte  per  richiamare  sull'opera 
l'attenzione  degli  studiosi,  poiché  contiene  diplomi  imperiali,  bolle 
pontificie,  convenzioni,  donazioni,  vendite  dì  terre  e  paesi,  investi- 
ture ec.  degne  di  essere  studiate.  E  alle  stesse  specie  di  docu- 
menti si  riferisce  la  copiosa  serie  degli  interessanti  regesti;  per 
mezzo  a' quali  gli  eruditi  seguono  tutto  lo  svolgimento  della  potenza 
saluzzese  nel  periodo  suo  più  glorioso  ed  hanno  tutto  l'agio  di  con- 
siderare il  metodo  severamente  scientifico,  col  quale  la  raccolta  è 
condotta;  quantunque  v'abbia  chi,  a  ragione,  potrebbe  domandare 
che  vi  fosse  aggiunto  un  indice  dei  nomi. 

Minore  importanza  politica  ha  certamente  il  secondo  dei  volumi 
citati,  ma  uguale  interesse  sociale  ed  economico.  Si  riferisce  al  ve- 
scovado di  Torino,  che  fu  nell'alto  medio  evo  potente  feudatario  del 
Piemonte  centrale  ed  estese  lontano  dalla  città  la  sua  giurisdizione 
e  la  sua  influenza.  Gli  egregi  Autori  ne  hanno  raccolto  e  pubblicato 
integralmente  le  carte  più  antiche  dal  981  al  1310,  vale  a  dire  nel 
periodo  più  oscuro  ed  intricato  della  sua  storia.  Questo  corpo  do- 
cumentario contiene  anch'esso,  in  336  pergamene,  diplomi  imperiali 
e  bolle  pontificie,  donazioni,  vendite,  affitti,- investiture,  albergarle, 
sentenze,  ec.  che  illustrano  la  storia  politica  e  civile  di  tutto  il  ter- 
ritorio della  diocesi;  ed  oltre  a  recare  un  notevole  contributo  alla 
Akch,  Stor.  It.,  Serie  5.".  —  XXXIX.  9 


130  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

conoscenza  delle  vicende  delle  terre  e  dei  comuni  compresivi  o  vi- 
cini, oltre  a  meglio  determinare  le  condizioni  economiche  e  sociali 
nelle  qnali  giacevano  quei  paesi,  danno  una  idea  sufficientemente 
precisa  di  un  feudo  ecclesiastico  fra  i  più  notevoli  dell'Italia  setten- 
trionale. La  storia  della  Chiesa  torinese  vi  trova  dillucidazioni  im- 
portanti, che  permettono  di  seguirne  tutti  i  passi  e  le  fasi  in  quel 
lungo  periodo  e  di  formarsi  anche  un  concetto  dei  suoi  vescovi 
come  signori  temporali.  Non  è  dunque  questo  volume  meno  del  pre- 
cedente importante;  e  pertanto  tutti  siamo  grati  agli  editori  di 
avere  assicurato  alla  scienza,  con  metodo  rigorosissimo  e  con  intenso 
amore,  la  conservazione  di  quei  preziosi  documenti. 

Torino.  E.  Casanova. 


Pietro  Santini,  Quesiti  e  ricerche  di  Storiografia  fiorentina.  —  Fi- 
renze, Seeber,  1903;  8^  pp.  146. 

Il  Santini,  in  questo  dotto  e  ricco  volumetto,  fa  nuove  ricerche 
intorno  alle  più  antiche  fonti  della  storia  e  della  leggenda  fioren- 
tina, riuscendo  ad  aggiungere  nuovi  indizi  e  nuovi  dati  sicuri  a 
quelli  che  già  si  possedevano.  Gli  storici  di  Firenze  fermarono  la 
loro  attenzione  sui  perduti  Gesta  florentinoriim^  menzionati  da  To- 
lomeo Lucense,  e  si  studiarono  di  ricostituire  il  contenuto  di  que- 
sta prima  fonte  delle  antiche  cronache,  confrontando  fra  loro  quei 
rifacimenti  di  essa,  a  noi  pervenuti,  che  sembrano  averne  conser- 
vato più  fedelmente  le  sembianze.  L'Hartwig,  come  è  noto,  dette 
la  preferenza  a  una  cronachetta  anonima,  contenuta  in  un  codice 
napoletano;  ma  ora  il  S.  mostra  che,  assai  più  di  questa  già  tarda 
e  alteratissima  compilazione,  deve  credersi  prossima  ai  Gesta  un'al- 
tra cronachetta,  conservataci  nelle  carte  1^-21'"  d'un  codice  della  Na- 
zionale fiorentina,  il  già  Magliab.  XXV  505,  appartenente  al  sec.  XIV. 
primo  trentennio,  anche  se  la  trascrizione  sia  alquanto  più  tarda.  Non 
già  che  fra  Tolomeo  e  la  cronachetta  vi  sia  perfetto  accordo:  alcune 
notizie  sono  in  questa  che  mancano  nell'Annalista  lucchese  e  altre 
ci  sono  fornite  dal  Lucchese  che  la  cronachetta  non  contiene  ;  ma  le 
somiglianze  sono  così  grandi  che  inducono  a  non  tener  conto  delle 
non  grandi  differenze.  Forse  il  S.  non  ci  spiega  in  modo  del  tutto 
persuasivo  come  maiala  cronachetta  taccia  dell'incoronazione  di  Fe- 
derico II  (1220),  che  si  trovava  descritta  nei  Gesta,  come  appare  da 
Tolomeo:  egli  attribuisce  l'omissione  ai  sentimenti  politici  del  ri- 
facitore, guelfo  arrabbiato;   ma  sembra  un  po' singolare  che  (luesti 


SANTINI,  gUESITI  E  RICERCHE  DI  STORIOGRAFIA  FIORENTINA    181 

giungesse  nella  sua  passione  politica  al  punto  da  voler  sopprimere, 
(luasi  per  distruggerli  col  silenzio,  gli  avvenimenti  storici.  Poteva, 
come  fa  altrove,  ricordarli  aggiungendovi  un  rabbioso  commento. 
Ciononostante,  poiché  il  Santini  medesimo  non  vuole  riconoscere 
nella  sua  cronachetta  una  riproduzione  esatta"  dei  Gesta,  ma  sol- 
tanto un  rifacimento  più  fedele  o  meno  infedele  degli  altri,  e  poiché 
non  possiamo  sapere  in  quale  stato  il  testo  dei  Gesta  pervenisse  al 
rifacitore,  e  l'opera  stessa  di  questo,  nel  manoscritto  che  ne  abbiamo, 
non  è  autografa,  sarebbe  un  pretendere  troppo  se  chiedessimo  che 
il  ?^.  ci  sciogliesse  in  modo  sodisfacente  tutte  le  difficoltà  e  tutti  i 
dubbii.  La  cronachetta  è  da  lui  pubblicata  nella  seconda  parte  del 
volume  (pp.  91-144),  coi  riscontri  dì  Tolomeo. 

La  cronachetta  del  Santini  comincia  col  solito  leggendario  Libro 
fìesolano;  benché  di  esso  non  resti  che  una  parte,  essendo  il  codice 
acefalo.  E  della  Chromca  de  origine  civitatis,  e  insieme  di  quella  sua 
redazione  volgare,  eh' è  appunto  il  cosiddetto  Libro  fìesolano,  tratta 
il  S.  nel  suo  secondo  capitolo,  soffermandosi  di  preferenza  sui  codici 
che  le  contengono,  ora  a  parte,  ora  fuse  o  contaminate  con  altre  scrit- 
ture. Trovo  accennato  dal  S.  che  «l'episodio  romanzesco  degli  amori 
«  di  Catìlina  e  di  Eclissa,  di  Tiverina  e  del  Centurione,  raccolto  dal 
«  Malespini  »  si  trova  «  trascritto  la  prima  volta  in  un  codice  del 
«  principio  del  sec.  XIX,  contenente  V Avventuroso  Siciliano  di  Bo- 
«  sone  da  Gubbio  ».  Quel  XIX,  sfuggito  nella  stampa,  sarà  forse 
da  leggere  XIV,  poiché  si  suole  attribuire  tal  data  al  cod.  Lauren- 
ziano  del  romanzo;  e  cosi  s'intende  quel  «trascritto  la  prima  volta». 
Ma.  in  tal  caso,  anche  il  S.  s'è  lasciato  trarre  in  un  errore,  che  non 
è  meno  un  errore  perchè  sia  stato  accolto  da  tutti  a  occhi  chiusi. 
II  codice  deìV Avventuroso  CiciUano  è  sicuramente  del  secolo  XV  ;  e 
il  romanzo  stesso  pei  suoi  caratteri  si  manifesta  opera  tarda,  o  del 
secolo  XV  o  di  poco  anteriore  ;  cosicché  non  è  da  prestare  alcuna 
fede  r\V  expUcit,  che  lo  dice  composto  da  Bosone  nel  1311. 

Parlando  delle  fortune  del  Libro  fìesolano,  il  S.  rammenta  na- 
turalmente ch'esso  fu  in  alcuni  manoscritti  accodato  ai  Fatti  di 
Cesare,  come  già  era  detto  anche  in  un  mio  vecchio  lavoro  sul  ro- 
manzo che  si  conosce  sotto  questo  nome.  Veramente  si  tratta  d'  un 
fatto  di  ben  poca  importanza:  ma  il  S.,  prendendo  un  grande 
amore  alla  sua  ricerca,  s' induce  perfino  a  dedicare  una  speciale  Ap- 
pendice (pp.  61-79)  ai  Manoscritti  fiorentini  dei  Fatti  di  Cesare^  ben- 
ché solo  cinque  di  essi  (che  fra  tutti  sono  quasi  una  quarantina)  mo- 
strino la  detta  coda  posticcia.  È  senza  dubbio  nel  libro  del  S.  un  fuor 
d'opera;  e  inoltre  i  codici  erano  stati  indicati  e  descritti  tutti,  tranne 
uno  o  due  brevi  frammenti,  o  dal  Banchi  o  da  me:  ciononostante,  non 


132  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

c'è  da  farne  un  grave  rimprovero  al  S.,  perchè  a  cavai  donato  non  §i 
guarda  in  bocca,  e  può  ben  essere  che  ad  alcuno  giovi  trovar  codesti 
manoscritti  catalogati  qui  tutti  insieme. 

Il  terzo  capitolo,  La  cronaca  di  3Iartino  di  Troppau  e  il  suo 
volgarizzamento^  gode  anch'esso  del  vantaggio  di  una  Appendice 
(pp.  81-87),  dove  i  codici  fiorentini,  che  contengono  il  testo  origi- 
nale della  cronaca;  e  rimasero  ignoti  al  Weiland,  sono  enumerati  e 
classificati  secondo  le  conclusioni  dell'editore  tedesco.  La  tradu- 
zione volgare,  finora  inedita  (a  non  tener  conto  del  frammento  pub- 
blicato dal  Ciampi),  sarebbe,  secondo  il  S.,  da  attribuire  alla  fine 
del  sec.  XIII,  perchè  appartiene  alla  redazione  B,  vale  a  dire  è 
anteriore  «  al  tempo  in  cui  fu  divulgata  la  più  ampia  recensione 
«  di  Martino  »,  C.  E  un  argomento  di  probabilità,  che  lascierebbe 
sempre  qualche  luogo  alla  possibilità  contraria,  che  il  volgarizza- 
mento, per  un  caso  qualunque,  venisse  compiuto  secondo  un  codice 
della  redaz.  B,  in  un  tempo  in  cui  la  redaz.  C  era  già  nota  e  dif- 
fusa. Sarebbe  dunque  stato  opportuno,  dal  punto  di  vista  della  chia- 
rezza e  della  buona  composizione  del  libro,  che  il  S.  accennasse  qui 
subito  a  un  altro  argomento,  assai  più  sicuro,  che  sta  in  favore  della 
sua  datazione  ;  al  fatto  cioè  che  la  cronachetta  malamente  attribuita 
a  Brunetto  Latini  (la  quale  fu  per  lo  meno  cominciata,  se  non  anche 
compiuta,  avanti  la  fine  del  sec.  XIII)  si  fonda  in  gran  parte  sulla 
cronaca  più  malamente  ancora  attribuita  al  Petrarca,  che  a  sua  volta 
si  fonda  sul  volgarizzamento  di  Martino.  Ma  è  anche  vero  che  le  re- 
lazioni cronologiche  fra  lo  Pseudo-Petrarca  e  lo  Pseudo-Brunetto  non 
sono  esposte  con  sufficiente  chiarezza. 

Le  scarse  e  nude  notizie  dì  storia  fiorentina,  eh'  erano  tutto  il 
patrimonio  dei  secoli  XII  e  XIII,  poterono  dunque,  all'apparire  della 
cronaca  martiniana,  venir  «  associate  coi  maggiori  avvenimenti  del 
«  papato  e  dell'  impero  ».  Uno  de'  primi  '  e  ancora  incerti  tentativi,^ 
rivolti  a  questo  scopo,  è  la  detta  cronaca,  attribuita  al  Petrarca. 
Di  essa  e  specialmente  de' codici  che  la  contengono  tratta  il  S.  nel 
quarto  capitolo;  passando  poi  via  via  ne' capitoli  seguenti  alle  com- 
posizioni più  progredite.  Anzitutto,  La  Cronaca  Napoletana-Gad- 
diana^  cioè  contenuta  in  un  codice  di  Napoli  e  in  uno  fiorentino^ 
Laur.-Gaddiano,  la  quale  ha  per  suo  elemento  principale  lo  Pseudo- 
Petrarca e  fonde  con  esso  il  materiale  offertole  dai  Gesta,  e  s' in- 
grossa pure  d'altre  notizie,  che  almeno  in  parte  dovettero  esser 
dapprima  glosse  marginali.  Essa  fu  adoperata  dal  commentatore  di 
Dante,  che  si  suol  chiamare  l' Ottimo.  Poi,  La  Cronaca  del  codice  luc- 
chese Orsucci,  cominciata  nel  1290,  e  condotta  innanzi  fino  al  1341  ; 
specie  di  lavoro  preparatorio,  in  cui  l'autore  raccoglie  il  materiale 


SANTINI,  QUESITI  E  RICERCHE  DI  STORIOGRAFIA  FIORENTINA    133 

latino  e  volg-are,  a  lui  noto,  per  la  storia  della  Toscana  e  di  Firenze, 
in  relazione  colla  storia  generale,  per  trarne  poi  fuori,  come  era  sua 
intenzione,  una  cronaca  ordinata,  in  latino.  Infine,  La  Cronaca  attri- 
huita  a  Britnetto  Latini,  che  fu,  come  si  sa,  pubblicata  dal  Villari, 
e  il  cui  abbozzo  autografo,  mutilo  però  di  tutta  la  parte  più  antica, 
trovasi  nel  cod.  miscellaneo  della  Biblioteca  nazionale  II,  IV,  323,  già 
Magliab.  XXV,  565.  Essa  si  fonda  sullo  Pseudo-Petrarca  e  inoltre  i 
Gesta  fiorenti norum,  continuati  fin  quasi  alla  fine  del  sec.  XIII,  ma 
ci  fornisce  pure  notizie,  che  non  conosciamo  da  nessun' altra  fonte. 
Lo  studio  del  codice  Magliabechiano  è  importante  soprattutto  perchè 
«  ci  offre  modo  di  sorprendere  il  compilatore  nel  momento  che  appa- 
«  recchiava  il  suo  lavoro;  ci  ammaestra  cioè  sul  metodo,  seguito  ge- 
«  neralmente  dai  cronisti  dei  secoli  XIII  e  XIV,  nel  comporre  le  loro 
«  opere  ». 

Nella  lucida  conclusione  il  S.  riassume  e  completa  i  risultati  del 
8UO  diligente  e  utilissimo  studio,  che  sarà  d'ora  innanzi  il  necessario 
punto  di  partenza  per  ulteriori  ricerche  sui  fonti  della  primitiva 
storia  fiorentina  e  sulle  loro  vicendevoli  e  complicate  relazioni. 

Firenze.  E.  G.  Parodi. 


Enrico  Sieveking,  Studio  sulle  finanze  Genovesi  del  medio  evo  e  in 
particolare  sulla  Casa  di  S.  Giorgio,  voi.  I  [Atti  della  Società 
Ligure  di  Storia  patria,  voi.  XXXV). 

Ogni  promessa  è  debito  ed  è  tempo  che  V Archivio  storico  italiano 
mantenga  una  vecchia  promessa  (1901  I  214  II  331),  almeno  quando 
viene  alla  luce  la  traduzione  italiana  dell'opera  a  cui  quella  si 
riferisce.  Negli  anni  1898-99  Enrico  Sieveking  pubblicò  nelle  VolT^- 
H'irthschaftliche  Ahhandlungen  der  Badischen  Hochscìmle  un'opera  in 
due  volumi  col  titolo  Genueser  Finanzwesen  mit  hesonderer  Berilck- 
siclitigung  der  Casa  di  S.  Giorgio  :  il  primo  volume  tratta  dell'ammini- 
strazione finanziaria  del  comune  di  Genova  sino  al  sec.  XV,  il  se- 
condo comprende  la  storia  del  celebre  Banco  dalla  fondazione  sino 
al  1815.  Ora  la  Società  ligure  di  storia  patria  accolse  ne' suoi  Atti 
la  traduzione  del  primo  volume  fatta  dal  sig.  Onorio  Soardi  e  ri- 
veduta dall'autore  e  speriamo  vi  farà  seguir  presto  la  traduzione 
del  secondo:  l'opera  del  Sieveking  avrà  in  tal  modo  in  Italia  la 
diffusione  di  cui  è  degna  e  che  non  ebbe  finora,  dacché  nelle  biblio- 
teche nazionali  essa  è  piuttosto  rara  ed  a  giudicare  da  certi  cata- 
loghi nostri  si  troverebbe  solo  a  Genova  e  Firenze. 


134  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Il  primo  volume  comprende  tutta  la  storia  finanziaria  del  comune 
di  Genova,  con  grande  ricchezza  di  particolari  sulle  varie  specie  d'im- 
poste e  tasse,  sui  prestiti  pubblici,  sui  bilanci  dello  Stato  e  sui  molti 
uffici,  cui  tale  gestione  era  affidata.  Assai  gran  copia  di  notizie  e  di 
fatti  viene  aggiunta  a  quelle,  non  molte  ma  molto  ordinate  e  precise, 
che  ci  offerse  il  Goldschmidt  nella  sua  nota  UniversalgescMchte  des 
Handeisrechts;  frequenti  sono  i  confronti  con  altre  città  italiane, 
Firenze,  Venezia,  Pisa,  ed  altri  con  Siena  ne  aggiunse  il  Solmi  nella 
sua  ampia   recensione   nella  Jìiv.  di  diritto  comvterciale,  IV,  1,  485. 

L'autore  usò  non  solo  molti  documenti  già  editi  e  vide  anche 
in  bozze  parte  del  voi.  XVIII  dei  Monumenta  Historiae  x^(^^^'^^^y 
pubblicato  più  tardi  col  titolo  Leges  Genuenses,  ma  si  valse  pure 
largamente  dei  materiali  inediti,  specialmente  dei  numerosissimi 
atti  notarili  del  sec.  XIII:  il  lavoro  di  ricerca  è  tra  questi  assai 
agevolato  dal  Foliatium  Biclierii  che  ne  contiene  il  regesto,  parte 
per  materie,  parte  per  notai,  ed  ha  un  indice  proprio,  e  dalla  raccolta 
completa  degli  estratti  formata  dal  prof.  Wolf  per  molti  argomenti 
economici  e  finanziari  e  conservata  nell'Archivio  della  stessa  Società 
Ligure.  Nel  sec.  XIV  le  fonti  principali  sono  il  codice  delle  regule 
comperarum  capituìi  [ora  stampato  nel  suddetto  voi.  XVIII]  ed  il  liher 
magnus  contractnum  Sancti  Georgii,  oltre  agli  statuti,  ai  libri  dei 
conti  ed  ai  libri  delle  compere  minori. 

Colla  maggior  riverenza  per  chi  ha  contribuito  largamente  alla 
conoscenza  della  storia  economica  italiana  con  lavori  molteplici  di 
varia  mole,  sia  lecito  notare  che  i  materiali  non  sono  sempre  disposti 
nel  miglior  ordine  :  talvolta  non  si  evitano  le  ripetizioni  o  manca 
qualche  anello  di  collegamento,  tal'  altra  non  è  pienamente  escluso 
ogni  dubbio  che  certe  affermazioni  generali  siano  fondate  sopra  una 
sola  citazione  od  anche  sopra  un  solo  regesto  altrui  di  atti  non 
veduti  dallo  stesso  Sieveking. 

Le  prime  notizie  sulle  condizioni  finanziarie  del  territorio  ge- 
novese risalgono  all'alto  medio  evo,  quando  le  tasse  erano  fissate  e 
riscosse  dai  Marchesi  per  diritto  feudale  e  passarono  poi  in  gran 
parte  per  infeudazione  od  usurpazione  ai  Visconti  loro  rappresen- 
tanti, specialmente  dopo  le  suddivisioni  della  famiglia  marchionale 
Obertenga,  che  impedivano  ai  singoli  membri  d'esercitare  i  loro  di- 
ritti entro  Genova.  I  Visconti,  che  secondo  un'opinione  assai  fondata 
(malgrado  qualche  lacuna  genealogica)  discendevano  da  uno  stipite 
unico,  vissuto  intorno  alla  metà  del  sec.  X,  esercitarono  quei  diritti 
come  un  possesso  comune  consortile.  Le  resistenze  e  le  opposizioni 
ai  Marchesi  si  accentrarono  intorno  al  Vescovo,  il  quale,  poiché  ebbe 
acquistato  estesa  potenza  territoriale  e  larga  influenza  politica,  ap- 


SIEYEKING,   LE   FINANZE   GENOVESI   DEL  MEDIO   EVO  135 

])rofittan(lo  della  supremazia  ecclesiastica  e  delle  decime  che  poteva 
rificiiotere  in  nome  di  essa,  impose  a  sua  volta  altre  tasse  alla  bor- 
^Hiesia. 

Ricordiamo  brevemente  che  questa  dapprincipio  considerò  il 
Vescovo  (divenuto  arcivescovo  nel  1133)  come  suo  rappresentante 
nei  rapporti  esterni,  e  fattasi  più  forte  si  esplicò  nella  Compagna, 
associazione  d'uomini  atti  alle  armi,  stretti  dapprima  a  solo  scopo  di 
difesa  locale,  più  tardi  per  garantire  la  sicurezza  della  città  e  del 
commercio  anche  nelle  spedizioni  lontane,  in  fine  coli' intento  di 
spingere  la  penetrazione  politica  e  mercantile  e  quindi  anche  con 
mezzi  d'oifesa  —  dapprima  temporanea  per  determinate  occasioni, 
poi  rinnovata  regolarmente  e  resa  obbligatoria  coli' escludere  i  re- 
nitenti da  ogni  profitto  delle  spedizioni  comuni.  La  Compagna,  che 
sceglie  dapprincipio  i  suoi  capi  nelle  famiglie  viscontili  e  nobiliari, 
s'identifica  per  gradi  col  Comune  accogliendo  i  comunisti  sotto  la 
sua  protezione,  stringe  relazioni  colle  aggregazioni  affini  esistenti 
in  altri  luoghi,  tende  ad  acquistare  anche  la  sovranità  nella  parte 
finanziaria,  insieme  col  diritto  di  chiamare  alle  armi  e  citare  in 
giudizio  :  il  Comune  entra  in  lotta  (sec.  XII)  coi  Marchesi,  coi 
Visconti,  coir  Arcivescovo,  sia  per  assicurare  la  propria  indipen- 
denza, sia  per  impadronirsi  delle  tasse  ed  imposte,  vince  molto  più 
presto  contro  i  primi  e  l'ultimo,  mentre  i  Visconti  (appunto  perchè 
ascritti  alla  Compagna)  conservarono  loro  ragioni  e  diritti  ancora 
nella  seconda  metà  del  sec.  XIII.  Qui,  come  altrove,  la  vittoria  po- 
litica fu  conseguita  prima  della  economica,  perchè  il  Comune  fu 
pago  dapprincipio  di  far  riconoscere  la  sua  sovranità  (p.  es.  sui 
pesi  e  misure,  p.  30),  lasciando  più  a  lungo  a  beneficio  de' suoi  av- 
versari parte  dei  profitti  che  ritraevano  dai  redditi  stessi:  cosi  esso 
potè  ottenere  nel  1162  da  Federico  Barbarossa  precisa  conferma 
delle  regalie  che  già  possedeva,  in  compenso  dell'aiuto  promesso  per 
la  conquista  della  Sicilia. 

Vari  furono  nei  tempi  i  diritti  riscossi  nei  territori  genovesi  e 
crebbero  secondo  l'importanza  dei  commerci  che  ne  furono  la  base 
essenziale.  Non  parrà  strano  che  essi  presentino  parecchie  analogie 
colle  tasse  esistenti  nel  tempo  romano  e  sotto  i  popoli  germanidi 
|cfr.  Solmi  nella  recens.  cit.j,  tanto  più  che  i  beni  imponibili  erano 
i  medesimi  ed  appartenevano  tutti  alla  ricchezza  mobiliare,  mentre, 
com'è  noto,  la  signoria  sugli  immobili  ebbe  nell'alto  medio  evo  ed 
in  parte  nei  secoli  successivi  un  carattere  essenzialmente  patrimo- 
niale, pel  quale  dava  luogo  piuttosto  alla  riscossione  di  frutti  e 
rendite,  che  all'esazione  d'imposte.  Parte  principale  di  quei  redditi, 
^•lic  passò  dall'uno  all'altro  possessore  della  Sovranità  nel  Comune, 


136  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

furono  i  dazi  d'entrata  delle  merci  in  città  e  quelli  di  transito, 
che  si  computavano  talora  sul  peso  delle  merci,  tal'  altra  sulla 
distanza  del  luogo  d'origine  da  Genova:  distinguevansi  per  lo  più 
secondocbè  l'ingresso  avveniva  per  via  di  mare  o  di  terra,  e  i  nomi 
introitus  ripe,  intr.  porte  corrispondono  senza  dubbio  in  origine  a 
tale  distinzione,  quantunque  più  tardi  ne  sia  stato  modificato  il 
senso.  I  Marchesi  possedevano  i  diritti  feudali  di  bannalità,  di  tasse 
giudiziarie,  di  mercato,  di  fodro  ;  i  Visconti  vi  aggiunsero  una 
tassa  sui  contratti  ed  acquisti  fatti  in  Genova  col  nome  ({''introitus 
vicecomitatus  (e  più  tardi  con  quello  dì  ripa)  e  la  tassa  sui  banchi 
de' macellai  che  tennero  più  a  lungo  per  sé:  l'Arcivescovo  ebbe, 
oltre  alla  decima  sui  frutti  delle  terre,  una  decima  di  mare  che  si 
pagava  a  forma  di  testatico  da  ogni  navigante  secondo  il  viaggio 
da  cui  ritornava:  il  Comune  introdusse  una  tassa  per  la  manuten- 
zione del  porto  ed  il  lucroso  monopolio  del  sale. 

Le  condizioni  finanziarie  ebbero  secondo  l'Autore  una  grandis- 
dissima  importanza  nella  storia  di  Genova.  Causa  principale  della 
rivoluzione  del  1256,  che  condusse  all'  istituzione  del  Capitano  del 
popolo,  fu,  insieme  colla  oppressione  esercitata  dai  nobili  guelfi,  anche 
il  cattivo  stato  delle  finanze:  Guglielmo  Boccanegra,  il  primo  chia- 
mato al  nuovo  ufficio,  die  opera  attiva  a  raccogliere  tutti  i  cespiti 
di  reddito  in  mano  del  Comune,  riducendo  quelli  spettanti  ai  Mar- 
chesi ed  all'Arcivescovo,  proteggendo  invece  quelli  dei  Visconti,  e  vi 
aggiunse  nuovi  prestiti  forzosi  per  pagare  i  debiti  esistenti.  Altre 
agitazioni  nel  1270  ebbero  per  effetto  l'equa  ripartizione  degli  uffici 
e  del  carico  delle  imposte  fra  nobili  e  popolani,  tra  cui  esse  si 
suddivisero  o  per  alberghi,  gruppi  di  famiglie  nobili  riunite  secondo 
i  vincoli  del  sangue  e  la  prossimità  dei  palazzi,  o  per  quartieri 
popolari  e  conestagi  o  secondo  le  associazioni  e  corporazioni  operaie. 
La  rivolta  del  1339  fu  ancora  provocata  dal  terzo  stato,  gravato 
dalla  mala  amministrazione  delle  finanze,  quantunque  soltanto  i 
mercanti  ne  abbiano  dapprincipio  goduto  i  vantaggi.  In  questi  moti 
violenti,  come  nei  mutamenti  pacifici  introdotti  negli  ordinamenti 
comunali,  fu  sempre  tenuto  in  gran  conto  l' interesse  dei  numerosi 
creditori  del  comune,  che  riuscirono  spesso  a  far  accettare  i  prov- 
vedimenti più  vantaggiosi  per  loro,  non  quelli  che  avrebbero  dato 
maggior  utile  alle  finanze  cittadine.  Del  qual  fatto  è  assai  agevole 
scoprire  la  ragione  in  ciò,  che  la  repubblica  Genovese,  sempre  in- 
tenta a  mantenere  la  supremazia  nel  commercio  europeo,  a  lottare 
contro  i  rivali,  a  preparare  o  compiere  o  far  fruttare  numerose  ed 
importanti  spedizioni  militari,  si  valse  in  proporzione  assai  larga 
dei  prestiti,  aumentando  oltre  misura  il  numero  de'   suoi   creditori 


SIEVEKIXG,   LE   FINANZE   GENOVESI   DEL   MEDIO   EVO  137 

ed  attribuendo  quindi  ad  una  parte  de'  cittadini,  ai  più  ricchi  e 
potenti,  un'azione  positiva  nel  riscuotere  molto  più  forte  di  quella 
che  avrebbero  avuto,  se  gravati  d' imposte  avessero  potuto  esercitare 
soltanto  un'azione  negativa  di  resistenza  nel  pagare. 

Il  bilancio  fu  per  lungo  tempo  tenuto  in  modo  incompleto;  le 
partite  si  ordinavano  alfabeticamente  secondo  i  nomi  degli  impie- 
gati del  Comune,  si  distinguevano  le  spese  ordinarie,  pagate  cogli 
incassi  ordinari,  dalle  straordinarie,  alle  quali  si  provvedeva  con 
leggi  speciali,  ma  non  si  raccoglievano  mai  entrate  ed  uscite  in  un 
conto  generale  e  compiuto.  Si  fissava  spesso  un  limite  di  somma  per 
le  spese  ordinarie,  ma  era  poi  necessario  allargarlo  rapidamente  pel 
frequente  mutare  dei  bisogni.  I  primi  registri,  che  giunsero  sino  a  noi, 
dell'anno  1340,  sono  tenuti  a  partita  doppia,  coli' uso  di  due  fogli 
diversi  pel  dare  e  per  l'avere,  i  quali  devono  pareggiarsi  nei  saldi, 
e  col  trasporto  dei  residui  in  un  altro  foglio:  il  nome  dato  a  questo 
modo  di  registrazione,  ad  modum  banchi,  prova  che  esso  fu  adoperato 
dapprima  dai  banchieri  privati  ed  un  passo  delle  citate  Leges  Ge- 
nuenses  (col.  101)  dimostra  in  modo  certo  (non  solo  probabilmente. 
p.  104)  ch'esso  consiste  appunto  nella  partita  doppia  (1).  Il  Sieveking 
pensa  che  i  Genovesi  ne  siano  stati  gli  inventori,  ma  se  ne  trovano 
tracce  anche  nel  Constituto  Senese  del  1310  (Solmi,  recens.  cit.). 

Tra  le  varie  forme,  che  si  potevano  usare  per  raccogliere  il 
danaro  bisognevole  allo  Stato,  quella  del  prestito  volontario  o  più 
spesso  forzoso  fu  più  gradita  al  Comune  ed  ai  cittadini  Genovesi, 
al  primo  che  otteneva  più  presto  le  somme  necessarie  senza  aspettare 
la  riscossione  delle  imposte,  ai  secondi  che  preferivano  anticipar 
somme  maggiori  ed  averne  l'interesse,  invece  di  pagar  quote  minori 
d'imposta  senza  rimborso,  e  non  consideravano  che  essi  stessi  od  i 
loro  discendenti  avrebber  pur  dovuto  sottostare  a  nuovi  carichi  o 
nuovi  mutui  per  pagare  i  debiti  e  restituire  i  capitali  ricevuti  : 
la  stessa  riscossione  delle  coUecte  od  imposte  assumeva  forma  di 
prestiti.  Tali  imprestiti  forzosi  si  ripartivano  secondo  i  catasti 
formati  per  le  imposte  dirette:  ai  mutuanti  il  Comune  assegnava  in 
pegno  le  tasse  per  un  certo  numero  di  anni,  ^mticamente  coll'inca- 
rico  di  riscuoterle  direttamente,  più  tardi  curando  esso  medesimo 
l'esazione  e  pagandole  somme  stabilite  ai  creditori.  Nel  1339  il  doge 
assegnò   loro   tutti   i    redditi   dello  Stato,   riservata  al  Comune  sol- 


(1)  Legg.  Gen.,  col.  101,  cap.  174:  <  Cartularinni  in  quo  scribi  de- 
beant  omnes  introytus  Comunis  et  in  eodem  cartulario  /J?r  contra  scribi 
debent  solntiones  ». 


138  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

tanto  una  somma  annua  di  ventimila  lire,  che  l'ufficio  delle  compere 
doveva  pagargli.  Dapprincipio  si  fissava  un  termine  pel  rimborso 
del  capitale,  poi  vi  si  rinuncia  per  la  difficoltà  di  mantener  la  pro- 
messa e  tali  prestiti  si  trasformano  cosi  di  fatto  in  consolidati  ; 
dapprincipio  il  comune  si  obbligava  a  pagare  un  interesse  fisso  a 
rate  trimestrali,  ma  l'erario  non  era  mai  abbastanza  provveduto  per 
soddisfarvi  integralmente,  l'ultima  rata  era  proporzionale  al  gettito 
delle  imposte  e  talora  si  pagavano  acconti,  accreditando  i  versamenti 
residui  nelle  annate  successive.  |  Singolare  la  frase  degli  statuti  che 
compone  et  officia  non  possunt  integras  payas  solvere  et  solvuvf  ut 
voliiìit  vel  ut  ptossunt  (Leges  Genuens,  cit.  col.  62)]. 

Tali  prestiti  furono  chiamati  qualche  volta  mutui,  ma  più  spesso 
compiere,  perchè  si  consideravano  compere  delle  imposte  e  coll'aiuto 
del  nome  si  allontanavano  sospetti  di  violazione  dei  divieti  canonici. 
Si  istituiva  una  compera  per  ogni  impresa,  e  v'è  perfino  una  com- 
pereta  magistri  Pauli  di  otto  luoghi  [ibid.  224),  ottocento  lire  neces- 
sarie per  pagare  il  magister :  intorno  al  1262  s'introdusse  l'uso  di 
cartulari  speciali,  ne'  quali  si  assegnava  una  colonna  ad  ogni  cre- 
ditore, per  iscrivervi  regolarmente  i  suoi  pagamenti  e  gli  interessi  a 
lui  pagati,  ed  una  al  Comune  per  quella  parte  del  prestito  che  non 
si  potesse  raccogliere  rispetto  alle  previsioni:  i  creditori  vi  si  collo- 
cavano in  ordine  alfabetico  (1),  secondo  il  nome  di  battesimo,  come 
soleva  farsi  in  antico  quando  i  cognomi  mancavano  od  erano  poco 
diffusi  [cfr.  p.  es.  Legg.  Gennenses,  coL  125]:  unico  proprietario  le- 
gittimo delle  somme  registrate  il  creditore  iscritto  e  solo  il  libro 
faceva  fede  del  possesso.  Il  capitale  era  diviso  in  quote,  alle  quali  fu 
presto  assegnato  un  valore  fisso  uniforme  di  cento  lire,  quantunque  se 
ne  ammettesse  la  suddivisione,  cosicché  taluno  poteva  anche  averne 
un  numero  frazionario:  le  quote  si  dissero  loca,  con  nome  dato  ne' più 
antichi  tempi  alle  parti  spettanti  agli  armatori  sulla  proprietà  d'una 
nave  ed  agli  appaltatori  d'imposte  sui  redditi  di  queste,  parti  le  quali 
successivamente  ebbero  nome  di  karati.  I  loca  si  consideravano  cose 
mobili,  salvo  il  pareggiamento  ai  beni  immobili  pel  pagamento  delle 
imposte  (cfr.  Legg.  Gen.,  525),  e  con  legge  speciale  del  1303  furono 
dichiarati  fungibili  :   anche  in  caso   di   bando  politico  i  loca  erano 


(1)  La  citazione  del  cap.  De  alphaheto  in  cartulariis  preponendo 
(p.  104)  non  è  opportuna,  perchè  quel  capitolo  non  si  riferisce  ai  cartulari 
delle  compere  e  degli  appalti,  ma  a  a  quelli  in  cui  si  scrivevano  atti  pro- 
cessuali e  sentenze  civili  e  criminali,  pei  quali  si  prescrive  che  siano  or- 
dinati alfabeticamente,  prout  moris  est,  per  ritrovare  prestamente  i  nomi 
delle  parti  a  cui  si  riferiscono.  Legg.  Gen.,  637. 


SIEVEKIX*;,    LE    FINANZE   GENOVESI   DEL   MEDIO   EVO  139 

esenti  dalla  conlisca  ed  il  Comune  poteva  impadronirsi  soltanto  degli 
interessi  {Legg.  cit.,  col.  215).  Carattere  essenziale  la  cedibilità  di  essi, 
trasmissibili  fra  cittadini  senza  limiti,  tra  forestieri  coli' obbligo  d'ot- 
tenere particolare  licenza  e  di  sottostare  alle  imposte,  con  un  diritto 
di  prelazione  se  il  Comune  volesse  acquistarli:  accettavansi  in  paga- 
mento nelle  casse  pubbliche  e  per  cauzioni  d'  ufficiali,  erano  ricer- 
tati  come  impiego  sicuro  di  capitali  anche  per  donne  e  minorenni, 
t'  d'altra  parte  potevano  per  la  facilità  delle  trasmissioni  esser  og- 
getto di  speculazioni,  di  vendite  con  patto  di  ricupero,  di  convenzioni 
uguali  ai  moderni  contratti  a  termine  ed  agli  affari  differenziali, 
riconosciuti  dagli  stessi  tribunali  (1404,  p.  208). 

Queste  compere  nei  momenti  più  difficili  si  riordinavano,  si 
riunivano  a  gruppi,  e  si  operava  una  conversione  col  diminuire  nel 
passaggio  il  valore  del  locus:  altre  volte  per  pagarne  gli  interessi 
si  ricorreva  a  compere  nuove  ed  a  nuovi  mutui.  Nel  1350  s' intro- 
dusse un  modo  speciale  di  provvedere  all'estinzione,  formando  colle 
code  un  fondo  per  l'ammortamento:  il  Comune  si  riservava  una  parte 
dei  loca,  riscuoteva  sopra  questi  gli  interessi  e  li  metteva  in  serbo 
finche  ne  avesse  raccolto  quantità  sufficiente  per  comperare  altri  loca, 
finché  coi  frutti  e  cogli  acquisti  fossero  tutti  assorbiti  ed  estinti. 
Anche  taluni  privati,  pel  primo  Francesco  Vivaldi  nel  1371,  dona- 
rono alle  compere  un  numero  determinato  di  loca^  perchè  fossero 
ugualmente  destinati  a  tale  scopo,  e  l'acquisto  successivo  di  altri  loca 
cogli  interessi  per  via  di  moltiplico:  i  novanta  loca  assegnati  dal 
Vivaldi  alla  compera  pacis  fruttarono  quanto  bastò  per  estinguerla 
nel  1454. 

Nel  1323  si  aggiunsero  agli  altri  uffici  del  Comune,  cui  era 
particolarmente  affidata  la  vigilanza  sui  mutui  e  sulle  compere,  sulle 
riscossioni  e  sui  pagamenti,  i  protectorefi  comperarum  capituli  che 
rappresentavano  tutti  i  creditori  delle  compere  esistenti  :  eletti  pro- 
babilmente dapprima  per  volontà  dei  partecipi,  a  vigilare  che  le 
rendite  loro  assegnate  non  fossero  spese  altrimenti,  divennero  poi 
un  ufficio  pubblico  permanente,  superiore  agli  stessi  visitatores  o 
ispettori  che  erano  il  principale  ufficio  finanziario  del  Comune,  e 
colla  più  ampia  facoltà  di  richieder  conti  e  veder  libri:  furono 
nominati  la  prima  volta  dai  partecipi  stessi  ed  elessero  poi  i  loro 
successori  d'  anno  in  anno,  sempre  fra  i  comperisti  (con  una  forma 
d'elezione  usata  anche  per  altre  cariche  del  Comune):  essi  ebbero 
pure  la  giurisdizione  per  tutte  le  cause  fra  contrtbuenti,  appaltatori 
d'imposte  e  loro  fideiussori. 

Qualche  volta  il  concorso  pecuniario  dei  cittadini  si  presenta  in 
una  forma  speciale,  col  nome  di  maona,  per  le  imprese  di  guadagno 


140  RASSEGNA  BIBLIOGR.iFICA 

sicuro  e  rilevante:  1  privati  non  davano  il  danaro  al  Comune,  ma 
direttamente  armavano  le  navi,  assoldavano  l'equigaggio,  preparavano 
la  spedizione,  di  poi  provvedevano  all'  esecuzione  sotto  un  capo 
nominato  dal  Comune  e  conseguivano  in  cambio  il  governo  delle 
terre  conquistate  e  il  monopolio  dei  traffici,  mentre  il  Comune  rite- 
neva la  sovranità  su  quelle,  l'alta  giurisdizione,  il  mero  e  misto 
impero.  Il  Goldschmidt  ricorda  come  più  antica  quella  del  1149  pel 
ricupero  di  Tortosa  [ma  i  documenti  contenuti  nei  Libri  lurium  e 
citati  da  lui  stesso  non  provano  che  essa  sia  uscita  dai  limiti 
d'una  compera  uguale  alle  altre];  secondo  il  Sieveking  la  più  antica 
fu  la  maona  di  Ceuta  nel  1235;  la  più  importante,  per  la  quale  ab- 
biamo gran  copia  di  documenti  dove  si  legge  per  la  prima  volta  il 
nome  di  maona,  fu  quella  di  Chio  e  Focea  nel  1347,  ed  egli  aggiunse 
una  quantità  di  notizie  particolari  specialmente  economiche  a  quanto 
già  dissero  su  di  essa  I'Hopf  (nella  Allgemeine  Encicìopddie  di  Ersch 
e  Gruber,  voi.  68  s.  v.  Giustiniani)  ed  il  Goldschmidt. 

Il  Comune  di  Genova,  pel  crescente  aumento  di  bisogni,  dovette 
usare  largamente  anche  l'altro  modo,  a  cui  uno  Stato  può  volgersi  per 
far  danaro.  Le  imposte  indirette  ebbero  un  carattere  speciale,  poiché 
allo  scopo  fiscale  fu  sempre  associato  l'intento  di  politica  mercantile 
ed  industriale,  favorire  l' importazione  di  materie  greggie  e  di  pro- 
dotti di  consumo  e  l'esportazione  delle  merci  lavorate,  impedire 
invece  le  correnti  contrarie,  mantenere  il  bacino  a  nord  ovest  del 
Mediterraneo  in  condizioni  di  mare  chiuso  a  beneficio  di  Genova. 
Tali  imposte  crebbero  sempre  più  di  numero  e  di  peso  e  colpivano 
anche  là  ogni  cosa  tassabile,  perchè, .  mentre  le  necessità  erano 
grandi,  mancava  la  capacità  finanziaria  di  comporre  con  un  assetto 
stabile  un  largo  sistema  di  tributi. 

L'imposta  diretta  fu  per  lungo  tempo  straordinaria,  aveva  nome 
di  coUecta  terre  e  e.  maris,  e  si  distingueva  la  coUecta  terre  su^ìer 
immobile,  sugli  stabili  secondo  il  catasto,  in  cui  era  obbligal^oria 
l'iscrizione  dei  fondi  ad  ogni  mutamento  di  proprietà,  in  e.  t.  super 
mobile,  sopra  i  bestiami  e  le  mercanzie  tassate  secondo  il  valore  sulla 
base  delle  dichiarazioni  giurate,  la  e.  maris  pei  capitali  impiegati  nelle 
spedizioni  marittime,  tanto  nelle  navi  quanto  nel  carico.  Modo  ordi- 
nario di  riscossione  l'appalto  annuale:  però  formato  il  ruolo  dei 
contribuenti  coli' annotazione  delle  loro  sostanze,  stimate  da  alcuni 
ufficiali  del  comune,  conforme  alle  dichiarazioni  delle  persone  ed  alle 
informazioni  date  flai  vicini,  non  si  esigevano  le  imposte  dirette  in 
misura  costante  né  periodicamente  né  per  intero,  ma,  determinata  la 
somma  necessaria  pel  bisogno  presente,  si  riscuoteva  questa  soltanto, 
si  divideva  fra  tutti  in  proporzione  della  somma  totale  iscritta  e  si 


SIEVEKIXG,    LK    FINANZE   GENOVESI    DEL   MEDIO   EVO  141 

riservava  il  soprappiù  per  altre  necessità.  Vi  erano  esenzioni  pei 
patrimoni  minimi,  pei  magistrati  e  cavalieri,  pei  giudici  e  medici  : 
i  contribuenti  minori  potevano  ottenere  una  specie  d'abbonamento  a 
somma  fissa  per  un  certo  numero  d'anni.  Tali  imposte  dirette,  a  cui 
s'aggiunsero  poi  altre  pagate  da  tutte  le  persone  residenti  in  Genova 
e  da  tutti  i  liguri  abitanti  fuori  di  essa,  s'indicarono  più  tardi  con 
altri  nomi,  focagium,  cotumum,  spendium,  avaria,  stalia,  tutti  di 
carattere  generale  e  non  applicabili  ad  una  speciale  imposta  dei 
quali  potrebbe  esser  utile  ricercare  V  etimologia.  [Spendium,  o  di- 
spendium  forse  appunto  perchè  s'imponeva  una  somma  uguale  a  quella 
che  era  necessario  spendere:  cotumum  forse  per  analogia  col  nome 
cottimo  della  tassa  che  i  consoli  della  repubblica  Veneta  all'estero 
riscuotevano  sui  loro  mercanti,  cfr.  Rezasco,  Dizion.  del  ling.  ital. 
stor.  s.  V.:  quanto  ^Wavaria  e  stalia,  gioverebbe  sapere  se  il  nome 
sorse  prima  nel  commercio  marittimo,  dove  ora  si  applica,  o  passò 
a  quello  in  particolare  dagli  ordini  finanziari  generali]. 

L'opera  del  Sieveking  è  pur  molto  rilevante  per  la  storia  del 
diritto  italiano  sotto  parecchi  punti  di  vista.  Essa  mette  in  primo 
luogo  in  evidenza  con  tutto  il  suo  contenuto  le  relazioni  strettis- 
sime fra  le  trasformazioni  d'un  Comune  tanto  importante,  quanto  fu 
Genova,  e  le  condizioni  delle  sue  finanze,  fra  i  passaggi  successivi 
della  sovranitcà  in  questa  parte  della  vita  cittadina,  e  quelli  che 
avvenivano  non  sempre  contemporaneamente,  nella  vita  civile  e 
politica. 

È  noto  in  secondo  luogo  che  l'esistenza  di  giudici  speciali  per  le 
cause  commerciali  in  Genova  fu  negata  dal  LASTiG(Entwickelungsivege 
und  Quellen  des  Handelsrechts)  e  validamente  dimostrata  con  buone 
ragioni  dal  Bensa  {Archivio  Giuridico  XXVII):  il  nostro  A.  nota  che 
sino  dal  1286  [senza  alcuna  indicazione  di  fonti]  i  tractatores  mercantie 
furono  chiamati  a  decidere  sulla  concessione  di  lettere  di  rappresaglia 
ai  cittadini  Genovesi.  [Possiamo  qui  aggiungere  che  nelle  più  volte 
citate  Leges  Genuenses  si  legge  un  capitolo  che  mantiene  agli  uffici 
di  Mercanzia  e  di  Gazaria  tutta  la  giurisdizione  che  avevano  prima 
della  creazione  della  dignità  ducale  (col.  343),  ed  un  altro  (col.  536, 
537)  secondo  il  quale  l'ufficio  di  Mercanzia,  già  investito  della  piena 
giurisdizione  tra  mercanti  per  causa  mercantile,  doveva  esser  com- 
posto di  guelfi  e  ghibellini  in  numero  uguale,  mentre  in  un  capitolo 
posteriore  (col.  540)  non  vi  è  più  traccia  di  quella  distinzione  di 
fazioni  civili;  l'uno  ricorda  quindi  un  tempo  anteriore  al  1339  e 
Taltro  non  può  appartenere  se  non  ai  primi  anni  del  sec.  XIV]. 

Il  Sieveking  interviene  pure  nella  discussione  intorno  all'origine 
della  società  per  azioni.  Secondo  il  Goldschmidt  questa  forma  di  so- 


142  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

d'età  deve  da  una  parte  esser  collegata  ai  loca,  come  quote  dì  parteci- 
pazione a  prestiti  pubblici,  di  valore  sempre  uguale,  or  nominale,  or 
reale,  dall'altra  parte  alle  maone,  in  cui  i  concorrenti  alla  formazione 
del  capitale  partecipano  anche  all'amministrazione  di  esso.  Il  Lehmann 
{Die  geschichtUche  Entwiclxelung  des  Actienrechts)  ritiene  invece  che 
nessuna  delle  società  antiche  e  medievali  presenti  quello  che  egli 
considera  il  carattere  essenziale  della  società  per  azioni,  il  dividendo 
variabile,  prima  della  Compagnia  olandese  delle  Indie  orientali  fon- 
data nel  1602,  e  che  questa  non  abbia  alcun  rapporto  colle  forme 
italiane,  non  abbia  imitato  alcun  modello,  e  sia  derivata  esclusiva- 
mente dalla  speculazione  pel  commercio  marittimo.  Il  S.  nega  che 
quelle  società  possano  esser  derivate  dalle  maone,  accettando  l'opi- 
nione del  GoLDscHMiDT  per  le  compere. 

1  due  autori  citati  esaminarono  la  materia  da  due  punti  di  vista 
diversi.  Il  Goldschmidt  espose  i  fatti  che  nel  Medioevo  s'incontrano 
più  affini  ai  vari  istituti  dell'odierno  diritto  commerciale  ed  anche 
alle  società  per  azioni:  è  soprattutto  necessario  non  dimenticare 
che  purtroppo  la  morte  gli  impedì  di  continuare  le  preziose  ricerche 
storiche  al  di  qua  di  quel  periodo  di  tempo  (cfr.  sopra  la  storia 
delle  società  per  azioni  nella  sua  Zeitsclir.  fiir  gesammte  Handeisr. 
XXX,  72).  Invece  il  Lehmann  risali  dal  Code  de  commerce,  che  primo 
diede  norme  precise  a  quello  speciale  contratto,  alle  forme  prece- 
denti che  più  direttamente  vi  rassomigliano  e  che  ebbero  sul  Code 
una  più  immediata  e  più  certa  influenza;  inoltre  quest'ultimo  non 
è  in  tutte  le  pagine  del  suo  scritto  sempre  coerente,  e  mentre  in 
principio  considera  come  elementi  essenziali  del  concetto  di  tale 
società  tutti  quelli  che  sono  comunemente  ammessi,  più  innanzi  ne 
accetta  uno  solo  come  utile  per  la  distinzione  secondo  i  tempi, 
l'azione  a  dividendo  variabile. 

A  parer  mio  giova  ricordare  che  la  ricerca  delle  origini  d'un 
istituto  odierno  deve  estendersi  a  tutte  le  tracce  degli  elementi 
fondamentali  di  esso,  e  tali  sono  per  le  società  per  azioni  la  ripar- 
tizione del  capitale  in  quote  di  valor  numerico  uguale  e  liberamente 
trasmissibili,  la  responsabilità  limitata  alle  quote,  il  dividendo 
variabile,  la  separazione  della  società  e  del  suo  patrimonio  dalle 
persone  e  dal  patrimonio  dei  soci,  la  partecipazione  di  questi  all'am- 
ministrazione almeno  colla  nomina  dei  gerenti.  Invece  lo  scopo,  a 
cui  il  Lehmann  attribuisce  una  grandissima  importanza,  la  specu- 
lazione commerciale  intrapresa  coi  capitali  dell'associazione,  non 
sembra  essere  tanto  importante  per  la  natura  della  società  per  azioni, 
che  senza  quello  non  potrebbe  giuridicamente  esistere  e  mantenersi. 
Quantunque  né  compere  ne  maone  genovesi  siano  state  costituite 
coir  intento  diretto  d'assicurare  un  lucro  ai  capitali  in  esse  investiti. 


SIEVEKIXG,   LE    FINANZE   UKNUVESl    DEL    MEDIO    EVO  143 

possiamo  sempre  considerarle  come  istituti  che  contengono  i  primi 
elementi  per  la  nuova  forma  di  società,  destinata  all'immenso  svol- 
gimento moderno,  qualora  noi  troviamo  in  esse  tracce  di  quegli  altri 
requisiti  suaccennati.  E  che  questi  esistano  nessuno  può  contestare  : 
di  luoghi  a  valor  numerico  costante  e  sempre  trasmissibili  si  parla 
per  le  compere  e  per  le  maone,  ed  anche  là  dove  si  fa  menzione  di 
earati  e  quote  minori,  esse  sono  sempre  ragguagliate  ai  luoghi  di 
più  antica  origine  (fatta  eccezione  per  la  maona  nuova  di  Chio);  — 
l'interesse,  fissato  in  principio  in  misura  percentuale,  divenne  pur 
variabile  in  proporzione  ai  frutti  delle  imposte,  ed  il  Sieveking  mise 
questo  fatto  in  piena  luce,  quantunque  non  sia  fuor  di  luogo  1'  os- 
servazione del  Lehmaxn  che  un  simile  dividendo,  per  quanto  varia- 
bile, era  sempre  inferiore  all'  interesse  promesso  e  fu  accettato  ap- 
punto perchè  le  promesse  non  si  potevano  mantenere:  —  i  capitalisti 
partecipano  all'amministrazione  del  capitale  e  delle  imposte  loro 
assegnate,  od  almeno  alla  nomina  dei  gerenti,  eletti  in  parte  fra 
loro:  —  la  responsabilità  apparisce  sempre  limitata,  ne  le  parole  e 
l'unico  testo  citato  dal  S.  (p.  219)  bastano  a  provare  il  contrario, 
poiché  si  riferiscono  alla  responsabilità  pel  versamento  della  quota 
promessa  e  non  pagata,  la  quale  deve  manifestamente  essere  illimitata, 
non  ad  una  domanda  di  nuove  somme  da  aggiungersi  alla  quota  stessa 
per  soddisfare  i  debiti  dell'impresa.  E  sia  pure,  come  afferma  il 
Lehmann,  che  nelle  grosse  società  mercantili  olandesi,  precorritrici 
dirette  delle  odierne  società  per  azioni,  non  si  usi  mai  la  voce  italiana 
luogo,  né  si  accenni  agli  ordinamenti  del  Banco  di  S.  Giorgio  come 
assunti  a  modello,  né  le  analogie  tra  quegli  ordini  e  le  regole  fissate, 
octroyées  per  quelle  società  siano  grandi  e  rilev^anti  :  io  penso  che 
le  costituzioni  di  un  Banco  tanto  conosciuto  ed  ammirato  anche 
fuori  d'Italia  (che  sono  filiazione  degli  antichi  capitoli  delle  compere 
e  maone  in  esso  riunite  e  fuse),  non  siano  state  senza  qualche  in- 
fluenza sugli  ordini  nuovi,  per  quanto  la  diversità  degli  scopi  im- 
mediati e  del  carattere  nazionale  stesso  abbiano  potuto  diminuire 
d'  assai  le  estrinseche  rassomiglianze. 

Qualche  minima  osservazione  prima  di  finire.  Gli  statuti  del  ceto 
mercantile,  a  cui  si  accenna  a  p.  76,  come  compilati  nel  1432  e 
pervenuti  a  noi  in  una  copia  del  1743,  sono  gli  stessi  che  i  particolari 
statuti  dell'arte  della  seta  pei  setaiuoli  e  mereiai  che  il  Sieveking 
illustrò  altrove  (^Schmoller's  Jahrhucli  fiir  Gesetzgehung  etc.  1897,  pag. 
103)  e  pei  quali  indica  le  stesse  date?  In  caso  negativo,  i  cultori  della 
storia  del  diritto  genovese  vogliano  darcene  qualche  maggiore  notizia, 
perclié  a  Genova  di  tali  statuti  de'  mercanti  non  si  ebbe  finora  co- 
noscenza. 

La  tassa  sull'industria  della  seta  ragguagliata  a  quattro  denari 


144  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

2)ro  libra  natorum  et  nascitorum  (corr.  nasciturorumP)  non  sarà  piut- 
tosto sui  filugelli  che  sui  panni  (p.  177  not.  1)? 

Non  credo  che  Vintroitus  rose  et  murte  (p.  83)  si  possa  interpre- 
tare come  dazio  sulle  rose  e  sui  mirti,  che  sarebbero  stati  introdotti 
in  città*  per  uso  di  chiesa.  La  voce  niurta  è  veramente  tradotta  per 
mirto  in  parecchi  glossari,  sia  in  quello  generale  del  Ducange-Fabre, 
sia  in  quello  speciale  del  Rossi,  Gloss.  mediev.  ligure  {Mise,  di  st. 
ital,  Ser.  ITI,  voi.  IV,  p.  85),  ma  questo  significato  non  conviene  ne 
allo  statuto  di  Porto  Maurizio  (cit.  a  p.  88)  che  tutela  il  monopolio 
della  compra  vendita  della  murta  vel  ebreaca^  né  ad  alcuni  altri  testi 
genovesi,  in  cui  si  vieta  di  trasportar  la  murta,  come  il  fimo  ed  il 
letame,  allo  scoperto  senza  sacchi  od  invogli  chiusi  e  di  bruciarla 
fuori  di  luoghi  coperti  {Leges  Gen.  cit.  col.  435,  436,  600)  e  si  ordina 
di  tenere  i  cuoi  in  murta  seu  in  affaito  per  dieci  mesi  almeno  (Stat. 
di  Albenga  ap.  Rossi  op.  cit.  p.  31  s.  v.  callegarius):  la  voce  murta 
deve  dunque  indicare  una  materia  conciaria  con  un  odore  acuto  e 
poco  gradevole.  'Infatti  il  Casaccia  nel  suo  Dizionario  del  dialetto 
genovese  registra  quella  voce  col  significato  di  foglie  di  corbezzolo 
(albatro  o  rosella,  arbutus  unedo)  ed  aggiunge  che  si  adoperano  dai 
conciatori.  Probabilmente  ajiche  la  voce  rose  ha  un  senso  affine  : 
nel  documento  pubblicato  a  p.  234  si  legge  roxi  et  murte  e  nelle 
Leges  Genuenses  sopracitate,  allo  stesso  luogo  boxi  et  murte  (col.  230, 
234),  e  perciò  la  prima  voce  se  è  boxi,  si  può  interpretare  bosso,  le 
cui  foglie  sono  pur  ricche  di  tannino,  o  sommacco,  se  invece  la  giusta 
lezione  è  roxi  (v.  per  altri  esempi  Rossi,  p.  85  e  Arch.  stor.  it., 
1902,  I,  302). 

Torino.  Alessandro  Lattes. 


Gino  Arias,  Il  sistema  della  costituzione  economica  e  sociale  italiana 
nella  età  dei  Comuni.  —  Torino,  Roux  e  Viarengo,  1905. 

Oggidì  è  di  moda  il  contestare  che  la  storia  sia  veramente  una 
scienza  :  ma  di  questo  avviso  non  è  l'Arias,  il  quale  pensa  che  scienza 
potrà  veramente  divenire  se,  dopo  le  incertezze  o  i  tentennamenti 
dell'ora  presente,  s'incamminerà  decisa  per  la  giusta  via  cercando, 
a  traverso  lo  studio  dei  fenomeni  e  del  loro  coordinamento,  la 
legge  unica  regolatrice  di  essi.  E  per  conto  suo  la  giusta  via  do- 
vrebbe essere  additata  da  una  comprensione  teorica  ch'ei  distingue 
col  nome  di  «  naturalismo  storico  »,  per  differenziarla  dal  «  materia- 
lismo storico  »  col  quale  ha  molti  lati  comuni:  movendo  dai  due 
postulati    indeclinabili    consistenti    neiraff"ermazioue    dell'intima   e 


ARIAS,   COSTITUZIONE    KCt».\OMiCA    DEI   COMUNI  145 

indissolubile  colleganza  tra  i  vari  fenomeni  sociali  e  della  dispo- 
sizione di  questi  secondo  un  ordine  gerarchico  in  rapporto  alla 
genesi  e  airefficienza  sociale,  lo  storico,  che,  armato  del  presidio  d'una 
ben  intesa  sociologia,  dovrà  esser  non  solo  un  descrittore,  ma  un 
interprete,  potrà  e  dovrà  spingersi  ben  oltre  l'umile  compito  di  rac- 
cogliere e  catalogare  dei  fatti  e  potrà  dar  la  ragione  di  questi 
risalendo  a  grado  a  grado  a  traverso  i  fenomeni  subordinati  fino  a 
raggiungere  il  fenomeno  superiore  da  cui  tutti  gli  altri  come  secon- 
dari promanano  o  dipendono.  Allora  il  subbiettivismo,  dominante 
nel  campo  artistico,  cederà  necessariamente  il  campo  ad  un  sereno 
obbiettivismo  suggerito  e  imposto  dalla  natura  stessa  delle  cose  :  e 
nel  pensiero  e  nella  esposizione  dello  scrittore  si  rifletteranno  fe- 
delmente il  coordinamento  e  la  gerarchia  esistenti  nella  realtà.  Pro- 
cedendo dai  fenomeni  derivati  ai  primogenii  ben  si  vedrà  come  tra 
questi  campeggi  il  fattore  economico  :  gli  altri  fattori,  il  morale,  il 
religioso,  il  politico,  il  giuridico  non  sarebbero  in  ultima  analisi  che 
<lei  «  simboli  »  plasmantisi  variamente  secondo  la  necessità  della 
costituzione  economica. 

Questi  i  concetti  che,  presentati  al  termine  del  libro  a  mo'  di 
conclusione,  costituiscono  in  realtà  le  premesse  cui  fu  inspirata  la 
sua  condotta;  ed  io  ho  preferito  riportarli  al  vestibolo  della  ricostru- 
zione appunto  perchè  subito  ne  risultassero  i  criteri  informatori. 
Il  lettore  ha  già  capito  che  l'Arias  più  che  degli  istituti  in  sé  si 
occupa  del  loro  «  spirito  »,  cioè  della  loro  funzione  in  rapporto  al 
vario  giuoco  delle  forze  sociali  e  delle  loro  attinenze  con  gli  isti- 
tuti collaterali  e  con  la  vita  ond'  erano  circondati  ;  più  che  de- 
scrivere esplica;  più  che  della  storia  fa,  direi,  della  filosofia  della 
storia.  E  il  libro,  che  tratta  materia  ben  degna  di  studio,  è  industre- 
raente  piantato  e  armonicamente  svolto  sui  criterii  di  base  ponendoci 
anzi  tutto  sott' occhi  la  costituzione  economica  dell'età  dei  comuni 
per  poi  indagare  la  sua  azione  sulla  costituzione  sociale  e  risalire 
in  fine  a  una  visione  sintetica  del  sistema. 

Eccone  le  linee  principali. 

All'  assetto  feudale,  basato  sul  predominio  dell'  economia  ter- 
riera, subentrò  nell'  epoca  comunale  un  assetto  quasi  borghese  che 
poggiava  invece  sulla  iniziata  prevalenza  delle  energie  mobiliari: 
ma  pur  difì'erendo  profondamente  per  quelle  intime  note,  i  due  periodi 
avevano  per  carattere  comune  il  particolarismo  esclusivista  dei  vari 
eentri  economici.  Se  pur  nel  periodo  più  recente,  sempre  più  cre- 
scendo l'importanza  dell'economia  locale,  alcune  città,  nell'esercizio 
delle  attività  loro,  già  eccedevano  talvolta  i  limiti  della  nazione, 
non  ancora  v'erano  gli  estremi   d'una  economia   nazionale   e   ogni 

Arch.  Stoe.  It.,  5.''  Seri».  —  XXXIX.  It» 


146  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

città  cercava  tuttavia  entro  se  stessa  lo  sviluppo  delle  più  disparate 
energie  e  nella  tutela  di  queste  s'informava  al  più  rigido  egoismo. 
In  seno  ad  esse  la  produzione  aveva  i  suoi  organi  precipui  nelle 
corporazioni  artigiane  e  mercantili:   o  il  primo  quesito   che  l'Arias 
si  propose  risguardò  appunto  il  funzionamento  di  quegli  organismi 
corporativi  e  toccò  anzitutto  della  loro  genesi  per  venire  alla  con- 
clusione  clie   r  affermata   incompatibilità  tra   il   regime   associativo 
e  la  costituzione   sociale  e  politica   del    medioevo    non  risponde  al 
vero  e  che,  esistendo  nei  territori  longobardi  quelle  stesse  necessità 
che  nei  territori    bizantini    richiedevano  il  vincolo   associativo   per 
provvedere  adeguatamente  alla  produzione   e   al   lusso    cittadino  e 
sorvegliarlo  e  dirigerlo,    tra    le   associazioni    romane  e  le  comunali 
fu  possibile  un  legame  di  continuità  formale  e  sostanziale.  Poi  anche 
nelle  arti  cercò  sagacemente  le  stigmate  dell'esclusivismo  cittadino: 
il  bisogno  di  proteggere  e  assodare  le  fresche  energie,  che  si  spie- 
gavano   nelle    città   dopo   il  lungo   torpore    medioevale,  esigeva  la 
creazione  di  ferme  barriere  le  quali,  limitandone  il  campo  d'azione, 
ne  intensificassero  l'efficacia    e  costituissero    insieme  la  più    vigile 
salvaguardia  contro  le  concorrenze  estranee  :  e  di  qui  ei  deriva  ap- 
punto le  misure  che   vietavano  o  difficultavano   l'ammissione   dello 
straniero    all'esercizio   dell'arte  e  le  altre   che  pur  ai  lavoranti  in- 
digeni   proibivano    d'  esercitar   l' arte    fuori  della  città,  di  ricevere 
direttamente  commissioni  dal  di  fuori,  di  esportare  i  materiali  primi, 
di  comprare  e  vendere  per  conto  di  forestieri.  Ciò  avrebbe    offerto 
modo  al  forestiero  di  sottrarsi    al   mercato    cittadino  e  alle    norme 
con  cui  le  città   singole    regolavano  le  industrie,  avrebbe  prodotto 
un  facile  arricchimento  di  pochi  a  danno  di  tutti,  avrebbe   mutato 
le  condizioni  dell'offerta  di   lavoro,  avrebbe  consentito  ad  estranei 
un  pericoloso  predominio  sul  mercato  ;  e  si  voleva  scansare  un  tal 
rischio.  A  quelle  stesse  cause  s'inspirò  e  agli   stessi  scopi   mirò  il 
regime    esclusivista   che   da   ultimo   s'impose   anche  in  rapporto  ai 
cittadini    vietando    ai    non    iscritti    nell'arte    di  compiere   i   lavori 
ad  essa  attinenti  :   per  vincere  la  concorrenza   occorreva   affermare 
sempre  più  la  solidarietà  delle  cooperazioni  mentre   sorsero   norme 
che  tendevano  a  intensificare  la  coesione  con  banchetti  comuni,  con 
doveri    di    mutua    assistenza    in  vita  e  di  accompagnamenti  collet- 
tivi in  morte  o  ad  eliminare  le    cause    dissolventi    che    derivavano 
dal  soverchiare  di  alcuni  soci  sugli  altri,  col  vietare  l'incetta  delle 
merci  o  con  l'imporre  la  comune  partizione  di  queste,  col   proibire 
di    sottrarre  i  contraenti   dalle   botteghe   altrui  o  di    contrarre  con 
chi  fosse  venuto  meno  agli  impegni  verso  altri    soci,   coli' impedire 
la  compera  di  merci  da  altri  comprate  o  di  rincarar  la  bottega  ad 


ARIAS,   COSTUI  /J().\K    KIUNOMICA   DEI   COMUNI  147 

;ilrri  artittata  o  di  tirare  a  sé  il  lavoro  ad  altri  accaparrato;  di  (iiieste 
iiii;iure  sopratutto  abbisognavano  le  arti  minori  per  cementare  in 
unione  fraterna  le  forze  tenui  dei  piccoli  imprenditori  che  isolata- 
mente non  avrebbero  potuto  reggere  ai  rischi  del  mercato.  Il  di- 
scepolato stesso  alla  funzione  tecnica  di  addestrare  gli  inesperti 
all'esercizio  dell'arte  aggiungeva  quella  di  assicurare  ai  maestri  il 
lavoro  a  un  prezzo  relativamente  moderato  col  sostituire  la  mercede 
in  natura  a  quella  in  denaro  e  con  la  creazione  di  uno  stato  mite 
ili  dipendenza  rinsaldava  la  gerarchia  ch'era  a  base  della  costituzione 
dell'arte.  Dalla  libertà  del  credito  sarebbe  risultato  uno  spareggio 
fra  chi  osava  e  poteva  ricorrervi  e  chi  se  ne  asteneva  e  avrebbe 
cresciuto  il  prezzo  per  trovar  nell'aumento  di  questo  una  assicurazione 
contro  i  rischi  del  prestito  :  ma  ad  impedire  il  rialzo  dei  prezzi  dan- 
noso alla  concorrenza  e  ad  impedire  lo  spareggio  fra  i  soci  mi- 
rarono i  divieti  di  cercar  credito  fuori  dell'arte  o  d'associarsi  con 
membri  d'arte  diversa.  L'esclusivismo  artigiano  fu  cosi  inarmonica 
corrispondenza  con  l'esclusivismo  cittadino:  come  ogni  città  così 
ogni  gruppo  tendeva  al  proprio  vantaggio  senza  riguardo  al  discapito 
dei  gruppi  collaterali.  Ma  l'antagonismo  apparente  aveva  pure  il 
fiuo  nesso  col  sistema  generale.  E  l'organizzazione  corporativa  ebbe 
lo  scopo  di  raggruppare  le  singole  attività  individuali  per  meglio 
dirigerle  e  coadiuvarle:  essa,  col  disciplinarle  e  moderarle  entro 
i  contini  della  città,  doveva  adattarle  a  lottare  vittoriosamente  sui 
mercati  esteriori  impedendo  un  eccessivo  rincaro  dei  prezzi  per  via 
di  limitazioni  legali  supplenti  alla  deficienza  dell'azione  depressiva 
che  in  altro  regime  avrebbe  esercitata  la  concorrenza  fra  produzioni 
di  vari  luoghi,  regolando  il  complesso  della  produzione  locale  perchè 
non  eccedesse  la  potenzialità  del  mercato,  tenendo  soggetti  i  lavo- 
ratori agli  imprenditori  per  agevolare  lo  svolgersi  del  capitalismo. 
La  pressione  di  questo  ben  si  rivela  nell'intreccio  de'congegni 
con  cui  si  coerciva  la  libertà  dei  sudditi  dell'arte:  l'Arias  li  distingue 
in  diretti  e  indiretti.  E  tra  i  primi  rassegna  il  giuramento  di  obbe- 
<lienza  cui  era  subordinato  l'ingresso  nell'arte,  il  divieto  di  far  ressa 
o  d'associarsi  per  fini  economici  e  politici  o  di  lavorare  per  proprio 
conto  e  tutto  l'altro  complesso  di  norme  che  tendevano  ad  assicu- 
rare l'imprenditore  contro  l'operaio  ed  a  deprimer  questo  nei  rapporti 
con  quello  aifermando  il  principio  della  responsabilità  solidale  della 
famiglia,  proibendo  l'assunzione  di  operai  debitori  verso  altri  padroni 
o  concedendo  diritto  di  retenzione  a  favore  di  quelli,  privilegiando 
la  posizione  giudiziaria  del  maestro  in  rapporto  alla  prova  delle 
obl)ligazioni  dell'operaio,  ostacolando  che  l'imprenditore  con  una 
.soverchia    richiesta   di    mano   d'opera  o  con  una  troppo  larga  con- 


148  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

cessione  di  materie  greggie  compromettesse  la  mitezza  dei  eomi)ensi 
del  lavoratore  e  contrastasse  al  sistema  domestico  di  certe  indnstrie, 
limitando  la  quantità  del  lavoro  e  il  termine  dell'esecuzione,  tassando 
legalmente  i  salari.  Tra  gli  indiretti  enumera  invece  il  divieto  del 
lavoro  nei  giorni  festivi  mirante  ad  impedire,  in  momenti  di  difficile 
collocazione,  il  sovrabbondare  dei  prodotti  o  a  frenare  la  richiesta  di 
lavoro  in  momento  in  cui  scarseggiava  l'offerta,  i  limiti  posti  alla 
concessione  di  credito  da  parte  del  padrone  nei  riguardi  dell'operaio 
e  la  rigorosa  tutela  delle  ragioni  di  credito  che  quello  avesse  even- 
tualmente contratto  verso  questo,  l'artificioso  mantenimento  di  un 
dislivello  fra  lo  stato  economico  dei  vari  lavoratori  allo  scopo  di 
difficultare  l'unione  delle  forze  lavoratrici  contro  il  capitale  e  la 
creazione  di  una  classe  di  discepoli  privilegiati  che  con  la  speranza 
di  un  sicuro  miglioramento  fosse  interessata  alla  conservazione  dello 
statu  quo,  lo  sfruttamento  monetario  ottenuto  col  porre  una  moneta 
aurea  privilegiata  accanto  a  una  moneta  d'argento  scadente  e  di  vii 
l)rezzo,  l'accumulazione  del  capitale  improduttivo  che  minorando  la 
concorrenza  tra  le  frazioni  del  produttivo  deprimeva  il  salario  con 
una  relativa  riduzione  della  domanda  di  lavoro,  la  voluta  conser- 
vazione dell'industria  domestica  a  integramento  di  quella  svolgentesi 
nei  laboratori  dell'imprenditore,  le  pubbliche  distribuzioni  intese  ad 
addormentare  gli  istinti  ribelli  e  a  promuovere  1'  esistenza  di  una 
classe  disagiata  costituente  una  riserva  acquistabile  a  bassissimo 
prezzo  ad  ogni  occasione  e  infine  la  artificiosa  depressione  nella 
condizione  economica  dei  lavoratori  del  contado. 

E  se  in  rapporto  alla  produzione  l'Arias  credette  avvertire  una 
perfetta  corrisj^ondenza  tra  l'organizzazione  e  la  funzione  della  cor- 
porazione, artigiana  e  il  sottosuolo,  non  meno  chiara  gli  parve  di 
scoprirla  rispetto  alle  istituzioni  dello  scambio.  Già  la  coniazione^ 
dell'oro  sembra  a  lui  tutta  legata  alle  speciali  condizioni  di  Firenze 
e  la  ravvisa  come  un  congegno  per  vincere  le  difficoltà  che  le  nuove 
energie  capitalistiche  incontravano  nella  situazione  politica,  nell'as- 
setto politico  e  nei  detriti  d'un  ordinamento  giuridico  omai  antiquato: 
vantaggiosa  da  principio  come  elaterio  del  credito  all'  estero  e  con- 
seguentemente come  uno  spediente  per  agevolare  l'acquisto  delle 
materie  prime  e  per  guadagnar  terreno  al  commercio  bancario,  si 
rivelò  poi  dannosa  per  l'emigrazione  dell'oro  anzitutto  e  poi  per 
quella  dell'argento,  indarno  ostacolata  con  leggi  che  tendevano  ad 
un  artificiale  rialzo  del  suo  prezzo  progressivamente  degradante. 
Codesti  fenomeni  derivarono  dal  particolarismo  che  caratterizzava 
l'economia  medioevale  e  pur  la  politica  monetaria  che  da  essi  fu  sug- 
gerita s'inspirò  all'egoismo  gretto  che  in  quel  particolarismo  s'era 


ARIAS,   COSTITUZIONE   ECONOMICA   DEI   COMUNI  149 

tatto  dominante.  Ben  ne  scorgiamo  l'impronta  nei  divieti  del  trasporto 
<l('Ila  moneta  cittadina  oltre  i  confini  dello  stato  e  nell'esclusione  del 
corso  della  moneta  straniera  concorrente:  ma  anche  l'alterazione  della 
moneta,  che  si  suol  riguardare  come  uno  stratagemma  fiscale,  ebbe 
lo  scopo  di  far  cadere  altri  pesi  sullo  straniero.  La  varietà  molte- 
plice dei  sistemi  monetari  e  le  gare  fra  i  singoli  stati  rendevano 
però  vane  le  misure  prese  contro  l'adulterazione  delle  monete  pro- 
mossa dall'  eccedenza  del  valore  di  corso  sul  valore  di  costo  e 
contro  la  riproduzione  dei  tipi  locali  per  vantaggi  rilevanti  che  da 
essa  traevano  i  coniatori  e  la  sregolata  coniazione  di  monete  simili 
ingenerava  una  confusione  enorme  per  la  difficoltà  di  stabilire  il 
rapporto  delle  monete  stesse  attraverso  le  loro  rapide  oscillazioni  : 
ma  di  qui  trasse  appunto  le  sue  basi  il  grande  sviluppo  della  in- 
dustria bancaria.  Le  barriere  frapposte  fra  stato  e  stato  e  i  pericoli 
del  trasporto  del  denaro  imposero  infatti  la  formazione  di  una  classe 
l»en  retribuita  che  a  quelle  pratiche  attendesse:  e  la  ditìicoltà  degli 
impieghi  produttivi  allettò  volentieri  il  capitale  a  quelle  imprese 
tìncliè  r  incauto  volgersi  del  capitale  improduttivo  a  sempre  più 
azzardate  speculazioni  per  l'eccessiva  fiducia  generata  dal  monopolio 
addusse  agli  strepitosi  fallimenti  delle  ditte  per  esse  già  fatte  opu- 
lente. Largo  campo  fu  aperto  all'attività  dai  banchieri  nei  rapporti 
coi  romani  e  sopratutto  col  papa  per  la  accolta  e  la  trasmissione 
dei  tributi,  per  anticipazioni  e  prestiti:  e  lauto  ne  fu  il  guadagno 
mentre  la  mancanza  generale  di  fiducia  sgorgante  dal  sistema  ge- 
nerale di  scissioni  e  antagonismi  rendeva  alto  il  saggio  dell'interesse 
coll'elevare  il  premio  d'assicurazione  in  esso  incluso. 

Ma  anche  nel  contado  la  trasformazione  oude  l'economia  agricola 
uià  fondamentale  diventò  solo  integratrice  della  economia  mobiliare 
dominante  nella  città  generò  perturbazioni  profonde.  La  cresciuta 
richiesta  dei  prodotti  importò  anzitutto  una  intensificazione  della 
coltura  e  poi  l'aumentata  otìerta  e  la  attiva  concorrenza  ne  svilirono 
i  prezzi  e,  attenuando  i  benefici  dei  proprietari,  scemarono  anche  il 
valore  della  terra:  la  necessità  di  un  più  proficuo  impiego  delle 
energie  umane  per  supplire  alle  nuove  funzioni  dell'agricoltura  ral- 
lentò allora  i  freni  del  lavoratore  della  terra  a  cui  favore,  per  neces- 
sità d'equilibrio,  operava  anche  il  contrasto  deUa  condizione  sua  con 
quella  più  libera  e  agiata  del  lavoratore  urbano.  Quindi  la  servitù  fece 
luogo  al  villanaticodove  prima,  dove  dopo,  secondo  la  varia  intensità 
del  fenomeno  urbano:  solo  la  lentezza  e  la  gradualità  del  processo 
einancipativo   impedi    il   trasmodare   delle    pretese   dell'agricoltore. 

Non  possedendo  che  una  sola  forma  di  ricchezza,  l'immobiliare, 
le  campagne  non  avevano    potere   di  resistere  alle    forze    invadenti 


150  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

(lei  centri  maggiori  ove  alla  ricchezza  immobiliare  si  era  aggiunta 
la  mobiliare  e  dovevano  fatalmente  asservire  a  quelli  le  proprie 
energie.  L'estensione,  la  durata,  l'intensità  di  questa  politica  sotto- 
mettitrice  fu  naturalmente  varia  in  proporzione  alla  vivacità  e 
all'entità  delle  forze  operanti  nel  centro  urbano  e  alla  perfezione  dei 
congegni  che  ne  aiutavano  il  giuoco,  ma  dappertutto  alla  sottomissione 
si  giunse  poiché  al  comune  rurale  fu  pur  causa  generale  di  debolezza 
l'assenza  di  un  governo  di  classe  e  conseguentemente  d'una  politica 
ferma  e  costante.  Gli  allettamenti  al  credito  vennero  presto  scontati 
con  l'asprezza  dei  mezzi  con  cui  quello  si  tutelava  e  i  debitori  fu- 
rono presto  alla  mercè  dei^creditori:  la  dipendenza  economica  generò 
la  politica.  Ma  le  città  non  si  spinsero  fino  a  sopprimere  del  tutto  le 
organizzazioni  già  formatesi  nelle  campagne:  la  conservazione  della 
personalità  dell'ente  parve  anzi  necessaria  per  sorreggere  le  obbli- 
gazioni e  le  prestazioni  ad  esso  addossate.  E  non  cercarono  se  non 
quel  grado  di  sottomissione  che  era  spediente  per  impedire  che 
le  industrie  della  campagna  acquistassero  una  fisonomia  propria  e, 
stabilendo  dei  propri  mercati,  danneggiassero  le  industrie  cittadine 
nella  produzione  e  nello  spaccio:  la  depressione  del  lavoratore  rurale 
era  anche  richiesta  per  impedire  un  soverchio  rialzo  nelle  condizioni 
del  lavoratore  urbano. 

Prodotto  della  vita  sociale,  lo  stato  dovette  a  questa  adattarsi 
e  fu  di  conseguenza  l'esecutore  delle  imperiose  volontà  imposte  dalla 
costituzione  economica  generale  sia  che  la  sua  azione  si  esplicasse 
negativamente  col  frenare  gli  impulsi  spontanei  delle  energie  econo- 
miche sia  che  si  esplicasse  positivamente  coll'assumerne  la  direzione. 
L'azione  negativa  si  svolse  specialmente  nel  senso  dì  ridurrò  le 
pretese  di  determinate  categorie  di  lavoranti  o  imprenditori  per 
moderare  i  prezzi  de'  loro  prodotti  o  nel  senso  di  limitare  il  cara 
dell'annona  minacciata  sempre  dalla  irregolarità  delle  culture  e  dalla 
difficoltà  dell'approvvigionamento  dall'estero  e  mirava  a  mantenere 
il  necessario  equilibrio  fra  lo  stato  dei  lavoratori  delle  città  e  delle 
campagne  e  tra  il  lavoro  domestico  e  quello  di  laboratorio,  imponendo 
dazi  d'entrata  o  d'uscita  per  certe  merci  e  per  le  altre  lasciando 
la  maggior  libertà  d'ingresso  come^  pei  cereali  rispetto  ai  quali  te- 
mevasi  che  la  rendita  fondiaria  non  s'elevasse  troppo  a  danno  del 
profitto:  l'azione  positiva  si  esplicò  invece  soprattutto  nel  monopolio 
e  le  tendenze  monopolizzatrici  dello  stato  per  riguardo  alle  compere 
e  allo  spaccio  di  certi  generi  come  i  cereali  e  il  vino,  furono  giusti- 
ficate appunto  per  ciò  che  rispetto  ad  essi  la  speculazione,  senza  ec- 
cessivo rialzo  de'  prezzi,  non  consentiva  al  privato  un  lucro  che 
compensasse  le  spese  e  i  rischi  del  trasporto  mentre  invece  all'ente 


ARIAS,    COSTIJIZIONE    I-XONOMIGA    DEI    G(JMIM  151 

collettivo  la  larghezza  deiracquisto  consentiva  che  si  avveratir^e  in 
condizioni  migliori  e  la  indipendenza  da  nno  scopo  di  lucro  dava 
l)oi  maggior  facilità  e  sicurezza  di  smercio. 

Secondo  la  direzione  presa  dalle  energie  produttive  si  organizza- 
rono anche  e  si  contrapposero  le  classi  sociali.  Se  in  un  primo  periodo 
sotto  la  pressione  di  comuni  interessi  i  rappresentanti  della  ricchezza 
immobiliare  e  della  mobiliare  non  ancora  sicura  di  sé  poterono  vivere 
a  fianco  in  un  relativo  accordo,  poscia  gli  attriti  si  acuirono  e 
rinconciliabilità  si  fece  manifesta:  la  borghesia  si  slanciò  contro  il 
feudalismo  sforzandosi  di  conseguire  la  forma  già  tipica  di  ric- 
chezza per  togliere  agli  avversari  l'arme  più  grave  né  s'arrestò  se 
non  quando  ebbe  soppressa  l'autonoma  esistenza  di  quelli.  Allora 
i  possessori  della  ricchezza  mobiliare  raggiunsero  il  colmo  della  loro 
parabola  ascendente:  ma  a  questo  punto,  per  le  discordie  insorgenti 
tra  le  varie  frazioni  della  borghesia,  ne  cominciò  la  decadenza  col 
volgersi  del  salariato  contro  gli  imprenditori. 

In  mezzo  all'urto  tra  le  classi  feudali  e  la  borghesia  s'affermò 
il  comune,  in  cui  l'Arias  vede  il  frutto  di  un  compromesso  tra  le 
vecchie  energie  feudali  e  le  borghesi  per  la  creazione  di  un  organo 
che  ne  permettesse  la  consistenza  e  ne  educasse  il  progresso:  quindi 
a  funzioni  coordinatrici  dovette  aggiungere  delle  funzioni  di  tutela 
a  favore  dei  singoli  centri  economici  suscettibili  di  vita  autonoma. 
A  traverso  la  varietà  dei  procedimenti  storici  locali  per  cui  l'ini- 
ziativa organizzatrice  qua  venne  dall'aristocrazia  feudale,  là  dalla 
borghesia  egli  ravvisa  tuttavia  in  essi  l'espressione  di  necessità 
generali  ed  uniformi. 

Se  all'ombra  del  comune  si  maturò  il  trionfo  della  borghesia  che 
ai  feudatari  strappò  il  privilegio  politico  e  la  giurisdizione,  co- 
desta vittoria  si  confece  appunto  alla  prevalenza  del  capitale  mo- 
l)ile  sul  terriero  e  all'avverarsi  di  condizioni  tali  che  la  rendevano 
non  solo  possibile  ma  necessaria.  E  l'azione  comunale  fu  necessa- 
riamente egoista  per  il  particolarismo  dominante  nell'aggruppamento 
e  nel  l'atteggiarsi  delle  energie  economiche:  l'antagonismo  degli  in- 
teressi generò  le  differenziazioni  politiche.  Del  resto  pur  all'interno 
dal  giuoco  delle  forze  economiche  trasse  la  sua  forma  la  costitu- 
zione politica:  ove  s'ebbe  una  classe  economicamente  poderosa,  una 
grassa  borghesia  o  un'  aristocrazia  marinaresca,  il  governo  fu  di 
preferenza  repubblicano:  ove  questo  dovette  poggiare  su  una  massa 
di  popolo  minuto  inadatto  all'esercizio  delle  funzioni  politiche  e  di 
esse  incuranti  fu  signorile:  fu  monarchico  in  fine  dove  predominò  la 
proprietà  terriera  e  il  reddito  si  raccolse  nelle  mani  di  pochi  privi- 
legiati sollevantisi  su  la  folla  quietista  dei  rustici.  E  il  sorgere  stesso 


152  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

e  il  foggiarsi  delle  singole  magistrature  fu  a  quelle  subordinato: 
all'Arias  sembra  che  il  podestà  sia  nato  appunto  quando  si  ruppe 
il  primitivo  accordo  fra  la  ricchezza  mobiliare  e  l'immobiliare  e  che 
pur  la  sua  scelta  all'interno  e  all'estero  abbia  realmente  corrisposto 
a  due  momenti  diversi  nella  evoluzione  economica  dei  due  comuni. 
Uno  strumento  per  conciliare  il  particolarismo  di  mestiere  con  quello 
di  città  egli  scopre  poi  nella  costituzione  delle  società  delle  armi 
che  richiamavano  ad  unità  giusta  un  criterio  topografico  le  diverse 
categorie  del  popolo  differenziate  già  secondo  le  vocazioni  economi- 
che :  e  ragioni  di  carattere  economico  attribuisce  pure  all'  adozione 
delle  milizie  mercenarie  in  un  momento  in  cui,  scomparsa  la  classe 
feudale,  la  borghese  era  all'armi  disadatta  e  tutta  compresa  dalle 
necessità  di  non  distrarre  dall'opera  loro  i  lavoratori  manuali.  Tanto 
più  ritrovò  evidente  l'attinenza  col  sottosuolo  economico  nelle  isti- 
tuzioni politico-mercantili  del  tipo  della  mercanzia  fiorentina  ch'ei 
vuole  sorta  per  dirimere  i  conflitti  tra  le  frazioni  preponderanti  del 
capitalismo  locale. 

Da  conflitti  economici  erompevano  per  lo  più  le  guerre,  il  cui 
successo  dipendeva  in  gran  parte  dalla  potenzialità  economica  rive- 
lando nelle  vittorie  o  nelle  sconfìtte  l'ascensione  o  la  depressione  di 
quella:  e  ad  essi  si  informarono  anche  i  trattati  che  tendevano  a 
mitigare  pacificamente  gli  antagonismi  assumendo  vario  aspetto 
secondo  la  varia  combinazione  dei  fattori  economici  e  vario  conte- 
nuto secondo  che  le  condizioni  del  momento  non  consentivano  che 
il  raggiungimento  d'uno  scopo  negativo  qual'era  l'eliminazione  di 
qualche  ostacolo  o  permettevano  invece  il  conseguimento  d'una  uti- 
lità positiva  per  mezzo  di  privilegi.  Quindi  nelle  alleanze  dominò 
il  tornaconto  e  così  per  esempio  l'accordo  quasi  costante  fra  Napoli 
e  Firenze  fu  determinato  dalla  necessità  di  trovare  uno  sfogo  alle 
derrate  meridionali  e  ai  capitali  fiorentini  e  supplì  dall' un  lato  al 
difetto  del  capitale,  dall'altro  a  quello  dei  prodotti  agricoli.  Infine 
pur  il  carattere  mercantile  delle  colonie  medioevali  s'improntò  alla 
costituzione  economica  del  tempo  derivando  non  già  da  necessità 
di  occupare  una  popolazione  sovrabbondante,  ma  da  quella  di  smal- 
tire i  prodotti  delle  industrie  locali:  e  pur  in  questo  bisogno  trova 
la  sua  esplicazione  precipua  lo  slancio  con  cui  si  seguirono  le  cro- 
ciate ammantate  sotto  il  velo  della  pietà. 

Moventi  economici  l'Arias  ricerca  anche  in  fondo  all'azione  della 
chiesa  che  si  sarebbe  esplicata  appunto  come  un'  integrazione  del- 
l'azione  della  autorità  laica  in  armonia  allo  svolgersi  della  vita 
economica  e  civile:  essa  avrebbe  cercato  di  dominarla  e  dirigerla 
modificando  a  quest'uopo  la  sua  stessa  costituzione  e  rendendola  più 


ARIAS,   COSTITUZIONE   ECONOMICA   DEI   COMUNI  153 

complessa  con  la  creazione  di  nuovi  organi.  Cosi  T  accentramento 
dell'autorità  suprema  nel  pontefice  a  traverso  la  corruzione  dell'au- 
torità vescovile  sarebbe  derivata  dalle  necessità  di  rafforzare  l'or- 
dinamento gerarchico  per  intensificare  la  propria  azione  assorbente 
t'  dirigente  e  la  costituzione  delle  parrocchie  avrebbe  dovuto  favorire 
la  incubazione  delle  energie  locali  nel  loro  risorgere  e  quella  delle 
corporazioni  religiose  con  un  lavoro  privilegiato  avrebbe  contribuito 
validamente  all'acquisto  del  mercato  in  tempi  non  certo  propizi  al 
lavoro  libero  e  l'anapiezza  stessa  della  legislazione  ecclesiastica 
sfarebbe  stata  lo  specchio  della  progressiva  invasione  delle  norme 
ecclesiastiche  nei  rapporti  della  vita  civile. 

Più  tacile  fu  naturalmente  il  rivelare  il  nesso  tra  la  costituzione 
generale  dell'economia  e  le  istituzioni  finanziarie.il  capitale  indu- 
striale e  mercantile  fatto  sicuro  cercò  ben  presto  di  riversare  altrove 
la  pressione  tributaria  ostacolante  il  suo  cammino  e  cosi,  ove  il  ca- 
pitalismo fu  in  fiore,  prevalse  il  sistema  dell'estimo  mentre  quello  del 
catasto  dominò  dove  quello  era  fiacco  o  decadente:  là  un  sistema  com- 
plesso di  congegni  tendeva  per  vie  indirette  a  colpire  le  classi  che 
non  partecipavano  alle  forme  di  reddito  capitalistico,  qua  un  sistema 
più  semplice  e  arretrato  tendeva  ad  avvantaggiare  la  proprietà  fon- 
diaria. Come  mezzo  di  vivere  e  prosperare  a  danno  dei  possibili 
concorrenti  esteriori  si  presentano  i  dazi  di  transito  e,  in  parte,  quelli 
d'entrata  e  d'uscita  proteggenti  !e  deboli  industrie  interne;  e  all'in- 
terno il  predominio  delle  imposte  indirette  fu  poi  il  mezzo  con  cui 
le  classi  dominanti  premettero  sulle  lavoratrici  per  diminuire  il  va- 
lore reale  delle  mercedi  e  assicurarsi  il  profitto.  Anche  l'aggravio  del 
contado  a  vantaggio  delle  città  fu  una  valvola  di  sicurezza  per  non 
eccedere  i  limiti  delle  impossibilità  sopra  le  classi  lavoratrici  ur- 
bane. Leva  e  strumento  d'espansione  politica  e  commerciale  si  pa- 
lesano i  prestiti  pubblici  all'estero  e  i  prestiti  dei  cittadini  al  co- 
mune appariscono  come  uno  sfogo  all'eccesso  del  capitale  e  insieme 
come  un  mezzo  per  rinsaldare  al  governo  la  classe  detentrice  di  esso. 
Ma  l'ingiustizia  e  la  oppressività  del  regime  finanziario  causava  una 
incertezza  enorme  nelle  riscossioni  e  quindi  il  bisogno  di  congegni 
che  ad  essa  ovviassero  :  di  qui,  come  un  mezzo  di  assicurazione 
contro  quei  rischi,  la  generale  adozione  dell'  appalto  a  breve  sca- 
denza e  poi  le  leggi  che  moltiplicavano  il  numero  dei  responsabili 
o  rendevano  coattivo  il  ricorso  agli  atti  colpiti  da  tasse  e  di  qui 
anche,  per  la  irregolarità  del  regime  finanziario,  la  repugnanza  a 
far  dell'erario  una  persona  giuridica  a  sé  e  il  suo  appoggiarsi  alla 
persona  del  sovrano.  Potrebbe  dopo  ciò  parer  strana  la  tolleranza 
verso   imposizioni    ecclesiastiche   come   le   decime  che   per   l'iniqua 


154  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

distribuzione  e  pel  loro  valore  intrinseco  e  pei  privilegi  ond' erano 
assicurate  dovevano  essere  gravissime:  ma,  secondo  l'Arias,  s'esplica 
per  gli  infiniti  vincoli  che  legarono  lo  Stato  alla  Chiesa,  da  cui  traeva 
un  aiuto  alla  sua  fermezza,  e  perchè  da  quell'enorme  movimento 
di  ricchezze  v'  erano  classi,  ed  erano  appunto  le  dominanti,  che 
traevano  non  poco  benefizio. 

Nel  dominio  del  diritto  privato  il  riverbero  della  costituzione 
economica  è  quindi  ricercato  da  lui  nella  rafforzata  coesione  dome- 
stica, neir atteggiarsi  della  patria  podestà,  nel  regime  patrimoniale 
fra  coniugi,  nelle  limitazioni  alla  proprietà  privata,  nella  esclusione 
dello  straniero  dalla  proprietà,  nella  distinzione  fra  la  proprietà  e 
il  possesso,  nelle  garanzie  delle  obbligazioni,  nelle  successioni,  nelle 
tutele,  nel  diritto  all'azione  e  nelle  modalità  del  suo  esercizio:  nel- 
l'alto medioevo  il  fulcro  della  vita  economica  era  la  famiglia  e  pa- 
reva giusto  che  da  questa  non  fossero  distratti  i  beni  e  che  la  libertà 
individuale  fosse  sottratta  all'utile  collettivo,  ma  col  succedere  d'una 
economia,  ove  precipua  fonte  di  ricchezza  diventò  il  lavoro,  l'indi- 
viduo si  emancipò  dai  vincoli  troppo  impaccianti  e  di  qui  la  necessità 
di  riforme  familiari.  Però,  cedendo  1'  esclusivismo  domestico,  rima- 
neva sempre  1'  esclusivismo  locale  avverso  agli  spostamenti  di  ric- 
chezza da  luogo  a  luogo  e  continuò  a  causare  il  privilegio  del 
cittadino  e  impedi  il  sorgere  della  fiducia  necessaria  perchè  il 
sistema  delle  obbligazioni  si  svolgesse  senza  ceppi  sostanziali  e 
formali  e  senza  necessità  d'una  ferrea  tutela. 

L'esclusivismo  di  classe  unendosi  a  quello  diede  poi  al  diritto 
commerciale  quell'aspetto  subiettivo  che  oggi  cede  dinanzi  all'obbiet- 
tività consentita  e  imposta  dal  minor  rigidismo  nella  contrapposi- 
zione delle  classi  sociali  e  dalla  internazionalità  del  commercio,  del 
quale  è  divenuto  anima  il  risparmio  reciproco  dei  costi.  E  la  para- 
bola ascendente  del  capitale  si  riflettè  sullo  svolgersi  delle  società 
commerciali  e  nel  loro  movimento  verso  l'acquisto  della  persona- 
lità giuridica  che  da  prima  non  sarebbe  stata  possibile  appunto 
per  la  necessità  che  i  rischi  del  commercio  fossero  sostenuti  con 
tutte  le  forze  e  con  la  piena  responsabilità  di  tutte  le  persone 
commercianti.  Secondo  l'Arias  la  prisca  forma  sociale  sarebbe  stata  la 
commenda,  risultato  della  prima  costituzione  del  capitale  in  maniera 
disgregata  e  sporadica  e  utile  strumento  alla  sua  espansione  con  l'as- 
sicurare al  lavoratore  un  beneficio  proporzionale  che  alla  sua  volta 
gli  avrebbe  permesso  di  farsi  centro  d'una  particolare  efficienza 
economica;  quindi  sarebbe  sorta  la  società  collettiva  che,  model- 
lata sulla  famiglia,  avrebbe  risposto  alla  necessità  di  contrapjjorre 
a  rischi  maggiori  una  maggiore  resistenza  e  di  afforzare  le  garan- 


ARIAS,    COSTITUZIONE   ECONOMICA   DEI   COMMUNI  155 

zie  verso  i  terzi  con  una  illimitata  responsabilità  ;  e  tìnalmente  sa- 
rebber  giunte  le  società  anonime,  nel  medioevo  impossibili  per  la 
mala  sicurezza  dei  trasporti,  per  le  barriere  dividenti  classi  e  terre, 
per  la  mancanza  di  fiducia.  Sono  gli  elementi  stessi  che  tardarono 
lo  sviluppo  dei  titoli  di  credito:  e  l'Arias  ritiene  infatti  che  pur 
la  clausola  al  portatore  abbia  potuto  farsi  innanzi  solo  in  tempi 
recenti.  Come  correttivo  e  compenso  alle  difficoltà  risultanti  dal- 
l'esclusivismo di  luogo  e  di  corpo  egli  considera  infine  le  fiere  che 
permettevano  agli  stranieri  e  ai  lavoratori  di  sfuggire  di  quando 
in  quando  ai  sistemi  abituali  di  sfruttamento  e  alle  coercizioni  usate 
contro  di  loro:  e  vennero  meno  appunto  quando  il  riavvicinamento 
tra  le  economie  separate  e  chiuse  resero  men  vivo  il  bisogno  di 
quell'antidoto.  Così  sparvero  altresì  le  rappresaglie  e  molti  altri 
istituti  che,  rampollati  dall'esclusivismo  mediovaie,  erano  destinati 
a  mitigarne  le  asprezze. 

Nel  dominio  del  diritto  penale  l'evoluzione  economica  portò 
all'abolizione  della  ragione  privata,  sostituì  al  principio  della  ven- 
detta quello  della  difesa  dell'aggregato  sociale,  tolse  e  creò  varie 
figure  di  reati  e  ne  influenzò  la  valutazione  inducendo  a  graduar 
le  pene  secondo  la  loro  frequenza  e  la  loro  capacità  di  danno, 
scemò  i  rigori  contro  lo  straniero  e  ne  rafforzò  la  tutela,  modificò 
il  sistema  delle  prove  con  l'eliminazione  di  ogni  involucro  super- 
stizioso. 

Secondo  l'Arias  le  stesse  idee  sociali  si  sarebbero  manifestate 
come  una  reazione  o  una  giustificazione  dei  moti  economici.  La  lotta 
ecclesiastica  contro  il  mutuo  fruttifero  p.  es.  avrebbe  avuto  le  sue  basi 
prima  nella  necessità  di  frenare  il  prestito  del  denaro  in  tempi  in 
cui  il  capitale  circolante  era  scarso,  poi,  quando  cominciò  ad  ab- 
bondare, nella  necessità  di  coercirne  le  tendenze  troppo  baldan- 
zose e  per  ovviare  al  rischio  che  un  soverchio  accrescimento  delle 
vecchie  energie  economiche  soffocasse  le  altre  in  via  di  formazione  e 
per  impedire  il  volgersi  del  capitale  a  impieghi  improduttivi  a  scapito 
del  capitale  produttivo:  e  così  l'opposizione  cattolica,  mantenen- 
dosi in  periodi  economicamente  diversi,  avrebbe  sempre  avuto  la 
sua  ragione  nelle  condizioni  reali,  a  queste  inspirando  le  non  lievi 
modificazioni  che  permisero  in  fine  di  ammettere,  accanto  ad  un  com- 
penso pel  danno  emergente,  un  compenso  pel  lucro  cessante.  Fin  la 
Kiforma  appare  all'Arias  sospinta  da  moventi  economici;  egli  la  con- 
cepisce come  un  grande  sforzo  per  svincolarsi  da  Roma  e  dal  Mez- 
zodì, per  promuovere  una  più  feconda  incubazione  dei  germi  di 
risorgimento  che  già  si  manifestavano  in  Germania;  e  cosi  esplica  la 
preferenza  data  all'agricoltura  sul  commercio,  la  lotta  contro  il  coni- 


156  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

mercio  di  lusso  alimentato  dalle  regioni  meridionali  e  la  condanna 
del  monopolio.  Al  disgregarsi  dell'economia  capitalistica  e  al  so- 
l)ravvt?nto  della  terriera  rannoda  pure  il  pensiero  economico  degli 
umanisti,  il  sistema  politico  del  Savonarola,  il  ridestarsi  del  cesa- 
rismo: e  connette  il  sorgere  delle  teorie  mercantilistiche  al  riavvi- 
cinarsi delle  varie  economie  locali,  preludiante  al  sorgere  d'una 
economia  nazionale. 

La  chiave  della  vita  sociale  è  così  da  lui  ricercata  nel  neces- 
sario assecondamento  delle  nuove  energie  capitalistiche  integranti 
prima  e  soverchianti  poi  l'economia  agraria  trasmessa  dall'alto  me- 
dioevo :  la  loro  educazione  avrebbe  richiesto  il  particolarismo  che 
adempì  alla  funzione  di  differenziare  tra  le  varie  economie  le  più 
forti  in  modo  da  consentire  in  un  periodo  successivo  l'esplicarsi 
delle  speciali  attitudini  economiche  supplendo  alle  loro  deficienze 
col  commercio   internazionale. 

Ho  riassunto  con  la  maggior  fedeltà,  usando  spesso  le  parole 
stesse  dell'Autore,  le  precipue  conclusioni  del  suo  libro:  e  da  questo 
riassunto  ne  emergono  i  pregi  e  i  difetti.  Che  pregi  vi  sieno  è  grato 
il  rilevarlo:  in  ogni  parte  del  libro  s'incontrano  infatti  raffronti 
arguti  e  argomentazioni  sottili  e  già  da  un  punto  di  vista  generale 
le  costruzioni  dell'Arias  s'avvantaggiano  sulle  precedenti  combat- 
tendo le  teorie  di  coloro  che  escludevano  per  l'età  comunale  l'esi- 
stenza di  un  vero  capitalismo  e  del  salariato.  Ma  d'altro  lato  pos- 
sono dar  luogo  a  dubbi  e  a  critiche  e  la  struttura  troppo  rigidamente 
sistematica  del  lavoro  e  lo  sforzo  perenne  verso  deduzioni  artata- 
mente uniformi. 

Se  nell'ammettere  la  colleganza  intima  dei  fenomeni  sociali  parec- 
chi saranno  d'accordo  con  l'Arias,  molti  dissentiranno  invece  da  lui 
rispetto  all'ordinamento  gerarchico  ch'egli  afferma  in  essi  esistente 
e,  pur  consentendo  che  l'azione  di  leggi  superiori  riduca  in  ben  ri- 
strette proporzioni  le  influenze  arbitrarie,  potranno  esser  tratti  a 
fare  una  parte  più  larga  agli  elementi  volitivi  e  casuali.  Inteso  a 
cogliere  e  ad  illustrare  l'azione  dell'economia  sulle  altre  categorie 
dei  fenomeni  sociali,  l'Autore  ha  forse  trascurato  un  po' troppo  la 
possibilità  di  reazione  da  parte  di  esso  e  ha  rivelato  meglio  le  ar- 
monie che  non  le  antinomie:  con  ciò  il  giuoco  delle  energie  eco- 
nomiche che,  secondo  il  suo  avviso,  dovrebbe  avvenire  in  modo 
assolutamente  indipendente  dagli  accorgimenti  dei  singoli  e  della 
collettività,  sembra  spesso  svolgersi  in  un  mondo  astratto  dove 
non  esistano  gli  attriti  della  realtà.  L' interdipendenza  dei  fenomeni 
fu  non  di  rado  violentemente  ridotta  a  un  rapporto  di  subordina- 
zione ii'en  etica. 


ARIAS,   COSTITUZIONE    ECONOMICA    DEI    COMUNI  157 

Del  pari,  se  può  esser  lodevole  lo  sforzo  costante  dell'Arias  ad 
andar  oltre  il  fatto  per  ricercarne  le  cause,  a  molti  parrà  poi  che 
la  tendenza  verso  una  causa  unica  lo  abbia  spinto  non  di  rado  a 
un  semplicismo  troppo  poco  persuasivo.  E  in  realtà  sì  ha  spesso 
l'impressione  che  l'Autore  abbia  posto  uno  schermo  ai  suoi  occhi 
in  modo  da  non  vedere  che  da  un  lato.  Qua  e  là  poi  la  conclusione 
è  sproporzionata  ai  fatti  e  nasce  anche  il  dubbio  che  i  fatti  non 
sieno  stati  debitamente  accertati:  l'Autore  dogmatizza  più  che  non 
dimostri  e  nell' accogliere  le  pretese  constatazioni  degli  altri  spesso 
è  stato  in  realtà  troppo  fiducioso.  Almeno  ogni  capitolo  avesse  avuto 
([uel  corredo  di  documenti  che  fu  annesso  ai  primi  due  ! 

Quindi  in  parecchi  punti  la  ratio  dubìtandi  s'impone  ancora  im- 
periosamente. Nel  primo  capitolo,  per  esempio,  l'Autore  può  aver 
dimostrato  che  anche  nell'alto  medioevo  vi  era  un  ambiente  adatto 
all'esistenza  e  allo  sviluppo  di  forme  associative,  ma  non  ha  pro- 
vato affatto  che  tra  le  associazioni  romane  e  le  comunali  vi  sia  stata 
una  continuità  formale  e  sostanziale.  Già  l'osservazione  che  sia  con- 
traddicente  ai  dettami  della  logica  storica  il  concepire  una  forma 
singolare  d'associazione  come  la  tipica  e  l'unica  degna  di  para- 
gone a  indurre  l'esistenza  dell'istituto  in  tempi  diversi  cela  un 
equivoco:  e  l'equivoco  si  fa  manifesto  quando  si  vede  l'Autore 
osservare  che  l'associazione  doveva  presentarsi  in  strutture  dif- 
ferenti in  armonia  alla  variabilità  delle  sue  funzioni  e  dei  suoi 
rapporti  con  gli  istituti  e  con  i  fatti  collaterali.  Egli  ha  guardato 
al  genere  e  quelli  eh'  ei  combattè  badarono  invece  alla  specie,  né 
l'obbiezione  sua  ha  tenuto  giusto  conto  della  diversità  tra  i  due  punti 
di  vista  mentre  nel  differenziamento  del  genere  in  specie  distinte 
sta  appunto  la  ragione  metodica  cui  si  attiene  la  scuola  giuridica 
la  quale,  individuati  certi  tipi  d'istituti  in  base  a  determinate 
note  peculiari,  dove  queste  non  si  trovano  constata  che  manca  la 
figura  precisamente  intesa  sotto  quel  dato  punto  tecnico  e  procede 
a  differenziare  le  figure  non  ancora  caratterizzate. 

Ma  contro  la  scuola  giuridica  l'Arias  non  risparmia  i  suoi  strali. 
Egli  la  considera  infetta  da  soverchio  formalismo  e  in  qualche  caso 
la  critica  può  essere  non  del  tutto  infondata  come  quando  egli  se 
la  piglia  con  coloro  che  nella  storia  giuridica  nostra  s'ostinano  a 
vedere  nulla  più  che  una  lotta  in  superne  regioni  tra  il  diritto  ro- 
mano e  il  germanico  senza  ricercare  il  perchè  delle  sopravvivenze 
o  dell'acclimatazione  dell'uno  e  dell'altro  diritto,  e  fermandosi 
alla  sola  constatazione  delle  analogie  esteriori:  ma  dimostra  poi  di 
non  aver  apprezzato  a  dovere  le  basi  scientifiche  di  essa.  Il  com- 
pito descrittivo  e  sistematizzatore  dello  storico-giurista  è  tutt'altra 


158  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

clie  esaurito  :  e  chi,  affacciandosi  a  trattare  il  problema  genetico 
dei  singoli  istituti  giuridici,  dimentichi  le  lacune  che  ancor  si  hanno 
nella  fissazione  e  sistemazione  di  essi,  risica  di  confondere  quello 
che  vorrebbe  chiarire. 

Questo  potrebbe  essere  accaduto  qualche  volta  anche  all'Arias: 
ma  io  non  starò  a  segnare  pedantescamente  i  punti  in  cui  ciò  ac- 
cadde. Con  un  giovane  che  può  ancora,  volendo,  correggersi  delle  qui 
lamentate   deficienze  non  amo  atteggiarmi  a  troppo   rigido  censore. 

Palermo.  Enrico  Besta. 


P.  Girolamo  Golubovich  0.  F.  M.,  Biblioteca  Bio-Bibliografica  della 
Terra  Santa  e  dell'Oriente  Francescano.  —  Quaracchi,  1906,  in 
esclusiva  vendita  presso  l'editore  Otto  Harrassowitz,  Lipsia. 

Questa  biblioteca  non  è  ne  un  arido  catalogo,  né  una  ristampa 
dei  testi  di  antichi  scrittori  intorno  alle  missioni  francescane  in 
Terra  Santa,  ma  un  insieme  di  accurate  monografie  sulle  fonti  più 
importanti  della  storia  dell'ordine.  Cosi  fin  dai  primi  numeri:  dal  5, 
in  cui  si  tratta  delle  due  vite  del  Celano,  al  6,  dove  si  fa  cenno 
della  vita  versificata  per  la  prima  volta,  pubblicata  e  tradotta  dal 
Cristofani  ;  al  9,  dove  si  discorre  delle  due  vite  scritte  per  ordine  del 
capitolo  da  S.  Bonaventura  ;  al  14,  dove  si  dà  ampio  conto  della  Cro- 
naca delle  tribolazioni  e  di  una  nuova  traduzione  di  essa  contenuta 
in  un  codice  di  Siena,  l'intendimento  dell'Autore  è  di  mostrare,  clie 
se  tutte  le  altre  vite  si  avvantaggiano  su  quella  del  Celanese  per  nuovi 
particolari  intorno  ai  viaggi  di  S.  Francesco  in  Oriente,  non  è  da 
credere  che  queste  aggiunte  sieno  dovute  alla  fantasia  dei  nuovi 
biografi,  ma  ben  piuttosto  a  nuove  fonti  a  cui  essi  avran  potuto 
attingere.  Così,  p.  e.,  se  l'A.  della  vita  versificata  è  il  frate  Enrico.' 
che  andò  in  Oriente,  si  comprende  bene  che  per  questo  lato  ne  po- 
tesse sapere  più  del  Celano.  S.  Bonaventura  non  fu  mai  in  Oriente, 
ma  bene  avrà  potuto  attingere  le  sue  informazioni  da  frate  Illumi- 
nato, il  compagno  di  viaggio  di  S.  Francesco,  per  ben  due  volte 
citato  dal  Serafico.  Il  Clareno  infine  esplicitamente  dichiara  che  dai 
compagni  stessi  di  S.  Francesco,  sopravissuti  al  tempo  suo,  ebbe 
parecchie  informazioni.  Se  quindi  queste  biografie  più  recenti  ci  par- 
lano della  licenza  concessa  dal  Soldano  e  della  gita  di  S.  Francesco 
in  Siria  e  ai  luoghi  santi,  non  v'  ha  ragione  di  dubitarne.  Con  tutto 
ciò,  fino  a  prove  più  rigorose,  io  esito  a  credere  che  S.  Francesco 
proponesse  al  Soldano  la  prova  del  fuoco,  come  racconta  S.  Bonaven- 
tura. Ben  altri  argomenti  avrà  saputo  trovare  il  Santo  d'Assisi  per 


lH»LUr.OVK:ii.    IKKHA    SANTA    K    UHIKMK    FHANC ESCANO         159 

apriitsi  la  via  al  cuore  del  temuto  monarca,  se  pure  è  vero,  come 
tutte  le  fonti  narrano  concordi,  che,  non  ostante  l'aperta  guerra  tra 
Cristiani  e  Saraceni,  a  S.  Francesco  non  fu  torto  un  capello,  né  vie- 
tata la  libertà  di  predicazione.  Al  n.  13  discute  il  G.  la  nuova  fonte 
l)iografìca  che  il  Minocchi  trasse  dal  codice  Capponiano  207  della 
Vaticana,  e  prova  che  «  il  compilatore  della  leggenda  Capponiana  non 
«  sarebbe  altri  che  il  troppo  noto  frate  Angelo  Clareno,  l'autore  stesso 
«  dell' ormai  celebre  cronaca  delle  tribolazioni  ».  Ad  una  simile  con- 
clusione ero  venuto  anch'io  da  una  esatta  collazione  dei  primi  ven- 
tisei capitoli  del  testo  Minocchi,  che,  all' infuori  di  qualche  stron- 
catura od  aggiunta  (come  ad  esempio  tutto  il  cap.  8),  non  sono  se 
non  un  volgarizzamento  del  testo  di  frate  Angelo  dal  fol.  1  al  18  v.  11 
capitolo  27  «  come  Sancto  Francesco  dichiarava  e  voleva  che  fosse 
la  forma  dell'abito  »  non  è  se  non  la  traduzione  del  fol.  72»  presso 
la  fine  della  VII  tribolazione.  Dal  capitolo  28  si  torna  indietro,  poi- 
ché, come  ha  dimostrato  il  Golubovich,  vi  si  traduce  dal  fol.  37'»  - 
41 'i  della  quarta  tribolazione,  e  nel  capitolo  seguente  29  si  salta  al 
fol.  52 <i  della  quinta.  Col  cap.  30  s'esce  fuori  dalla  cronaca  per  at- 
tingere ad  altre  fonti,  come  lo  Specuhim  e  gli  Actus.  ma  non  è  escluso 
die  saltuariamente  non  vi  si  faccia  ritorno,  come  nel  cap.  43,  che  è 
uguale  alla  cronaca  13^.  A  questa  farraginosa  compilazione  sarebbe 
tare  troppo  onore  se  si  attribuisse  col  Golubovich  al  Clareno  me- 
desimo, il  quale  non  si  sa  bene  a  quale  scopo  avrebbe  cosi  malme- 
nata l'opera  propria.  Ma  non  la  si  può  chiamare  in  alcun  modo 
Legenda  antiqua,  come  vuole  il  Minocchi;  poiché,  fin  dalle  prime 
linee,  si  cita  la  Legenda  nova  di  S.  Bonaventura;  il  che  vorrebbe 
dire  una  leggenda  antica  posteriore  alla  nuova  e,  che  è  lo  stesso, 
una  contraddictio  in  adjecto. 

Un'altra  piccola  monografia  è  al  n.  31  «Cenni  biografici  su  frate 
Elia  d'Assisi  »,  nella  quale  io  consento  prossoché  in  tutto,  tranne 
che  il  giudizio,  che  vi  si  porta  sulla  monografia  del  Lempp,  parmi 
molto  severo.  Poiché  non  v'ha  dubbio  che  meglio  dell'Aflo  il  Lempp 
lia  ben  vista  l'importanza  del  documento  riportato  nello  Specnhtm 
ritae,  anche  se  non  si  possa  essere  sempre  d'accordo  con  lui  nel 
modo  d'interpretarlo.  In  fine  dell'articolo  il  Golubovich  da  un  ma- 
noscritto autografo  del  P.  Mariano  da  Firenze  riproduce  una  notizia, 
secondo  la  quale  frate  Elia  era  non  solo  cultore  dell'alchimia,  ma 
benanche  dell'architettura  e  per  incarico  di  Federico  II  intendeva 
alla  costruzione  di  rocche  e  fortilizi  nel  regno  di  Sicilia. 

Importante  é  il  n.  33  «Cenni  critici  sulla  vita  del  b.  F.  Pietro 
Catani  »,  dove  l'Autore  a  differenza  dei  suoi  predecessori  stabilisce 
che  (\\xGì^io  juris  peritns  et  dominus  ìegum  fu  «  secondo  discepolo  (1209) 


160  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

«  e  primo  vicario  di  S.  Francesco  (intorno  al  J210,  o  al  più  tardi 
«intorno  al  1212);  primo  generale  dell'ordine  dopo  la  rinunzia  del 
«santo  nel  1217».  Quest'audace  ricostruzione,  che  tra  due  vicariati 
intercala  addirittura  un  generalato,  mi  lascia  molto  perplesso;  né 
il  linguaggio  dei  biograti  è  cosi  preciso  da  vincere  le  dubbiezze. 

Se  dovessi  citare  i  numeri,  dove  qualche  nuova  dilucidazione  o 
qualche  errore  sì  corregge,  dovrei  citarli  tutti  dal  primo  all'ultimo. 
Mi  contenterò  di  addurne  alcuni  soli,  come  esempi  del  modo  tenuta 
dall'Autore  nel  rifare  a  novo  una  vecchia  materia.  Nel  n.  55  si  hanno 
importanti  note  ed  osservazioni  per  una  nuova  edizione  critica  della 
relazione  sui  Tartari  di  fra  Giovanni  di  Pian  Carpino,  e  dal  cod.  E. 
V.  8  della  Nazionale  di  Torino  si  pubblica  il  Liber  de  factis  Tcirtha- 
rorum,  che  secondo  il  nostro  A.  è  la  prima  redazione,  non  ancora  così 
diifusa  come  nel  testo  pubblicato  dal  D'Avezac  (Relation  des  Mongols 
ou  Tartares  par  le  frère  Jean  du  Pian  de  Carpin.  Paris,  Arthus-Ber- 
trand,  1838).  Anche  questo  testo  al  Golubovich  non  par  completo; 
perchè  vi  mancano  le  lettere  che  il  Kan  scrisse  al  Papa,  le  quali  si 
trovano  «  e  nel  breve  compendio  dell'itinerario  che  il  compagno  del 
«  Piancarpino,  fr.  Benedetto  di  Polonia,  dettò  a  quelli  di  Colonia  (vedi 
«  n.  56)  e  nel  Chronicon  dì  fra  Salìmbene,  che  le  copiò  fedelmente  dal 
«  grande  libro  autografo  che  conteneva  esse  lettere  con  la  grande  re- 
«  lazione  del  Piancarpino  ». 

Nel  n.  65  è  riportato  da  un  codice  della  Nazionale  di  Torino 
(DXCV,  1,  III,  28)  il  testo  del  de  constructione  castri  SapJiet,  die  è 
molto  più  corretto  di  quello  che  il  Baluzio  trascrìve  dal  Parigino 
lat.  n''.  5510.  Se  questo  libro  secondo  il  Golubovich  non  appartiene 
a  fr.  Benedetto  da  Alignano,  vescovo  di  Marsiglia,  ben  noto  al  Sa- 
l imbene,  certo  «  fu  lui  l'ispiratore  o  dettatore  di  chi  per  luì  scriveva  ». 

Nel  n.  81  è  data  una  nuova  versione  latina  del  testo  del  Pachi- 
mero  intorno  agli  sforzi  durati  dal  fra  Giovanni  Parastron,  Minorità 
di  Costantinopoli  e  legato  dell'imperatore  greco,  per  compiere  la 
desiderata  unione  delle  due  Chiese  al  tempo  di  Gregorio  X. 

Infine  nel  n.  Ili  sono  riferiti  estesi  cenni  biocronologici  e  biblio- 
grafici intorno  al  B.  Raimondo  Lullo  «  ascritto  al  terzo  ordine  Fran- 
«  cescano  e  come  tale  coli' abito  e  colla  corda  figurato  sulla  sua 
«  tomba».  Del  Lullo  è  fervido  ammiratore  il  Golubovich,  ne  sa  perdo- 
nare all'Hauréau  gl'ingiusti  giudìzi  che  ne  ha  portato  nel  XXIX  voi. 
deW Histoire  littéraire  de  la  France,  dove  all'ottimo  materinle  bi- 
bliografico fornitogli  dal  Littré  aggiunse  dì  suo  la  parte  biografica  e 
polemica.  Ma  sulle  dottrine  filosofiche  e  teologiche  del  Lullo  il  nostro 
Autore  sorvola,  e  quello  solo  che  mette  in  evidenza  è  l'ardore  del- 
l'apostolo, che  non  s'è   mai   stancato   di   proporre   a   Papi,  a  Re,  a 


(iOLUBOVICH,   TERRA   SANTA   E   ORIENTE   FRANCESCANO        101 

coiiciir  le  più  opportune  misure  per  scongiurare  il  pericolo,  che  i 
Saraceni  guadagnassero  i  Tartari  e  che  uniti  insieme  questi  popoli 
divenissero  i  padroni  definitivi  dell'Oriente,  come  pur  troppo  av- 
venne. Alcune  di  queste  misure,  come  la  fondazione  di  collegi  per 
insegnare  le  lingue  orientali  e  la  fusione  degli  ordini  militari  in  un 
solo,  furono  di  nuovo  proposte  dal  Du  Bois  a  Filippo  il  Bello,  ma 
certo  è  che  il  Lullo  le  aveva  bandite  sino  dal  1275,  epoca  della 
fondazione  del  collegio  arabo  di  Miramar. 

Un'opera,  come  questa  del  Golubovich,  a  cosi  vasto  disegno, 
non  si  può  dire  mai  compiuta,  e  già  in  questo  stesso  volume,  dopo 
aver  dato  al  numero  119  «  un  sommario  cronologico  delle  principali 
«  lettere  apostoliche  che  riguardano  specialmente  l'apostolato  fran- 
«  cescano  nella  Terra  Santa...  entro  il  secolo  XIII  »,  si  aggiungono 
altri  nove  articoli  ed  altri  non  dubitiamo  se  ne  aggiungeranno  nel 
susseguente  volume.  Certo  è  che  quest'opera  sarà  indispensabile 
non  solo  ai  Palestinologi,  ma  più  ancora  a  tutti  gli  studiosi  di  cose 
francescane.  E  la  consultazione  ne  è  resa  facile  cosi  dal  severo 
ordine  serbato  nella  trattazione,  come  dai  tre  copiosi  indici  posti 
in  fine:  I.  Index  chronologicus,  IL  Indice  di  cose  e  di  nomi,  Index 
analyticus,  III.  Indice  di  autori  e  di  codici. 

Firenze.  Felice  Tocco. 


Luigi  Rossi,  Venera  e  il  re  di  Napoli.  Firenze  e  Francesco  Sforza  dal 

novembre  del  1450  al  giugno  del  1451.  —  1905,  pp.  124  (estr.  dal 

Nuovo  Ardi.  Veneto,  nuova  serie,  X,  I-II). 
Lega  tra  il  Buca  di  Milano,  ì  Fiorentini  e  Carlo  VII  re  di 

Francia  {21  febbraio  1452).  —  1906,  pp.  55  (estr.  dall'.4rc/<.  Stor. 

Lombardo,  XXXIII,  X). 

Le  monografie  presenti  si  collegano  intimamente  col  libro  pub- 
blicato dal  medesimo  storico  in  Firenze  nel  1903  {La  Guerra  in 
Toscana,  1447 -48\  e  promettono  un  nuovo  lavoro  sulla  Guerra  fra 
Venezia  e  Milano,  e  fra  re  Alfonso  di  Napoli  e  i  Fiorentini  del  1452 ; 
(juindi  si  scorge  chiaro,  che  l'A.  si  propone  un  più  largo  disegno 
storico,  e  cioè  d'illustrare  quel  periodo  di  storia  italiana,  che  va 
dalla  morte  di  Filippo  Maria  Visconti  alla  pace  di  Lodi  (1447-53)  ; 
periodo  doloroso  per  la  storia  del  nostro  paese,  ma  degno  di  studio. 
perchè  oscuro  ed  intricato  quanto  altro  mai. 

In  queste  due  monografie  vengono  esposte  lucidamente  le  ne- 
goziazioni, le   trattative,  che  precedettero  la  guerra  del  1452:  e  la 

Arch.  8tor.  It.,  5."  Serie.  —  XXXIX.  11 


162  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

trattazione  supera,  per  ricchezza  di  contenuto  e  di  materiale  storico, 
le  esposizioni  precedenti.  Nella  prima  monog-rafia  sono  illustrati  i 
maneggi  adoperati  da  Venezia  contro  i  Fiorentini  e  Io  Sforza,  e  per 
legare  a  sé  il  re  di  Napoli;  nella  seconda  le  trattative  dei  Fioi-en- 
tini  col  re  di  Francia,  per  indurlo  ad  entrare  nella  lega  contro  la 
Serenissima  ed  il  re  Alfonso.  Il  primo  studio  contiene  tre  appendici 
di  documenti  inediti,  tratti  dagli  arcliivi  di  Milano,  di  Firenze,  e  di 
Venezia;  il  secondo  comprende  pure  ricca  messe  di  documenti,  quasi 
tutti  inediti,  degli  archivi  di  Milano,  di  Firenze,  di  Siena,  e  di 
Venezia. 

La  trattazione  procede  ordinata,  lucida,  e  corroborata  da  ma- 
teriale storico  nuovo,  e  criticamente  elaborato.  Ciò  che  non  è  pic- 
colo merito,  essendo  questo  periodo  storico  molto  complesso,  nel 
quale  erano  in  giuoco  le  mire,  le  cupidigie,  le  ambizioni  di  tutti 
gli  stati  italiani;  nel  quale  alla  politica  apparente  si  contrappone- 
vano le  arti  segrete,  i  raggiri,  le  arti  occulte  della  diplomazia  più 
esperta,  e  più  raffinata  per  la  cultura  dei  suoi  rappresentanti.  A])- 
parentemente  si  cercava  la  pace,  e  l'equilibrio  degli  stati,  e  dai  più 
si  tendeva  alla  guerra.  Oltre  ai  principali  contendenti,  quali  il  du- 
cato di  Milano,  Venezia,  Firenze,  il  re  Alfonso  di  Napoli,  il  re  di 
Francia,  rendevano  complessa  la  situazione  le  mire  di  Pisa,  di  Siena, 
di  Genova,  di  Bologna,  del  marchese  di  Ferrara,  del  duca  di  Man- 
tova, del  duca  di  Savoia,  e  del  marchese  di  Monferrato. 

Pistoia.  Luigi  Chiappei.li. 


P.  MoLMENTi,  La  Storia  di  Venezia  nella  vita  privata,  voi.  II:  «Lo 
Splendore».  —  Bergamo,  Istituto  d'Arti  Grafiche,  1906;  pp.  656, 
con  moltissime  illustrazioni. 

Al  periodo  in  cui  maturò  la  civiltà  veneziana  successe  l'età 
dello  «  Splendore  »,  e  questa  età,  attraente  per  la  magnificenza  esu- 
berante della  vita,  viene  dal  Molmenti  fatta  argomento  al  volume, 
riccamente  illustrato,  che  qui  si  annuncia,  e  che,  per  l'importanza 
del  contenuto  come  per  la  bellezza  della  sua  veste  esteriore,  cor- 
risponde alla  natura  del  periodo  storico,  cui  si  riferisce.  Fa  vera- 
mente piacere  parlare  di  un'opera  quale  è  quella  che  ci  sta  ora 
dinanzi.  È  una  fortuna  che  non  tocca  così  di  sovente  a  chi  ha  l'uso 
di  far  recensioni. 

Il  M.,  colla  erudizione  desunta  da  molte  fonti  edite  e  inedite,  e 
col  soccorso  di  riproduzioni  non  mene  felicemente  scelte  che  eseguite, 
ci  fa  rivivere  in  mezzo  alla  società  nel   più   bel   fiore   della   Kina- 


MOLMENTl.  LA  SKJKIA   DI   VENEZIA  NELEA   VEIA   l'IUVATA         Kh) 

j^cenza,  co^i  che  ci  par  proprio  di  trovarci  in  mezzo  ai  patrizi,  o 
(juasi  anche,  come  f!rli  antichi,  dimenticliiamo  i  pericoli  cui  lo  Stato 
andava  effettivamente  incontro. 

A  creare  l'atmosfera  veneziana  di  quel  tempo  molte  correnti 
contribuirono,  venute  dairOrìonte,  iriunto  dall'Italia,  ori^-inate  dalle 
condizioni  locali. 

Sino  dalle  prime  pagine  il  M.  a\\eiU'  come  T  esordio  di  (luesto 
periodo,  che  è  tutto  una  festa  di  tinte  e  un  scintillìo  di  lumi,  coin- 
cide cogli  inizi  della  decadenza.  Poiché  fu  appunto  tra  la  fine  del 
sec.  XV  e  il  cominciamento  del  XVI,  che  a  Venezia  venne  a  man- 
care il  commercio  orientale,  da  cui  traeva  le  fonti  principali  della 
sua  ricchezza.  Il  M.  cita  l'osservazione  di  un  contemporaneo,  Cristo- 
foro da  Canale,  il  quale  avvertì  che  le  ricchezze  già  accumulate 
distoglievano  i  Veneziani  da  nuove  ardite  e  difficili  imprese  marit- 
time. La  lega  di  Cambray  costituì  per  Venezia  una  crisi,  da  cui  salvò 
l'esistenza,  ma  a  prezzi  gravissimi.  La  battaglia  di  Agnadello  fu  per 
la  Repubblica  un  colpo  sì  fiero,  da  impedirle  di  rialzarsi  mai  più. 
Tuttavia  la  decadenza  si  presenta  appena,  e  si  vive  invece  in  mezzo 
;illa  grandiosità,  nella  esuberanza  della  vita. 

Se  le  imprese  militari,  politiche,  commerciali  diminuiscono  di 
numero  e  di  importanza,  la  vita  si  effonde  nell'arte  e  negli  studi, 
si  manifesta  nei  festeggiamenti  d'ogni  genere,  si  esaurisce  nel  lusso. 

Il  M.  intende  la  vita  di  Venezia  in  senso  largo,  giacché  prende 
tosto  le  mosse  parlando  degli  ordinamenti  politici,  della  legisla- 
zione ecclesiastica,  del  diritto  famigliare.  Meglio  fa  al  caso  no- 
stro ciò  che  egli  dice  intorno  alle  pene  e  alle  carceri.  Quando 
discorre  della  cura  che  il  governo  aveva  per  l'esercito  e  per  la 
marina,  le  notizie  che  meglio  si  accostano  al  suo  argomento  sono 
quelle  riflettenti  gli  abbigliamenti  dei  soldati,  che  sono  qui  rappre- 
sentati con  bellissime  riproduzioni,  al  pari  dei  vestiti  dei  magi- 
strati. A  proposito  delle  malattie,  e  dei  medici,  curiosissimo  é,  p.  e., 
il  vestito  di  un  medico,  indossato  per  preservarsi  dal  contagio. 

L'aspetto  della  città  cambia.  La  piazza  di  S.  Marco  e  Rialto 
ne  costituiscono  i  due  centri  principali,  e  colà,  tra  il  sec.  XV  e 
il  XVI,  si  rizzano  nuovi  edifici,  splendidi  e  imponenti,  così  che  a 
buon  diritto  i  forestieri  che  visitavano  Venezia,  da  (jualsiasi  part»' 
venissero,  ne  rimanevano  ammirati  ed  entusiasti. 

Nelle  feste  pubbliche  si  abbandonano  le  dure  prove  dell'armi, 
che  ne  avevano  determinato  lo  spirito  per  l' addietro:  ad  esse  si 
sostituisce  la  magnificenza  ed  il  lusso.  Il  carnevale  e  le  maschere 
acciuistano  sempre  più  d'importanza.  Quanto  la  repubblica  ha  di 
più  alto,  vuol  essere  circondato  dal  lusso.  A  mantenere  la  vita  sfar- 


1(34  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

zosa  del  doge  e  della  dogaressa,  non  basta  lo  stipendio  di  cui  Io 
Stato  può  disporre:  perciò  il  dog-e  dev'essere  molto  ricco,  e  deve 
spendere  largailfente  del  suo.  Le  visite  dei  signori  stranieri  olirono 
frequenti  occasioni  di  festeggiamenti.  Rimasero  celebri  nella  storia 
i  viaggi  a  Venezia  di  Girolamo  Eiario  con  Caterina  Sforza,  di  Bea- 
trice d'Este-Sforza,  di  Enrico  III  di  Francia.  Ma  anche  senza  di  que- 
ste straordinarie  occasioni,  i  Veneziani  sanno  trovar  continui  motivi 
per  rinnovare  feste  e  divertimenti. 

Intorno  all'  origine  e  al  progresso  di  tali  tendenze,  il  M.  non 
insiste  molto,  ancorché  giustamente  non  dimentichi  di  avvertire 
l'influsso  del  classicismo  umanistico,  che  si  esercita  fino  dalla  seconda 
metà  del  sec.  XVI,  ne  di  notare  come,  in  conseguenza  di  ciò,  «  la 
«  sublime  mestizia  »  del  Cristianesimo  si  trasformasse  paganeggian- 
dosi. L'allegria  invade  tutto.  Il  Gian  (1),  tenendosi  nel  campo  let- 
terario, si  era  alcun  tempo  prima  occupato  nel  ritracciare  in  Ve- 
nezia l'eco  dell'umanismo  italiano,  e  (se  non  mi  inganno)  nel  suo 
discorso,  così  ricco  di  fatti  importanti  e  di  belle  osservazioni,  aveva 
un  tantino  esagerato.  Il  problema  è  bellissimo,  e  dobbiamo,  come 
al  Gian,  così  essere  riconoscenti  al  Molmenti.  per  averne  l'uno  più. 
l'altro  meno  largamente,  trattato.  Speriamo  che  i  materiali  si  ac- 
crescano a  poco  a  poco  e  che  al  problema,  così  ricco  di  conseguenza 
storica,  si  possa  dare  finalmente  una  soluzione  precisa  e  completa. 
Discorre  susseguentemente  il  M.,  con  larghissime  cognizioni  e 
competenza  particolare,  delle  arti  belle,  in  quanto  esse  sono  l'ef- 
fetto e  la  manifestazione  del  sentimento  popolare.  Forse  l'argo- 
mento poteva  essere  svolto  con  maggiore  ampiezza,  e  con  rigidezza 
maggiore,  così  che  si  sfuggisse  del  tutto  al  pericolo  di  far  penetrare 
la  vera  e  propria  storia  dell'arte  in  quella  che  dovrebbe  essere  sol- 
tanto la  storia  della  vita.  Ma  questa  osservazione,  che  mi  permetto 
di  fare,  non  diminuisce  l'interesse  e  il  valore  di  queste  pagine 
del  M.  Farmi  che  in  modo  più  rigidamente  severo  il  M.  si  comporti 
in  appresso  dove  discorre  delle  arti  minori,  ossia  delle  arti  nella 
loro  relazione  coli' industria. 

A  proposito  delle  arti  maggiori,  il  M.  (pp.  142-3)  asserisce  che, 
a  differenza  di  quanto  avviene  a  Firenze,  gli  artisti  veneziani  non 
assumono  per  protagonista  un  personaggio,  ma  lo  Stato.  E  l'osser- 
vazione, assai  arguta  e  importante,  ferma  l'attenzione  del  lettore, 
destando  in  lui  il  desiderio  che  la  dimostrazione  sia  data  in  modo 


(1)  La  cultura  e  Vitalianità  di  Venezia  nei  Binascimento,  Bologna,, 
Zanichelli,  1905. 


MOLMENTI,  LA  STORIA  DI  VENEZIA  XELLA  VITA  PRIVATA        1(35 

rincora  più  largo  di  quanto  potè  fare  il  M.,  stretto  dai  limiti  impostigli 
«lair argomento,  complicato  e  complesso,  ch'egli  imprese  ad  esporre. 

Belle  cose  scrive  il  M.  intorno  ai  tessuti,  e  agli  altri  meravi- 
gliosi lavori  che  i  Veneziani  sapevano  eseguire  coli' ago  e  colla 
spola.  Egli  avverte  (p.  176),  a  tale  proposito,  che  nei  tessuti  i  di- 
segni orientali  si  mescolano  coi  fiamminghi  e  coi  francesi.  Più  ad- 
dietro, come  vedemmo,  egli  parla  d' influenza  classica.  Queste  os- 
servazioni sparse  fanno  desiderare  che  il  M.  spieghi  con  maggiore 
aini)iezza  la  lotta  che  in  Venezia  si  combattè  fra  le  varie  tendenze 
artistiche  provenienti  dall'Oriente,  come  dall'Occidente,  dalle  tra- 
<lizionì  antiche,  come  dai  bisogni  moderni.  La  situazione  geografica 
di  Venezia,  posta  fra  il  mondo  Cristiano  e  il  mondo  Musulmano,  of- 
friva opportunità  alle  varie  correnti  del  sentimento  e  del  pensiero 
iV  incontrarsi  sulle  lagune.  Oltre  a  ciò,  il  fatto  che  Venezia  si  tro- 
vava distaccata  dall'Italia  continentale,  dovea  favorire  in  essa  l'in- 
<lirizzo  conservatore  delle  sue  caratteristiche  antiche,  opponendo,  per 
alcun  tempo,  un  riparo  all'ingresso  delle  nuove  tendenze.  Sono  pro- 
blemi questi  che  si  presentano  sopra  tutto  nella  storia  politica,  ma 
che  pure  interessano  grandemente  la  storia  dell'arte  e  delle  lettere, 
e  quella  pure  dei  costumi.  A  parer  mio  sta  propriamente  in  questo 
squilibrio,  che  la  geografia  e  la  storia  avevano  posto  tra  Venezia 
e  il  resto  di  Europa,  la  causn  principale  e  profonda  della  guerra 
ili  Cambray. 

I  fiamminghi  recarono  (1422)  l'arte  degli  arazzi  a  Venezia,  ma 
t's:>:i  non  vi  attecchì. 

Un  capitolo  (VII),  interessantissimo  nella  sua  novità,  è  dedicato 
allo  studio  dell'arte  nella  vita  degli  artisti.  In  esso  avrei  desiderato 
che  si  discorresse  con  maggiore  larghezza  intorno  al  modo  con  cui 
gli  artisti  intesero  e  rappresentarono  la  vita  veneziana.  Senza  dubbio 
a  questo  argomento  si  accenna  più  volte,  come  p.  e.  quando  si  nota 
la  licenziosità  di  Paris  Bordone,  e  l'amore  con  cui  i  pittori  berga- 
maschi ritraggono  la  soave  intimità  della  casa  (1). 

Sviluppando  le  attinenze  fra  gli  studi  e  la  vita,  accenna  alle 
varie  tendenze  letterarie  e  scientifiche  vive  in  Venezia.  Assai  bre- 
vemente tocca  del  valore  dei  Diari  di  Marin  Sanudo  per  la  cono- 
scenza dei  costumi  veneziani.  Il  Sanudo  ricevette  i  primi  rudimenti 
delle  lettere  a  Sangui neto  nel  Verouese. 


Il)  A  \).  197  parla  della  parola  mammola  e  dei  suoi  significati,  omet- 
tciulo  di  notare  che  se  ne  occupò  anche  C.  .Salvioni,  in  un  raro  opuscolo 
nuziale. 


166  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Il  governo  si  occupava  con  impegno  delle  scuole.  Si  fonda- 
vano biblioteche,  si  aprivano  tipografie.  Il  M.  discorre  con  maggiore 

0  minore  larghezza  di  tutto  ciò,  e  tocca  delle  celebri  tipografie  ve- 
neziane, senza  trascurare  neppure  le  rilegature  dei  libri.  Anche 
questa  parte  del  volume  del  M.  va  rilevata  come  una  delle  più 
belle,  delle  più  curiose  per  novità  di  argomenti  e  per  ampiezza 
di  dati. 

Le  rappresentazioni  drammatiche  e  i  concerti  musicali  ci  ri- 
conducono nella  parte  più  viva  e  più  vera  della  vita  veneziana.  Il 
pennello  di  Paolo  Veronese  e  di  altri  grandi  pittori  non  isdegnava 
di  dipingere  le  porte  degli  organi.  Il  M.  desume  da  quadri  quelle 
scene  che  meglio  si  confanno  alla  illustrazione  dei  suoi  argomenti. 
Spesso  sono  particolari  che  al  pittore  servirono  come  sfondo  alla 
rappresentazione,  ma  il  nostro  storico  le  trae  di  là,  e  ce  le  mette 
innanzi  come  riproduzioni  schiette,  vere,  parlanti  della  vita  vene- 
ziana, nei  suoi  minuti  particolari.  A  questa  fonte  inesauribile  di  no- 
tizie egli  ricorre  anche  per  farci  conoscere  i  concerti  musicali,  quali 
si  usavano  largamente  presso  le  famiglie  patrizie  e  ricche. 

Lo  sfarzo  trionfa  nell'insieme  della  casa,  come  nei  suoi  parti- 
colari, ed  è  uno  sfarzo  nel  quale  lo  sfoggio  della  ricchezza  è  idea- 
lizzato dal  gusto  squisito  dell'arte.  Le  porte,  le  stanze,  le  scale,  i 
soffitti,  i  cortili,  gli  arredi,  i  mobili,  ogni  cosa  offre  motivo  ad  am- 
mirazione. A  rappresentare  al  vivo  tutto  questo,  il  M.  non  è  più  co- 
stretto a  limitarsi  allo  studio  dei  quadri  antichi,  ma  molti  esempi  ne 
rimangono  tuttodì.  Accanto  ai  palazzi,  decoro  di  Venezia,  si  devono 
ricordare  le  ville,  che  ì  ricchi  patrizi  possedevano  sulla  Terraferma, 

1  piaceri  della  villa  attrassero  le  doviziose  famiglie  veneziane  sino 
dal  sec.  XV,  dopoché  la  Terraferma  fu  sottoposta  al  dominio  della 
Serenissima.  Talune  di  queste  ville,  decorate  perfino  dal  pennello  di 
Paolo  Veronese,  esistono  ancora,  e  il  M.  ne  derivò  rappresentazioni 
assai  belle,  associandole  a  quanto  ci  fanno  conoscere  quadri  e  di- 
segni dell'età  della  Rinascenza,  ed  elegantemente  traendo  da  una 
fonte  l'interpretazione  dell'altra. 

Ricchezze  si  profondevano  negli  abbigliamenti  femminili,  sia  per 
le  mirabili  stoffe,  sia  per  le  gioie,  di  cui,  a  profusione,  si  carica- 
vano le  belle  patrizie  (1).  Il  lusso,  specialmente  nella  dogaressa,  rag- 
giungeva l'esagerazione.  Le  leggi  suntuarie  non  riuscivano  a  frenare 
la  vanità  femminile-,  che  anzi,  in  alcune  circostanze  solenni,  le  stesse 


(1)  Gli  orecchini  si  introdussero  assai  in    ritardo.  Sono    ricordati   per 
la  prima  volta  nel  1525. 


MOLMENTI,  LA  STORIA  DI  VENEZIA  NELLA  VITA  PRIVATA        107 

le^^i  suntuario  venivano  sospese.  La  grandiosità  dei  festini,  i  balli, 
la  ricchezza  della  mensa,  la  studiata  ghiottoneria,  assorbivano  te- 
sori. Anche  gli  al)l)igliamenti  maschili  costavano  niolto,  ed  erano 
sfarzosi  assai.  Interessanti  notizie  speciali  raccoglie  il  iM.  intorno 
ai  busti  e  ag-li  zoccoli  delle  matrone,  intorno  al  belletto  ecc.  Nelle 
foggie  dei  vestiti,  estremamente  scollati,  già  si  vede  chiaramente 
come  al  culto  della  bellezza  artistica  e  pura  si  mescola  il  culto  dei 
sensi.  La  corruzione  si  infiltra  e  a  poco  poco  dilaga,  specialmente 
nelle  classi  più  elevate  e  più  ricche. 

La  leggerezza  della  vita  può  scorgersi  nelle  radunanze  serali, 
nei  circoli  che  le  matrone  tenevano,  radunanze  e  circoli  in  cui  il 
tempo  si  impiegava  nel  gioco.  La  cultura  delle  donne  non  era  del 
tutto  trascurata,,  ma  in  generale  era  alquanto  scarsa. 

Tuttavia  non  per  questo  la  famiglia  si  dissolveva.  Il  M.  rac- 
colse, con  giusto  amore,  parecchi  dati  sulla  vita  di  famiglia;  ma, 
secondo  lo  scopo  del  suo  libro,  egli  si  ferma  particolarmente  ad  il- 
lustrare le  cerimonie  solenni,  che  si  riferiscono  alla  famiglia,  in 
occasione  di  matrimoni,  di  nascite,  di  morti. 

Il  commercio  delle  schiave  orientali  fu  cagiono  all'aggravarsi 
della  corruzione.  Si  era  formata  a  Venezia  utia  vera  easta  di  donne, 
che,  sotto  il  nome  di  cortigiane,  conducevano  mala  vita:  esse  pas- 
savano i  loro  giorni  in  palazzi  dorati,  fra  il  lusso  e  lo  sfarzo.  Le 
cortigiane  eranvi  numerosissime,  ed  aveano  raggiunta  tanta  impor- 
tanza in  Venezia,  che,  se  le  leggi  erano  severe  con  esse,  invece  di- 
venivano a  loro  riguardo  indulgenti  i  magistrati. 

Come  dicemmo,  l'opera  del  M.  è  illustrata  da  riproduzioni  d'ogni 
genere,  e  tutte  bellissime,  tali  veramente  da  far  onore  all'Autore  del 
libro  per  la  scelta  fattane,  e  all'Istituto  bergamasco  d'arti  gratìche, 
per  la  ben  riuscita  esecuzione.  Le  tavole  a  colori  soddisfano  l'occhio. 

Il  M.  non  volle  raccogliere  nel  suo  libro  tutto  quanto  è  noto 
riguardo  ai  costumi  veneziani  tra  la  fine  del  sec.  XV  e  l'esordio 
del  XVI.  Ma  la  varietà  degli  argomenti  trattati  è  pur  tale  da  som- 
ministrare ampia  materia  all'Autore.  Forse  le  cerimonie  religiose 
avrebbero  potuto  trovar  qui  uno  svolgimento  più  largo,  ancorché 
neppure  esse  vengano  trascurate,  come  si  vede  ad  esempio  rispetto 
alle  processioni,  e  in  particolar  modo  riguardo  ad  alcuno  festività 
speciali. 

Nell'appendice  il  M.  raccoglie  documenti  editi  e  inediti,  fra  cui 
alcuni  inventari,  e  varie  interessanti  note  di  spese;  non  mancano 
contratti  nuziali,  sia  di  patrizi,  sia  di  semplici  cittadini,  e  contratti 
per  compera  di  schiavi.  Il  M.  infatti  non  tralasciò  di  fare  indagini 
nello  fonti  ms..  sia  di  Venezia,  sia  dì  Milano. 


1(38  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Più  volte  il  M.  paragona  i  costumi  di  Venezia  con  quelli  delle 
altre  terre  italiane.  Così  a  proposito  dell'uso  dei  profumi,  egli  nota 
che  in  tutta  Italia,  e  non  soltanto  nella  città  della  Laguna  c'era  per 
esso  una  passione,  che  toccava  il  delirio.  Tuttavia  un  più  ampio  e 
più  sistematico  confronto  tra  la  vita  veneziana  e"  la  vita  italiana  in 
generale  avrebbe  potuto  riuscire  proficuo,  e  svelarci  nuovi  aspetti 
della  storia  veneziana.  Bello  quanto  arduo  problema  è  quello  di 
determinare  fino  a  qual  segno  Venezia  mantenesse  la  sua  autonomia 
artistica  ed  intellettuale,  e  fino  a  qual  segno  le  sue  sorti  politiche  si 
collegassero  a  questa  speciale  condizione  della  Serenissima.  Cosi  a 
me  pare;  peraltro  nell'atto  stesso  che  scrivo  queste  parole,  m'accorgo 
di  una  buona  risposta  che  mi  si  può  fnre:  un  lavoro  di  raffronti 
avrebbe  ampliato  troppo  gravemente  i  limiti  di  un'opera,  che,  anche 
cosi  com'essa  è,  presentasi  imponente. 

Firenze.  Carlo  Cipolla. 


P.  L.  Rambaldi,  Intorno  ad  Antonio  Vinciguerra  ed  ai  principi  della 
satira  regolare  italiana.  —  Venezia  1905.  Estr.  dal  Nuovo  Archivio 
Veneto,  N.  S.,  voi.  X,  parte  I:  di  pp.  35. 

Questo  articolo  non  doveva  essere,  in  origine,  se  non  una  recen- 
sione del  libro  di  Arnaldo  Della  Torre  intorno  al  Vinciguerra  (Rocca 
S.  Casciano,  1902);  ma  la  dottrina  e  l'acume  del  Rambaldi  e  la  cura 
da  lui  posta  nel  ristudiare  il  soggetto,  mettendo  a  profitto  altre 
recenti  pubblicazioni  attinenti  al  Vinciguerra  e  alle  sue  opere,  ne 
hanno  fatto  un  lavoro  che  sta  di  per  sé  e  merita  d'essere  segnalato 
per  qualche  novità  di  ragguagli  e  per  l'aggiustatezza  delle  ragionate 
conclusioni.  Un  chiaro  regesto  di  documenti,  quali  già  noti  per  le 
ricerche  del  Della  Torre  e  quali  rintracciati  dal  R.  stesso  (pp.  5-14), 
ci  presenta  il  quadro  dell'operosità  del  Vinciguerra,  come  segretario, 
come  legato,  come  testimonio  di  pubblici  atti,  da  quando  nel  1458 
fu  assunto,  giovinetto,  all'ufficio  di  donzello  salariato  del  Maggior 
Consiglio,  sino  alla  sua  morte,  che  fu  il  9  dicembre  del  1503  nella 
villa  di  Zovon  sugli  Euganei.  L'incarico  ch'egli  ebbe  dal  Senato, 
nell'ottobre  del  1486,  d'intimare  l'ordine  segreto  del  ritorno  in  patria 
all'orator  veneto  a  Roma  Antonio  Loredan,  accusato  di  sodomia,  e 
la  reggenza,  protrattasi  oltre  un  anno,  di  quell'ambasciata,  segnano 
forse  il  punto  culminante  della  sua  carriera.  Ma  —  osserva  il  R. 
colla  sua  esperienza  degli  u»i  del  governo  veneto  nel  Quattrocento 
—  ne  per  codesta  difficile  missione  di  fiducia,  né  per  l'amicizia  col 
Bembo,  al  savio  ed  operoso  segretario  spetta  un  luogo  di  singolare 
rilievo  fra  i  suoi  numerosi  colleghi,  che  furono  anch'essi  bene  spesso 


RAMBALDI.   ANTONIO   VINCIGUERRA  1(39 

adoperati    in    missioni    degne   di    veri    uomini  politici  e  dei  quali  i 
patrizi  non  sdegnarono  l'amicizia  e  la  collaborazione. 

Andati  perduti  il  Liheììus  de  Principe  e  quasi  tutto  il  Canzoniere, 
il  Vinciguerra  può  essere  giudicato  solo  come  autore  delle  satire,  che 
sono  dieci,  compresa  la  Consolatoria  a  Giovanni  Caldiera,  tutte  in 
terza  rima.  Gloria  di  poeta  esse  non  gli  conferiscono  certamente  ;  e 
del  loro  signitìcato  psicologico  è  ben  ragionevole  dubitare.  Le  os- 
servazioni acute,  talvolta  anzi  un  po'  sottili,  del  R.  intorno  alle 
satire  stesse  e  al  testamento  del  verseggiatore  provano  che  l'ascetismo 
austero,  di  cui  l' opera  appare  materiata,  è  piuttosto  dei  modelli 
tenuti  presenti  dal  Vinciguerra  e  additati  dal  Della  Torre,  che  non 
di  quell'anima,  sensibile  agli  allettamenti  del  mondan  romore,  non 
troppo  devota,  nella  pratica,  alle  cristiane  virtù  che  predicava. 
D'importanza  storica  le  satire  del  Segretario  veneziano  non  mancano; 
l)ur  non  ne  hanno  tanta  quanta  si  credette  fino  a  poco  fa.  I  temi  in 
esse  trattati  avevano  già  avuto  largo  svolgimento  nella  letteratura 
medievale  e  nella  stessa  poesia  volgare  del  Quattrocento:  i  concetti 
etici  cristiani  onde  traggono  ispirazione,  erano  stati  ripetuti  a  sazietà: 
la  terza  rima,  che  aveva  disputato  alla  canzone  e  alla  frottola  il 
dominio  della  poesia  moraleggiante,  s'era  ormài  assicurata  la  vittoria 
prestando  i  suoi  servigi  al  Sommariva  nella  traduzione  di  Giovenale 
messa  a  stampa  nel  1475,  quando  il  Vinciguerra  non  ancora  aveva 
posto  mano  alle  satire,  poiché  anteriore  a  quell'anno  è  soltanto  la 
(^o)isolatoria  al  Caldiera.  Temi,  concetti,  forma  metrica,  esempi  clas- 
sici, tutto  era  pronto;  il  Vinciguerra  ne  congegnò  goffamente  le  sue 
composizioni,  e,  senza  sapere  di  lui,  un  noto  rimatore  padovano, 
Niccolò  Lelio  Cosmico,  quella  Safi/ra,  che  fu  pubblicata  - —  mi  è 
dolce  il  ricordarlo  -—  dal  mio  Vittorio  Gian.  A  qual  dei  due  spetti 
la  priorità  cronologica  è  impossibile,  né  forse  importa,  stabilire;  il 
merito  d'entrambi  é,  come  dimostra  il  R.  riprendendo  e  svolgendo 
un'osservazione  del  Cian,  di  continuatori  della  tradizione  satirica 
italiana  dentro  al  modulo  giovenalesco  di  recente  messo  a  nuovo  dal 
Sommariva.  La  chiara  manifestazione  della  propria  personalità,  la 
coscienza  del  proprio  ufficio  di  poeta  moraleggiante,  l'universalità 
satirica  ed  al^ri  meriti  che  il  Della  Torre  riconosce  al  Vinciguerra, 
gli  contesta  a  buon  dritto  il  R.,  mettendo  in  evidenza  con  arguta 
analisi  l'inanità  degli  argomenti  giustificativi  di  codeste  lodi.  Ond'è 
ormai  palese  quanto  resti  sminuita  e  a  che  si  restringa  la  gloria  di 
primo  poeta  satirico  italiano  altre  volte  attribuita  al  valoroso  Se- 
gretario della  Serenissima;  né  dopo  il  lavoretto  riassuntivo  e  con- 
clusivo del  Rambaldi  gioverà  più  tornare  a  discuterne. 

Pavia.  V.  Rossi. 


170  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Max  Fkeiherk  vox  Wolff,  Untcrsuchumjen  zar  Venezianer  Foì itile 
Kaiser  Maximilians  I  tcàlirend  (lev  Liga  ron  Camhray  mit  he- 
sonderer  BenicJisichtigung  Verona^.—  Innsbruck,  Wao-ner.  1905, 
pp.  V,  181. 

L'ultimo  tentativo  fatto  dall'impero  g'ennaiiico  per  ristabilire 
il  suo  antico  dominio  nel  territorio  Veneto  appartiene  a  Massimi- 
liano I,  il  quale  vi  si  applicò  con  animo  deciso,  e  con  quel  corag:^io 
che  a  lui- veniva  dalla  sua  natura  eminentemente  cavalleresca  (1). 
Il  barone  de  Wolff  si  lasciò  sedurre  da  un  soggetto  di  tal  fatta,  e 
si  applicò  a  trattarlo,  giovandosi  sia  dei  libri  e  dei  documenti  a 
stampa,  sia  del  materiale  inedito,  a  lui  fornito  dagli  archivi  di 
Innsbruek  e  di  Verona.  Infatti  la  corrispondenza  fra  il  governo  impe- 
riale e  i  suoi  rappresentanti  in  Verona  si  trova  divisa  fra  Tuna  e  l'altra 
città.  Fra  i  libri  pubblicati,  il  Wolff  giovossi  in  modo  particolare 
dei  Diarii  di  Marin  Sanudo,  che  sono  davvero  una  fonte  inesausta  e 
preziosissima  per  la  conoscenza  della  storia  nostra  nella  prima  metà 
del  sec.  XVI.  Siccome  il  punto  centrico  della  occupazione  Massimi- 
lianea  è  costituito  da  Verona  (poiché  se  l'imperatore  ebbe  sotto  il 
suo  dominio  anche  qualche  altra  città  del  Veneto,  ciò  avvenne  sol- 
tanto in  via  precaria),  così  alla  storia  di  Verona  dal  2  giugno  1508 
al  15  gennaio  1517  si  è  rivolta  in  particolar  modo  l'attenzione  del 
Wolff.  La  prima  di  queste  due  date  segna  il  momento  in  cui  gli 
imperiali  conquistano  quella  città,  la  quale  alla  seconda  data  ri- 
torna a  Venezia. 

Per  certo  egli  non  considera  cosi  esclusivamente  Verona,  da 
fargli  dimenticare  gli  eventi  che  si  svolsero  anche  nelle  altre  città 
del  Veneto.  L' eroica  resistenza  opposta  da  Padova  contro  Massimi- 
liano rientra  nell'orizzonte  del  nostro  storico,  ancorché  ne  parli  la- 
conicamente e  senza  ricorrere  ai  cronisti  locali,  fattici  conoscere  per 
la  prima  volta  da  A.  Gloria,  e  poi  da  altri  più  tardi  largamente 
illustrati. 

Lo  sfondo  della  politica  generale  è  tracciato  dall'Autore  di 
([uando  in  quando,  a  seconda  che  egli   ne  sente   il  bisogno  per  po- 


di Contemporaneamente,  o  quasi,  alla  pubblicazione  del  Wolff.  un'altra 
monografia  uscì  sopra  un  argomento  che  con  questo  ha  relazione  strettis- 
sima. Alludo  agli  scritti  di  Bergee,  Der  Krieg  Maximiiians  mit  Venedicf 
lùlO,  JaJtresher.  I.  hischofl.  Privat-Gi/nanasiions  ani  Kolìegiiiììì  Fe- 
triniim  in  Urfahr,  19U4  e  1905,  p.  7,  e  p.  l:^. 


WOLFF,    POLITICA   VENEZIANA   DI   MASSIMILIANO   I  171 

ter  narrare  od  interpretare  ^li  avvenimenti  che  particolarmente  lo 
interessano.  Le  figure  di  Luigi  XII  e  di  Francesco  I,  di  Giulio  TI 
e  di  Leone  X  compariscono  al  momento  opportuno,  ma  non  è  sopra 
di  esse  che  egli  vuole  concentrare  ì  suoi  raggi  luminosi.  I  fatti  di 
guerra  gli  stanno  a  cuore.  L'assedio  di  Verona,  che  costituì  T  ul- 
tima fase  di  questo  episodio  storico,  quando  Massimiliano  spiegava 
tutta  la  sua  energia  per  conservare  quella  città  all'Impero,  si  ac- 
cresce per  opera  del  Wollì"  di  notizie  nuove  e  importanti.  Cosi  p  e. 
fra  i  documenti  editi  alla  fine,  insieme  con  estratti  dal  carteggio 
imperiale,  troviamo  l'elenco  delle  forze  imperiali,  che  militavano  in 
Verona  addi  8  giugno  1516. 

Gli  argomenti  politici,  in  senso  stretto,  meno  largamente  sono 
trattati  dal  Wolff.  Anche  la  famosa  controversia  sulla  pretesa  esen- 
zione dal  giuramento  di  fedeltà,  che  Venezia  avrebbe  permessa  ai 
suoi  sudditi,  non  fa  qui  alcun  passo.  Cosi  pure  l'amministrazione 
civile  della  città  sotto  Massimiliano  non  è  abbastanza  chiarita.  Vero 
è  bensì  che  questo  punto  è  scabroso  a  trattarsi,  poiché  nell'Archi- 
vio di  Verona  (come  so  per  mia  esperienza  personale)  gli  atti  sono 
in  tale  riguardo  deficienti.  Ne  d'altra  parte  può  negarsi  che  talvolta 
di  questo  argomento  il  Wolff  si  occupa,  secondo  l'opportunità. 

Verso  la  fine  del  volume,  l'Autore  inseri  un  capitolo  intorno 
alla  organizzazione  dello  Stato  Veneziano  di  Terraferma  e  gli  Sta- 
tuti di  Verona.  Ma  rispetto  alla  organizzazione  della  Terraferma 
Veneziana,  il  Wolff  quasi  affatto  si  limita  a  notizie  dì  carattere 
generale.  Riguardo  poi  agli  Statuti  di  Verona,  egli  si  occupa  della 
riforma  fattane  nel  1450,  che  cita  secondo  una  tarda  edizione  (Ve- 
nezia, 1727),  riassumendoli  in  parte,  e  fermandosi  sopratutto  a  ri- 
cavarne uno  schema  del  governo  cittadino  a  mezzo  il  sec.  XV. 

Della  vita  religiosa,  artistica,  letteraria  di  Verona,  dei  costumi, 
dei  partiti  politici,  al  tempo  della  dominazione  Massimilianea  il  Wolff 
o  tace,  0  parla  in  modo  alquanto  succinto,  e  seguendo  l'invito  che 
qualche  occasione  gliene  fa.  Però  desta  interesse  ciò  ch'egli  riferisce 
sulle  disposizioni  imperialistiche  dell'aristocrazia  Veronese  (pp.  14-15), 
ancorché  tutto  quello  ch'egli  ci  comunica  non  riesca  nuovo.  Pietro 
Sgulmero,  di  indimenticabile  memoria,  di  ciò  si  era  occupato  con 
profitto. 

Utili  sono,  in  calce  al  libro,  alcuni  documenti.  Sono  10  e  ab- 
bracciano il  periodo  che  va  dal  1509  al  1516.  In  assai  uìaggior  nu- 
mero sono  i  documenti  che  l'Autore  usufruisce,  e  che  egli  cita 
soltanto.  Nel  materiale  inedito  consiste  uno  dei  pregi  migliori  del 
libro,  che  riceve  vnlore  anche  dalla  chiarezza  della  esposizione  e 
della  precisione  con  cnì  i  fatti  vengono  messi  in  vista. 


172  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Il  Wolff  non  pare  che  sempre  abbia  potuto  scliivare  qualche  ma- 
linteso. A  p.  65  egli  cita  M.  Sanudo,  quando  a  proposito  di  Matteo 
Schinner,  dice  che  gli  parlò  in  Venezia  da  buon  italiano  «  licet  sia 
«  nasuto  barbaro  ».  Al  Wolff  sfuggì  che  «  nasuto  »  equivale  a  «  nato  », 
e  traduce  «  langnasiger  Barbar»,  come  se  il  Sanudo  volesse  dire  che 
il  vescovo  di  Gurk  aveva  il  naso  lungo.  A  p.  79,  citando  il  Sanudo, 
accenna  ad  una  commedia  recitata  in  onore  del  vescovo  di  Gurk, 
quando  si  recò  ad  assumere  il  governo  di  Verona,  e  ne  dà  il  titolo: 
«  Die  verlassene  Italia  und  ihr  Bràutigam  Maximilian  ».  Questo  ti- 
tolo non  corrisponde  al  contenuto  della  commedia,  il  cui  nucleo  sta 
in  ciò  che  il  Gurk  viene  messo  innanzi  quale  il  paraninfo  inviato 
dallo  sposo,  cioè  dall'imperatore.  Senza  questa  spiegazione  lo  scopo 
della  recitazione  fallisce. 

Nel  libro  del  Wolff  non  troveremo  tutto  quanto  potremmo  desi- 
derare, se  da  esso  chiediamo  di  conoscere  sotto  ogni  rispetto  quel- 
r  importante  episodio  della  nostra  storia.  Ma  ciò  non  toglie  che  il 
libro  sia  utile  e  ricco  di  pregi.  Né  bisogna  dimenticare  che  in  ogni 
libro  dobbiamo  cercare  soltanto  quello  che  il  suo  Autore  si  propose 
di  darci. 

Firenze.  Caklo  Cipolla. 


Venocchio  Maffei,  Dal  titolo  di  Duca  di  Firenze  e  di  Siena  a  Gran- 
duca di  Toscana  (Contributo  alla  storia  della  politica  di  Co- 
simo I  de'  Medici).  —  Firenze,  Seeber,  1905. 

Il  sig.  Maffei,  rilevando  la  particolare  sagacia  e  la  brama  gran- 
dissima dì  dominare  su  tutto  e  su  tutti,  dimostrata  da  Cosimo  du- 
rante il  suo  principato,  si  ferma  specialmente  sopra  un  fatto,  che 
fu,  per  cosi  dire,  come  la  sintesi  di  tutta  la  sua  politica. 

Questo  fatto,  di  cui  forse  finora  non  fu  mai  osservato  il  vero 
valore,  fu  il  trapasso  dal  tìtolo  di  Duca  di  Firenze  a  quello  dì 
Granduca  dì  Toscana.  In  generale  gli  storici,  ripetendosi  volentieri 
fra  di  loro,  confondono  la  questione  del  titolo  colla  vecchia  lite  dì 
precedenza,  dibattuta  tra  i  Duchi  dì  Firenze  e  quelli  dì  Ferrara. 
Ma  giudicando  in  tal  modo,  dice  il  sig.  M., 'si  lascia  da  parte  e  si 
trascura  l'elemento  più  essenziale  della  questione  stessa;  giacche  lo 
scopo  di  Cosimo  nel  cercare  il  nuovo  tìtolo  non  fu  solamente  di 
vincere  quella  lite. 

Infatti,  se  è  vero  che  con  l'elevazione  del  titolo  e  col  conse- 
guente passaggio  da  Firenze  a  Toscana  si  venne  a  dare  il  colpo  di 
grazia  alla  causa  di  precedenza,  non  si  può  però  dire  che  la  questione 


MAFFEI,   cosmo    I    E   IL   TITOLO   DI   (4RANDUCA  173 

(lei  titolo  ne  sia  proprio  l'ultima  fase.  Per  l'autore  questo  fatto 
esce  in  gran  parte  dalla  sfera  degl'interessi  de' principi  italiani: 
mira  più  in  là,  e  in  sostanza,  si  riduce  ad  un  tentativo  di  scuo- 
tere l'influenza  e  la  dominazione  straniera.  Il  tentativo  non  riuscì; 
ma  ciò  non  può  togliere  il  merito  dovuto  a  chi  lo  ideò  e  lo  fece. 
Tale  è  l'aspetto  nuovo  e  interessante,  sotto  cui  il  sig.  M.  ha  esami- 
nato e  studiato  questo  episodio,  che  riescirebbe  certo  a  rialzare  la 
figura  di  Cosimo  davanti  alla  storia.  Ma  diremo  subito  che,  sebbene 
questo  asserto  abbia  molta  apparenza  di  verità  e  sia  anche  confor- 
tato da  molti  indizi  di  fatti  e  documenti,  non  ci  sembra  ancora  cosi 
provato  da  avere  il  valore  di  legittima  supposizione.  Anzi  nello  stato 
presente  de'  documenti  è  più  naturale  l'ammettere  che  Cosimo,  nei 
vari  tentativi  fatti  per  raggiungere  quel  suo  intento,  fosse  guidato 
dalla  sua  solita,  innata  ambizione  personale,  e  non  dal  nobile  senti- 
mento che  l'autore  suppone.  Tuttavia  ci  auguriamo  vivamente  che, 
allargando  i  suoi  studi  oltre  l'Archivio  di  Stato  di  Firenze,  il  sig.  31. 
giunga  a  raccogliere  nuove  prove  in  favore  della  sua  tesi.  Perchè 
i  lettori  possano  più  facilmente  giudicarne,  riepilogheremo  in  breve 
le  principali  argomentazioni  del  libro. 

L'idea  di  ottenere  un  aumento,  o  maggiore  riconoscimento  di 
potere,  coli' accrescersi  il  titolo,  s'incontra  più  volte  nella  storia  del 
principato  di  Cosimo  I.  Fu  anzi  una  delle  principali  aspirazioni  di 
lui  dopo  l'acquisto  di  Siena.  Era  infatti  giusto,  dice  l'autore,  che 
egli,  dopo  avere  tanto  lavorato  e  speso  per  indurre  il  re  Filippo  a 
concedergli  l'investitura  di  quella  città,  e  dopo  averla  finalmente 
ottenuta,  agognasse  di  invertire  la  condizione  di  fatto  in  quella  di 
diritto,  indùcendo  a  riconoscerla  proprio  chi  aveva  un  interesse  op- 
posto. Era  naturale  che  quella  condizione  di  possesso  precario  e  la 
clausola  delle  fortezze,  che,  conforme  ai  patti,  dovevano  restare  agli 
spagnuoli,  gli  facessero  l'eflt'etto  di  una  i^pina  conficcata  nel  cuore^ 
e  desiderasse  l'indipendenza  assoluta  della  Toscana.  Ma  come  po- 
teva egli  raggiungere  quest'ultimo  scopo,  data  specialmente  l'infe- 
riorità sua  di  fronte  a  Filippo  II?  Fu  però  costretto  a  seguire  una 
politica  di  astuzie  e  di  infingimenti,  traendo  partito  da  qualunque 
combinazione  politica,  o  preparata  o  spontanea,  che  si  parasse:  così 
mentre  da  un  lato  mostrava  la  sua  servitù  verso  Spagna,  desiderava 
dall'altro  di  vedere  quel  re  in  continua  guerra  coi  francesi,  coi  fiam- 
minghi, coi  mori,  perchè  fosse  distolto  dal  pensare  seriamente  agli 
affari  d'Italia,  e  per  renderglisi  infine  necessario  per  via  degli  aiuti  di 
gente  e  denari,  che  spesso  era  chiamato  a  somministrare.  Ora  rientra 
appunto  nei  piani  di  questa  politica  il  disegno  vagheggiato  lungo 
tempo  dal  Duca  di  un  matrimonio   fra   il  suo  primogenito  e  la  so- 


171:  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

rclla  del  Re  di  Portogallo.  Cosimo  aveva  fondato  grandi  speranze 
su  quella  donna,  pel  cui  mezzo  sperava  di  ottenere  la  reintegra- 
zione delle  fortezze  e  dei  porti  dello  Stato  di  Siena.  Neiroccasione 
pertanto  di  queste  trattative  sorse  l'idea  di  un  ampliamento  del 
titolo,  dì  farsi  cioè  Ite  di  Toscana.  Per  raggiungere  tale  intento 
Cosimo,  dovette  anche  molto  confidare  nell'aiuto  e  cooperazione 
del  Papa  Pio  IV.  Però  l'Autore,  basandosi  specialmente  sopra  una 
«  Relazione  »  dell'Ambasciator  Fedeli  al  Senato  veneto  e  sopra  certe 
lettere  molto  importanti  del  Cardinale  Dolfin,  nunzio  apostolico  a 
Vienna,  che  si  riportano  in  appendice,  crede  che  uno  degli  scopi 
per  cui  il  Duca  si  recò  a  Roma  nel  1560  fosse  appunto  quello  di 
concludere  le  pratiche  per  il  passaggio  da  Firenze  a  Toscana,  È 
certo  merito  del  sig.  Maffei  di  aver  portato  luce  sopra  questo  viaggio 
di  Cosimo,  che  secondo  il  Galluzzi  sarebbe  stato  fatto  solo  per 
zelo  religioso,  e  di  avere  anche  meglio  determinato  il  significato 
speciale  dell'opposizione  fatta  da  Filippo  II,  quando  fu  ricercato 
del  suo  consenso,  al  cambiamento  del  titolo.  Ma  siamo  noi  au- 
torizzati a  vedere  in  tutto  ciò  «  uno  spostamento  del  centro  della 
medesima  questione»?,  a  dedurre  che  l'idea  cui  il  Duca  si  ispi- 
rava era  quella  della  indipendenza  dalla  soggezione  straniera? 
o  non  sarebbe  piuttosto  vero,  per  dirla  colle  stesse  parole  usate  da 
un  altro  ambasciatore  veneto,  Andrea  Boldù,  nella  sua  Relazione 
della  Corte  di  Savoia,  ch'era  pensiero  di  Cosimo  di  farsi  Re  di  To- 
scana, parendogli  che  dove  esso  Duca  di  Savoia  è  il  primo  principe 
in  Italia,  gli  converrà  allora  essere  il  secondo?  Inoltre  anche  l'Au- 
tore stima  necessario  di  osservare  a  questo  punto  che  si  deve  bene 
intendere  il  vero  significato  di  questa  parola  indipendenza,  perchè 
«  era  ben  lungi  dagli  intenti  e  dalle  aspirazioni  di  Cosimo  il  vero 
«concetto  di  libertà  e  di  indipendenza  nel  senso  moderno»;  ed 
infine  soggiunge  che  intorno  a  questo  primo  momento  dell'aflfare  del 
titolo,  da  lui  accennato  un  po'  troppo  di  volo,  sarebbe  necessaria 
una  più  minuziosa  ricerca  nelle  carte  del  tempo. 

Procedendo  nel  nostro  esame  rileveremo  che  quando  Cosimo 
dovè  deporre  l'idea  di  un  parentado  col  Portogallo  o  con  la  Spagna, 
anche  la  questione  del  titolo  parve  per  allora  sopita.  Ma  fu  risol- 
levata quando  nel  1565  si  cominciò  a  trattare  il  matrimonio  tra  il 
principe  Francesco  de' Medici  e  la  figliuola  dell'imperatore  Ferdi- 
nando. Parve  questo  a  Cosimo  un  momento  opportuno.  Infatti  l' im- 
peratore non  poteva  rifiutarsi  di  cooperare  all'  ingrandimento  della 
sua  famiglia.  Fu  anche  in  quella  occasione  che  il  Duca  annunziò 
il  suo  proposito  di  cedere  al  medesimo  suo  figliuolo  il  governo  dei 
suoi  Stati.  Ora,  secondo  il  Galluzzi,  questa  deliberazione  di  Cosimo, 


MAFFEI,    COSIMO    I    E    IL   TITOLO    DI    OK.VXDUC.V  175 

che  empi  di  meravif>iia  tutta  l'Italia,  fu  motivata  dal  desiderio  di 
dar  maggiore  dignità  a  Francesco  e  di  procurare  a  se  stesso  un 
pò*  di  riposo  dopo  28  anni  di  governo.  Ma  il  sig.  MafiFei  insiste  nel 
credere  che  a  questa  renuiizia  non  sia  stato  estraneo  l'affare  del  ti- 
tolo Perchè,  quando  Cosimo  per  la  prima  volta  mise  fuori  «luel- 
ridea,  ebbe  agio  di  tastare  il  terreno  e  di  vedere  tutta  la  mala 
disposizione  che  v'era  contro  di  lui.  Ora,  allontanandosi  dal  governo, 
oltre  a  dimostrare  l'insussistenza  delle  accuse  che  gli  eran  mosse, 
la  cosa  doveva  necessariamente  cambiare  d'aspetto;  che  Francesco 
non  era  uomo  da  destare  timori.  L'ipotesi  poi  che  la  renunzia  sia 
in  relazione  colle  mire  di  un  aumento  di  titolo  acquista  maggior 
fiducia  sapendosi  che  già  nel  1560  lo  stesso  ambasciatore  Fedeli 
aveva  considerato  possibile  l'allontanamento  di  Cosimo  dalla  pub- 
blica scena  per  un  identico  scopo. 

Con  finissima  critica  il  nostro  Autore  dimostra  pure  che  si  deve 
invertire  il  racconto  del  Galluzzi  a  proposito  delle  pratiche  corse 
tra  il  Papa  e  il  Duca  per  trasformare  il  Ducato  di  Firenze  in  Ar- 
ciducato di  Toscana;  inquantochè  l'iniziativa  delle  stesse  pratiche 
non  sarebbe  già  venuta  da  Pio  IV,  ma  da  Cosimo,  che  col  suo  oro 
intanto  si  era  già  guadagnato  l'imperatore  Massimiliano  e  i  suoi 
ministri.  E  se  ne  possono  vedere  le  prove  negli  interessanti  docu- 
menti riportati  nell'appendice.  Quando  adunque  parve  giunto  il  mo- 
mento opportuno,  il  Duca  si  dispose  a  riferire  all'imperatore  le 
offerte  del  Papa  circa  1'  aumento  del  titolo  e  delle  sue  prerogative, 
scrivendogli  la  lettera  riferita  dal  Galluzzi.  Massimiliano,  che  non 
si  aspettava  certo  quest'imbarazzo  e  che  da  un  lato  desiderava  di 
continuare  i  suoi  buoni  rapporti  col  Duca  e  col  Papa,  e  dall'altra 
temeva  i  piati  del  Duca  di  Ferrara  e  il  disgusto  di  Ferdinando  II, 
ricorse  al  solito  espediente  di  una  risposta  ambigua  e  artificiosa,  la 
<iuale  lasciando  le  cose  sospese,  lo  liberasse  da  qualunque  respon- 
sabilità. Allora  col  consiglio  del  Card.  Dolfin  fu  ardito  un  nuovo 
tranello.  Cioè  Cosimo  doveva  subito  levare  ogni  sospetto  all'impe- 
ratore rispondendogli  che  quanto  a  sé  aveva  preso  a  cuore  il  di- 
segno del  Papa,  solo  per  deferenza  verso  di  lui,  e  non  perchè 
rispondesse  ad  un  suo  intimo  desiderio.  Difatti  volentieri  rinun- 
ziava  a  questa  idea  se  doveva  portare  con  sé  complicazioni.  Ma 
nello  stesso  tempo  però  doveva  cercare  che  il  Papa  prendesse  la 
cosa  su  di  sé  e  ne  facesse  questione,  per  cosi  dire,  personale,  in- 
sistendo sul  fatto  del  non  poter  egli  venir  meno  all'impegno  as- 
sunto ver.30  il  Duca  di  Firenze.  Tutt'al  più  poteva  il  medesimo 
pontefice  ammettere  che,  se  il  titolo  di  Arciduca  offendeva  le  orec- 
chie aufitriaclie,  si   adottasse   ([uello   di   Granduca.   Con   tal   ripiego 


176  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

infatti,  cioè  creando  della  Toscnna  un  Granducato  come  ({uelli  di 
Lituania,  Slesia  e  Moscovia,  si  eludevano  le  gelosie  degli  Arci- 
duchi; ed  era  infine  naturale  che  Cosimo,  riunite  sotto  di  sé  le  re- 
pubbliche dì  Firenze,  Pisa  e  Siena,  si  dicesse  Granduca.  Con  tutto 
ciò,  seguita  a  dire  l'Autore,  non  si  erano  ancor  vinte  tutte  le  dif- 
ficoltà. Ben  si  sapeva  come  Filippo  II,  fosse  contrario  ad  ogni  spo- 
stamento politico  in  Italia  e  non  avrebbe  certo  inteso  volentieri  quel 
trapasso  da  Firenze  a  Toscana,  sulla  quale  vantava  de' diritti.  Bi- 
sognava perciò  ridurre  alle  minime  proporzioni  il  disegno  stesso: 
e  siccome  si  calcolava  snlì'ùitervenlo  di  Cesare,  circondare  il  piano 
stesso  di  tali  garanzie  nell'interesse  de' terzi,  che  l'imperatore,  scor- 
gendolo affatto  innocuo,  senz'altro  lo  accettasse. 

Così  soltanto  si  spiegherebbe  per  il  sig.  Maffei  la  clausola  a  cui 
si  volle  sottoposta  la  nomina  Salvis  tamen  jurihiis  S.  imperii  e  S.  Re- 
gis  CathoUci  super  civitate  et  statu  Senarum,  saìvis  etiam  jurihvs 
S.  imperii  ad  quaecumque  alia  loca  aut  civitates  in  provincia  Tn- 
siciae  sitaSy  item  salvis  juribus  regis  Hispaniorum  in  Portu  Hercule 
et  Orhetello,  item  salva  liberiate  reipublicae  Lucensis,  salrisgue  tan- 
dem unicuique  suis  legitimis  juribus  et  immunitatibus. 

Arrivato  a  questo  punto  confessa  anche  il  sig.  Maffei  che  viene 
spontanea  la  domanda:  e  in  che  consisteva  dunque  il  valore  dì  que- 
sto titolo  tanto  agognato?  Posta  così  la  questione,  i  tentativi  di 
Cosimo  non  si  risolvono  piuttosto  in  una  vuota  e  spagnolesca  am- 
bizione ?  Tali  domande  però,  seguita  a  dire  l'aut.,  trovano  la  loro 
risposta  nella  lettera  sopraccitata  del  Card.  Dolfìn.  Quell'astuto  ec- 
clesiastico insinuava  a  Cosimo  che  non  era  tanto  l'imperatore, 
quanto  il  Re  di  Spagna  che  bisognava  temere.  Però  stando  le  cose 
in  questo  modo....  siccome  finora  non  solo  è  fatato  aborrito  il  nome 
della  dignità,  come  a  dire  re  ed  arciduca,  ma  il  nome  del  princi pato ., 
cioè  voler  passare  da  Firenze  a  Toscana...,  non  bisognava  mettere 
innanzi  due  cose  sì  odiose  ad  un  tempo  ;  ma  tentare  una  sola,  la  più. 
essenziale,  cioè  il  passare  ed  ascendere  da  Firenze  a  Toscana...;  fatto 
il  detto  transito  ed  ascensione,  io  predico,  e  so  di  non  ingannarmi, 
che  Elia  avrà  presto  ogni  grado  e  dignità  che  vorrà  avere. 

Ma  a  qualunque  deduzione  che  si  possa  trarre  da  questo  do- 
cumento si  potrà  sempre  obiettare  che  se  Cosimo  fosse  stato  ani- 
mato in  quest'affare  dallo  spirito  che  l'Autore  suppone,  si  sarebbe 
contentato  di  ottenere  il  nuovo  titolo  con  tante  restrizioni  e  con 
tante  limitazioni  di  dominio,  come  si  adattava  in  ultimo?  Non  avrebbe 
dovuto  cercar  piuttosto  di  emanciparsi  da  quelle  odiose  condizioni, 
anche   a   scapito   di    qualche  tìtolo  più  o  meno,  cercando  piuttosto 


MAFFEI,    COSIMO   I    E   IL   TITOLO   DI   C4RANDUCA  177 

la  sostanza  che  l'apparenza  e  non  questa  a  danno  dell'altra?  La 
vecchia  volpe  sarebbe  stata  in  questo  easo  inferiore  alla  sua  fama  I 
Del  resto,  la  sua  ambizione  personale  si  dimostra  anche  più  chiara 
nella  soluzione  di  questo  episodio. 

Si  sa  che  la  morte  improvvisa  del  Papa  fu  una  vera  rovina  per 
Cosimo  e  per  il  suo  disegno,  che  per  la  seconda  volta  fu  messo  in 
disparte.  Ma  1'  esperienza  di  due  volte  non  era  stata  inutile.  Cosimo 
aveva  omai  inteso  che  per  raggiungere  il  suo  scopo  doveva  più  con- 
tare sull'appoggio  del  Papa,  che  su  quello  di  Cesare  o  di  Re  Fi- 
lippo. Per  la  qual  cosa  chiamò  subito  da  Vienna  il  Concini  perchè, 
da  vecchio  conoscitore,  com'era,  dell'ambiente  cardinalizio,  guidasse 
come  meglio  si  poteva  la  nuova  elezione  secondo  i  suoi  desideri. 
Riuscì  eletto  Michele  Ghisleri,  detto  comunemente  il  Card.  Alessan- 
drino, che,  per  gratitudine  al  suo  predecessore,  prese  il  nome  di 
Pio  V.  Era  uomo  austero  e  religioso,  «  negligente  per  le  cose  del 
mondo  »  ;  onde  la  sua  scelta  non  fu  di  certo  la  più  gradita  a  Cosimo  ; 
e  bisognò  che  questi  scandagliasse  dapprima  l'animo  del  nuovo  Pon- 
tefice, cercando  di  guadagnarselo  a  poco  a  poco.  Infatti  le  relazioni 
fra  i  due  principi  non  furono  da  allora  in  poi  che  una  serie  conti- 
nua d'attenzioni,  di  proteste  di  servitù  e  d'obbedienza,  che  tende- 
vano a  fondere  insieme  gl'interessi  Medicei  e  quelli  della  S.  Sede. 
Una  prova  di  questa  politica  l'autore  la  trova  nel  modo  con  cui  il 
Duca  trattò  Pietro  Carnesecchi.  La  vera  ragione  infatti,  nota  l'au- 
tore, che  spinse  Cosimo  a  dare  il  Carnesecchi  in  mano  all'Inquisi- 
zione non  sta  già  nel  fervore  religioso  o  nel  convincimento  della 
sua  eresia:  il  tradimento  di  Cosimo  fu  determinato  da  cause  estra- 
nee alla  religione:  fu  un  atto  dei  più  meditati  che  mirò  a  gettar  le 
basi  di  quella  alleanza  col  Papa  di  cui  Cosimo  già  aveva  stabilito 
qual  ricompensa  doveva  chiedere. 

Da  molti  anni  la  lite  di  precedenza  si  trascinava  per  i  tribu- 
nali di  Roma  e  di  Vienna,  senza  che  si  venisse  ad  una  sentenza 
definitiva  per  l'uno  o  l'altro  dei  contendenti.  Il  Duca  sperò  finirla 
coir  aiuto  del  Papa.  E  siccome  Monsig.  Onofrio  Camajani,  vassallo 
e  protetto  di  Casa  Medici,  copriva  allora  a  Roma  la  carica  di  Pre- 
sidente de' Brevi,  si  incominciò  collo  svelargli  il  progetto  del  Car- 
dinale Dolfin,  perchè  fosse  riferito  e  proposto  al  nuovo  Pontefice. 
Anche  questa  volta  pertanto  l'autore  invertirebbe,  e  non  a  torto,  il 
racconto  del  Galluzzi,  che,  non  dando  alcuna  importanza  alla  parte 
avuta  da  Cosimo  nella  preparazione  di  questo  affare,  scrive  avere 
il  Duca  accettato  lietamente  e  di  buon  animo  il  nuovo  titolo  offer- 
togli dal  Papa.  Su  questo  punto  il  nostro  autore  ha  trovato  de'do- 

Akch,  Stor.  It,,  5.*  .Serie.  —  XXXIX.  VI 


178  RASSEGNA   BIBIJOGRAFICA 

cuinenti  assai  importanti:  nonostante,  dice  che  le  sue  ricerche  nel- 
l'Archivio di  Stato  di  Firenze  non  gli  dettero  i  resultati  che  a  buon 
diritto  si  aspettava.  Ma  questa  mancanza  di  notizie  non  deve  far 
meraviglia  e  fu  voluta  a  bella  posta  perchè,  trattandosi  di  cosa  assai 
delicata,  fu  stimato  più  opportuno  definirla  a  viva  voce.  Senza  di- 
lungarci di  troppo  nel  raccontare  tutti  i  minuti  particolari  con  cui 
si  condusse  quest'affare,  ricorderemo  come  la  Bolla,  che  creava  il 
nuovo  Granduca,  fu  portata  a  Firenze  dal  nipote  stesso  del  Papa; 
e  come  dipoi  Cosimo,  col  pretesto  di  recarsi  a  Roma  per  ringraziare 
di  questo  atto  il  Pontefice,  volle  da  lui  ricevere  la  corona  grandu- 
cale, nonostante  che  il  Papa  lo  dissuadesse  da  quest'atto,  mostran- 
dogli le  noje  e  i  pericoli  che  potevano  venire,  come  vennero  di  fatto, 
da  una  tale  provocazione.  Ma  Cosimo  insistè  pensando  che  l' incorona- 
zione, mentre  confermava  pubblicamente  l'operato  del  Papa,  lo  impe- 
gnava ancora  più  strettamente  a  mantenere  e  far  rispettare  la  sua  au- 
torità. Il  sig.  Maffei  fa  qui  rilevare  come  fosse  savia  politica,  per 
parte  del  Duca,  l'aver  condotto  la  cosa  a  complicazioni  di  tal  ge- 
nere; e  l'aver  fuso  cosi  la  sua  causa  con  quella  del  Pontefice.  Non 
neghiamo  che  l'autore  ha  ragione  di  far  questa  deduzione  rispetto 
al  semplice  fatto  del  conseguimento  del  titolo;  ma  non  diremo  pur 
saggio  il  procedere  di  Cosimo  quando  veramente  avesse  avuto  il 
nobile  pensiero  per  cui  meriterebbe  la  nostra  lode. 

Il  prof.  Luigi  Carcereri,  parlando  appunto  di  questo  libro  nel 
voi.  I,  fase.  Ili,  (ìeWAteneo  veneto,  mostra  di  accordarsi  nella  so- 
stanza col  concetto  del  Maffei,  e  porta  anche  dei  nuovi  documenti, 
che  in  parte  rettificano  e  in  parte  completano  questo  racconto. 
Ma  anch'egli  dice  infine  che,  ricercando  ne' carteggi  degli  ambascia- 
tori od  agenti  segreti  dei  vari  principi  italiani,  negli  archivi  e 
biblioteche  di  Roma,  si  potrebbero  rintracciare  altri  documenti  che 
schiarissero  meglio  tale  argomento.  Per  citare  un  esempio,  ricorda 
che  nel  volume  secondo  dei  NunUaturberichte  aus  Deutschìand  si 
legge  che  la  copiosa  corrispondenza  del  Card.  Dolfin,  dalla  quale 
fu  estratta  tutta  la  parte  che  si  riferiva  alle  trattative  della  dieta 
e  agli  altri  affari  dell'impero,  si  trova  ancora  inesplorata  in  un  co- 
dice vaticano,  come  pure  vi  stanno  i  rapporti  di  altri  agenti,  ciie 
in  generale  si  occupavano  in  quel  tempo  della  lite   di   precedenza. 

Però  noi  termineremo  questi  cenni  incoraggiando  l'egregio  au- 
tore a  riprendere  nuovamente  in  mano  il  suo  lavoro,  cercando  con 
l'acume,  di  cui  ha  ben  dato  prova,  di  risolvere  quei  dubbi  che  ancora 
ci  rimangono. 

Firenze.  A.  Gioruetti. 


DEL   VECCHIO,   SU    LA   TEORIA   DEL   CONTRATTO   SOCIALE       179 


fìiouGio  Del  Vecchio,  aSV  ìa  teoria  del  contratto  .sociale.  —  Bologna^ 
Zaniclielli,  1906. 

Questo  lavoro  —  che  attesta  nel  suo  Autore  una  bella  e  geniale 
t'ontinuità  nella  ricerca  scientifica  (1)  —  ha  per  oggetto  di  chiarire 
il  senso  proprio  della  dottrina  del  Contrai  social  del  Rousseau,  con 
r intendimento  di  mostrare,  da  un  punto  di  vista  filosofico,  come 
4ul  essa  debba  ricongiungersi  la  Dichiarazione  dei  diritti  nella  Rivo- 
luzione francese  ;  e  ciò  in  contraddizione  con  la  tesi  del  Jellinek, 
che  ritiene  la  Dichiarazione  derivata  esclusivamente  dai  bilh  of  rights 
americani,  e  sorta  in  opposizione  con  il  contratto,  perchè  questo  ne- 
gherebbe ogni  libertà  individuale  nello  Stato. 

È  da  avvertire,  prima  di  tutto,  che  nella  sua  opera  il  Rousseau 
si  propose  di  adempiere  una  analisi  deontologica  in  rapporto  alla  so- 
cietà umana  ;  e  poiché,  per  determinare  il  dover  essere,  è,  secondo 
lui,  da  ricercarsi  la  originaria  e  fondamentale  natura  dell'essere,  così 
si  fece  a  rintracciare  la  storia  degli  ordinamenti  sociali.  I  quali  gli 
apparvero  come  l'antitesi  del  primitivo  stato  di  libertà  e  d'ugua- 
glianza goduto  dagli  uomini:  di  guisa  che  il  problema  della  politica 
attuale  veniva  naturalmente  a  consistere  nelT istituire  tali  ordini,  che 
anche  nella  società  civile  riescano  a  tutelare  le  prerogative  giuridi- 
che dello  stato  naturale.  Ora,  l'idea  secondo  la  quale  può  e  deve  av- 
venire la  coordinazione  civile  dei  diritti  naturali  degli  individui  è, 
nel  pensiero  del  Rousseau,  il  contratto  sociale. 

La  concezione  ideologica  del  contratto  sociale,  professata  dal 
Rousseau,  va  dunque  intanto  nettamente  distinta  dalla  concezione 
realistica  di  esso,  propria  dei  precedenti  scrittori  politici.  Principal- 
mente neir  opera  del  Grozio  il  contratto  sociale  è  presentato  come 
un  atto  empirico,  che  ha  la  sua  base  in  una  qualsiasi  opportunità 
del  momento,  non  nella  natura  propria  dell'uomo.  Inoltre,  il  con- 
tratto sociale,  assimilato  ad  ogni  altro  contratto  particolare,  in  que- 
sta dottrina  ha  valore  e  deve  essere  rispettato  solo  perchè  ed  in 
quanto  rientra  nella  categoria  generica  dei  contratti.  Cosi  inteso, 
il  contratto  sociale  non  ha,  né  può  avere,  alcuna  funzione  valuta- 
tiva rispetto  alle  costituzioni  vigenti:  ogni  governo  è  frutto  di  un 
contratto,  che  i  sudditi  hanno  obbligo  di  osservare  per  se  stesso  ; 
vale  a  dire,  la  legittimità  del  governo  si. deduce  dalla  sua  esistenza. 


(1)  Si  ricordi,  fra  gli  altri,  il  saggio  dello  stesso,  La  Dichiarazione 
•dei  diritti  delV uomo  e  del  cittadino  nella  Bivolmione  francese,  Ge- 
nova. 1908. 


180  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Ora,  presciiideiulo  dall'ordine  di  obbiezioni  storiche,  giuridi- 
che e  razionali,  che  può  muoversi  al  pensiero  del  Grozio  e  che  il 
Del  Vecchio  fa  oggetto  di  una  efficace  e  valida  discussione,  deve 
dirsi  che  già  prima  del  Kousseau  altri  scrittori  eran  venuti  acco- 
gliendo qualche  elemento  razionale  e  speculativo  nella  elaborazione 
del  principio  contrattuale,  come  attesta  la  storia  interna  di  questa 
dottrina.  Così  nel  sistema  contrattualista  dispotico  dell' Hobbes,  per 
quanto  il  contratto  sia  ancora  adibito  qual  formola  generica  a  con- 
sacrare la  legittimità  di  tutti  i  governi,  esso  è  però  già  concepito 
come  il  prodotto  di  una  esigenza  della  ragione  rivolta  ad  assicu- 
rare l'ordine  e  la  sicurezza  dello  Stato.  Ma  più  specialmente  per  il 
Locke  lo  Stato  è  una  creazione  della  volontà  degli  individui  a  ga- 
ranzia di  determinate  prerogative  individuali,  onde  s'inferisce  l'ob- 
bligazione perpetua  dei  governanti  di  rispettare  queste  prerogative. 

Nel  concetto  del  Rousseau  lo  Stato  deve  invece  supporsi  aver 
avuto  origine  da  contratto,  perchè  questo  è  il  solo  mezzo  per  pro- 
muovere il  riconoscimento  del  diritto  naturale  di  libertà  e  d'ugua- 
glianza. 11  punto  di  vista  empirico  è  superato  in  questa  concezione: 
il  contratto  sociale,  come  illustra  assai  bene  l'Autore  (pp.  85-98),  nel 
sistema  del  Rousseau,  «  non  è  più  un  fatto,  né  dipende  dal  placito 
«o  dall'arbitrio  di  alcuno,  ma  è  per  sé  stesso  il  necessario  risulta- 
«  mento  di  termini  dati  obbiettivamente,  e  fissi  per  natura  di  cose: 
«  è  l'interferenza  ideale  dei  diritti  connaturati  degl'individui».  Vale 
a  dire,  il  contratto  si  determinerebbe  fra  lo  Stato  e  gli  individui,  for- 
niti di  diritti  naturali,  a  soluzione  del  problema  politico  fondamen- 
tale consistente  in  questi  termini:  «  trouver  une  forme  d'association, 
«  par  laquelle  chacun,  s'unissant  à  tous  n'obéisse  pourtant  qu'à  lui- 
«  méme  et  reste  aussi  libre  qu'auparavant  ».  Gli  individui  alienano 
idealmente  i  propri  diritti  allo  Stato,  il  quale  li  riconferma  ai  sin- 
goli e  con  ciò  viene  ad  essere  assicurata  una  libertà  uguale  per  tutti  : 
nel  raggiungimento  del  quale  intento  sta  la  ragione  suprema  dell'or- 
dinamento politico.  Ciascuno,  unendosi  a  tutti  in  virtù  di  questo  con- 
tratto ideale,  obbedisce  in  ultima  istanza  soltanto  a  sé  stesso,  in  quanto 
ogni  atto  d'impero  dello  Stato  si  risolve  in  una  estrinsecazione  della 
volontà  stessa  di  coloro  che  vi  devono  sottostare:  e  resta  così  libero 
come  per  l' innanzi,  essendo  generale  questa  alienazione.  «L'aliénation 
«  totale  de  chaque  associò  avec  tous  ses  droits  à  tonte  la  communauté  » 
è,  secondo  il  Rousseau,  —  dice  con  espressione  sempre  esatta  il  Del 
Vecchio  (p.  94)  —  solo  un  atto  fittizio,  o  un  canone  costruttivo  ne- 
cessario per  dimostrare  come  i  diritti  dell'individuo,  pur  essendo  in- 
scindibili dalla  sua  natura,  debbano  formalmente  essere  conferiti  a  lui 
dallo  Stato,  da  che  e  in  quanto  egli  ne  fa  parte. 

Si  vede  pertanto  che  il  sistema  del  contratto  sociale  ha,  contra- 


DEL   VECCHIO,   SU   LA   TEORIA   DEL   CONTRATTO   SOCIALE       181 

riamente  a  quanto  pensa  il  Jellinek,  con  la  Dichiarazione  dei  diritti 
^i[uesto  intento  in  comune:  il  riconoscimento  giuridico  della  persona- 
lità dei  singoli  nello  Stato.  Non  già  che  nella  dottrina  del  Rousseau  i 
diritti  fondamentali  degli  individui  sian  messi  in  contraddizione  con 
l'autorità  dello  Stato:  di  questa  costituiscono,  al  contrario,  l'es- 
senza: si  suppone  —  scrive  con  frase  suggestiva  il  Del  Vecchio 
(pp.  101-2)  —  un  atto,  per  il  quale  i  diritti  originari  di  tutti  i  singoli 
convergano  idealmente  in  un  centro  comune,  dal  quale  irraggino 
poi  di  nuovo  sopra  gli  stessi  individui,  che  acquistano,  per  con- 
^ieguenza  di  ciò,  la  qualità  giuridica  di  cittadini.  Orbene,  questo 
medesimo  processo  è  previsto  dalla  Dichiarazione,  la  quale  pone, 
pure  essa,  a  fondamento,  non  a  negazione,  dell'autorità  dello  Stato 
i  diritti  essenziali  degli  individui  e  preesistenti  alla  organizza- 
zione politica.  Lo  Stato  si  afferma  come  persona,  in  quanto  è 
i<intesi  dei  diritti  del  gruppo,  i  quali  esso  è  chiamato  a  riconoscere 
non  a  creare.  Nella  Dichiarazione  è  detto  che  «  gli  uomini  nascono 
«  e  restano  liberi  e  uguali  in  diritti  »,  e  nella  conservazione  di  questi 
iliritti  è  «  il  fine  di  ogni  associazione  politica  ».  Se  pertanto  il  con- 
tratto sociale  e  la  Dichiarazione  hanno  per  intento  di  comporre  ob- 
biettivamente entro  i  termini  dello  Stato  i  diritti  essenziali  degli 
individui,  si  vede  già  da  queste  correnti  dottrinali  balzare  nitida- 
mente l' idea  moderna  dello  Stato  giuridico  o  costituzionale,  in  cui 
gli  organi  dello  Stato  nell'esercizio  delle  loro  funzioni  sono  sottoposti 
ad  un  complesso  dì  norme  imperative,  delle  quali  i  cittadini,  a  ga- 
ranzia dei  propri  diritti,  possono  esigere  l'osservanza. 

Queste  stesse  conclusioni,  oltre  gli  ammirevoli  pregi  di  pen- 
siero e  di  forma  che  lo  adornano,  conferiscono  speciale  importanza 
al  lavoro  del  prof.  Del  Vecchio.  Piace  veder  ripreso  l'esame  di  dot- 
trine, dalle  quali  l'indagine  scientifica,  in  questi  ultimi  tempi,  a  torto 
«rasi  in  parte  allontanata;  mentre  una  critica  poderosa  e  illuminata 
può  lumeggiarne  limpidamente  l'intimo  senso  e  la  connessione  coi 
più  moderni  indirizzi.  Il  movimento  speculativo,  che  ha  il  proprio 
riassunto  nella  Dichiarazione  dei  diritti,  mostrasi,  per  vero,  non  solo 
<nntesignano  della  concezione  giuridica  nella  vita  dello  Stato,  ma, 
esaminato  adeguatamente,  potrebbe  anche  corroborare,  con  valido  im- 
l)ulso,  la  tesi  che  designa  nel  contemperamento  delle  esigenze  indivi- 
■duali  con  quelle  della  società  il  fine  specifico  del  diritto  moderno  (1). 

Modena.  Benvenuto  Donati. 


(1)  Contro  r  interpretazione  esclusivamente  individualista  della  Dichia- 
razione, vedi  le  belle  considerazioni  già  esposte  del  Del  Vecchio,  La  Di- 
cìiiaraìioue  dei  diritti  cit.,  pp.  70-76. 


182  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

Ignaz  Philipp  Dengel,  Die  poìitisclie  und  kirchliche  Tdtigl-cit  des 
Monsignor  Josef  Garampi  in  Deiitscldand.  1761-1763.  —  Eoin, 
Loeseher,  1905.  In  12",  di  pp.  xi-196. 

L'A.,  che  già  in  altri  lavori  aveva  illustrato  la  vita  del  dotta 
investigatore  degli  Archivi  Vaticani  e  dell'abile  diplomatico,  tratta 
in  questo  suo  studio  della  missione  affidata  al  Garampi  in  Germania 
nel  1761-63,  durante  il  pontificato  di  Clemente  XIII. 

Era  sorta  allora  la  speranza  che  la  Guerra  dei  Sett'anni  volgesse 
al  fine;  trattative  diplomatiche  erano  corse  tra  le  potenze  per  la 
riunione  di  un  congresso  che  dovesse  preparare  la  conclusione  della 
pace  e,  benché  con  molti  ostacoli  e  dopo  molte  tergiversazioni,  il 
congresso  pareva  deciso.  La  Curia  Romana  aveva  troppi  interessi 
religiosi  e  politici  in  Germania  per  non  tentare  ogni  mezzo  di 
partecipare  a  quel  convegno;  ma  da  tempo  la  sua  influenza  era 
andata  scemando;  i  messi  pontifici  erano  stati  esposti  a  grandi 
umiliazioni,  e  dalla  pace  di  Nimega  in  poi  il  papato  non  aveva 
avuto  più  nunzi  ufficiali,  ma  soltanto  ministri  senza  carattere.  Tut- 
tavia il  momento  era  così  grave  e  dal  congresso  potevano  uscire 
deliberazioni  di  tanta  importanza  per  le  condizioni  dei  cattolici  in 
Germania,  che  il  papa  non  esitò  a  chiedere  che  si  ammettesse  un 
suo  delegato  a  quell'assemblea  e,  non  avendo  ottenuta  favorevole 
risposta,  decise  di  inviare  colà  un  agente  privato  e  scelse  a  questo 
ufficio  il  Garampi,  affidandogli  l'incarico  di  una  visita  al  Monastero 
di  Salem,  per  giustificare  il  suo  invio. 

Il  Garampi  stesso  scrisse  le  istruzioni  per  la  sua  missione,  te- 
nendo presenti  quelle  che  il  papa  aveva  già  segretamente  mandate 
nel  1758  ai  nunzi  di  Parigi  e  di  Vienna,  nelle  quali  erano  espresse 
le  idee  di  Clemente  e  le  sue  intenzioni,  perchè  i  deliberati  della 
pace  di  Vestfalia,  nella  quale,  secondo  lui,  era  il  fondamento  d'ogni 
male,  non  venissero  interpretati  in  modo  da  rendere  ancora  più 
difficile  la  condizione  della  Chiesa  cattolica  in  Germania. 

Nell'agosto  del  1761  il  Garampi  parti  per  la  Germania,  accompa- 
gnato dall'abate  Callisto  Marini;  ma,  mentre  egli  si  tratteneva  colà 
per  la  visita  a  Salem,  e  ritardava  poi  il  ritorno,  viaggiando  nella 
Svizzera,  nel  Belgio,  nell'Olanda,  in  Francia,  s'allontanava  l'idea 
del  congresso,  mentre  prendeva  maggiore  consistenza  la  fiducia  nella 
conclusione  della  pace  per  la  morte  della  zarina  Elisabetta  e  per  la 
mutazione  del  ministero  in  Inghilterra.  Ma  in  ogni  luogo  svolgeva 
egli  la  sua  attività,  ora  conversando  coi  dotti  dei  paesi  da  lui  vi- 
sitati,  ora  raccogliendo  o  copiando  documenti,  ora    contribuendo  a 


DEXGEL,   MONSIGNOR   GARAMPI   IN   CtERMANIA  183 

risolvere  delicate  questioni,  come  quella  riguardante  la  condotta  del 
cardinale  vescovo  di  Liegi,  Giovanni  Teodoro,  zio  dell'Elettore  di 
Baviera,  o  la  causa  contro  il  canonico  d'Augusta,  G,  B.  Bassi.  Sta- 
bilitasi la  pace,  che  il  papa  trovò  foUerabile^  perchè  poteva  temersene 
di  peggio  per  i  suoi  interessi,  il  Garampi  tornò  in  Italia,  in  appa- 
renza senza  avere  espletata  l'opera  sua,  perchè  il  congresso  non  si 
era  raccolto;  in  realtà,  secondo  l'A.,  appunto  per  questo,  con  ottimi 
frutti  per  la  Chiesa. 

11  congresso  avrebbe  eccitato  nuove  ed  inefficaci  proteste  del 
papa,  le  quali  avrebbero  avuto  per  conseguenza  soltanto  il  maggiore 
consolidamento  della  Unione  evangelica  e  quindi  avrebbero  inacerbito 
la  lotta  tra  cattolici  e  protestanti.  Invece  il  Garampi  ebbe  modo  di 
conoscere  più  intimamente  le  condizioni  della  Germania,  lo  spirito 
delle  corti,  lo  stato  delle  coscienze,  e  potè  con  animo  sereno  e  sicuro 
dimostrare  alla  Curia  romana  la  detìcenza  e  la  fallacia  della  sua 
azione  politica  e  religiosa  in  Germania  ed  esserle  di  guida  nella  sua 
condotta  ulteriore. 

La  seconda  parte  dello  studio  del  Dengel  riflette  più  partico- 
larmente la  visita  del  Garampi  al  Monastero  di  Salem.  A  quella 
abazia  potentissima  era  preposto  già  dal  1746  Anselmo  II  Schwab, 
principe  splendido,  geloso  della  sua  dignità,  rigido  con  sé  e  coi  suoi 
dipendenti.  Contro  di  lui  si  era  mossa  una  coalizione  di  monaci 
intriganti  e  di  impiegati  lesi  nei  loro  interessi,  secondati  in  parte 
dagli  altri  monaci,  malcontenti  della  eccessiva  severità  dell'abate, 
e  dal  vescovo  di  Costanza,  cardinale  di  Rodt,  nemico  di  lui  per 
questioni  di  giurisdizione.  Una  inchiesta,  condotta  con  molta  minu- 
ziosità ma  con  criteri  e  modi  molto  strani  da  due  abati  tedeschi 
inviati  come  visitatori  dal  generale  dei  Cistercensi,  era  terminata 
colla  sospensione  di  Anselmo  dal  suo  ufficio.  Questa  condanna  aveva 
portato  un  grande  scompiglio,  perchè  parve  lesiva  ai  diritti  della 
Chiesa  romana,  che  aveva  Salem  in  particolar  protezione  e  a  quelli 
dell'Impero,  dal  quale,  per  le  cose  temporali,  l'abazia  direttamente 
dipendeva.  Cosi  era  seguita  una  serie  di  proteste,  di  appelli,  di 
reclami,  di  difese  da  parte  della  Corte  di  Vienna,  della  Curia  di 
Roma,  del  Cardinale  di  Costanza,  dell'Abate  di  Citeaux,  dei  visita- 
tori, di  Anselmo,  dei  monaci  più  direttamente  interessati  ;  e  maggiore 
esca  aveva  gettato  sul  fuoco  un  decreto  della  Nunziatura  di  Lucerna, 
che  aveva  annullata  la  sospensione  dell'abate  e  iniziata  una  nuova 
inchiesta.  Ardua  dunque  la  missione  affidata  al  Garampi  e  tale  da 
vincere  le  forze  di  chi  non  avesse  avuto,  come  lui,  oltre  a  un  vivo 
sentimento  di  giustizia,  anche  una  grande  equanimità  e  la  pazienza 
e  il  tatto  necessari  per  vincere  gli  intrighi  e  condurre  in  salvo   la 


184  RASSEGNA  BIBLIOGRAFICA 

causa  della  verità  attraverso  tanti  e  cosi  svariati  interessi  in  conflitto 
tra  loro.  L'A.  espone  con  molti  particolari  i  procedimenti  del  Ga- 
rampi  che  finirono  con  la  reintegrazione  definitiva  dell'  abate  nella 
sua  carica  e  con  una  generale  pacificazione. 

L'interessante  lavoro  termina  con  un  elenco  delle  fonti  vaticane 
per  la  storia  dei  congressi  per  la  pace,  dalla  pace  di  Nimega  a  quella 
di  Aquisgrana  (1748):  con  una  lettera  dì  Maria  Teresa  a  Clemente 
XIII  del  20  marzo  1763  e  un'altra  di  questo  all'Imperatrice  del  20 
aprile  1763,  riguardanti  la  pace  di  Hubertsburg  e  la  perdita  della 
Slesia  ;  e  con  una  nota  delle  spese  fatte  dal  Garampi  per  il  suo  viaggio, 
dall'agosto  1761  al  giugno  1762. 

Napoli.  G.  Papaleoni. 


J.  LucHAiRE,  Essai  sur  Vévohitio'n  inteUectuelìe   de  V Italie  de  1815 
à  1830.  —  Paris,  Hachette,  1906. 

La  storia  del  nostro  Risorgimento  si  è  arricchita  di  due  lavori 
notevoli:  di  uno,  Le  Origini  dei  Itisor()ime)ito  Italiano  di  F.  Lemmi, 
ci  occuperemo  quanto  prima;  l'altro,  del  quale  ora  discorriamo,  è 
scritto  da  uno  straniero,  J.  Luchaire,  che  studia  l'evoluzione  intel- 
lettuale dell'Italia  dal  1815  al  1830. 

Questo  libro  presenta  caratteri  affatto  diversi  da  quelli  comuni 
alla  quasi  totalità  delle  odierne  pubblicazioni  sul  Risorgimento.  Gli 
uomini  che  cooperarono  al  nostro  riscatto  erano  rimasti  cosi  esal- 
tati dall'eroica  animazione  dei  dì  della  lotta,  che  per  essi  solo  l'epica 
tromba  poteva  tentare  di  tramandare  ai  posteri  la  memoria  della 
guerra  santa  della  patria,  delle  gesta  immortali  del  popolo  italiano. 
E  il  loro  entusiasmo  ebbe  tanta  purezza,  e  generosità,  e  imponenza, 
da  trasfondersi,  benché  meno  vivì^ce,  anche  nei  figli  ;  pei  quali  ogni 
storia  dì  tentativo  liberale  divenne  perciò  un'apologia,  ogni  biografia 
dì  patriotta.  un  elogio.  Tale  glorificazione  sistematica  produsse  na- 
turalmente una  reazione  in  senso  opposto,  cosicché  noi  abbiam  visto 
aftermarsi  la  tendenza  ad  esaltare  le  benemerenze  dell'antico  regime, 
a  scoprire  le  colpe  e  i  difetti  del  patriottismo  e  dei  patriotti.  A  questa 
corrente  iconoclasta,  spesso  animata  da  puro  spirito  di  contraddizione 
e  da  smania  di  novità,  1'  anima  nostra,  per  quanto  abituata  alla  cri- 
tica demolitrice  oggi  trionfante,  ha  trovato  la  forza  di  reagire.  Ep- 
però  fra  una  lusinghiera  apologia  che  tradisce  una  evidente  inesat- 
tezza, e  una  dolorosa  verità  che  repugna  al  fondo  più  antico  e  più 
caro  del  nostro  patrimonio  intellettuale,  molti  han  preferito  di  cer- 
care la  verità,  e  si  son  dati  a  una  indefessa  indagine  degli  avanzi 


[RE,    l'evoluzione   INTELLETTUALE   DELL'ITALIA        185 

iterici  (li  quell'età.  Ma  presto  sono  cominciate  anche  qui  le  esage- 
razioni :  pur  di  metter  fuori  documenti  inediti,  si  è  pubblicato  anclie 
quel  materiale  che  altri  aveva  già  esaminato  e  ritenuto  indegno  dì 
stampa.  E  in  siffatta  ricerca  analitica,  si  è  insistito  così,  da  smarrire 
la  prospettiva  storica  e  perdere  la  veduta  dell' insieme  (1). 

Ai  lavori  sintetici  ci  richiama  opportunamente  con  l'esempio  dì 
questa  bella  pubblicazione  il  signor  Luchaire.  «  Io  non  ho  voluto  dare 
qui  —  egli  dichiara  —  se  non  indicazioni  sulle  origini  intellettuali 
dell'Italia  contemporanea.  Ho  tentato  di  far  conoscere  il  fondo  co- 
mune del  pensiero  di  questa  nazione,  lo  spirito  pubblico  in  un  dato 
momento  :  ho  presentato  degli  individui  esclusivamente  a  titolo  di 
esempio  ».  Il  proposito,  confessiamolo,  è  ardito,  poiché  per  compiere 
anche  con  mediocre  successo  un  lavoro  di  questo  genere,  ci  vuole  ben 
altra  somma  di  attitudini  e  di  conoscenze  che  non  per  apparecchiare 
un'ottima  stampa  di  documenti  inediti.  Ma  il  Luchaire  —  che  pru- 
dentemente ha  dato  al  suo  studio  il  titolo  di  saggio  —  si  è  accinto 
all'opera  con  una  preparazione  vasta  e  abbastanza  completa:  pochi 
libri  sul  nostro  Risorgimento  rivelano  una  maggiore  conoscenza  dei 
vari  indirizzi  del  movimento  intellettuale  europeo  nei  primi  decenni 
dell'ottocento,  e  una  più  serena  concezione  delle  vicende  e  dei  prin- 
cipi che  agitarono  quei  primi  fortunosi  anni  del  secolo  XIX. 


Nell'introduzione  il  Luchaire  discorre  dell' elììcacia  che  gli  avve- 
nimenti dal  179H  al  1814  esercitarono  sullo  spirito  pubblico  in  To- 
scana; sono  poche  pagine  sobrie  e  schematiche,  ma  sufficienti:  pregio 
che  occorre  rilevare,  perchè  spesso  le  pubblicazioni  francesi  sotto  la 
vivacità  e  lo  splendore  della  forma  nascondono  incertezza  e  incom- 
piutezza di  pensiero. 

Il  primo  capitolo  tratta  delle  condizioni  della  vita  intellettuale 
dopo  la  restaurazione.  L'opera  soporifera  del  governo,  che  cercava 
addormentare  gli  spiriti  col  triplice  narcotico  della  censura,  della  po- 
lizia e  del  clero,  è  messa  in  luce  con  lodevole  chiarezza.  Assai  più 
in  breve  è  esposto  l'atteggiamento  delle  varie  classi  e  dei  diversi 
centri,  di  fronte  a  tale  politica:  eppure  non  sarebbe  proprio  questo 


(1)  >Sono  queste  le  conclusioni  di  uno  scritto  intorno  allo  svolgimento 
degli  studi  sulla  storia  del  nostro  Risorgimento,  che  fa  parte  del  volume 
Epimdl,  tendenze  e  figure  della  Storia  del  nostro  Risorgimento,  in  corso 
di  stampa. 


180  RASSEGNA    BIBLIOGRAFICA 

il  passo  più  interessante  per  ehi  volesse  conoscere  le  condizioni  della 
vita  intellettuale? 

11  secondo  capitolo  è  dedicato  alle  tendenze  e  alle  opere  che  agi- 
rono più  efficacemente  sullo  spirito  pubblico.  Esso  si  apre  con  l'esame 
del  patrimonio  intellettuale  italiano  in  quell'epoca;  ma  queste  pa- 
i>ine  riescono  forse  le  meno  pregevoli  di  tutta  l'opera.  Nell'attività 
delle  menti  del  '700  il  Luchaire  scorge  una  generale  inanità  e  debo- 
lezza: idea  poco  esatta,  che  da  più  decenni  è  stata  ripudiata  dalle 
persone  colte  e  dalle  scuole.  Meno  che  mai  poi  l'opera  del  Monti  si 
può  chiamare,  come  al  Luchaire  piace  definirla  con  una  sola  parola, 
«  sterilizzatrice  ».  Pel  L.  il  poeta  romagnolo  non  è  se  non  il  proto- 
tipo dei  letterati  di  professione,  oziosi  ricercatori  di  parolette,  vacui 
cesellatori  di  versi  e  di  periodi  (p.  64  segg.).  Invece  nell'  opera  del 
Monti  e'  è  innegabilmente  qualcosa  di  più  e  di  meglio,  tanto  è  vero 
che  essa  sopravvive  gloriosa  alla  già  obliata  caterva  degli  scritti  dei 
mestieranti  delle  lettere;  ne  il  magistero  della  forma  basterebbe  da 
solo  ad  assicurare  la  vitalità  di  un'opera  d'arte,  e  meno  che  mai  di 
tutta  la  produzione  di  un  autore.  Certo  l'uomo  fu  eccessivamente  debole, 
come  dimostra,  assai  meglio  del  Luchaire,  il  Clerici  nel  suo  bel  lavoro 
sul  Conciliatore  il).  Indole  timida,  incapace  di  reagire  agli  impulsi 
esterni,  aveva  bisogno  di  sentirsi  carezzato  dal  favore  dei  potenti,  per- 
chè il  suo  spirito  potesse  con  piena  tranquillità  attendere  alla  crea- 
zione artistica.  Eppoi  la  varietà  e  discontinuità  di  sentimenti  in 
quegli  anni  è  nello  spirito  pubblico,  e  il  poeta  non  fa  se  non  ri- 
fletterla nell'opera  sua,  ma  sempre  spontaneamente,  con  partecipa- 
zione cordiale  :  onde  non  è  lecito  asserire  che  egìi  abbia  scritta 
versi  per  commissione,  come  atferma  il  Luchaire  (p.  65).  Certo  in 
giovinezza  il  Monti  ebbe  l'energia  di  sacrificare  ai  sentimenti  liberali 
gli  agi  di  casa  Braschi,  per  correre  ad  un  ignoto  avvenire.  Così  da 
vecchio  avesse  mantenuta  la  sua  fierezza  di  fronte  agli  amici  del 
Conciliatore  contro  le  lusinghe  dell'Austria  ! 

A  queste  pagine  difettose,  seguono  altre  assai  pregevoli  sul- 
r  efficacia  già  declinante  del  filosofismo  francese,  e  sulla  romantico- 
machia;  ed  anche  in  questo  argomento  il  Luchaire  ha  tenuto  d'occhio 
più  la  manifestazione  esteriore  dei  sentimenti,  che  le  condizioni  mo- 
rali onde  questi  traevano  alimento. 

Suir  «  Alfierismo  »  si  alternano  pagine  mediocri  e  ottime,  con 
prevalenza  però   di   quest'  ultime.    Il    Luchaire   non    intende    la    ra- 


(1)  E.  Clerici,  lì  Conciliatore,  Pisa,  Nistri.  1908,  pj).  52  sogg. 


187 

;^ione  d'  essere  del  Misogallo  e  di  tutta  la  conseguente  letteratura 
gallofoba.  A  parte  che  molti  hanno,  come  il  Leopardi,  parlato  dei 
Francesi  «  come  per  pretesto  e  figura  »  (1),  in  luogo  degli  Austriaci, 
nel  i)rimo  quarto  del  secolo  era  ancora  troppo  recente  il  ricordo  delle 
ruberie  e  delle  vessazioni  dei  commissari  della  repubblica,  diffama- 
tori del  nome  francese:  negli  Italiani  erano  tanto  educati  alla  vita 
l)ubblica  da  apprezzare  i  vantaggi  politici  della  invasione  francese 
come  superiori  ai  gravi  danni  economici  da  essa  prodotti.  Inoltre  le 
classi  più  colte  erano  rimaste  disgustate  dal  trattato  di  Campofor- 
mio,  il  quale  aveva  fatto  una  impressione  straordinaria,  veramente 
inesplicabile  agli  occhi  nostri;  e  a.  tacere  di  Vincenzo  Cuoco,  un 
solitario  la  cui  opera  grande  non  agi  efficacemente  sullo  spirito 
l)ubblico  (2),  bisogna  arrivare  al  Balbo  per  sentire  affermare  che  la 
fine  della  Kepubblica  di  Venezia  era  stata  di  «  pochissimo  danno»  (3). 

Il  capitolo  III  studia,  sulla  scorta  dei  registri  della  censura  e 
dei  cataloghi  dei  librai,  quello  che  si  stampava  e  si  leggeva  in 
Toscana  fra  il  '15  e  il  '30.  Sono  dati  e  osservazioni  di  un  pregio 
eccezionale  per  originalità  e  per  valore  intrinseco:  l'evoluzione  del 
gusto  letterario  vi  è  seguita  minuziosamente,  e  ricollegata  in  modo 
veramente  egregio  agli  avvenimenti  contemporanei.  Queste  pagine 
rimarranno  certo  a  lungo  un  elemento  basilare  per  gli  studi  sul 
nostro  Risorgimento. 

Nel  IV  capitolo  viene  esaminata  l'idea  italiana  nella  sua  tra- 
dizione secolare;  e  sono  lieto  di  constatare  che  il  Luchaire  concorda 
pienamente  con  i  risultati  di  uno  studio  —  a  lui  ignoto  —  che  io 
avevo  già  pubblicato  in  estratto  dal  citato  volume  Episodi,  tendenze 
e  figure.  Segue  una  analisi  minuta,  ma  geniale,  e  se  non  esauriente, 
certo  assai  larga,  degli  elementi  costitutivi  dello  spirito  di  italianità; 
e  infine  è  studiata  l'espressione  che  questo  prese  nel  Giordani,  nel 
Leopardi,  nel  Niccolini  e  nei  propositi  dei  Carbonari. 

11  capitolo  V  è  dedicato  al  liberalismo,  inteso  come  reazione 
alla  restaurazione.  Questo  si  esprime  da  un  lato  come  preparazione  di 
un  rinnovamento  intellettuale,  morale  ed  economico,-  per  opera  del 
gruppo  (\e\V Antologìa  e  dei  Georgofili;  dall'altro  lato  come  educa- 
zione insurrezionale,  che  a  Firenze  trova  due  vigorosi  campioni  nel 


(1)  G.  Lkopardi.  EiJÌstolario,  A  P.  Brighenti,  21  aprile  1820. 

(2)  «  Il  compimento  della  profezia  del  Segretario  fiorentino,  la  distru- 
«  zione  di  quella  vecchia  imbecille  oligarchia  veneta,  sarà  sempre  per 
«  l'Italia  un  gran  bene».  V.  Cuoco,  Saggio  storico  sulla  rivoluzione  dì 
Napoli,  Milano,  1801,  p.  :]1. 

(3)  Balbo.  Delle  Speranze  d'Italia,  cap.  VII. 


188  RASSEGNA   BIBLIUGRAFICA 

Niccoliiii  e  nel  Colletta.  Lo  storico  napoletano  è  forse  l'unico  autore 
del  quale  il  L.  discorra  a  lung'o  senza  una  adeguata  preparazione. 
Per  intendere  bene  questo  scrittore,  che  prima  della  penna  aveva 
adoprata  la  spada,  ed  era  stato  uomo  di  governo  e  diplomatico, 
bisogna  metterlo  nel  suo  «  ambiente  »,  laggiù  a  Napoli,  dove  vivono 
a  fianco  senza  conoscersi  Vincenzo  Russo  e  i  lazzaroni,  e  accanto 
al  gentile  fiore  dell'eroismo  germoglia  1' abbiezione  e  l'infamia:  sono 
proprio  in  questo  mondo  tempestoso  e  buio  quelle  contraddizioni 
che  il  L.  rileva  nel  quadro  fattone  dal  Colletta,  e  a  lui  attribuisce. 

Cosi  pure  bisogna  osservare,  contro  il  L.  (p.  201),  che  la  colla- 
borazione del  Niccolini  e  del  Giordani  alla  Storia  del  Reame  di 
Napoli  ebbe  scarsa  efficacia,  strettamente  formale,  e  che  l'imitazione 
di  Tacito  è  anch'essa  puramente-  esteriore,  e  di  sola  ispirazione. 

Il  VI  capitolo  studia  il  moralismo  rifiorente  fra  il  '15  e  il  '30, 
che  assume  l'aspetto  a  volte  di  stoicismo,  a  volte  di  misticismo 
religioso  e  politico,  a  volte  di  neocattolicismo.  Quest'ultima  tendenza 
è  rappresentata  nella  sua  astrazione  più  fine  e  aristocratica  dal 
Manzoni,  nell'espressione  volgare  dal  Pellico,  nella  teoria  filosofica 
dal  Rosmini  giovane.  È  questo  un  capitolo  denso  di  idee,  nel  quale 
argomenti  molto  delicati  sono  esaminati  e  chiariti  in  modo  vera- 
mente definitivo,  senza  uscire  mai  dai  limiti  della  serenità;  difficil- 
mente un  italiano  avrebbe  saputo  far  tacere  così  completamente  le 
sue  passioni. 

Il  penultimo  capitolo  tratta  un  argomento  più  noto  e  assai 
meglio  studiato,  il  pessimismo.  Il  Guerrazzi  ne  è  l'espressione  vio- 
lenta e  rivoluzionaria:  un  giornalista  lo  chiamerebbe  un  anarchico 
del  sentimento;  il  Leopardi,  basandosi  sulla  ragione,  dà  del  pessi- 
mismo l'espressione  filosofica,  logicamente  salda.  L'uno  e  l'altro 
però  mantengono  fiso  lo  sguardo  all'avvenire;  il  loro  non  è  dunque 
scetticismo,  è  sdegno  del  male  e  aspirazione  al  bene;  in  fondo  perde 
molto  della  sua  natura  di  pessimismo. 

L'ultimo  capitolo  infine  studia  le  avvisaglie  del  1830,  l'affer- 
marsi delle  correnti  più  attive,  l'  accentuarsi  del  carattere  pratico. 
Un  uomo  viene  ad  assommare  in  se  tutti  i  vari  indirizzi,  fin  qui 
esaminati,  per  comporli  in  unità  organica  e  porre  nettamente  il 
problema  patriottico:  Giuseppe  Mazzini.  Con  un'ottima  sintesi  si 
chiude  il  volume,  nel  quale,  ad  onta  delle  mende  che  qua  e  là  si 
rilevano  (1),   il   lettore   deve   ammirare   l'abbondanza   delle   notizie, 


(1)  Stupisce  in  un'opera  cosi  scu-ia  e  ponderata  vedere  il  Mazzini 
posto  nella  schiera  di  quei  politici  che  gettano  a  mare  l'eredità  del  pas- 
sato, per  fare  ricominciare  la  storia  dal    momento   prc^sente,  ond'  essa   si 


LUCHAIKE,    i/evoluzione   INTELLETTUALE   DELLÌTALIA        189 

la  sicurezza  del  metodo,  la  serenità  del  giudizio,  la  sobrietà  ed 
eleganza  della  forma.  Qual  elogio  migliore  si  potrebbe  fare  ad  un 
libro  di  questo  genere? 


Appunti  sui  particolari,  V  ho  ripetuto  più  volte,  se  ne  pos- 
sono fare  parecchi,  come  è  naturale  in  un  lavoro  di  sintesi,  lungo 
885  pagine:  ma  due  osservazioni  generali  mi  sembrano  necessarie. 
Anzitutto  il  titolo  pecca  di  eccessiva  estensione,  perchè  questo  studio, 
eccellente  per  la  storia  della  Toscana,  non  può  assolutamente  servire 
per  dare  un'  idea  della  evoluzione  intellettuale  di  tutta  la  penisola. 
I  Francesi  sono  abituati  a  trovare  in  Parigi  il  cervello  e  la  mente 
ove  affluiscono  tutte  le  energie  pensanti  della  nazione.  Di  un  tale 
accentramento  non  è  traccia  in  Italia,  dove  dobbiamo  contentarci 
di  vedere  vari  centri  di  cultura  che  sono  in  contatto  tra  loro,  ma 
spesso  battono  vie  diverse.  Ora  nell'epoca  della  quale  si  è  occupato 
il  Luchaire,  una  simile  uniformità  di  condizioni  e  di  tendenze  man- 
cava assolutamente,  perchè  aifatto  diversa  era  la  tradizione  letteraria 
delle  varie  regioni  dopo  il  '700,  e  oltremodo  vario  lo  stato  economico, 
politico  e  morale  che  costituiva  l'ambiente  nativo  delle  opere  d'arte. 
Astraendo  da  questa  differenza,  si  finisce  col  cadere  in  quegli  errori 
in  cui  il  nostro  Autore,  proprio  per  questa  ragione,  è  incorso  nel 
discorrere  del  Colletta.  © 

Certo  nella  Toscana,  dove  gli  studi  erano  più  coltivati,  si  rivelano 
meglio  che  altrove  i  caratteri  del  movimento  intellettuale  ;  ma  non 
si  possono  scorgere  lì  le  diverse  tendenze  del  lavorio  delle  menti, 
neanche,  in  una  luce  riflessa.  Quantunque  fin  dal  1822  VAntologia, 
allargando  e  riprendendo  con  onestà  d'intenti  il  proposito  della 
Biblioteca  Italiana,  proclami  la  sua  aspirazione  a  divenire  l'anello 
di  unione  fra  tutti  i  pensatori  italiani,  non  si  può  parlare  di  un 
centro  intellettuale  della  penisola  prima  del  '48. 

Un'altra  osservazione  bisogna  fare  sull'insieme  del  lavoro,  che 
cioè  nelle  opere  dei  maggiori  autori  non  sempre  si  scorgono  le  linee 
esatte  per  tracciare  il  quadro  completo  delle  condizioni  intellettuali 


sviluppi  nel  senso  da  loro  concepito  (p.  332).  E  noto  invece  —  e  il  recente 
volume  postumo  del  Bovio  sul  Mazzini  ha  ribadito  questo  concetto  —  che 
l'austero  Genovese  derivò  i  suoi  principi  da  una  lunga  assidua  medita- 
zione della  storia  patria.  E  appunto  per  questo  egli,  attribuendo  alle  sue 
idee  il  valore  di  logiche  deduzioni,  le  stimò  incrollabili:  onde  la  sua  tanto 
rimproverata  intransigenza. 


lOO      ■  RA^^^SEGXA    BlJiLlUtilLVFlCA 

di  un  popolo.  I  grandi  maestri  imprimono  Forma  vigorosa  della 
propria  personalità  sulle  loro  creazioni,  le  quali  perciò  non  sempre 
riescono  uno  specchio  fedele  del  tempo;  nell'opera  dei  minori  invece  e 
negli  altri  documenti  in  genere,  V  elemento  soggettivo  suole  essere 
più  debole,  e  quindi  più  esatta  la  rappresentazione  dei  fatti  storici. 
Una  prova  di  ciò  il  L.  può  trarre  dalle  stesse  sue  pagine,  osservando 
la  differente  espressione  che  il  sentimento  pubblico  prende  nella 
produzione  letteraria  dei  maggiori  scrittori,  e  nei  rapporti  di  polizia, 
che  costituiscono  per  noi  i  documenti  più  attendibili,  quando  sono 
esaminati  con  criterio,  come  il  L.  mostra  di  saper  fare. 

Per  la  stessa  ragione  al  L.  è  sfuggita  affatto  l'efficacia  non 
lieve  che  l'opera  delle  sètte,  delle  congiure,  delle  sollevazioni,  in- 
somma la  vita  dell'azione,  allora  attivissima,  esercitò  sulla  vita  del 
pensiero;  ed  egli  arriva  alla  asserzione,  non  sostenibile,  che  la  for- 
mazione dello  Stato  italiano  è  dovuta  alla  potenza  di  un'idea  più 
che  a  circostanze  favorevoli  e  all'azione  delle  forze  materiali  (p.  xi). 
Oli  apostoli  del  materialismo  storico  ne  inorridiranno  :  e  questa 
volta  bisogna  dar  loro  ragione. 

Roma.  S.  Nu'Astko. 


J.    E.    Driault,   Napoìéon    en    Italie   {1800-1812).  —  Paris,    Alcan, 

1906.  -  ln-8«,  di  pp.  687. 
• 

Discorrendo  in  questo  medesimo  periodico  del  libro  di  L.  Ma- 
DELIN  sulla  Boma  di  Napoleone,  abbiamo  già  notato  il  mirabile  ri- 
corso storico,  pel  quale  la  caduta  del  potere  temporale  nel  1808  si 
svolse  presso  a  poco  nello  stesso  ordine  che  tenne  dipoi  nel  1870. 
Non  più  soltanto  per  Roma  dobbiamo  fare  quell'osservazione,  ma  per 
tutta  r  Italia,  poiché  il  concetto  della  nostra  unità  e  costituzione 
si  svolse,  ai  tempi  nostri,  collo  stesso  ordine  quasi,  con  cui  si  ma- 
nifestò a  principio  del  secolo  XIX.  La  differenza  essenziale  dei  due 
«volgimenti  consiste  nell'  essere  stato  quello,  che  ci  diede  una  pa- 
tria grande  e  indipendente,  opera  esclusiva  del  popolo  e  degli  Ita- 
liani, mentre  il  primo  fu  unicamente  parto  e  ambizione  di  un  uomo 
solo,  il  quale  se  ne  servi  non  a  vantaggio  dei  nostri  padri,  ma  ad 
esclusiva  utilità  sua  propria,  ad  affermazione  della  sua  idea  impe- 
riale, a  conclusione  del  sogno  portentoso  che  in  se  e  per  se  nutrì  e 
pei  suoi  discendenti. 

Questa  verità  per  noi  risulta  dal  poderoso  lavoro  del  prof.  Driault, 
condotto  con  vastissima  dottrina  ed  erudizione,  con  alta  mente  filo- 
sofica su  infinite  serie  di  documenti  inediti,  che  per  lui  hanno  sve- 


DRIAILT,    NAI'ULKUNE    IX    ITALIA  11>1 

lato  i  se«;reti.  che  contenevano.  P^gli  studia  1'  evoluzione  della  po- 
litica di  Napoleone  in  cinque  libri,  che  intitola  dalle  g-randi  tappe 
della  epopea  imperiale  in  Italia,  poiché  in  Italia  si  svol«:e  segna- 
tamente l'opera  e  il  pensiero  di  lui;  in  Italia  prende  origine  e  con- 
sistenza la  sua  ambizione  di  ricostituire  un  impero  più  vasto  di 
<iualunque  altro,  che  tutto  abbracci  il  Mediterraneo  colle  sue  enormi 
membra,  respinga  la  Russia  nelle  steppe  e  nei  ghiacci,  s' imponga 
vittorioso  ad  ogni  popolo.  Dell'  Italia  pertanto  Napoleone  ha  biso- 
gno per  r  esecuzione  dell'  immane  disegno  ;  e  l' Italia  egli  procura 
di  costituire,  di  ridurre  alle  sue  voglie  per  formarne  bi  base  ango- 
lare dì  quello  straordinario  edifìzio,  che  in  sogno  accarezza  dì  lasciare 
al  figlio  ;  che  crede  di  avere  inalzato  appunto  allora  quando  le 
fiamme  di  Mosca  lo  svegliano  di  soprassalto  e  tutta  la  spietata  sua 
fatica,  la  mostruosa  sua  concezione  riducono  in  fumo. 

Checché  si  sia  detto  e  scritto,  checché  si  sìa  pensato,  Napoleone 
non  ebbe  mai  in  mente  di  costituire  un'Italia  libera  ed  indipen- 
dente. Nella  nostra  contrada,  da  lui  due  volte  conquistata,  due  volte 
a  lui  cara,  egli  non  pensò  mai  se  non  di  esercitare  il  mero  diritto 
della  conquista,  di  smungerla  e  formarla  ai  suoi  intenti,  senza  preoc- 
cuparsi né  dell'  idea  nazionale,  né  della  libertà,  né  del  futuro.  Tut- 
tavia, l'opera  sua,  innovatrice  e  potente,  sconvolse  dai  fondamenti 
lo  stato  della  penisola  :  ed  ebbe  per  conseguenza  la  fortuna  di  at- 
tizzare il  fuoco,  che,  latente,  covava  da  circa  mezzo  secolo  sotto  le 
ceneri,  di  farne  divampare  le  fiamme  e  di  provocare  inconscia- 
mente quel  santo  incendio,  al  quale  dobbiamo  la  patria  nostra. 

Tutta  quest'opera  si  svolge  dunque  gradatamente  :  dapprima, 
con  la  costituzione  della  Repubblica  cisalpina,  l'annessione  del  Pie- 
monte (1800-1802)  :  quindi,  colla  consolidazione  della  conquista  per 
mezzo  dell'incoronazione  di  Napoleone  ad  imperatore  e  re  d'Italia 
(1802-1805).  Prosegue  colla  conquista  della  penisola  (1805-1808)  e  la 
sua  costituzione  in  tanti  stati  vassalli,  donde  il  princìpio  delle  dif- 
ficoltà col  papato.  Dal  1808-1809  la  politica  napoleonica,  colla  oc- 
cupazione di  Roma,  con  la  distruzione  del  potere  temporale  e  con  la 
prigionia  del  papa,  consegue  1'  intento  di  stabilirsi  nella  città  im- 
periale per  eccellenza;  e,  colla  nascita  del  Re  di  Roma,  Napoleone 
pensa  a  dare  una  costituzione  alla  sua  conquista.  Egli  procura  di 
assodarla,  di  ordinarla  e  respìngerne  lontan  lontano  i  perìcoli  che 
la  minacciano.  Questo  desiderio,  vero  anelito  della  sua  vita  dopo 
la  nascita  di  Napoleone  II,  lo  scaraventa  contro  la  Russia  ;  dove  la 
sua  possanza  s' infrange,  insieme  coi  suoi  ideali,  sulle  rive  inospitali 
della  Moscova,  appiè  di  quel  Kremlino,  eh'  egli  ha  creduto  di  po- 
tere iiiipinioniente  calpestare. 


192  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA 

E  noi,  riandando  quell'epopea  e  la  memoria  delle  cerehia  sem- 
pre più  late  di  quell'assorbente  e  terribile  politica,  osservando  la 
vivacità  colla  quale  tutte  le  fasi  ne  sono  esposte  e  studiate  dal 
Driault,  restiamo  compresi  di  maraviglia;  mentre  riconosciamo  che 
l'opera  dell'egregio  Autore  non  è  una  delle  solite  declamazioni  napo- 
leoniche, ma  il  frutto  di  osservazioni  e  di  studi  profondi, che,  unito  con 
tutto  il  lenocinlo  della  forma,  nel  quale  i  nostri  fratelli  sono  maestri, 
rendono  il  suo  lavoro  pregevolissimo  e  veramente  degno  d'encomio. 

Torino.  E.  Casanova. 


Le  «  Attualità  Sociali  »  delV Istituto  di  Sociologia  di  Bruxelles. 

Istituzione  consacrata  allo  studio  imparziale  dei  fenomeni  so- 
ciali, V  Istituto  di  Sociologia  degli  Institiits  Solraif  di  BruxeUes  non 
poteva  limitare  l'attività  sua  alla  pura  investigazione  scientifica; 
essendo  il  dominio  delle  ricerche  sociali  troppo  umano  perchè  si 
possa,  percorrendolo,  disinteressarsi  delle  applicazioni  pratiche  di 
esse  al  miglioramento  sociale,  od  anche  solo  tenere  al  buio  il  grande 
pubblico  delle  persone  colte,  intelligenti,  e  coscienti  dei  problemi 
più  gravi  del  momento,  sui  risultati  raggiunti  dall'esigua  minoranza 
dei  ricercatori  o  degli  iniziati  d'un  istituto  scientifico.  Accanto  così 
alla  pubblicazione  Notes  et  Mémoires.,  contenente  studi  sociologici 
originali  e  rassegne  critiche,  redatte  con  la  collaborazione  d'un 
gruppo  di  specialisti,  ed  all'  altra,  pure  di  carattere  rigidamente 
scientifico,  dal  titolo  Études  sociales.,  iniziatasi  nel  1904  coli' interes- 
sante lavoro  del  De  Leener  sui  sindacati  industriali  nel  Belgio  (1), 
l'Istituto  ha  pensato  di  pubblicare,  col  titolo  di  Actualités  sociales, 
una  nuova  serie  di  volumi,  avente  per  oggetto  la  volgarizzazione 
delle  questioni  sociali  correnti. 

Ispirata  però  ad  un  fine  essenzialmente  pratico  di  progresso 
economico  e  sociale,  tale  serie  non  si  limita  a  volgarizzare  i  problemi 
del  momento,  ma  tende  anche  a  render  popolare  una  data  soluzione 
di  essi,  fra  le  tante  escogitabili. 

Questa  soluzione,  per  usare  il  neologismo  espressivo  inventato 
dal  fondatore  stesso  deW  Istituto  di  /Soao/o^m  di  Bruxelles,  Ernesto 
Solvay,  è  la  produttivista,  cioè  quella  che  assicura  all'attività 
umana  in  tutte  le  sue  manifestazioni,  fisiche,  intellettuali,  economiche, 
morali,    il    maximum   di    rendimento.    L'utilizzazione  migliore  degli 


(1)  G.  De  Leener,  Les  syndicats  iudustriels  en  Belgigue,  Bruxelles, 
Misch  et  Thron,  1904. 


I 


LE  «  ATTUALITÀ  SOCIALI  »  DELL'ISTITUTO  DI  S0CI0L0C4IA        193 

sforzi  individuali  e  collettivi  dal  miglioramento  della  costituzione 
tìsica  al  perfezionamento  incessante  della  tecnica,  dalla  riforma  d^lla 
ricuoia  in  senso  più  utile  alla  vita  a  quella  dell'educazione  morale 
dell'  uomo  a  seconda  dell'  ambiente  in  cui  vive  e  dell'  opera,  eh'  è 
chiamato  a  dare  :  ecco  il  fine  cui  mira  questa  propaganda  produtti- 
vistica, aliena  da  ogni  formula  di  scuola,  da  ogni  esclusivismo  di 
classe  o  di  partito,  intesa  solo  ad  un  graduale  elevamento  di  vita 
per  la  società  tutta  e  per  l' individuo.  «  Un  cittaclmo  sano  nella  città 
sana,  tale  sarà,  dice  il  Waxweiler  nella  prefazione  alla  collezione, 
applicata  alla  politica  sociale  la  forma  produttivista  dell'  antica 
massima  di  rigenerazione  individuale.  Farla  conoscere,  amare  e  pra- 
ticare, sovratutto  in  quanto  può  avere  di  fecondo  per  la  grandezza 
della  patria  belga,  tale  sarà  il  programma  delle  Attualità  Sociali  ». 

Né  a  questo  programma  sono  venuti  meno  i  volumi  di  esse, 
pubblicati,  nel  corso  del  1904  e  1905  dagli  editori  Misch  e  Thron  di 
Bruxelles  e  Lipsia  coi  titoli: 

Trincipes  (V  Or'ientation  sociales,  résumé  des  études  de  M.  Ernest 
Solvay  sur   le   Productìvisme  et  le  Comptabilisme,  2^  édition,  1904. 

Que  faut-il  faire  de  nos  industries  à  domicile?,  par  M.  Ansiaux,  1904. 

Le  cliarhon  dans  le  Nord  de  la  Belgique.  Le  point  de  vue  technique, 
Gr.  De  Leener.  Le  point  de  vue  juridique,  L.  Wodon.  Le  point 
de  vue  économique  et  social,   C.  Waxweilee,  1904. 

Le  procès  de  lihre-échange  en  Angleterre,  par  D.  Crick,  1904. 

Entrahiement  et  fatigue  au  point  de  vue  militaire,  par  J.  Jo- 
teyko,  190.5. 

IJ  augmentation  du  reudement  de  la  machine  liumaine,  par 
L.  Quertou,  1905. 

Assìirance  et  assistance  mutuelles  au  ptoint  de  vue  medicai,  par 
le  mème.  1905. 

Di  questi  l'unico,  come  è  facile  arguire  dai  titoli  stessi,  che 
abbia  un  interesse  storico,  oltreché  sociologico,  é  quello  del  Crick, 
il  quale,  compendiando  i  principi  fondamentali  ed  esaminando  cri- 
ticamente gli  argomenti  e  le  cifre  addotte  in  appoggio  della  propria 
tesi  da  liberisti  e  protezionisti,  fissa  come  in  una  lastra  fotografica 
a  vantaggio  dei  cultori  di  storia  economica  il  grande  dibattito  prò 
e  contro  il  libero  scambio,  cui  assistettero  l'Inghilterra  e  le  sue 
colonie  all'alba  del  secolo  XX",  dibattito  terminato,  per  ora  almeno, 
secondo  le  idee  del  Crick,  cioè  colla  vittoria  del  liberismo,  nelle 
ultime  elezioni  politiche  inglesi. 

Svolto  nelle  linee  generalissime  più  che  nei  particolari,  come 
tendenza  più  che  programma  dettagliato  di  politica  commerciale  dal 
Balfour,  il  quale  si  limitava  a  sostenere  la  necessità  per  l'highilterra 
di  trattati  commerciali   protettivi   delle  sue  industrie,    il    principio 

Akch.  Stor.  It.,  Serie  5.*.  —  XXXIX.  13 


194  RASSEGNA   BIBLIOGRAFICA,    EC. 

protezionista  avea  trovato,  com'è  noto,  il  suo  apostolo  fervente  nel 
Chamberlain,  che  ad  esso  innestava  il  principio  unionista,  volendo, 
a  fine  politico  più  ancora  che  economico,  esonerate  le  colonie  inglesi 
da  quel  dazio  d'importazione  sulle  derrate  alimentari,  il  quale  in- 
sieme con  un  dazio  d'importazione  del  10  "j^  in  media  sui  manufatti 
doveva  costituire  la  base  del  nuovo  sistema  doganale  inglese  :  a  ciò 
il  Chamberlain  era  spinto  dall'esame  del  movimento  commerciale 
dell'Inghilterra  nel  periodo  dal  1872  al  1902,  durante  il  quale  le 
esportazioni  non  erano  aumentate  che  d'una  ventina  di  milioni  dì 
sterline  (da  256  a  278),  mentre  le  importazioni  dei  manufatti  dell'estero 
erano  salite  da  63  a  149  milioni  di  sterline,  squilibrio  proporzionale 
che  sarebbe  stato  avvertito  ben  più  dolorosamente,  secondo  il  Cham- 
berlain, dalla  nazione  inglese,  se  le  colonie,  V  esportazione  per  le 
quali  aumentò  nello  stesso  periodo  da  60  a  107  milioni  di  sterline, 
non  avessero  esse  assorbito  le  merci  inglesi  non  suscettibili  di  col- 
locamento nei  mercati  stranieri.  Al  Chamberlain  però  i  liberisti 
rispondevano  col  far  notare  anzitutto  l'artificiosità  dei  limiti  cro- 
nologici da  lui  scelti  per  far  risaltare  la  sua  tesi  (il  1872  infatti  fu 
un  anno  eccezionalmente  favorevole  al  commercio  inglese  in  seguito 
alla  guerra  franco-prussiana),  col  metter  quindi  in  rilievo  le  lacune 
esistenti  nell'esame  fatto  dal  Chamberlain  del  movimento  commer- 
ciale inglese  nel  periodo  1872-1902  e  col  contestarne  l'esattezza 
d'alcuni  dati  fondamentali,  col  mettere  in  dubbio  per  molte  colonie 
il  preteso  vantaggio  derivante  dal  trattamento  preferenziale,  spacciato 
dagli  unionisti  come  il  tocca-sana  economico,  ed  il  legame  politico 
indissolubile,  col  sostenere  infine  e  sovratutto  gli  interessi  dei  con- 
sumatori inglesi,  cioè  delle  masse,  il  rincarimento  di  vita  delle  quali 
in  seguito  al  dazio  sui  generi  alimentari,  sul  grano  in  ispecie  (basti 
pensare  che  i  ^/^  del  frumento  consumato  nel  1900-1902  erano  d'im- 
portazione estera),  avrebbe  costituito  un  danno  economico  ed  un 
pericolo  sociale  ben  più  grave  per  la  nazione  inglese  che  non  una 
diminuzione  relativa  dell'esportazione. 

Una  splendida  bibliografia  del  Warnotte  sulla  questione  doganale 
in  Inghilterra  chiude  il  volume  del  Crick,  aumentando  così  il  pregio 
e  l'utilità  di  questa  interessante  documentazione  riassuntiva  della 
grande  lotta  prò  e  contro  il  libero  scambio,  pubblicata  nelle  Actua- 
lifés  Sociales. 

Pavia.  Gennako  Mondaixi. 


Necrologìa 


GIOSUÈ    CARDUCCI. 

La  (j rande  ora  che  Egli  aspettò  immutato  e  imiìertur- 
hato  venne  per  il  Poeta  il  16  febbraio  1907.  Fu  ora  di 
lutto  nazionale  ;  ma  Bologna,  ma  P  Italia,  presente  tutta 
con  lo  spirito,  accomjiagnando  la  salma  di  Giosuè  Oar- 
ducei,  sentivano  di  compiere  non  un  rito  funebre,  sì 
una  glorificazione.  E  fu  un  silenzio  sacro,  rotto  più  da 
acclamazioni  che  da  gemiti,  intorno  al  feretro  che  dalla 
casa  divenuta  storica  moveva  alle  Manche  e  tacite  case 
(le  i  morti;  e  Bologna  era  quale  nel  canto  di  Lui  : 

....nel  cliiaro  inverno  la  fosca  turrita  Bologna 
e  il  colle  sopra  bianco  di  neve  ride. 

È  l'ora  soave  che  il  sol  morituro  saluta 
le  torri  e  '1  tempio,  divo  Petronio,  tuo.... 

E  da'  colli  toscani  parve  salire  verso  il  nevoso  Ap- 
l)ennino,  su  P  aure  di  precoce  primavera,  il  saluto 
della  patria. 

È  e  dev'  essere  questo  Grande  nostro  dinanzi  agii 
occhi  degli  Italiani  non  nelP  atteggiamento  del  vinto 
dalla  morte  che  spense  quello  sguardo  vampeggiante,  e 
fermò  quel  nobile  cuore;  non  nei  ricordi  indiscreti  de'suoi 
tardi  infermi  giorni  ;  non  nelle  picciole  e  non  sempre  j)ie 
esumate  memorie  :  è,  e  dev'  essere,  dinanzi  a  noi,  forte, 
animoso  nella  sua  maschia  persona.  E  tutta  deve  ve- 
dersi e  guardarsi  quella  semplice  e  gagliarda  figura. 

Dalla  cintola  in  su  tutto  il  vedrai  : 

COSÌ  Dante  insegnò  come  si  crea  e  si  contempla  un 
eroe  :  e  noi  vediamo  Farinata  ergersi,  ancora,  col  petto 
<^  colla  fronte  ! 


196  NECROLOGIA 

Ohi  tale  ripensa  e  sente  Giosuè  Carducci  non 
corre  alle  lodi  facili  e  vane,  e  alle  sentenze:  ma,  nel 
compianto  dell'  Italia  e  del  mondo  civile,  quale  pro- 
ruppe —  anzi  maggiore,  per  la  rinnovata  coscienza 
di  nazione  —  alla  morte  di  Alessandro  Manzoni,  vede 
il  suggello  delP  immortalità.  Sa,  altresì,  come  fosse  per 
il  Carducci  un  verso  aspro  di  suoni'  dentali  e  di  verità 
quel  primo  d' un  canto  di  Giovanni  Prati  : 

Dio  ti  salvi  dal  dì  della  lode  ! 

Perciò,  registrando  nelle  pagine  à^WArcMvio  Sto- 
rico Italiano  (del  quale  Egli  ben  si  ricordò  nel  cenno 
all'opera  degli  studiosi  che  parvero  accomiìagnare  e  in- 
coronare gli  avvenimenti  onde  stava  per  uscir  rifatta  la 
patria:  Opere^  XYI,  128)  la  data  della  morte  di  Giosuè 
Carducci,  e  adempiendo,  così,  un  dovere  di  Italiani  e 
di  studiosi,  vogliamo,  più  che  lodare  e  giudicare,  ram- 
memorare ed  esporre:  sono  lodi  i  fatti,  e  tali  che  su- 
perano ogni  misero  giudizio  schematico  ;  e  tale  è  la  vita 
e  l'opera  di  Lui,  che  n'  è  annullato  subito  ogni  tentativo 
di  sciogliere  il  misterioso  nodo  dell'anima  sua.  Diremo 
specialmente,  come  s' addice  a  questo  Periodico,  quanto 
Egli  operò  negli  studi  della  storia,  il  che  non  porta  se 
non  a  ritrovare  intera,  anche  per  questa  parte,  la  sua 
alta  mente  di  storico  e  d'artista:  maestro  di  verità, 
artefice  di  bellezza. 


Fu  designato  quale  il  poeta  della  storia  :  dovrà 
anche  dirsi  maestro  della  storia.  Anzi,  più  che  non  si 
usasse  dai  puri  letterati  del  suo  tempo  giovanile,  egli 
fondò  e  inquadrò  risolutamente  nella  storia  i  suoi  studi 
di  letteratura  e  filologia.  Così  si  maturava  negli  anni 
questo  poeta  animatore  magnifico  della  storia,  che  il 
fato  storico  {Opere,  IV,  440;  A^II,  18;   XII,  40)   sen- 


GIOSUÈ   CARDUCCI  197 

tiva  ispirazione  a  splendidi  carmi  :  Cu  ira.  Per  la  morte 
di  Xapoh'Oììe  Eugenio,  Miramar^  La  guerra.,..  E  si  ricor- 
dino i  versi,  che  possono  parere  l'epigrafe  della  sua 
l^oesia  : 

Pone  l'ardente  Clio  su  '1  monte  de' secoli  il  piede 
Agile  e  canta,  ed  apre  l'ali  superbe  al  cielo. 

Fra  le  letture  che,  scolaro  d'umanità  e  retorica, 
faceva,  troviamo  vicino  all'Ariosto  —  il  primo  autore  che 
ei  cercò  nella  Magiiabechiana  il  4  dicembre  1849  —  e 
agli  altri  poeti  antichi  e  moderni,  il  Muratori,  il  Balbo. 
L'amoroso  e  fido  raccoglitore  delle  memorie  carduc- 
ciane ci  attesta:  «  lo  studio  della  storia  fu  in  lui  una 
«  passione  che  dai  primi  anni  lo  accompagnò  per  tutta 
«  la  vita.  La  conoscenza  piena,  minuta,  sicura  che  per 
«  effetto  di  tale  studio  appassionato  e  non  mai  inter- 
«  rotto,  venne  acquistando  degli  avvenimenti  umani 
«  presso  tutti  i  popoli  in  tutti  i  tempi,  formò  il  substrato 
«  della  sua  vasta  coltura,  e  si  era,  direi  quasi,  immedesi- 
«  mata  coi  suoi  sentimenti  e  coi  suoi  pensieri  »  (Chia- 
Kixi,  Memorie,  p.  396;  cfr.  Opere,  XII,  450,  482,  ec).  E  il 
Chiarixi  (ibid.,  pp.  50  sgg.)  ci  dà  notizia  di  una  delle 
lezioni  fatte  dal  Carducci  per  ottenere  il  magistero, 
nella  quale  rampognava  il  Botta  di  giudizi  avventati  sul 
medioevo  :  il  Botta  che  ebbe,  peraltro,  influsso  durevole, 
se  non  m'inganno,  nelP atteggiarsi  pur  delle  mature 
concezioni  storiche  carducciane.  Del  1894  {Opere^  X,  325) 
è  questa  confessione  del  Carducci  stesso  :  «  ....  io  credo  la 
«  verità  sia  la  migliore  eloquenza  e  la  storia  superiore 
«  «li  molto  all'invenzione  e  anche  più  dilettevole  della 
«  poesia  ». 

Col  cuore,  poiché  non  potè  col  braccio,  partecipò 
alla  gesta  patriottica  che,  adolescente  e  giovane,  vide 
svolgersi  dal  '48-' 49  al  '(30  e  di  poi,  sino  a  Eoma  ca- 
pitale ;  e  poi  ancora,  nella  pienezza  degli  anni  e  della 
gloria,  fu  «  sempre  vigile  e  idealmente  partecipe  a  tutte 


198  NECROLOGIA 

le  vicende  dell'agitata  vita  dell'  Italia  moderna  ».  Egli 
si  formò  nella  tradizione  ghibellina,  la  corrente  minore 
della  vita  e  del  pensiero  della  Toscana.  Onde,  pnr  se- 
guendone il  progresso  e  cogliendone  i  frutti,  quando 
ritornò  a  Firenze,  conseguita  la  laurea  a  Pisa,  rimase 
e  fu  tenuto  come  in  disparte  nelP  opera  rigogliosa 
di  rinnovamento  storico  che  si  compiva  intorno  al 
Vieusseux,  a  Gino  Capponi,  a  Niccolò  Tommaseo  —  e 
massime  con  questo  Archivio  Storico  Italiano;  opera 
cui  parteciparono  spiriti  più  fraterni  al  Carducci,  quali 
non  solo  A.  Vannucci  e  A.  Eabretti,  ma  lo  stesso  G.  B» 
Xiccolini.  La  serietà  degli  studi  filologici  e  storici,  che 
si  continuavano  tradizionalmente  e  si  miglioravano  di 
tanto  in  Toscana,  fu  scuola,  eccitamento  sì  al  Carducci, 
che  si  volse  ben  presto  alle  indagini  letterarie,  e  sì  ad 
altri  volenterosi  e  valorosi  quali  Adolfo  Bartoli,  Ales- 
sandro D'Ancona,  che  divisero  poi  con  lui  il  vanto  di  in- 
staurare dalla  cattedra  universitaria  lo  studio  della 
storia  delle  lettere  nostre,  ne' tempi  davvero  avventu- 
rati nei  quali  all'  instaurazione  della  cultura  storica  e 
filologica  provvedevano  con  non  minore  ardore  P.  Ali- 
lari,  D.  Comparetti,  E.  Teza,  e  altri  in  altre  discipline: 
e  si  ebbero  subito  maestri  insigni  nei  loro  scolari.  In 
queir  otìicina  toscana,  anzi  fiorentina,  di  belli  e  buoni 
studi,  si  temprò  pure  l' ingegno  di  non  pochi  altri  che 
o  non  ascesero  la  cattedra  universitaria  o  nelle  Acca- 
demie e  negli  Archivi,  o  diversamente,  benemeritarono 
della  cultura  nazionale  :  giovi  ricordare,  almeno,  i  nomi 
del  Bonaini,  del  Capei,  del  Tabarrini,  di  C.  e  G.  Milanesi, 
di  Cesare  Guasti,  soprattutto,  dal  Carducci  estimatissimo 
(Opere,  XII,  0  e  altrove). 

Che  il  Carducci  consentisse  meno  con  le  idee  che  col 
metodo  di  studi  di  quei  valentuomini  toscani  di  circa 
il  '()0,  più  o  men  giovani  che  essi  fossero;  si  rinserrasse, 
torbido  e  solo,  nei  suoi  lavori  tenacissimi  che  non  spensero, 
sì  alimentarono  la  fiamma  della  sua  arte,  e   nella  fida 


GIOSUÈ   CARDUCCI  199 

schiera  degli  amiei  lìedanti  e  di  pochi  altri  intimi;  che 
a  compafiììieuti  e  dispreszi  {Opere^  IV,  o(),  o7)  rimanes- 
sero esposte  le  Bime  che  diventaron  poi  i  JuveniUa;  si 
sa  e  s' intende.  E  così  s' intende  com'egli  trovasse,  fuor 
Iella  compagnia  dei  troppo  neognelfi,  e  nn  po'  acca- 
lemici,  toscani,  nella  seconda  e  lunga  età  della  sua 
vita,  temperie  più  conforme  all'  animo,  anzi  una  se- 
onda  patria,  in  Bologna.  Disdegni,  questi,  «  contro  la 
-<  beghineria  non  pur  religiosa,  ma  intellettuale  del  de- 
«  cennio  innanzi  al  'OO,  contro  quella  nullaggine  faccen- 
<^  diera  che  graA^ava  con  tutto  il  i)eso  della  vanità  sua 
«  su  '1  paese....  »  (Opere,  IV,  54),  che  avevano  appunto 
dettate  le  Bime  al  principiante  ardito,  al  libero  spirito 
l)ieno  della  sua  rubesta  vigoria  maremmana  ;  solitudine 
(juasi  austera,  che  egli  consolava  di  pochi  attetti  cor- 
diali e  di  molto  studiare.  I  Eaccoglimenti  ce  ne  traman- 
dano il  ricordo.  Ma  se  fu  disdegnoso,  non  fu  ingrato  : 
e  della  sua  dolce  Toscana  non  i)oteva  essere  immemore 
il  poeta.  A  Firenze  aveva  trovato  il  suo  editore  primo 
in  Gaspero  Barbèra,  e  nella  Nazione  un  giornale  nel 
(piale  potè  scrÌA  ere  schietto  e  franco,  come  altrove  non 
si  permetterla.  E  della  sua  terra,  e  della  sua  vita  in 
Toscana  (p.  es.  nella  Fref,  ai  Levia  Gravia,  che  è 
del  1881)  torna  a  parlare,  a  giudicare  rimbrottando  sì, 
ma  rendendo  giustizia  alla  gente  da  bene.  Meraviglio- 
samente, e  non  solo  serenamente,  è  giudicato  Gino  Cap- 
poni (Opere,  IV,  25).  Tutti  quei  ricordi  (cfr.,  V,  502;  VII, 
349)  son  fatti  d'amore  e,  insieme,  di  disdegno,  al  quale 
però  è  sempre  vicino  l'amore. 

Anche  per  la  scelta  delle  Prose  (1859-190;|)  l'animo 
dell'autore  fu  di  preferire  gli  scritti  «  che  potessero  si- 
«  gniflcare  qualche  cosa  nella  storia  lettei^aria  o  politica 
«  mentre  più  benigno  e  i)iù  largo  procedeva  il  criterio 
«  dell'editore  »  ;  e  l' ultimo  volume,  il  XA^I,  pubblicatosi, 
lui  A'ivente,  delle  Opere  (che  non  avremo  molto  a  desi<le- 
rare  complete  in  altri  pochi  volumi)  ha  il  titolo  riassun- 


200  NECROLOGIA 

tivo  quasi  di  tutta  l'oi^era  carducciana:  Poesia  e  storia; 
mentre  la  materia  dantesca,  muratoriana,  del  Eisorgi- 
mento  italiano,  leopardiana,  metrica,  riabbraccia  e  ricol- 
lega quasi  ogni  cosa  a  lui  diletta  più  caramente  ;  e  dalle 
ultime  pagine  della  prefazione  alla  Primavera  e  flore  della 
lirica  italiana  (Pultima,  credo,  delle  sue  prose  composte 
ex  uovo)  ci  viene  innanzi,  al  ricordo  dell'  inno  fatidico 
Fratelli  d'Italia,  F  ammonimento  :  Leviamoci  in  inedi: 
è  il  quarantotto.  Così  l'ultimo  dei  suoi  libri  poetici  Rime 
e  ritmi  si  congedava  con  lo  stornello  invocante  un  fiore 
di  tre  colori  come  la  bandiera  d' Italia  : 

Fior  tricolore, 
Tramontano  le  stelle  in  mezzo  al  mare, 
E  si  spengono  i  canti  entro  il  mio  core. 

Dalle  Opere,  che  gii  fu  concesso  di  disegnare,  preor- 
dinare e  difendere  dalla  fortuna  del  tempo  e  da'  ca- 
pricci de'  critici  futuri,  e  gli  fu  dato  di  assicurar  quasi 
compiute  ;  dagli  altri  non  molti  scritti  che  vi  trove- 
ranno presto  il  loro  luogo,  quanta  ricchezza  e  varietà 
di  argomenti,  di  dottrina,  di  arte  ci  si  rivela  e  ci  con- 
quista !  Ohi  si  metta  a  disporre  per  soggetti  in  un  in- 
dice metodico  e  ragionato  tutta  quella  grande  mole  di 
nobili  studi  ha  sempre  nuova  sorpresa  dalla  moltipli- 
cità  delle  cose  che  il  Carducci  pensò,  studiò,  scrisse  (1  ). 


Xulla  di  meglio,  prima  di  dir  altro,  che  ricercare 
in  quei  volumi,  ricostruiti  secondo  un  concetto  orga- 
nico e  cronologico  insieme,  i  documenti    del  pensiero. 


(1)  È  unMmi)ressione  personale  che  ho  avuto  nel  vedere  appunto 
un  cosiffatto  lavoro  —  fondamento  a  un  saggio  sulla  critica  letteraria 
del  Carducci —  compiuto  molto  lodevolmente  l'anno  scorso,  e  spero  presto 
inil)l)licato,  da  una  mia  scolara,  la  signovina  Tral>audl-Foscarini. 


GIOSUÈ   CARDUCCI  201 

del  metodo,  del  lavoro  storico  del  grande  scrittore. 
Compariscono  nel  primo,  coi  celebri  Discorsi  sulla  let- 
teratura nazionale,  e  con  altri  cui  torneremo,  le  Re- 
ìazioni  lette  nelle  adunanse  generali  (1866-1873)  della 
R.  Dej)utazione  su  gli  studi  di  storia  patria  per  le  Pro- 
vincie di  Eomagna.  Più  avanti  nella  Serici  (voli.  V, 
A^II,  XI)  si  hanno  i  Bendieonti  fatti  alla  Deputazione 
medesima:  molte  e  varie  scritture  di  argomento  anche 
archeologico  (seguendo  gli  autori  e  le  opere  di  che  ri- 
feriscono) percorrenti  per  lungo  e  per  largo  il  campo 
della  storia  romagnuola.  E  la  Deputazione  romagnuola 
deve  ben  onorarsi  di  avere  in  una  scrittura  del  Car- 
ducci un  riassunto  della  propria  storia  per  il  dodicen- 
nio 1860-1872:  scrittura  veramente  esemplare  di  diligenza 
ed  eleganza,  che  si  chiude  così  (Opere,  VII,  91)  :  «  può 
«  esser  vero  che  in  Italia  si  faccia  poco,  ma  pur  troppo 
«  è  certo  che  più  accalorato  a  lamentare  e  gridare  che 
«  nulla  si  faccia  è  chi  fa  meno  o  solo  affaccendasi  in 
«  ozio  faticoso  a  far  quello  che  dovrà  poi,  per  il  me- 
«  glio,  disfarsi.  La  Deputazione  romagnuola  per  la  storia 
«  patria,  nelP  ordine  dei  suoi  studi,  per  questi  dodici 
«  anni  così  pieni  di  fatti  strepitosi  e  di  quelle  fortu- 
«  uose  vicende  che  sogliono  togliere  a  simili  studi  la 
«quiete,  l'attenzione,  l'incoraggiamento,  ha  seguitato 
«  in  modesto  silenzio  a  fare  ciò  che  doveva  e  poteva; 
«  ne  teme  il  giudicio  degli  intendenti  e  discreti  ».  E 
dei  suoi  Rendiconti  disse  (Opere,  V,  Avv.  II)  :  «  Di  questi 
«  i  miei  dolci  nemici  d'allora  dicevano  esser  le  sole  cose 
«  passabili  mie  e  che  io  facevo  bene  soltanto  il  segre- 
«  tarlo.  Ai  giudizi  dei  nemici  vuoisi  avere  sempre  la 
«  debita  osservanza  ». 

Egli  ben  mostrò  la  sua  stima  e  la  sua  riconoscenza 
ai  colleghi,  che  lo  vollero,  dopo  il  Gozzadini,  e  onorarono 
Presidente  della  Deputazione  (Opere,  XII,  pp.  577  sg.); 
bene  additò  il  valore  delle  industri  fatiche  collegiali 
onde   la   storia   della    regione    si    nobilita  e  si   allarga 


2U2  NECROLOGIA 

nella  storia  della  patria  (ibid.,  e  cfr.  V,  382):  noi  ammi- 
riamo il  tesoro  della  sua  dottrina,  il  decoro  e  la  co- 
scienza del  suo  lavorare,  che  gii  faceva  respingere  ri- 
chieste e  occasioni  di  improvvisare  :  «  A  tale  rispetto 
«  per  l'arte  o  meglio  per  l'officio  dello  scrivere,  non  so 
«  di  esser^  venuto  mai  meno  :  né  v'  è  cosa  che  più 
«  m' olfenda  del  sentirmi  schiaffar  su  '1  viso  proposizioni 
«  come  queste:  Qualunque  cosa,  pur  che  sia,  ci  basta. 
«  Ah,  signori  miei  :  se  basta  a  voi,  non  basta  a  me  ». 
(Opere,  IV,  43). 

Comunque  e  dovunque  scrisse  o  lesse  o  parlò,  non 
venne  mai  meno,  infatti,  alla  sua  dignitosa  coscienza  e 
netta  :  nello  Studio,  nel  Comune,  nel  Senato,  a  uditori 
dotti  o  di  popolo  ;  preciso,  sicuro,  quasi  minuto  talora, 
nel  ricercare,  raccogliere  e  preparare  ;  bibliografo  amo- 
rosissimo, erudito  de'  i^iìi  severi,  sicché  certi  tratti  di 
sue  scritture  ci  farebbero  forse  dimenticare  lui  j^oeta, 
se,  con  qualche  scatto  e  volo,  il  poeta  non  balzasse  e 
si.  levasse  su  nelle  alte  regioni  note  alla  sua  ala,  pur 
tra  un'  indagine  e  una  discussione,  una  variante  e 
una  data  ! 

Al  saggio  Di  alcune  condizioni  della  presente  lette- 
ratura, che  riproduceva  in  parte  il  discorso  proemiale, 
de'  primi  del  '51),  al  periodico  II  FolizianOj  pone,  nel 
ristamparlo  nelle  Opere  (voi.  II),  la  seguente  postilla: 
«  Xè  ho  cosa  da  emendare  per  ora,  salvo  che,  ove  ai 
«  dotti  della  scuola  romantica  è  data  lode  dell'  avere 
«  introdotto  primi  nella  storia  lo  studio  delle  condi- 
«  zioni  dei  popoli,  vuoisi  dire  per  giustizia  che  cotesta 
«  idea  d'un  sì  fatto  rinnovamento  storico  non  mancò 
«  nel  secolo  passato.  Il  Voltaire,  che,  vogliasi  o  non 
<^  vogliasi,  è  uno  dei  padri  della  filosofìa  della  storia, 
«  scriveva  al  march.  D'Argenton  (26  janv.  1740):  "  On 
«  n'a  fait  que  l'histoire  des  rois,  mais  on  n'a  point 
«  fait  celle  de  la  nation.  Il  semble  que,  pendant  (jua- 
«  forze  cents  ans,  il  n'y  ait    eu    dans    les    Gaules  (|ue 


(UUSUE   CARDUCCI  203 

^<  (les  rois,  (le8  miiiistres,  et  des  généraux  :  mais  nos 
«  moeurs,  nos  lois,  nos  coutumes,  notre  es^n-it  ne  sont- 
«  ils  (Ione  rien?  „  »  (II,  509).  E  discorrendo  nel  saggio 
delle  due  scuole  che  tenevano  il  campo  delle  lettere, 
scriveva  (pp.  488  sg.):  «  ....  la  prima  precede  di  i)OCO  e 
«  s'accompagnò  e  seguì  poi  alla  rivoluzione  delP89  e 
«  tra  l'Altieri  che  cantò  Parigi  sbastigliata,  e  il  Niccolini 
«  che  in  Xabucco  adombrò  Napoleone,  ella  ebbe  poeti 
«  il  Parini  il  Monti  il  Foscolo  il  Leopardi,  oratore  il 
«  Giordani,  filologo  il  Perticar i,  filosofi  e  statisti  il  Gioia 
«  ed  il  Eomagnosi,  storici  il  Botta  e  il  Colletta....  ».  Ma, 
rilevava,  non  sentì  il  popolo  che  è  tanto  grande  cosa  : 
pur  ebbe  essa  «  gran  segno  di  temperamento  artistico, 
«  spedito  e  sicuro  il  movimento  del  pensiero  e  nerA^osa 
«  e  netta  l'espressione,  che  raccoglie  e  condensa  in  un 
«  raggio  vigoroso  la  luce  dell'idea,  non  la  oscura  né 
«  la  illanguidisce  dissipandola  e  rifrangendola  ».  Tale 
in  lui,  di  già,  sin  da  (luei  giovani  anni  (vien  fatto  di 
osservare),  pensoso  erudito  e  poeta! 

E  dell'  altra  scuola  così  giudicava  :  «  Contro  alla 
«  scuola  del  rinnovamento  classico....  insorse  la  scuola 
«  romantica....  la  scuola  della  quale  è  poeta  maggiore 
«  Alessandro  Manzoni  a  cui  seguono  il  Grossi  ed  il  Pel- 
«  lieo,  della  quale  è  critico  pure  il  Manzoni  e  un  illustre 
«  vivente  (A.  Tommaseo),  sono  storici  il  Balbo,  il  Troya  e 
«  anche  un  A'ivente  illustre  (G.  Capponi),  filosofi  il  Gio- 
«  berti  e  il  Kosmini  ».  E  detto  degli  altri  suoi  pregi,  sog- 
giungeva: «  ed  anche  nella  storia,  avvezza  da  lungo 
«tempo  a  registrare  solo  i  trionfi  e  le  catastrofi  dei 
«  potenti  furono  le  condizioni  del  popolo  nei  vari  secoli 
«  messe  in  chiaro  e  sottilmente  disaminate  dagli  eruditi  di 
«  (juesta  scuola  :  il  che  forse  le  torna  a  maggior  lode  che 
«  non  l'attribuirle  intieramente  il  risorgimento  della  cri- 
«  tica  storica,  che  non  sarebbe,  parmi,  vero  all'in  tutto  ». 

Sperava  in  una  restaurazione  dell'arte  e  della  poesia 
che  non  poteva  esser  però  fatta  da  conservatori  gretti 


204  NECROLOaiA 

o  da  novatori  sconsigliati,  e  si  dimandava:  quando? 
«  Voler  determinare  il  momento  sarebbe  andacia.  Ma 
«  forse  non  prima  che,  ricostituite  le  nazioni  nei  loro 
«  confini  e  definita  la  questione  politica,  un'altra  sia  per 
«  inaugurarsene  non  meno  necessaria  e  ben  più  ampia 
«  ed  umana.  A  cotesta  arte,  forte  come  il  diritto,  severa 
«  come  la  libertà,  raggiante  come  la  ragione,  lasciati  da 
«  una  banda  gP  ideali  del  mondo  che  fu,  sarà  materia 
«  la  realtà  nelPordine  sociale.  "  Incipit  —  diciamo  co  '1 
«  poeta  —  incipit  vita  nova  „.  A  noi  non  sarà  dato 
«  udire  i  solenni  concenti  della  futura  poesia  :  oh  almeno 
«  ci  resti  la  fede,  onde  il  battezzatore  nel  deserto  an- 
«  dava  gridando  —  Preparate  le  vie  »  (II,  495  sg.). 

Giornalista  (un  bellissimo  resocontista ^  come  oggi 
altri  direbbe)  si  fa  per  II  secondo  centenario  di  L.  A. 
Muratori  (voi.  Ili):  è  Pamore  suo,  questa  grande  figura 
di  studioso  e  di  storico,  dei  giovani  e  de'  tardi  anni. 
E  ai  giornali  democratici,  l'antico  collaboratore  della 
Nazione,  si  piacque  molto  di  concedere  scritti,  quando 
le  necessità  delle  molte  battaglie  impegnate  e  il  bisogno 
di  aperte  confessioni  gli  fecero  sentire  il  valore  che  an- 
dava sempre  più  acquistando  l'articolo  di  giornale.  Ed 
egli  che  s'era  trovato  a  dover  difendere  se  e  Popera  pro- 
]3ria  nella  contrastata  ma  vittoriosa  ascensione  trionfale 
(fu  tutto  un  salire  faticoso  sì,  ma  un  salire  senza  mai  una 
ritirata,  verso  la  vetta  del  diruimto  monte  della  gloria), 
ben  trovò  e  colse  l'anima  dell'uomo  nelPopera  di  tanti 
scrittori.  Da  quel  III  volume  si  ripresentano  a  noi, 
con  Goffredo  Mameli,  Emilio  Littré  e  Augusto  Barbier. 
Fervente  gli  durò  sempre,  e  la  professò  con  atto  di 
viva  fede  civile,  l'ammirazione  di  quanti  furono  i  fat- 
tori del  nostro  Risorgimento  :  Garibaldi,  Mazzini,  e  vi- 
cini ad  essi  Mameli  (X,  43),  Saftì  (IV,  350;  XII,  411), 
Alberto  e  Jessie  Mario  (XI,  305;  XII,  171  sg.  ec), 
Bertani  (IV,  469;  XII,  552),  Mamiani  (Froemio  agli 
Scritti  2>oL  di  A.  Mario,  e  altrove),  Giuseppe  Montanelli, 


GIOSUÈ  CARDUCCI  205 

Crispi  (XII,  44(1),  Cesare  Albicini  (X,  314).  Scriveva  di 

aviaria  Teresa  (rozzadini:  « questa  gentildonna  alla 

«  quale  il  derivale  dal  sangue  di  Giovanni  di  Schio  e 
«  di  Dante  Alighieri  e  il  far  parte  di  una  famiglia  che 
«  nel  principio  del  secolo  decimoquinto  negò  dar  tiranni 
«  a  Bologna  non  impedì  essere  ciò  che  oggi  dicesi  una 
«  personalità  ella  stessa:  esempio  notevole  in  questo 
«  continuo  smontare  della  nobiltà  storica  e  sormontare 
«  d'  una  pettegola  democrazia  titolata  »  (IH,  387).  E 
come  volentieri  nelPalta  epica  popolana  romanesca  di 
Cesare  Pascarella  lodava  (III,  442)  il  senso  storico  del- 
V  idealità  eroica  degli  Italia  ìli! 

Xelle  polemiche,  urtando  piccoli  e  grandi  (o  creduti 
grandi),  scorge,  penetra  il  \ì\o  degli  uomini  e  delle  cose, 
con  una  percezione  intensa,  vorrei  dire,  del  momento 
storico  per  cui  passa  —  ed  egli  vorrebbe  sospingerla 
sempre  più  in  su  —  la  storia  d' Italia  ;  più  frustando  che 
accarezzando,  ma  non  restio  mai  a  far  omaggio  ad  uo- 
mini che  ei  stimasse,  pur  d'altro  partito  e  d'altra  fede: 
basti  il  ricordo  di  ciò  che  scrisse  a  Cesare  Cantù  (XI, 
376)  ;  e  ora,  i^erfìno,  il  compiacimento  di  quelli  che  sanno 
il  loro  nome,  comunque  sia  rammentato,  nelle  pagine 
del  meraviglioso  polemista. 

Eiferendosi  alle  prefazioni  che  aveva  dato  alle  rac- 
coltine di  Poesia  melica  e  Lirica  classica,  e  al  volume  di 
Cantilene  e  ballate  (un  libro  che  apriva  tutt'un  orizzonte 
d' arte  e  di  critica),  scriveva  (IV,  48)  :  «  furono  degli 
«  anni  18()8-1870,  il  tempo  per  me  dei  GiamM  ed  epodi. 
«  Chiedo  giustizia.  Ero,  parmi,  calmo  assai  nel  lavoro 
«  e  sereno  nella  critica  storica.  Per  V  opera  artistica  e 
«  politica  mia,  è  un  altro  conto:  non  solo  volevo  ma 
«  dovevo  combattere  ». 

Xello  stesso  volume,  nella  famosa  Critica  e  arte, 
tra  le  molte  e  serie  cose  che  ha  da  sapere  un  critico 
degno,  non  dimentica  di  additargli  la  storia  del  suo  paese; 
e   rivendica   poi   al   poeta  il  diritto  alla  lotta  politica 


206  NECROLOGIA 

(ibid.,  323),  egli  che  il  paese  suo  e  nostro  iiiA  oeò  replica- 
tamente  (I,  187 ;  IV,  330)  cara  e  santa  patria.  Il  suo  pen- 
siero e  sentimento  su  questioni  di  politica,  e  anche  su 
cose  di  storia,  ci  è  serbato  quasi  giorno  per  giorno  nei 
tre  vclumi  (Y,  VII,  XI)  Ceneri  e  faville  (lSò9-ìmi),  dove 
veramente  è  e  sarà  ancora  da  cercare  molto  dell'ardore 
che  raggiò  da  quell'anima  e  che  non  è  coperto,  come 
non  sarà  spento  mai,  dalla  cenere  dell'oblio.  La  pubbli- 
cazione delle  lettere  (già  se  ne  stampano  delle  stu- 
pende e  importantissime)  integrerà  la  conoscenza  del- 
l'anima di  questo  grande,  che  non  ha,  del  resto,  avuto 
gli  avvolgimenti  e  spasimi  interiori  di  anime  dolo- 
ranti o  morbose,  e  ha  confessato  se  stesso  come  il  suo 
Dante  : 

ed  io,  per  confessar  corretto  e  certo 
me  stesso,  tanto  quanto  si  convenne 
levai  lo  capo  a  proferer  più  erto. 

Ohi  esamini  lo  svolgersi  delle  sue  dottrine,  e  le  sue 
conquiste  negli  studi  danteschi  (voli.  I,  Vili,  X),  si 
accorge  subito  quanto  solido  fondamento  ei  vi  ponesse  di 
cognizioni  e  meditazioni  storiche  :  dalla  sintesi  gagliarda 
ed  eloquente  su  L' opera  di  Dante  alle  pagine  su  un 
codice  diplomatico  dantesco;  dallo  scritto  rivelatore  e 
fecondatore  Della  varia  fortuna  di  Dante  all'ultimo  suo 
commento,  solenne  e  nervoso  a  un  tempo,  sulla  can- 
zone Tre  donne  intorno  al  cor  mi  son  venute. 

Dopo  aver  presentato,  con  uno  scritto  de' suoi  più 
belli,  un  buon  libro  di  U.  Pesci  sulla  presa  di  Eoma, 
conchiude  (X,  392):  «  Leggendolo,  a  noi  parve  rivivere 
«  nella  nostra  giovinezza:  della  quale  non  siamo  al  tutto 
«  scontenti,  se  fummo  degnati  a  veder  tanto.  Legga  la 
«  generazione  nuova;  sia  degna  dell'avvenire  ».  E  nel 
volume  medesimo  si  ha  il  breve  discorso  detto  a  Keggio 
d' Emilia  per  il  centenario  del  tricolore  :  ed  è  non  solo 
la  storia,  ma  la  fede,  ma  la  poesia  meravigliosamente 


GIOSUÈ   CARDUCCI  20? 

ertusa  della  bandiera  d'Italia.  Vicino,  lo  scritto  che 
narra  P  episodio  di  Giacomo  Leopardi  deinitato.  Xon 
più  che  di  nome,  come  il  Carducci  ci  narra,  non  senza 
aver  prima  esclamato  :  «  xVnche  lui  !  anche  lui  !  Nessuno 
«  de' grandi  ingegni  di  questo  secolo  sfuggì  dunque  al 
«  dovere  di  partecipare  pur  con  V  opera  alla  rÌA^oluzione 
«  italiana  »  ;  per  concludere,  a  proposito  d' un  decreto 
del  18(>()  emanato  in  Ancona  in  nome  del  re  dal  Com- 
missario generale  della  Marca  per  un  monumento  al 
Leopardi:  «  Come  eravamo  degni  del  gran  nome  d'Ita- 
«  lia  e  che  forza  d' idealità  avevamo  in  que'  giorni 
«  gloriosi  !  ». 

Alla  sua  profonda  coscienza  di  storico  e  d'italiano 
sembrava,  perciò,  compiere  opera  patriottica  non  solo 
benaugurando  all'impresa  degnissima  della  Dante  Ali- 
ghieri, ma  assumendo  in  Senato  la  difesa  delle  scuole 
medie  classiche.  Agii  adunati  nel  Convegno  fiorentino 
del  1905  telegrafava  :  «  Sono  d'accordo  con  voi  nel  di- 
«  fendere  con  la  Scuola  Classica  la  ragion  d'essere  della 
«  coltura  italiana  nella  civiltà  ». 

E  per  guardare  anche  ad  un  altro  volume,  notiamo 
che  ci  si  profilano  innanzi  e  Garibaldi  —  quale  lo  animerà 
poi  in  pagine  immortali  —  e  Guglielmo  Oberdan  (XII, 
11^3;  235  sg.),  e  Giuseppe  Montanelli,  nel  cui  elogio  si 
leggono  queste  memorabili  parole:  «  bisogna  cavar  di 
«  testa  all'Europa  che  l'Italia  sia  un  mercato  di  ciancie, 
«  che  l'italiano  sia  un  popolo  il  quale  non  crede  in  nulla, 
«  non  in  se,  non  nelle  sue  forze,  non  nel  suo  avvenire. 
«  IHitt'altro  !  In  Italia  i  grandi  caratteri  che  sono  gii 
«  Dei  termini  della  storia  nazionale  sono  tutti  caratteri 
«  di  fede.  Per  noi  la  fede  della  religione  si  chiama 
«  Dante  Alighieri  ;  la  fede  dell'  avventura  si  chiama 
«Cristoforo  Colombo;  la  fede  dell'arte  si  chiama  Mi- 
«  chelangelo  Buonarroti  :  la  fede  della  scienza  si  chiama 
«  Galileo  Galilei;  la  fede  della  politica  si  chiama  Giu- 
«  seppe  Mazzini  »  (ibid.,  393). 


208  NECROLOGIA 

Quanto  sapesse  poi  mettere  a  profitto  la  sua  cul- 
tura storica  a  intendere  nel  Einascimento  in  fiore  e 
declinante  l' opera  e  P  arte  dell'Ariosto  e  del  Tasso,  ci 
mostrano  i  saggi  accolti  nel  decimoquinto  a  olume. 


Ben  aveva  letto  nel  Foscolo  le  parole  ammonitrici: 
«  O  Italiani,  io  vi  esorto  alle  storie,  perchè  niun  popolo 
«  più  di  voi  può  mostrare  ne  più  calamità  da  compian- 
«  gere,  ne  più  errori  da  CAitare,  né  più  virtù  che  vi 
«  facciano  rispettare,  né  più  grandi  anime  degne  di 
«  essere  liberate  dalla  obblivione  da  chiunque  sa  che  si 
«  deve  amare  e  difendere  ed  onorare  la  terra  che  fu 
«  nutrice  ai  nostri  padri  ed  a  noi,  e  che  darà  pace  e 
«  memoria  alle  nostre  ceneri  ».  E  pur  dal  Foscolo  pro- 
cedeva non  solo  qualche  atteggiamento  della  critica  e 
dell'arte  del  Carducci,  ma  anche  la  sua  civile  eloquenza, 
della  quale  appunto  le  prose  foscoliane  e  mazziniane 
tanto  ci  sembrano  sfjesso  sorelle.  Con  più  minuta  analisi 
degli  elementi  costitutivi  de'  suoi  lavori  storici,  si  Ter- 
rebbe, credo,  ad  accorgersi,  che  il  Carducci  molto  meno  si 
appropriò  i  caratteri  della  critica  storica  straniera,  come 
non  si  volse  troppo  alla  considerazione  filosofica  o,  di- 
ciamo pure,  sociologica  delle  vicende  umane,  sicché  più 
vasto  deve  sembrare  l'orizzonte  apertosi,  e  prima  e  dopo, 
ad  altri  storici  e  filosofi.  Il  fondo  della  sua  cultura  é  una 
larga  e  industre  e  sincera  erudizione,  su  cui  lo  scrittore,  e 
spesso  il  poeta,  inalzano  il  proprio  edifizio.  Erudizione 
degna  veramente  di  questo  nome;  non  volubilità  e  super- 
ficialità bibliografica,  da  ostentarsi  dalla  cattedra  o  dalle 
coacervate  note  di  un  libro  (di  questa  facile  e  presun- 
tuosa cultura  egli  mostrò  tutto  il  suo  dispregio);  mirabile 
lavoro  d'una  vita  tutta  piena  di  pensiero  e  di  lavoro: 
da  meravigliare  che  il  tempo  gli  sia  bastato  per  produr 
tanto,  per  insegnar  tanto,  ed  essere  sempre  fra  i  disce- 


(4I0SUÈ   CARDUCCI  209 

poli  suoi  fatti  maestri  non  solo  il  ]VIaestro  dell'arte  ma 
(Iella  dottrina  letteraria.  Dalla  buona  tradizione  toscana, 
dunque,  degli  studi  storici,  dalla  migliore  eloquenza  ci- 
vile, egli  viene  svolgendosi,  e  là  si  impernia,  quasi  direi, 
con  la  sua  anima  lìera  e  veggente  di  democratico  e  di 
poeta.  Coloro  che  dell'oi3era  sua  di  storico  volessero  giu- 
dicar troppo  presto  che  fu  opera  di  poeta,  non  hanno  che 
a  riflettere  quanto  si  deve  ricordare  che  egli  è  storico, 
e  quanto  saper  di  storia,  per  volere  intendere  lui  poeta  ! 
Con  anima  poetica,  ben  è  vero,  sentì,  e  fu  fortuna 
dell'arte  storica,  le  ragioni  ideali  della  storia;  e,  mo- 
vendo dalla  tradizione  per  il  metodo,  spinse  l'ala  della 
fantasia  ai  sogni  dell'avvenire.  80I0  un  poeta  ci  A^oleva 
per  possedere  cpiel  senso  sacro  delle  origini  della  nostra 
gente  e  della  nostra  storia  ;  per  circonfondere  di  tanta 
luce  la  veneranda  imagine  di  Eoma;  dell'antica  Eoma 
e  di  Eoma  rivendicata . all'Italia.  Da  che  Dante,  riassu- 
mendo quasi  tutta  la  venerazione  che  il  medioevo  pur 
continuò  a  nutrire  per  P  Urbe,  avea  scritto  :  «  E  sono  di 
«  ferma  opinione  che  le  pietre  che  nelle  mura  sue  stanno 
«  siano  degne  di  reverentia;  e  '1  suolo  dov'  ella  siede 
«  sia  degno,  oltre  quello  che  per  gli  uomini  è  predicato 
«  e  provato  »,  altri  fremiti  devoti  avevan  pervaso  le 
anime  del  Petrarca,  dell'Alfieri,  del  Mazzini,  de^  caduti 
nelle  giornate  di  Roma  che  veramente  furono  la  genesi 
della  nazione  (A  comm.  di  G.  Mameli,  Oi).  X,  45  sg.);  e 
la  religione  e  la  poesia  di  Eoma  sono  tra' sentimenti  più 
profondi,  tra  le  piìi  alte  ispirazioni,  di  Enotrio  romano  : 

Salve,  dea  Roma!  Chinato  a  i  ruderi 
del  Fòro,  io  seguo  con  dolci  lacrime 
e  adoro  i  tuoi  sparsi  vestigi, 
patria,  diva,  santa  genitrice. 

Son  cittadino  per  te  d'Italia, 
per  te  poeta,  madre  de  i  popoli, 
clie  desti  il  tuo  spirito  al  mondo, 
eli  e  Italia  improntasti  di  tua  gloria. 

Arch.  Stoe.  Ir.,  5.'  Serie.  —  XXXIX.  14 


210  NECROLOGIA 

E  il  medesimo  alto  Q,dii\to  Nell'annuale  della  fonda- 
zioni' di  lioma  proclama: 

e  tutto  clje  al  inondo  è  civile, 
grande,  augusto,  egli  è  romano  ancora. 

Coiigiimto  poi  all'avanzamento  della  cultura  sto- 
rica è  quello  delP  arte  della  sua  prosa.  È  già  un  maturo 
scrittore  l'autore  dei  Discorsi  sulla  letteratura  nazionale 
(1 808-7 1);  ma,  a  grado  a  grado,  più  varia  e  vigorosa  si  fa 
la  parola  del  prosatore  :  il  quale,  sul  felice  fondamento 
idiomatico,  la  natività ,  com'ei  diceva  parlando  della 
sua  prosa  (lY,  45),  sullo  strato  della  miglior  tradizione 
classica  creerà  le  pagine  ora  solenni,  ora  commosse,  ma 
agili  e  solide  sempre,  dei  discorsi,  delle  dissertazioni, 
delle  polemiche,  guadagnando  allo  stile  storico,  per  dir 
solo  di  questo,  una  ricchezza  e  una  novità  di  linguaggio 
imaginoso,  che  diventano  subito  un  pericolo  per  i  grami 
imitatori,  come  sono  state  una  conquista  lodevole  e 
largamente  diffusa  di  colore  e  calore,  d'anima,  insomma, 
nelle  trattazioni  della  materia  erudita.  E  nulla  di  più 
lontano  e  di  più  ripugnante  dalla  maniera  accademica, 
vecchia  e  nuova,  che  il  lavoro  e  l'arte  di  questo  grande 
devoto  della  storia  e  allo  studio  della  storia  immuta- 
bilmente fedele,  tra  il  fluttuare  dei  sentimenti  e  l'aleg- 
giare de'  fantasmi  che  sommossero  il  cuor  del  poeta. 
Così  il  Carducci  storico  è  stato  di  quelli  che  fan  progre- 
dire la  storia  ed  entrano  trionfanti  nel  dominio  dell'arte: 
critico,  che  fa  insieme  opera  di  dottrina  e  di  creazione. 

Circa  poi  alle  sintesi,  ossia  vedute  e  ricostruzioni 
organiche,  che  abbondano  nelF  opera  carducciana,  dob- 
biamo avvertire  che  esse  hanno  molti  dei  pregi  onde  è 
singolare  la  critica  letteraria  del  De  Sanctis  (cui  il 
Carducci  non  mostrò  sempre  tutta  l'estimazione  che 
pur  dovette  averne)  :  e  la  somiglianza  si  potrebbe  forse 
spiegare,  oltre  che  per  la  potenza  dei  due  ingegni  critici, 
per    la    derivazione    stessa    che  —  per   vie  diverse  — 


(41USUE   CARDUCCI  211 

aA'e^'alK)  dal  Foscolo.  In  ogni  modo,  è  avvenuto  (come 
fu  ben  osservato)  che  dal  lievito  artistico  della  critica 
{Storica  carducciana,  che  riesce  per  la  fòrza  suggestiva 
dell'eloquenza  e  della  fantasia  a  preparar  la  temperie 
ove- meglio  si  contempla  e  si  sente  l'opera  dell'arte,  fosse 
preparato  e  quasi  creato  il  momento  storico-  nel  quale 
a  noi,  più  che  ai  contemporanei  veri  del  De  8anctis  o 
del  Carducci,  doveva  rifulgere  di  tutta  la  sua  luminosa 
Atvrità  la  formula  estetica  desanctisiana. 

La  vigoria  del  lavoro  costruttivo,  sintetico,  ani- 
mato dall'  affiato  della  poesia,  si  può  additare  in  più 
saggi  storici  e  storico-letterari  del  Carducci,  il  quale,  se 
non  ci  ha  dato  un  grande  org^anico  libro  di  prosa,  o 
di  dottrina,  o  d'arte,  da  porre  vicino  al  gran  libro  delle 
sue  Foesicy  ci  ha  dati  e  più  libri  e  più  scritti  stupe^idi. 
Anzi  delle  diverse  membra  si  crea  un  corpo  vigoroso  e 
bello  di  opere  sapienti  e  geniali,  armonizzate  nell'unità 
dei  sentimenti,  degli  intenti,  de' modi  o,  come  disse  il 
Carducci,  degli  spiriti  e  delle  forme. 

È  il  frutto  della  laboriosa  vita  di  un  uomo  che 
potè  scrivere  veracemente  (Avvert.  al  V,  Opere;  segnato 
f  gennaio  1891):  «affermo  non  essermi  mai  contrad- 
«  detto.  In  politica,  l'Italia  su  tutto:  in  estetica,  la 
«  poesia  classica  su  tutto  :  in  pratica,  la  schiettezza  e 
«  la  forza  su  tutto  ». 

Tale  e  tanto  scrittore  ci  avvince  e  domina,  perciò, 
come  per  un  fascino  di  armoniose  parole  e  di  altissimo 
sapere  :  e  poche  volte  come  con  lui  sentiamo  di  essere 
in  contatto  con  un'anima  superiore  e  sincera. 


Senza  dire  di  scritti  a  buon  dritto  celebri,  che  han 
carattere  letterario  sì  ma  con  felice  mistura  di  notizie 
e  considerazioni  e  teorie  storiche,  quali  il  Proemio  alle 
Stance  Orfeo  e  lìime  del  Poliziano  (18()3),  i  discorsi  Dello 


212  NECROLOGIA 

svolgimento  della  letteratura  nazionale  (1868-71),  del  lìin- 
novamento  letterario  in  Italia  (1874),  dei  discorsi  (e  chi 
non  li  ricorda,  o,  anche,  ne  sa  qualche  pagina?)  sul 
Petrarca  (1874),  sul  Boccaccio  (1875),  su  Virgilio  (1884), 
su  L^ Oliera  di  Dante;  più  speciale  ricordo  vogliono,  e 
sono  documento  insigne  d'arte  e  di  dottrina  nella  storia 
medievale  e  moderna,  quelli  Fer  la  morte  di  Giuseiìpe 
Garibaldi  (1882),  Fer  V ottavo  centenario  dello  Studio  di 
Bologna  (1888),  Fer  la  lihertà  perpetua  di  S.  Marino 
(1894);  lo  studio  proemiale  alle  Letture  del  lUmrgimento 
italiano,  e  la  j^refazione  (1900)  alla  nuova  edizione  dei 
Rerum  italicarum  scrijdores,  cui  il  Carducci  accordò,  ma 
non  potè  poi  dare  nel  fatto,  la  sua  alta  direzione  :  e 
la  raccolta  restò  affidata  alle  cure  del  prof.  Vittorio 
Fiorini. 

Del  mirabile  discorso  in  morte  di  Garibaldi,  che  è 
una  delle  prose  più  eloquenti  della  letteratura  italiana, 
si  può  dimandare  :  non  è  esso  opera  più  che  di  storico, 
di  poeta,  sicché,  salvo  il  disegno  delle  strofe,  nulla  gii 
manchi  del  ritmo  dell'  epos,  o  della  lirica  pindarica  f 
«  Forse,  tra  il  secolo  vigesimo  quinto  e  il  vigesimo 
sesto...  ».  Eicordate?  Certo  chi  pensò  e  disse  quella  leg- 
genda garibaldina  è  un  grande  poeta  ;  ma  classica  anima 
di  storico  ebbe  anche  chi  tratteggiò  nelle  prime  j)agine 
la  figura  storica  ed  eroica  del  Generale  :  onde  il  poeta 
sentì  subito  fiorire  vicino  alla  storia,  così  A^era  e  così 
magnifica,  il  germe  della  canzone  di  gesta. 

Ben  degno  oratore,  in  lìresensa  del  re,  nella  so- 
lenne commemorazione  ottocentenaria  dello  Studio  di 
Bologna,  il  Carducci,  alla  sua  Università  fino  all'estremo 
affezionatamente  devoto.  Gli  piacque,  anzi,  con  quel 
discorso  aprire  la  raccolta  delle  Opere,  nel  volume  XI 
delle  quali  sono  altri  scritti  sulle  vicende  dell'Università 
bolognese.  L' orazione  carducciana  è  tutta  fondata  sulla 
notizia  e  comprensione  sicura  della  cultura  e  della  storia 
italiana  del  secolo  decimoprimo,  quando  «  i  nostri  mag- 


GIOSUÈ   CARDUCCI  213 

<^  o^iori  furono  degni  di  ritrovare  nella  conciliazione  del 
«  sangue  antico  e  del  nuovo  la  vigoria  italica  ed  il  senso 
<^  romano  ».  Anche  dopo  gli  studi  più  recenti  ed  egregi 
sulla  storia  letteraria  e  giuridica  di  quei  secoli  XI-XII, 
è  memorabile,  (luel  discorso,  non  solo  per  la  prosa,  ora 
grandiosa,  ora  commossa,  ma  i)er  la  sintesi,  tutta  carduc- 
ciana, della  più  antica  storia  dello  Studio  e  della  vita  di 
(luelP  ultimo  nostro  medioevo  con  le  sue  forme  e  ten- 
denze più  significative.  K  si  ricordi  il  belPaccenno  finale 
all'eredità  di  Roma  giuridica,  al  fatai  corso  della  storia 
d' Italia  verso  il  suo  capo,  Roma  ;  e  vi  tornino  a  leg- 
ger bene  ciò  che  ei  vi  scrisse,  anzi  confermò  della  so- 
vranità regale,  quanti  voglian  giudicare  le  cosiddette 
mutazioni  del  pensiero  politico  del  Carducci. 

Da  uno  studio  paziente  ed  assiduo  di  molti  lìhri 
(fraudi  e  iriecoli,  vecclii  e  nuovi,  che  egli  indica  con  la 
consueta  coscienza  bibliografica  {Opere,  X,  325),  gli 
nacque  il  discorso  per  la  libertà  perpetua  di  San  Ma- 
rino :  ma,  più  ancora,  dalla  visione  di  quel  Titano  che 
domina  il  pian  di  Romagna  e  il  mare,  dal  ricordo 
<lelPoperosità  sicura  che  vi  avea  trovato  Bartolommeo 
Borghesi,  dall'aspirazione  antica  e  repubblicana  al  con- 
sorzio di  libera  gente,  lassù  «  dove  per  sollecita  coope- 
«  razione  del  genio  di  razza  con  le  circostanze  della  na- 
<^  tura  e  le  condizioni  dei  tempi,  minata  la  mole  romana, 
«  Dio  A'oUe  si  rifacesse  da  povera  gente  latina  ciò  che  è 
<  anima  e  forma  primordiale  nel  reggimento  del  popolo 
«  italiano,  il  aìco  e  il  pago,  il  castello  e  il  comune, 
«  liberi  ».  La  fisionomia,  diciam  pure,  e  la  significazione 
di  ((uesta  comunità  della  nova  piede  italiana,  credente 
<'  lavoratrice,  dagli  inizi  al  giorno  che  vi  trovò  pane 
e  riposo  (xiuseppe  Garibaldi,  egli  tratteggia,  rileva  con 
stile  possente.  E  a  i  tornino  a  leggere  ciò  che  vi  si  dice 
dell'  idea  dii'ina  quanti  lian  A'oluto  ricordare  a  prefe- 
renzti  —  senza  intendere  ciò  che  siano  la  sincerità  e  la 
cocM'enza  d'un  poeta  e  del  Carducci  —  Vlnuo  a  Satana, 


214  NECROLOGIA 

L'ignoranza  della  storia  del  Risorgimento  il  Car- 
<lueci  rimproverava  agli  Italiani  (cfr.  Opere,  XII,  484  sg.); 
e  pensando  ai  giovani,  alle  scuole,  sua  nobile  cnra  sem- 
pre, apprestò  le  Letture  del  Risorgimento  (1741)-1876), 
le  quali  potrebbero,  dovrebbero,  essere  anche  più  dif- 
fuse e  studiate  per  il  tesoro  di  concetti  storici  e  let- 
terari, di  esempi  trascelti  a  lumeggiare  il  disegno  che 
lo  storico  e  poeta  s'era  formato  con  tante  meditazioni 
e  letture  e  indagini  accuratissipie  :  quarant'anni  di  pace, 
di  riforme,  di  preparazione  (174ì)-17(SJ));  quarant'anni 
di  contrasto,  di  confusione,  di  aspettazione  (1781)- 18*^0); 
quarant'anni  di  ravviamento,  di  svolgimento,  di  risol- 
vimento (1830-1870).  È  onore  della  scuola  italiana,  che 
il  Carducci  pensasse  anche  una  volta  a  lei,  lasciandole 
così  pratico  libro  e  ricordo. 

All'estate  del  1899  rimonta  la  prefazione  alla  ri- 
stampa del  Muratori,  iniziata  animosamente  dall'edi- 
tore S.  Lapi  :  e  su  quelle  pagine  cadde  la  stanca  mano, 
per  non  ritrovar  più  mai  la  potenza  di  secondare  il 
sempre  pronto  e  vigile  intelletto.  Il  Carducci  attese 
all'arduo  lavoro  —  pietra  angolare  d'un  edifìzio  di  regal 
mole  —  con  l'antico  amore  alla  storia  italiana,  per  la 
quale  Aoleva,  augurava  scrittori  che  la  dessero  più 
compiuta  e  progredita  d'arte  e  sapienza  {Opere,  VI,  195; 
XII,  484).  Vi  racconta  come  dei  Berum  italicarum  scri- 
ptores  nascesse  il  disegno  fra  lo  Zeno  e  il  Muratori  ;  come 
questi  ritrovasse  il  senso  dell'importanza  storica  del 
medioevo,  che  avevan  posseduto  primi  i  nostri  nel  Rina- 
scimento, e  più  d' ogni  altro  Carlo  Sigonio  e  Vincenzio 
Borghini;  vi  discorre  della  preparazione  e  cooijerazione 
che  ebbe  l'eroica  fatica  muratoriana,  dopo  aver  toccato 
della  sorte  degli  studi  sull'età  medievale  in  Germania,  in 
Inghilterra,  in  Francia  ;  vi  espone  con  lucida  sintesi  il 
contenuto  della  grande  raccolta  dei  Rerum,  e  narra  delle 
sue  vicende  e  della  sua  fortuna^  con  ricordevoli  giudizi 
sulla  storiografia  italiana  cinquecentista   e  postiMÌore, 


C4I0SUÈ   CARDUCCI  215 

sino  alla  provvida  creazione  dell'Istituto  storico  ita- 
liano. Il  nome  augurale  di  Giosuè  Carducci  raccomanda 
e  protegge  ancora  l'impresa  di  questa  nuova  edizione  del 
tesoro  scavato  dall'infaticabile  Vignolese,  la  quale  è  con- 
tinuata e  sarà  compita  con  perseverante  amore. 

Se  all'opera  di  tanto  Maestro,  si  aggiunga  il  merito 
incontrastato  di  aver  nutrito  lo  spirito  patriottico  (pa- 
rola e  cosa  che  non  potranno  essere  più  mai  moda  che 
passi,  in  Italia),  e  di  aver  voluto  fortemente  creare  uno 
stato  di  coscienza  degno  della  nazione  risorta  ;  se  si 
pensi  che  egli  e  con  l'esempio  d'una  vita  sana  ed  integra, 
e  insegnando  e  rampognando,  sino  all'invettiva  di  forte 
(((ji'ume  dantesco,  donò  tutte  le  migliori  energie  sue  alla 
Patria,  e  le  donò  il  fiore  dell'anima  —  la  sua  poesia  —  ; 
segnando,  reverenti,  del  suo  nome  le  pagine  di  questo 
AnMvio,  sentiamo  che  quel  nome  glorioso  è  già  scritto 
nei  fasti  della  storia  d' Italia. 

A  Lui,  dopo  la  virtuale  suprema  onoranza  del 
tempio  italiano  di  Santa  Croce,  decretatagli  dal  AOto 
unanime  della  Camera  dei  deputati,  la  tomba  affi- 
data all'  amorosa  custodia  della  sua  seconda  i^atria  ;  e 
a  Koma,  aìcìuo  alle  grandi  memorie  e  imagini  che  Ei 
cantò  degli  antichi  e  nuovi  eroi,  il  monumento.  Fi- 
renze sentì  dignitosamente,  e  con  affetto  di  sorella, 
tutto  il  valore  della  nuova  asserzione  di  italianità  che 
si  compiva  glorificando  così  un  altro  grande  Toscano. 

Firenze.  Orazio  Bacci. 


Ci  è  sembrato  opportuno  dare  il  seguente  elenco  cronokjgico 
degli  scritti  del  Carducci  sulla  storia  civile  e  politica,  o  ad  essa 
pii\  strettamente  attinenti  : 

1.  (1859):  Prefazione   al    canto   «  La    Croce   di    Savoia  »,    in 
Opere^  V.      * 

2.  (1861  :  pubblicata    nel    1867)  :  Di    alcune    condizioni   della 
predente  letteratura^  in  Opere  li.  Questa  i^rolusione  riproduce  parte 


216  NECROLOGIA 

di    altro    discorso    introduttivo    al    Periodico   tiorentino    II    Poìì- 
siano^  1859. 

3.  (1861)  :  Fra  Girolamo  Savonarola  e  Santa  Caterina  de^Ricci^ 
in  Opere^  II. 

4.  (1864)  :  Sulla  Storia  di  Grecia  dello  Smitìi  ;  sulla  Storia  di 
Roma  del  Liddel;  sulla  Storia  della  decadenza  e  rovina  delV  impero 
romano  del  Gibbon,  compendiata  dallo  Smith,  in  Opere^  V. 

5.  (1865-1870)  :  Rendiconti  per  la  Deputazione  di  storia  pa- 
tria per  le  provincie  di  Romagna,  in  Opere^  V. 

6.  (1866-1867):  Della  varia  fortuna  di  Dante^  in  Opere^  Vili. 

7.  (1866  a  tutto  il  1873)  :  Relazioni  alla  Deputazione  di  storia 
patria  per  le  provincie  di  Romagna,  in  Opere,  I. 

8.  (1868-1871):  pubblicati  nel  1873:  Dello  svolrfimento  della 
letteratura  nazionale,  Discorsi,  in  Opere,  I.  [Alcune  idee  e  germi  si 
trovano  nel  discorso  d'introduzione  al  periodico  II  Poliziano,  1859: 
un  comi)endio  di  questi  cincpie  discorsi  in  Rivista  italiana  di 
scienze,  ec.  16  ottobre  1865.  Parziali  pubblicazioni  in  Nuova.  An- 
toloffia,  aprile  1870,  gennaio  1872]. 

9.  (1868-1875)  :  Rendiconti  per  la  Deputazione  di  storia  i)atria 
per  le  provincie  di  Romagna,  in  Opere,  VII. 

10.  (1872)  :  Goffredo  Mameli,  in  Opere,  III. 

11.  (1872)  :  Un  anno  dopo  (Digione),  in  Opere,  VII. 

12.  (1872)  :  La  r.  deputazione  di  storia  patria  per  le  provincie 
di  Roma(fna,  dal  1860  al  10  marzo  1872,  in  Opere,  VII. 

13.  (1873)  :   Un  anno  dopo  (Mazzini),  in  Opere,  VII. 

14.  (1873)  :  Napoleone  III,  in  Opere,  VII. 

15.  (1873)  :  Re  Gal  ant  nomi  ni,  in  Opere,  VII. 

16.  (1874)  :  Del  rinnovamento  letterario  in  Italia,   in   Opere,  I. 

17.  (1876)  :  A  commemorazione  di  Goffredo  Mameli,  in  Opere,  X. 

18.  (1876)  :  Per  la  poesia  e  per  la  libertà  :   discorso  agli  elet- 
tori del  collegio  di  Lugo,  in  Opere,  TV. 

19.  (1876-1880)  :  Rendiconti  alla    Deputazione    di  storia  patria 
per  le  provincie  di  Romagna,  in  Opere,  XI. 

20.  (1877)  :  Leone    Gorelli,  Cronache    forlivesi  pubblicate  da 
G.  Carducci,  L.  Frati  e  F.  Guakini,  Bologna,  Tip.  Regia. 

21.  (1879-1882-1883):  Giuseppe  Garibaldi,  in  Opere.  XII. 

22.  (1881):  Levia  Gravia  (pref.),  in  Opere,  IV. 

23.  (1881-1883-1884-1887-1889):  Per  Alberto  Mario,  in  Opere,  XII. 

24.  (1882):  Giambi  ed   Epodi  (pref.),  in  Opere,  IV. 

25.  (1882  marzo):  Decennale  dalla  morte  di  G.  Mazzini,  in 
Opere,  XI. 

26.  (1882  giugno)  :    Per  la   morte  di  G.  Garibaldi,  in  Opere,  I. 


GIOSUÈ   CARDUCCI  217 

27.  (1882-1883-188H)  :  (hKjlielmo  Oberdau,  in  Opere,  XII. 

28.  (1888):    Caìididatnre     Fììopauti  -  Cnvallotii  -  Veniurini,    in 
(fpere,  XII. 

29.  (1888):  Gli  Alcramic'u  nella  Xuora  Aììtolo(/ia,  dicembre  1888. 

80.  (1884):  Ca-ira,  in  Opere,  IV. 

81.  (1886  maggio):  Affli  elettori  del  colle<iio  di  Pisa.  Lettera  e 
<li.<i'orso,  in  Opere,  IV. 

82.  (1888)  :  Giuseppe  Pacchioni,  in  Opere,  XII. 

83.  (1888)  :  Affostino  Bertani,  in  Opere,  XII. 

81.  (1888  gennaio)  :  IJopera  di  Dante,  in  Opere,  I. 

?>ò.  (1888  giugno)  :  Lo  Studio  di  Bologna,  in  Opere,  I. 

86.  (1888-1897-1899)  :  Vicende  dello  Studio  bolognese  durante  il 
governo  delle  Romagne  e  il  regno  d'Italia,  in  Opere,  XI. 

87.  (1890)  :  Aurelio  *SV/.^',  in  02?ere,  XII. 

'^^.  (1891):  In  commemorazione  di  Cesare  Albi  ci  ni,  in  Opere,  X. 
89.  (1892  luglio)  :  .4  Fucecchio,  in   un  banchetto  per  G.  Monta- 
nelli, in  Opere,  XII. 

40.  (1892-1896  e  1899)  :   Franeesco  Crispi,  in  Opere,  XII. 

41.  (1894   settembre):    La    libertà  perpetua    di   S.    Marino,   in 
Opere,  X. 

42.  (1895)  :  Giuseppe  Avezzana,  in  Opere,  XII. 
48.  (1895)  :  XX  Settembre,  in  Opere,  X. 

44.  (1896)  :  Letture  del  Bisorgimento,  in   Opere,  XII. 

45.  (1896)  :  Del  Bisorgimento  italiano,  in  Opere,  XVI. 

46.  (1896)  :  Giacomo  Leopardi  deputato,  in  Opere,  X. 

47.  (1897)  :  Ber  il  tricolore,  in  Opere,  X. 

48.  (1897):  Ludovico  Berti,  in   Oj)er^,  XII. 

49.  (1897):  Programma  ])er  letture  di  argomento  ]>atriottic<>.  in 
Opere.  XI. 

50.  (1897)  :  Ber  Candia,  al  Senato,  in  Opere,  XI. 

51.  (1899)  :  Scritti  politici  di  A.  Mario  a  cura  e  con  proemio 
di  G.  Carducci,  Bologna,  Zanichelli. 

52.  (1900):  Di  Lodovico  Antonio  Muratori  e  della  sua  raccolta 
di  sforici  italiani  dal  500  al  1500,  in  Opere,  XVI. 


Può  giovare  anclie  (e  sia  pur  questo  un  segno  di  riverenza 
alla  grande  memoria)  la  notizia  dei  volumi  deW Archivio  nei  quali 
è  menzione  di  opere  e  cose  carducciane  : 

Ser.  IV,  tomo  1.  ])ag.  146:  C.  Cantù,  Cenno  bibliografico  sulle  Cro- 
nache Forlivesi  di  Leone  Cobelli,  i)ub- 
blicate  da  Carducci,  Frati  e  Guarini 
(Bologna,  1877). 


218  NECROLOGIA 

Ser.  IV,  tomo  VII,  pag.  292:  Cenno  snlle  lettere  del  Guerrazzi,  pubbli- 
cate dal  Carducci  (Livorno.  1880). 

Ser.   V,  tomo  I,  p.ag.  139:  Menzione   della   nomina    del    Carducci  a 

Presid.  della  Dep.  di  St.  Patria 
per  le  prov.  di  Romagna. 

Ser.  V,  tomo  II,   pag.   408:  A.   Del   Vecchio,   Cenno  bibliogratìco 

sul  discorso  del  Carducci,  Lo  Stu- 
dio Bolognese. 

Ser.  V.  tomo  XXVI,  pag.  335:  Cenno  sull'7»/ror7y/c/o«e  alla  ristampa 

dei  Iterimi  itaUcarum  scripiores. 

Ser.  V,  tomo  XXVII,  pag.  422:  Ricordo  delle  onoranze  rese  al  Car- 
ducci pel  40."  anniversario  del  suo 
insegnamento  universitario,  e  No- 
tìzia del  fascicolo  a  lui  dedicato 
dalla  Tììrìsia  (Vita Ha  (maggio  1901). 


NOTIZIE 


Teodoro    von    Sickel. 

Nella  vita  di  Teodoro  von  Sickel,  del  (^iiale  gli  scolari  e  gli 
scienziati  di  tutta  la  Germania,  il  18  decenibre  del  1906,  festeggia- 
rono l'ottantesimo  anno  (1),  si  distinguono  in  modo  caratteristico  i 
periodi  di  tempo  che  egli  passò  a  Berlino  e  a  Parigi  (1850-55),  a 
Vienna  (1856-1890)  e  a  Roma  (1890-1902).  Gli  anni  trascorsi  in  Austria 
e  in  Italia  furono  fecondamente  operosi  :  erano  stati  anni  di  studio 
indefesso  quelli  trascorsi  in  Germania  e  in  Francia.  Il  prolungato 
ed  intimo  contatto  che  ebbe  collo  spirito  latino,  insieme  colla  severa 


(1)  Intorno  alle  feste  che  si  fecero  in  questa  occasione  si  può  vedere 
l'opuscolo  intitolato:  Festeggiamenti  per  V80'^  anno  di  Teodoro  r.  Sickel 
(Stampato  come  manoscritto).  In  appendice  vi  si  recano  :  V  indirizzo  degli 
scolari  presentato  in  Merano  allo  stesso  Sickel  dall'  attuale  presidente 
deir  «  Istituto  per  le  ricerche  sulla  storia  austriaca»  prof.  E.  v.  Ottenthal  ; 
o^r  indirizzi  della  Facoltà  filosofica  di  Vienna,  della  Direzione  centrale 
dei  Monumenta  Germaniae  e  dell'Accademia  di  Vienna,  nonché  (piello, 
splendido  per  la  forma,  della  Commissione  storica  dell'Accademia  Bava- 
rese, di  cui  il  Sickel  ha  la  presidenza  fin  dal  1902.  L'opuscolo  è  formato 
non  soltanto  dal  catalogo  di  tutte  le  lettere  pervenute  in  (piella  circo- 
stanza, fra  le  quali  si  trova  pure  rappresentata  F Accademia  de' Lincei  di 
lìoma,  ma  anche  dal  discorso  solenne  con  cui  Oswald  Redlich,  il  18  di 
decembre,  rilevò  l'importanza  del  Sickel  come  erudito  e  come  maestro; 
(?  dalle  parole  che  pronunziarono  i  rappres'Mitanti  dei  rami  più  svariati 
delle  scienze  giuridiche,  politiche  ed -archivistiche,  per  rendere  omaggio 
air  operosità  feconda  spiegata  in  tutti  i  campi  dal  Sickel. 

Giuntaci  troppo  tardi  notizia  delle  onoranze  tributq,te  al  Sickel  in 
occasione  dell'  80°  suo  anniversario,  non  potemmo  inviare  allo  storico 
insigne  le  espressioni  del  nostro  ossequio.  \j  Archivio  Storico  Italiano, 
interpretando  anche  i  sentimenti  della  E.  Deputazione  Toscana  di  Storia 
Patria,  clie  si  gloria  di  annoverare  il  Sickel  fra  i  suoi  Soci,  e  della  Scuola 
di  Paleografia  e  Diplomatica  di  Firenze,  che  prosegue  con  ogni  cura  la 
via  da  Lui  tracciata,  si  associa  ora,  con  tutto  il  cuore,  alle  manifestazioni 
di  stima  e  di  riconoscenza  al  grande  Maestro,  cni  porge  fervidissimi  auguri. 

Li    DlREZIONK. 


220  NOTIZIE 

disciplina  propria  delle  università  tedesche,  infiui  proficuamente  nel 
formarne  la  educazione.  La  sua  attività,  che  doveva  svolgersi  prin- 
cipalmente a  Vienna,  tanto  agli  inizi  quanto  nella  sua  fine  gloriosa, 
si  riannoda  all'Italia. 

Le  sue  prime  grandi  ricerche  archivistiche,  intraprese  per  conto 
proprio,  e  poi  per  commissione  del  governo  francese,  intorno  alle 
relazioni  tra  la  Francia  e  l'Italia,  si  estesero  agli  archivi  dell'Italia 
superiore.  Tra  i  frutti  di  quelle  ricerche  ricorderemo  qui  solo  il  la- 
voro sul  Vicariato  dei  Visconti.  Presso  l'archivio  di  Milano  il  Sickel 
frequenti)  il  corso  di  paleografìa  che  vi  si  faceva  alla  scuola  di- 
retta dal  Cossa  e  dal  Ferrarlo.  Xè  parola  di  maestro  potè  trovar 
mai  terreno  più  adatto. 

Il  Sickel  cercò  più  tardi  di  mostrare  la  sua  gratitudine,  promo- 
vendo ed  aiutando  anche  colla  propria  attività  la  pubblicazione  dei 
facsimili  (ile' Diplomi  reali  ed  imperiali  delle  Cancellerie  d'Italia, 
opera  grandiosa  rimasta  purtroppo  incompiuta.  Ciò  fu  al  tempo  del 
suo  nuovo  ritorno  in  Italia;  quando,  dopo  l'apertura  degli  Archivi 
Vaticani,  alla  quale,  com'è  noto,  ebbe  pure  la  sua  parte,  cambiò  la 
direzione  iìéìV Istituto  fondato  in  Vienna  p)er  le  ricerche  sulla  storia 
austriaca  con  quella  deìV Istituto  austriaco  di  sttidi  storici  in  Boma, 
cooperando  ai  lavori  grandiosi  resi  ormai  possibili  dall'apertura  di 
quell'insigne  archivio,  che  è  miniera  inesauribile  per  la  storia  di  tutte 
le  nazioni.  Ma  anche  nel  frattempo  il  Sickel  era  stato  in  continui 
rapporti  colla  storia  e  cogli  storici  d'Italia,  se  non  altro  colla  pub- 
blicazione de' Diplomi  degli  Ottoni  per  i  Monumenta  Germaniae. 

Non  tenendo  conto  de' lavori  minori  (1),  egli  contribuì  efficace- 
mente alla  storia  del  Papato  con  tre  grandi  pubblicazioni:  l'edizione 
del  Liber  diurnus,  il  Privilegio  di  Ottone  I per  la  Chiesa  romana  e  i 
Documenti 2i€r  la  storia  del  Concilio  di  Trento.  Su  quest'ultimo  campo 
tornò  poi  a  lavorare  quando  fu  Direttore  dell'  Istituto  romano. 

Ma  io  non  voglio  qui  diffondermi  sulle  relazioni  del  Sickel  col- 
r Italia;  giacché  per  questa  parte  non  potrei  forse  dir  cose  nuove  ai 
lettori  deW Archivio  storico  italiano.  Né  darò  un  giudizio  completo 
su  tutti  i  suoi  lavori,  analizzandoli  partitamente,  enumerando  i 
successi  che  riportò,  le  onorificenze  che  gli  pervennero  da  parte 
de' vari   governi    e  corpi  scientifici.  Piuttosto  mi  proporrò  (2)  di  ri- 


Ci)  Ad  es.,  L'Itinerario  di  Ottone  II  nelVanno  9S2  (Estr.  dnUArcli. 
della  Soc.  Bom.  di  St.  Patria,  voi.  XI).  Roma,  1876. 

(2)  Mi  servirò  qui.  per  la  maggior  parte,  delle  ])arole  che  pronunziai 
neir  occasione  della  festa  in  onoro  del  Sickel  fatta  al  Circolo  degli  Sto- 
rici in  Vienna. 


NOTIZIE  221 

spondere  alla  domanda  :  (love  sta  il  segreto  di  questi  successi?  e  in 
che  cosa  consiste  questa  forte  personalità? 

Secondo  il  mio  giudizio,  in  lui  si  riunirono  due  qualità  singo- 
lari, che,  rare  per  sé  stesse,  tanto  più  raramente  si  trovano  accop- 
piate in  uno  stesso  erudito.  Il  Sickel  appartiene  a  quegli  uomini 
che  non  solo  forniscono  alla  scienza  nuove  cognizioni  e  nuovi  me- 
todi, ma  sanno  anche,  da  creatori  ed  organizzatori  che  sono,  in- 
trodurre nella  pratica  scientifica  le  nuove  conquiste  ottenute. 

È  caratteristico,  a  mo' d'esempio,  quello  che  egli  fece  iiel  campo 
della  Paleografìa.  La  causa  prima  del  progresso  di  questa  disciplina 
negli  ultimi  cinquant'anni  si  ebbe  certo  nella  fotografia  e*  negli  altri 
processi  di  riproduzione  che  si  basano  su  quella.  Ora  chi  fu  il  primo 
a  trarre  dalla  fotografia  tutto  ciò  che  essa  ci  poteva  dare  in  modo  siste- 
matico e  in  grande  misurai  Fu  il  Sickel  coi  suoi  Monumenta graphica 
meda  aevi  cominciati  già  nel  1859.  Ma  la  cosa  si  rende  anche  più  evi- 
dente nel  campo  della  Diplomatica.  I  criteri  fondamentali  su  cui  il 
Sickel  basò  la  dottrina  moderna  de' diplomi  regi  erano  affatto  nuovi, 
come  nuovo  era  pure  tutto  il  suo  modo  di  usare  le  scienze  ausiliarie 
della  storia;  ciò  che  fece  dell'Istituto  di  Vienna  una  scuola  speciale 
ed  unica  nel  suo  genere  per  l'insegnamento  di  quelle  discipline.  Dal 
tempo  dei  PP.  Maurini  in  poi  ben  si  conoscevano  e  si  usavano  in 
Francia,  in  Italia  e  in  Germania  la  Paleografia,  la  Cronologia  e  la 
Diplomatica;  ma  la  loro  pratica  si  perdeva  in  generalità.  Il  Sickel 
vi  portò  la  massima  della  specializzazione.  La  sua  vasta  opera,  gli 
Acta  Carolinorum,  si  restrinse  ad  una  sola  parte  di  quel  campo 
vastissimo  che  offre  la  Diplomatica;  ma  quella  parte  ei  la  esauri. 
Per  tal  modo  gli  riusci  di  rintracciare  i  caratteri  critici,  già  da 
lungo  tempo  cercati,  che  ci  permettono  di  proferire  un  vero  e  sicuro 
giudizio  sulla  autenticità  o  falsità  dei  documenti  imperiali.  Cominciò 
dal  confrontare  tutte  le  scritture  originali  che  ci  restano,  mettendo 
cosi  in  sodo  la  grafia  individuale  de' vari  addetti,  noti  ed  ignoti, 
della  Cancelleria,  ed  ottenendo  un  criterio  sicuro  per  giudicare 
l'originalità  degli  scritti  medesimi.  Perchè  quando,  ad  es.,  si  tro- 
vano tre  Diplomi  di  un  re  Carolingio,  per  tre  monasteri,  uno  in 
Aquitania,  un  altro  in  Italia,  un  altro  in  Baviera,  che  mostrano  la 
stessa  mano,  non  possono  essere  stati  compilati  altro  che  nella  Can- 
celleria stessa;  quindi  non  può  cader  dubbio  sulla  loro  originalità. 
Sarebbe  un  portar  nottole  ad  Atene  se  volessimo  mostrare  come 
dalla  originalità  dei  diplomi,  determinata  in  modo  si  esatto,  potè 
venir  desunta  tutta  la  dottrina  de' caratteri  estrinseci,  tutto  il  proce- 
dimento della  documentazione  e  il  modo  con  cui  era  organizzata  la 
Cancelleria;  come  dai  medesimi  documenti  si  ricavarono  i  formulari 


222  NOTIZIE 

usati  nelle  Cancellerie,  le  particolarità  de' singoli  notari,  il  loro  stile, 
il  contesto  de' foro  atti;  e  come,  finalmente,  dal  paragone  de' testi 
stessi  fu  possibile  distinguere  e  separare  i  diplomi  genuini  dai  falsi, 
ed  in  caso  di  interpolazione,  i  brani  autentici  ed  originali  da  quelli 
che  non  lo  sono,  addentrarsi  a  studiare  le  relazioni  coi  diversi  docu- 
menti che  servirono  di  modello:  in  una  parola  mostrar  la  genesi  e 
lo  sviluppo  degli  atti  medesimi. 

Ma  il  Sickel  non  si  limitò  a  scoprire  nuovi  fatti:  fu  anche  un 
organizzatore  della  scienza:  non  si  contentò  di  gettare  le  basi  della 
nuova  dottrina  della  Diplomatica,  ma  si  accinse  anche  a  costruirla. 
Nell'edizione  de' Diplomi  dal  911  al  1003  pei  Monumenta  Ger- 
maniae  egli,  insieme  cogli  scolari  che  aveva  già  educati,  approfondì 
e  affinò  il  nuovo  metodo;  tantoché  sono  rimasti  modelli  perfetti  per 
la  Diplomatica  medievale  il  disegno  del  suo  lavoro,  pubblicato  nel 
Neues  Arcliiv,  il  modo  con  cui  raccolse  ed  elaborò  il  materiale, 
la  disposizione  e  la  forma  che  seppe  dare  alla  sua  pubblicazione. 
Ed  anche  l'opera  dei  «  Diplomi  imperiali  in  facsimili  »,  pubblicata 
col  Sybel,  è  un'applicazione  del  metodo  del  Sickel  in  un  campo  più 
vasto,  ed  è  apparsa  un  aiuto  eccellente,  così  per  l'insegnamento, 
come  per  le  ricerche  scientifiche. 

Il  Sickel,  pertanto,  può  chiamarsi  il  fondatore  della  Diploma- 
tica moderna.  Tale  onore  egli  condivide  col  Ficker,  ma  il  primo 
luogo  è  suo.  Né  qui  termina  la  importanza  dell'opera  sua. 

Due  sono  i  modi  coi  quali  i  grandi  uomini  influiscono  efficace- 
mente sulle  scienze  storiche:  l'uno  concerne  la  narrazione  e  con- 
siste nel  creare  nuove  vedute  intorno  ai  personaggi  e  alle  vicende 
storiche;  l'altro  fa  capo  al  metodo,  e  concreta  nuovi  principi  metodici 
e  nuovi  sussidi  alla  storia.  Un  buon  esempio  per  distinguere  questi 
due  modi  ce  lo  offre  il  Mommsen,  se  si  confronta  la  sua  Storia  Romana 
col  Corpus  Inscriptlonum  Latinarum.  La  Storia  Romana  è  certo  opera 
meravigliosa,  ma  è  pur  sempre  un'opera  scritta  dopo  il  1848.  La  Plebe, 
il  Patriziato,  il  Principato  sono  giudicati  attraverso  il  prisma  delle 
opinioni  politiche  e  personali  dell'autore.  Verranno  certo  altri  tempi, 
e  la  storia  romana  sarà  veduta  con  occhi  diversi.  Invece  \\C.  I.  L. 
è  un  monumentum  aere  perennius.  Tutta  la  molteplice  quantità  di 
iscrizioni  romane  che  ci  restano  vi  è  elaborata  in  modo  uniforme 
e  completo.  Chiunque  oggi  scriva  di  storia  antica  deve  ben  cono- 
scere la  materia  e  il  metodo  dell'Epigrafia.  E  la  stretta  connessione 
che  v'ha  tra  la  Storia  e  l'Epigrafia  è  soltanto  un  anello  di  quella 
reciproca  catena  di  discipline  affini,  sì  filologiche  come  storiche,  da 
cui  scaturì  l'Archeologia  come  scienza  complessa  della  classica  anti- 
chità. La  scienza  medievale  è  ancor  lungi  dall'  esser  così  avanzata, 


NOTIZIE  22o 

ma  tende  allo  stesso  seopo.  Si  tratta  anche  qui  di  rendere  le  singole 
discipline  indipendenti  tra  di  loro  e  nello  stesso  tempo  di  riunirle 
insieme  con  unità  di  lavoro.  Anche  qui  dunque  si  deve  distinguere 
e  integrare.  E  se  si  vuol  rappresentare  con  un  nome  questa  parti- 
colare tendenza,  nel  mondo  scientifico  tedesco,  non  si  troverà  altro 
che  il  nome  del  Sickel. 

Le  scienze  storiche  avanzano  sempre  di  un  nuovo  grado  nel  loro 
sviluppo  quando  si  dischiude  una  nuova  specie  di  fonti,  o,  per  esser 
più  esatti,  quando  si  trae  sistematicamente  tutto  il  profitto  da  una 
fonte  che  fin  qui  era  stata  sfruttata  in  modo  incompleto  e  senza  me- 
todo. Per  ciò  che  si  riferisce  alla  Germania,  la  prima  metà  del 
secolo  XIX  ci  rese  padroni  delle  fonti  narrative  ;  basta  citare  i 
nomi  del  Niebuhr,  del  Pertz  e  del  Waitz.  Sotto  la  direzione  dei  due 
ultimi,  colla  stampa  degli  Scriptores,  si  formò  un  nuovo  metodo  cri- 
tico che  viene  caratterizzato  dalle  indagini  intorno  alla  cosiddetta 
«  tradizione  »  dei  testi,  che  non  erano  mai  state  eseguite  in  modo  cosi 
sistematico.  E  queste  indagini  si  estendevano  su  due  punti  differenti. 
Prima  si  cominciò  a  dare  una  raccolta  completa  de' manoscritti,  che 
contenevano  le  narrazioni  stesse;  e  così  si  scopersero  nuove  fonti  e 
testi  migliori  per  quelle  già  conosciute.  In  secondo  luogo,  per  ciascuna 
notizia  tramandata  si  indagarono  le  fonti  prime,  salendo  su  su  da 
quelle  derivate,  e  venendo  in  tal  modo  a  scoprire  tutta  la  rete  di 
dipendenza  che  esiste  tra  i  vari  autori.  Questa  analisi  delle  fonti 
ci  rese  per  la  prima  volta  possibile  il  retto  uso  delle  singole  notizie, 
ci  permise  di  scoprire  dietro  alle  singole  fonti  quell'unità  di  spirito 
che  ha  la  storiografia  e  ci  die  modo  di  tesserne  anche  una  propria 
storia,  come  ha  fatto  il  Wattenbach. 

Le  altre  fonti  che  non  appartengono  al  genere  letterario  ebbero 
uno  svolgimento  simile  nell'ultimo  trentennio  del  XIX  secolo.  I  3Io- 
numenta  Germaniae  accolsero  nel  1874  due  nuove  divisioni:  i  Di- 
plomata e  le  Epistoìae.  Del  pari  caratteristico  è  il  numero  sempre 
crescente  di  Codici  diplomatici  e  di  Regesti,  di  Protocolli  e  di  Im- 
breviature,  di  registri,  di  fittuart  e  feudatari,  di  atti  riguardanti  le 
diete  dell'impero  e  delle  Provincie  o  la  pubblica  amministrazione, 
di  Rapporti  di  Nunzi,  di  Corrispondenze,  di  Relazioni  sugli  Archivi, 
d'Inventari,  ec.  Tutte  queste  fonti,  se  si  paragonano  con  quelle 
propriamente  dette  descrittive,  formano  una  serie  a  parte;  per  la 
loro  origine  risalgono  sempre  a  due  radici:  cioè  alla  lettera  e  al 
diploma;  per  il  modo  con  cui  furono  a  noi  trasmesse  si  riconnet- 
tono strettamente  colle  sorti  degli  Archivi,  come  le  fonti  descrittive 
con  (pielle  delle  Biblioteche,  e  finalmente  per  la  loro  uguaglianza 
intrinseca,  che  viene  determinata  dai  rapporti  colla  vita  pratica  gior- 


224  NOTIZIE 

naliera,  devono  essere  trattate  col  medesimo  metodo.  Ma  questo 
sovente  ci  sfugge  ;  perchè  quando  la  prima  volta  ci  interessiamo  di 
un  dato  genere  di  fonti,  quel  che  vale  per  noi  è  il  contenuto;  la  forma 
è  nulla.  Ora  le  fonti  che  abbiamo  sopra  nominate  sono  naturalmente 
del  tutto  diverse  per  il  loro  contenuto.  Chi  voglia  bensì  imparare 
come  questa  forma,  che  spesso  ci  permette  dì  far  la  critica  del 
contenuto,  debba  esser  trattata  con  certe  regole  ìntimamente  affini 
tra  loro,  si  addentri  nello  studio  degli  scritti  del  Sickel.  Sia  che 
egli  prenda  a  far  la  storia  del  Liher  diurnus  durante  i  secoli  in 
cui  questo  fu  composto  e  adoperato  ;  sia  che  indaghi  le  raccolte 
delle  lettere  di  Alenino,  o  il  privilegio  da  molti  contestato  di  Ottone  I 
per  la  Chiesa  romana,  mettendolo  in  connessione  con  altri  privilegi 
di  simil  natura;  sia  che,  volendo  pubblicare  alcuni  diplomi  degli 
Ottoni  in  favore  di  un  monastero,  si  faccia  ad  esaminare  tutti  i 
precedenti  diplomi  imperiali  per  lo  stesso  monastero:  il  Sickel  porta 
sempre  in  ogni  indagine  Io  stesso  metodo  acuto,  per  cui  nulla  è 
troppo  piccolo,  e  che,  per  mezzo  dei  caratteri  esterni  apparentemente 
più  insignificanti,  sa  penetrare  fino  al  fondo  della  genesi  di  un 
testo.  Questo  stesso  metodo  fu  pure  usato  da  Lui  quando  sì  accinse 
a  raccogliere  i  materiali  per  la  storia  del  Concilio  di  Trento.  Nei 
suoi  «  Rapporti  Romani  »  analizza  i  volumi  di  atti  conciliari  nella 
stessa  guisa  de'  manoscritti  medievali.  Basandosi  sulla  scrittura 
e  su  altri,  caratteri  estrinseci,  ne  determina  l'origine;  lumeggia 
il  modo  con  cui  allora  si  conducevano  gli  affari,  spiega  come  i 
singoli  atti  si  conservavano  negli  archivi,  come  si  registravano,  si 
spedivano  e  si  rimettevano  ai  destinatari,  come  funzionavano  le 
poste,  ec.  ec.  Solo  col  mettere  insieme  tutte  queste  osservazioni, 
che  potevano  sembrare  dì  tenue  importanza,  riusci  a  fare  una  rac- 
colta razionale  e  ad  elaborare  in  modo  profondo  tutta  la  materia. 
Faccio  appunto  rilevare  il  valore  di  quest'ultime  ricerche  con- 
cernenti la  storia  moderna,  perchè  non  mi  sembrano  ancora  abbastanza 
riconosciute  ed  apprezzate.  Esse  ci  insegnano  che  il  metodo  inau- 
gurato dal  Sickei  non  solamente  giova  alla  Diplomatica,  ma  anche 
a  un  numero  più  largo  dì  studi  intorno  fonti.  Certo,  l'essenza  del  me- 
todo stesso  si  apprenderà  nel  modo  migliore  nel  diploma  medievale; 
ma  per  similitudine  si  può  usare  nelle  lettere,  negli  atti,  nelle  scrit- 
ture d'affari  dì  ogni  tempo;  anzi  vi  deve  essere  usato.  Anche  per 
questo  genere  di  documenti  bisognerà  riconoscere  che  il  testo,  come  si 
trova,  non  è  qualche  cosa  dì  già  fatto  e  compiuto  in  sé  stesso:  ma 
divenuto  tale  a  poco  a  poco;  e  che  perciò  si  può  crìticamente  inten- 
dere solo  dal  lato  di  questo  suo  divenire.  A  tale  scopo,  seguitando 
l'esempio  del  Sickel,   si   prenderanno  a   esaminare  tutti   i   caratteri 


NOTIZIE  225 

intrinseci  ed  estrinseci  per   penetrarne   lo   storico   svolgimento  :  so- 
prattutto non  si  considereranno  separatamente  le  testimonianze  of- 
ferteci dalle  fonti,  ma  ridurremo  in  gruppi  quelle  che  sono  consimili, 
indagandone    la    loro    specialità,    prendendo    per   base    la    raccolta 
completa,  come  si  fa  appunto  per  i  documenti.  Per  tal  modo  anche 
la  storia  moderna  avrà  le   sue   scienze   ausiliarie,  e,   come    non  c'è 
oggi   nessuno   storico   che   non   abbia  ben  imparato   e   compreso   la 
critica  metodica  delle  fonti  narrative,  cosi  pure  verrà   il   tempo  in 
cui  il  metodo  critico  fondato  dal  Sickel  sulle  fonti  di  carattere  non 
letterario  formerà  parte  essenziale  della   cultura   di   questo   genere 
di  studi.   Sotto   tale  aspetto  resta  ancor  molto  da  fare,  e   perciò  il 
nome  del  Sickel  è  in  questo  senso  un  intero  programma.  Ancora  slam 
molto  lontani  dalla  sua  attuazione:  è  bene, pertanto,  che  il  Sickel  abbia 
fatto  una   scuola.    Ma  a  questa   non   appartengono   solo   quelli   che 
collaborarono  alle  sue  grandi    imprese  e  gli   scolari  dell'Istituto  di 
Vienna.  I  resultati  da  lui  ottenuti  non  sarebbero  quel  che  sono,  se  il 
nuovo  indirizzo  delle  scienze  ausiliarie  non  avesse  trovato  in  ogni 
luogo  rappresentanti  forniti  anch'essi  di  rara  intelligenza  anche  al  di 
fuori  della  cerchia  dei  suoi  scolari.  Già  alcuni  di  questi  onorano  coi 
loro  nomi  la  scienza  storica  tedesca.  Come  poi  gli  impulsi  dati  dalle 
opere  del  Sickel  siano  divenuti  patrimonio  comune  di  tutte  le  nazioni 
e  siano  dappertutto  messi  in  atto  e  sviluppati  da  studiosi  di  molto 
talento,  meglio  di  ogni  altra  cosa   dimostra  la  magistrale  edizione 
de'  Diplomi  di  Berengario,  Guido  e  Lamberto  curata  da  Luigi  Schia- 
parelli.  Nessuna  cosa   poi   serve  a  caratterizzarci   l'importanza   del 
Sickel  quanto  il  fatto  che  tutti  questi  diplomatisti  —  italiani  e  te- 
deschi —  si  uniscono  di  cuore  per  venerarlo  come   il  Grande  Mae- 
stro della  loro  scienza. 

Vienna.  Harold  Steinacker. 

Società    e    istituti    Scientifici. 

Congresso  Internazionale  di  Scienze  Storielle. 

—  È  uscito  ora,  pe'  tipi  della  R.  Accademia  de'  Lincei  (Roma, 
Salviucci,  1907),  ultimo  in  ordine  di  tempo,  il  volume  I  degli  Atti 
del  Congresso  Internazionale  di  Scienze  Storiche,  tenuto  in  Eoma 
dal  1''  al  9  aprile  1903.  U Archivio,  come  già  promettemmo  facendo 
un  cenno  di  questa  grandiosa  pubblicazione  (ser.  V,  to,  XXXIV, 
pp.  508-509)  appena  iniziata,  non  mancherà  di  offrire  ai  suoi  lettori 
un  ampio  e  particolareggiato  ragguaglio  del  contenuto  di  tutti  i 
12  volumi  ond' essa  è  composta.  Ma  riteniamo  opportuno  intanto 
dar  breve  notizia  di    questo    primo,   che   chiude   la   serie  de'prece- 

Arch.  Stor.  It.,  5.*  Serie.  —  XXXIX.  15 


226  NOTIZIE 

denti,  e  riassume  con  ordinata  sintesi  i  resultati  morali  e  materiali 
del  Congresso. 

Precede  una  breve  prefazione  del  Presidente  sen.  Pasquale  Vii- 
lari,  il  quale  —  dopo  aver  reso  il  meritato  tributo  d'encomio  ai  vo-' 
lenterosi  che  Io  coadiuvarono  nell'ardua  e  lunga  fatica  dell'organiz- 
zazione (primo  fra  questi  il  Segretario  generale,  comm.  Giacomo 
Gorrini,  che  curò  anche  tutta  l'edizione  degli  Atti)  -  rileva  oppor- 
tunamente come  il  Congresso  abbia,  anche  subito,  avuto  efficacia 
d'effetti,  tantoché  alcune  delle  proposte  in  esso  fatte  già  ebbero 
principio  di  attuazione.  Fa  poi  un  rapido  riassunto  de'  risultati 
economici  del  Congresso,  il  0[uale,  malgrado  la  spesa  enorme  ri- 
chiesta dalla  stampa  degli  Atti,  si  chiude  {mirahile  dictu!)  con  un 
avanzo  netto  di  più  che  3200  lire. 

Con  questa  somma  e  cogli  accrescimenti  ulteriori  che  prover- 
ranno dalla  vendita  de' volumi  degli  Atti,  la  Presidenza  intende 
proporre  al  Ministero  che  si  costituisca  un  fondo  speciale  per  l'isti- 
tuzione d'  un  premio  a  vantaggio  degli  studi  storici,  al  quale  do- 
vrebbero poter  concorrere  gli  studiosi  di  tutte  le  Nazioni  :  e  con 
questa  felice  e  geniale  proposta,  cui  veramente  nuUum  par  eìogiuvi 
può  farsi,  il  Yillari  dichiara  giunta  al  suo  termine  l'opera  del  Con- 
gresso. 

Il  cap.  1  del  presente  volume  dà  conto  dell'origine  e  organiz- 
zazione del  Congresso,  e  porta  gli  elenchi  completi  di  tutti  i  Dele- 
gati, aderenti  ed  iscritti,  nazionali  ed  esteri.  Il  cap.  II  espone  il 
programma  de'  lavori  e  i  titoli  di  tutti  i  temi  di  discussione  e  gli 
argomenti  delle  molte  e  interessantissime  Comunicazioni.  Nel  III 
son  riportati  i  verbali  delle  adunanze  generali  e  alcuni  de'  più  no- 
tevoli discorsi  pronunziati  in  quell'occasione;  vi  si  fa  quindi  cenno 
della  inaugurazione  della  Forma  Urbis,  di  cui  la  pianta  nitidamente 
incisa  è  allegata  al  volume.  I  capp.  IV  e  V  ricordano  brevemente  la 
Giostra  di  topografìa  romana,  V  Esposizione  di  manoscritti  e  libri  a 
stampa,  e  i  festeggiamenti  che  l'ospitalità  tradizionale  della  gente 
nostra  offrì  agli  storici  convenuti  nella  capitale  d'Italia. 

Il  capitolo  V  è  consacrato  alle  belle  e  interessanti  gite  fatte 
da'  Congressisti,  e  nitide  incisioni  intercalate  nel  testo  avvivano  il 
ricordo  di  quelle  simpatiche  e  geniali  escursioni.  Gli  ultimi  quattro 
capitoli  son  dedicati  agli  omaggi  di  pubblicazioni  al  Congresso,  ai 
voti  in  quello  espressi,  ad  alcune  giunte  e  rettifiche  agli  Atti,  e  al 
rendiconto  finanziario. 

Segue  un'appendice  che  porta  tre  brevi  monografie  sugli  Ar- 
chivi degli  Stati  Uniti,  sulla  stampa  de'  fonti  storici  in  Svezia,  e 
sulle  pubblicazioni  svedesi  interessanti  la  storia  d'Italia. 


NOTIZIE  227 

Cogl'  indici  generali  e  particolari  si  chiude  questo  primo  ed 
ultimo  volume  della  splendida  raccolta,  che  rimarrà  degno  e  dure- 
vole monumento  del  grande  e  solenne  avvenimento  scientifico  com- 
piutosi per  la  prima  volta  nel  1903  in  Roma  Italiana  :  ed  è  da  far 
voti  che  il  secondo  Congresso  internazionale,  che  avrà  luogo  in 
Berlino  nell'agosto  del  1908,  riesca  come  questo  fecondo  di  effetti, 
e  —  a  vantaggio  della  scienza  e  a  decoro  della  dotta  Germania  — 
lasci  luminosa  traccia  di  se  in  una  pubblicazione,  come  questa  di 
cui  ci  occupiamo,  preziosa  e  veramente  monumentale. 

G.  D.  A. 

Conerresso  Storico  del  Risoreriineiito  Italiano. 

—  Nei  giorni  6-9  del  novembre  u.  s.  si  tenne  in  Milano,  al  Ca- 
stello Sforzesco,  il  primo  Congresso  storico  del  Risorgimento  Italiano, 
coir  intervento  del  generale  Majnoni,  rappresentante  di  S.  M.  il  Re, 
che  ne  aveva  accettato  1'  alto  patronato.  Nella  seduta  d' inaugura- 
zione parlarono  il  Sindaco  di  Milano,  sen.  Ponti  e  l'assessore  per  la 
P.  L,  on.  Bassano  Gabba.  Quest'ultimo,  che  già  aveva  diretto  i  la- 
vori preparatori  del  Congresso,  fu  dall'  Assemblea  chiamato  con  voto 
unanime  a  presidente  effettivo.  Per  la  costituzione  poi  dell'  Ufficio 
di  Presidenza,  furono  nominati  per  acclamazione:  Presidente  ono- 
rario il  barone  Antonio  Manno,  Commissario  del  Re  per  la  Consulta 
Araldica  ;  vicepresidenti  il  cav.  Alessandro  Luzio,  Direttore  del 
R.  Archivio  di  Stato  di  Mantova,  il  prof.  Costanzo  Rinaudo,  Direttore 
della  Rivista  Storica  Italiana,  il  conte  Nani  Mocenigo  e  il  prof.  Gae- 
tano Capasso  ;  segretari  il  prof.  Giuseppe  Lfsio,  il  dott.  Ettore  Verga, 
Direttore  dell'Archivio  storico  civico  di  Milano,  il  dott.  Giustiniano 
Degli  Azzi-Vitelleschi  e  il  conte  Uberto  Govone. 

Tra  i  più  importanti  temi  di  discussione  svolti  al  Congresso 
ricordiamo  i  seguenti  : 

prof.  V.  Fiorini  :  Della  convenienza  che  sia  fondata  una  So- 
cietà Nazionale  per  la  Storia  del  Risorgimento  Italiano,  e  una  Ri- 
vista Storica  del  Risorg.  Ital.,  organo  della  Società  stessa  ; 

prof.  F.  QuiNTAVALLE  :  Della  convenienza  e  dei  mezzi  di  for- 
mare dei  regesti  degli  opuscoli  e  degli  articoli  di  giornali,  periodici 
e  riviste  nazionali  ed  estere,  che  riguardino  la  Storia  italiana  fra 
il  1796  e  il  1871: 

prof.  A.  MicHiELi  :  Della  necessità  di  accordi  fra  gli  studiosi 
sui  criteri  e  metodi  da  seguirsi  nella  compilazione  e  pubblicazione 
di  una  Bibliografia  generale  del  Risorgimento  : 

prof.  Fr.  Bertolini  :  Della  formula  cavouriana  «  Libera  Chiesa 
in  libero  Stato  »  ; 


228  NOTIZIE 

dott.  G.  Gallavresi  ed  A.  Bertarelli:  Intorno  all'ordinamento 
scientifico  e  metodico  dei  Musei  del  Risorgimento: 

prof.  E.  Michel  :  Dei  modi  di  promuovere  l' istituzione  di  un 
Museo  del  Risorgimento  in  ogni  capoluogo  di  provincia  per  evitare 
la  dispersione  di  preziosi  cimeli  e  documenti; 

dott.  L.  CoEio  :  Dei  mezzi  coi  quali  il  Governo  può  favorire, 
con  acconcie  e  savie  precauzioni,  le  ricerche  negli  Archivi  di  Stato 
atte  al  necessario  integramento  di  talune  serie  di  documenti  che  si 
conservano  negli  archivi  dei  Musei  del  Risorgimento; 

dott.  C.  Clerici:  Dei  criteri  da  seguirsi  nell'ordinamento  dei 
Medaglieri  del  Risorgimento  ; 

proff.  A.  MiCHiELi  e  G.  Lisio:  Dei  modi  opportuni  per  rendere 
r  insegnamento  della  Storia  del  Risorgimento,  nelle  Scuole  primarie 
e  secondarie,  in  tutto  rispondente  all'alto  fine  educativo  e  nazionale 
che  in  esse  scuole  dovrebbe  proporsi  ; 

prof.  G.  Lisio:  Se  per  lo  sviluppo  degli  studi  scientifici  intorno 
alla  Storia  del  Risorgimento  non  sia  necessario  promuovere  presso 
le  Università  nostre  un  insegnamento  speciale  di  Storia  Contempo- 
ranea Italiana  ; 

proff.  E.  Michel  ed  A.  Michieli  :  Della  opportunità  di  racco- 
gliere, mediante  appositi  questionari,  le  testimonianze  orali  dei  Re- 
duci e  Veterani  del  Risorgimento,  invitandoli  a  precisare  tutti  quei 
particolari  che  potessero  essere  ignorati  o  mal  noti. 

Molte  furono  le  comunicazioni  e  memorie  storiche  lette  al  Con- 
gresso, di  cui  accenniamo  le  più  notevoli  :  La  medaglia  nella  Sto- 
ria del  Risorgimento  (S.  Ricci):  Il  tricolore  italiano  dal  1796  al  1814 
(E.  Ghisi);  Cavour  e  Bismarck  (W.  R.  Thayer);  Les  vues  du  Dire- 
ctoire  sur  l'Italie  en  1796  (R.  Guyot);  La  prima  parola  di  resistenza 
all'Austria  pronunciata  in  Piemonte  nel  1846  eolla  Società  d'espor- 
tazione dei  vini  nazionali  (A.  Arno);  Un  quaderno  di  Tito  Sperì 
(A.  Michieli);  L'entreprise  de  Murat (Weil); Edgard Quinet  et  l'Italie 
(I.  Gay);  I  tentativi  per  far  evadere  L.  Settembrini  dall'ergastolo 
di  S.Stefano  negli  anni  1855-56  (G.  Capasso);  Relazioni  fra  l'Italia 
e  gli  Stati  Uniti  (H.  Nelson  Gay);  La  ritirata  di  Garibaldi  e  dei 
volontari  per  Monza  nell'agosto  1848  (G.  Riva). 

Tra  i  risultati  pratici  più  notevoli  del  Congresso  è  da  ricordare 
quello  della  costituzione,  su  proposta  del  Fiorini,  della  Società  Na- 
zionale per  la  Storia  del  Risorgimento  Italiano^  che  conta  già  un 
ragguardevole  numero  di  soci  e,  a  norma  dello  Statuto  approvato 
dal  Congresso,  ha  energicamente  iniziata  l'opera  sua  per  favorire 
la  conoscenza  e  la  divulgazione  della  Storia  del  nostro  Risorgi- 
mento. A  quest'intento  la  Società,  oltre  al  ricercare  e  procurar  che 


NOTIZIE  229 

siano  opportuiiamento  tutelati  e  conservati  i  documenti  e  i  ricordi 
del  patrio  riscatto,  promuoverà  l'istituzione  di  appositi  musei  e 
biblioteche  popolari,  curerà  o  favorirà  la  stampa  di  pubblicazioni 
patriottiche,  organizzerà  conferenze,  commemorazioni,  letture  pub- 
bliche e  corsi  popolari  di  Storia  del  Risorgimento,  raccoglierà  si- 
stematicamente il  Bepertorio  bibliografico,  cronologico,  iopografico, 
politico,  ecc.  della  Storia  del  Risorgimento,  e  pubblicherà  un  pe- 
riodico, colla  collaborazione  di  tutti  i  più  autorevoli  studiosi  ita- 
liani e  stranieri.  La  Società  è  costituita  da  Comitati  regionali,  ed 
è  retta  da  un  Consiglio  Centrale  avente  sede  in  Milano,  del  quale 
furono  chiamati  a  far  parte  pel  primo  quadriennio  i  sigg.  barone 
Antonio  Manno,  presidente  onorario  ;  on.  Bassano  Gabba,  presidente 
etfettivo  ;  cav.  Alessandro  Luzio,  conte  Nani-Mocenigo,  prof.  Co- 
stanzo Rinaudo,  vicepresidenti  ;  prof.  Vittorio  Ferrari,  dott.  G.  Gal- 
lavresi,  prof.  Ferruccio  Quintavalle,  prof.  Giovanni  Oberziner,  prof. 
Francesco  Novati  e  prof.  Michele  Scherillo.  segretari  :  e  a  Dele- 
gati regionali  i  signori:  conte  Uberto  Govone  {Piemonte),  dott.  Et- 
tore Verga  e  prof.  G.  C.  Abba  (Lombardia),  prof.  Francesco  Berto- 
lini  e  cav.  Giovanni  Livi  [Bomagna),  prof,  Alessandro  D'Ancona 
(Toscana),  dott.  Giustiniano  Degli  Azzi  (Umbria),  prof.  Vittorio 
Fiorini  (Lazio)  e  prof.  Benedetto  Croce  (Italia  meridionale). 

In  occasione  del  Congresso  fu  pure  aperta  nelle  Sale  del  Ca- 
stello Sforzesco  una  Mostra  storica  del  Risorgimento,  con  prezioso 
materiale  iconografico  ed  archivistico,  ordinata  dal  Comitato  pro- 
motore, ed  integrata  da  ricche  collezioni  speciali,  tra  cui  notevoli 
quelle  delle  città  di  Perugia,  Ancona,  Terni,  Città  di  Castello,  ecc., 
e  da  alcune  di  privati,  come  quelle  del  conte  Camozzi  e  dell' ing. 
Clerici.  G.  D.  A. 

Must'o  di  Etnografìa  italiana. 

—  Salutiamo  con  viva  simpatia  il  nuovo  Museo  di  etnografìa  ita- 
liana, da  pochi  mesi  sorto  in  Firenze,  con  lo  scopo  di  raccogliere 
tutto  quanto  si  riferisce  agli  usi  e  costumi  tradizionali  e  caratte- 
ristici delle  varie  nostre  regioni,  le  quali  ancor  oggi  presentano 
profonde  differenze  di  vita  e  di  abitudini. 

Il  Museo  si  propone  di  raccogliere  i  vestiari  e  gli  ornamenti 
personali,  gli  utensili  di  uso  domestico,  i  mobili  più  rozzi  e  singo- 
lari, i  modelli  delle  abitazioni  di  foggia  caratteristica,  i  focolari  e  i 
camini  di  forma  locale,  gli  strumenti  della  caccia  e  della  pesca, 
i  mezzi  di  trasporto  e  di  locomozione,  i  modi  popolari  di  fissare  e 
di  esprimere  graficamente  le  idee,  le  usanze  tradizionali  relative  ai 
rapporti  economici   e  sociali,   i  giuochi  dei  fanciulli  e  degli  adulti, 


230  NOTIZIE 

tutto  ciò  che  si  riferisce  alle  feste  e  alle  danze  del  popolo,  alle  sue 
superstizioni  e  a'  suoi  pregiudizi.  Né  trascurerà  la  letteratura  popo- 
lare; anzi,  già  possiede  di  canti  e  poemetti  del  popolo  una  insigne 
raccolta.  Accanto  a  queste  collezioni  di  oggetti  e  di  documenti,  non 
manca  una  biblioteca,  che  va  accrescendosi  ogni  giorno  di  più. 

Non  occorre  insistere  sui  vantaggi  che  da  questa  nuova  istitu- 
zione deriveranno  agli  studi  etnografici  e  a  quelli  antropologici, 
alla  sociologia  e  alla  demopsicologia  dell'  Italia.  A  noi  preme  so- 
prattutto di  rilevare  che  anche  pei  cultori  di  storia  questo  Museo 
potrà  subito  offrire  un  notevole  aiuto,  dacché  gli  oggetti  che  esso 
accoglierà  sveleranno  spesso  rapporti  e  somiglianze  con  quelli  già 
in  uso  in  tempi  remoti  (ricordiamo,  p.  es.,  la  forma  della  lampada 
trasmessaci  immutata  dai  tempi  etruschi)  e  dimostreranno  secolari 
sopravvivenze  di  usi  e  di  costumi  ;  le  leggende  e  le  tradizioni,  che 
corrono  anch'  oggi  sulla  bocca  del  popolo,  diranno  talvolta  come 
questo  popolo  giudichi  uomini  ed  avvenimenti,  come  alteri  i  fatti 
della  storia  antica  e,  più  spesso,  quelli  della  recente,  quali  di  que- 
sti fatti  colpiscano  con  maggiore  efiicacia  la  sua  fantasia  e  più  te- 
naci si  imprimano  nella  sua  mente;  quale  sia,  infine,  il  senso  storico 
della  maggioranza  del  popolo. 

In  questo  breve  cenno  non  ci  é  concesso  di  insistere  più  oltre 
sui  molteplici  aiuti  che  il  Museo  potrà  dare  agli  studi  storici:  certo 
è  che  i  cultori  delle  nostre  discipline  sentono  ogni  giorno  più  la 
necessità  di  ricorrere  a  scienze  e  discipline  ausiliarie,  e  tanto  più 
essi  riescono  a  comprendere  il  passato  nella  sua  interezza,  quanto 
meno  disdegnano  le  fonti  più  disparate  e  più  varie. 

Per  questo  V  Archivio  Storico  Italiano  fa  auguri  di  lunga  e  pro- 
sperosa vita  al  nuovo  Istituto.  Gli  scopi  del  quale  sono  egregiamente 
esposti  in  un  breve  opuscolo  edito  a  cura  dei  suoi  due  Direttori. 

Storia  generale  e  studi  sussidiari. 

—  Avemmo  già  occasione  di  rilevare  la  rapidità  e  la  precisione, 
con  cui  si  susseguono  i  volumi  del  Meyers  Grosses  Konversations- 
Lexikon,  edito  dal  benemerito  Bibliographisches  Institut  di  Lipsia  ; 
e  di  questo  e  degli  altri  pregi  dell'importante  pubblicazione  già  da 
noi  segnalati  anche  recentemente  (disp.  2*  del  1906)  sono  nuova  con- 
ferma i  due  tomi  XIV  e  XV  testé  usciti,  che  comprendono  le  voci 
da  Mitteicald  a  Plakatschriften. 

Anche  in  questi,  molti  sono  i  nominativi,  quasi  sempre  egregia- 
mente svolti  e  tenuti  al  corrente  colla  produzione  scientifica  odierna, 
che  interessano  la  storia  e  la  cultura  italiana.  Così  per  la  storia 
politica   e   geografica   del  nostro  paese  sono  notevoli  le   voci  :  Mo- 


NOTIZIE 


231 


klena,  Montanelli  Giuseppe^  Montecuccoli  Baimondo,  Montefeltro, 
Morelli  Giovanni,  Muratori  Lodovico  Antonio,  Napoli,  Negri  Cri- 
stoforo, Nicotera  Giovanili,  Nigra  Costantino,  Ochino  Bernardino, 
Orsini  Felice,  Ostia,  Otranto,  Palermo,  Parma,  Pavia,  Pepe  Gu- 
glielmo, Pepoli  Gioacchino  Napoleone,  Perugia,  Pesaro,  Piacenza, 
Pisa,  e  la  serie  de' pontefici  di  nome  Pio,  ecc.  Per  la  storia  lette- 
raria, artistica  e  della  cultura  nazionale  vanno  ricordate  le  voci  : 
Molza  Francesco  Maria,  Montagna  Bartolomeo,  Monteverde  Giulio, 
Monti  Vincenzo,  Morelli  Domenico,  Moretto  da  Brescia,  Mosso  An- 
gelo, Negri  Ada,  Niccolò  di  Liberatore,  Orcagna,  7)'  Ovidio  Fran- 
cesco, Paisiello  Giovanni,  Paganini  Niccolò,  Palestrina,  Palladio  An- 
drea, Palma  Iacopo  (Il  Vecchio  ed  il  Giovane),  Panzacchi  Enrico, 
Pellico  J^ilvio,  Pergolesi  Gio.  Battista,  Perugino,  Petrarca,  Piccini 
Niccolò,  Pindemonte  Ippolito,  Pisano  Andrea,  Nicola  e  Vittore,  ecc. 

Una  lieve  menda,  che  dobbiamo  anche  in  questi  volumi  onesta- 
mente rilevare,  è  la  considerazione  data  talvolta  a  biografie  d'uomini 
che  forse  non  meriterebbero  tanto  onore,  in  confronto  del  silenzio 
itssoluto  o  dello  scarso  sviluppo  concesso  alle  biografie  d'altri  in- 
signi nostri,  cui  spetterebbe  un  più  ampio  e  completo  ricordo;  cosi, 
mentre  avremmo  volentieri  veduto  un  cenno  su  quel  forte  artista 
drammatico  e  patriota  e  scrittore  che  fu  Gustavo  Modena,  e  una  più 
ricca  notizia  sullo  statista  Antonio  Mordini,  che  tanta  e  si  cospicua 
parte  ebbe  nella  storia  del  nostro  riscatto  politico,  avremmo  fatto 
d'altro  canto  molto  volentieri  a  meno  della  biografia  di  qualche 
uomo  politico  del  giorno,  cui  non  spetta  altro  merito  se  non  d'aver 
atterrato  un  portafoglio  ministeriale,  quando  pure,  come  nel  caso 
di  Nunzio  Nasi,  il  cenno  biografico  non  vada  a  terminare  col  poco 
edificante  ricordo  del  processo  e  della  relativa  condanna  per  reati 
di  natura....  non  politica. 

Difetto  questo,  d'altronde,  comune  ad  opere  consimili,  e  che  ge- 
neralmente dipende  dai  poco  sicuri  o  non  sempre  sinceri  ragguagli 
che  della  vita  e  delle  cose  nostre  giungono  a  quelli  d'oltr'Alpe. 

—  Ottima  sarebbe  stata  l'idea  del  sig.  Pietro  Taddei  di  dare 
un  Manuale  teorico-pratico  delV  Archivista  (Milano,  Hoepli,  1906), 
ma  è  stata  troppo  infelicemente  attuata  perchè  possa  ritenersi  col- 
mata la  lacuna  già  da  gran  tempo  avvertita  da  quanti  s' interes- 
sano delle  discipline  archivistiche. 

E  basterebbe  vedere  l'elenco  delle  opere  da  cui  il  T.  ha  attinto 
le  notizie  che  riassume  nella  prima  parte,  per  convincersi  come  ne- 
cessariamente manchevole  e  difettosa  debba  esser  riuscita  la  sua  trat- 
tazione. Generalmente  non  sa  seguire  altra  traccia  per  le  sue  divaga- 
zioni erudite  che  quella  della  Storia  Diplomatica  del  3Iaffei  e  delle 


232  NOTIZIE 

Istituzioni  Diplomatiche  del  Fumagalli:  ottimi  libri  }De' loro  tempi, 
s' intende,  ma  che  la  crìtica  odierna,  specialmente  dopo  le  magnifi- 
che pubblicazioni  tedesche  in  materia,  ha  ornai  relegato  tra  le  opere 
di  mera  consultazione. 

Opportuno  consiglio  poi  sarebbe  stato  per  l'A.  non  tentar  nep- 
pure le  difficoltà  sempre  gravi  d'una  sintesi  storica  in  argomenti 
che  costituiscono  ornai  una  scienza  a  parte  e  che  esigono  una  cul- 
tura molto  superiore  a  quella  di  cui  egli  si  dimostra  fornito  quando 
costantemente  scambia  scrivia  per  scrinia,  ritenendolo  un  singolare 
femminile  {sic!)  anziché  un  plurale  neutro;  e  quando  sull'autorità 
dell'Enciclopedia  Italiana  (!)  scrive  cura  tahuìarium  puhlicaruìn,  o 
prelude  ad  un  ameno  pistolotto  apologetico  per  gli  archivi  bolognesi 
con  un  Bonomia  docet^  commentato  da  una  volata  retorica-  in  lode 
di  quella  Repubblica  perchè  concedeva  la  libera  consultazione  dei 
pubblici  documenti,  come  precisamente  facevano  tutti  gli  altri  Co- 
muni dell'età  di  mezzo." 

E  questi  umoristici  rilievi  grammaticali  ci  dispensano  dal  farne 
altri  pili  seri  circa  alla  parte  sostanziale  e  di  concetto,  per  cui  ci 
limitiamo  ad  augurare  che  in  una  seconda  edizione  del  suo  lavoro 
il  T.  lasci  addirittura  questa  prima  parte,  tutta  d'erudizione  e  di 
contenuto  storico  che  non  fa  per  lui,  e  riveda  ed  amplii  e  cor- 
regga, soprattutto  corregga,  la  parte  seconda,  che  per  l'indole  sua  più 
pratica  che  teorica  potrà  meglio  riuscirgli  ;  ed  a  lui  nell'attuazione 
del  più  modesto  disegno  saremo  grati  d'  aver  compiuta  una  fatica 
veramente  utile  a  coloro  che  si  accingono  al  riordinamento  d'  un 
archivio  o  v'  intraprendan  ricerche.  Ed  anche  in  questo  compito 
più  limitato  non  si  fermi  a  semplici  ed  assai  vaghe,  e  non  sempre 
opportune,  notizie  sui  pubblici  uffici  e  sulle  amministrazioni  dello 
Stato,  ma  dia  norme  ed  esempi  pratici  e  concreti  per  la  sistema- 
zione de'  vari  archivi,  ministeriali,  provinciali,  comunali,  ecc.,  rias- 
sumendo organicamente  le  disposizioni  legislative  e  regolamentari, 
e  dimostrandone  l'applicabilità  alle  esigenze  della  pratica,  anziché 
appagarsi  di  riferir  nudi  e  crudi  gli  articoli  de'  regolamenti,  come 
fa  a  proposito  degli  Archivi  delle  Provincie,  per  cui  riproduce  le 
Istruzioni  ministeriali  del  i°  giugno  '66,  o  per  gli  Archivi  degli  uf- 
fici di  P.  S.  cui  dedica  tutto  il  capitolo  VI,  corredato  per  giunta  da 
gran  lusso  di  tabelle  illustrative,  dove  non  è  dimenticato  neppure 
il  tipo  dello  scaffale  d' archivio  !...  G.  D.  A. 

—  Ad  un  bisogno  da  lungo  tempo  ed  universalmente  sentito 
dagli  studiosi  risponde  il  Manuale  di  Cronologia  e  Calendario  per- 
petuo (Hoepli,  Milano,  1906)  compilato  da  A.  Cappelli  e  che,  con- 
forme al  desiderio  delTA.,  riuscirà  utilissimo  in  particolar  modo  agli 


NOTIZIE  233 

archivisti  e  ai  frequentatori  d'archivi.  Premesse  brevi  ed  assai  op- 
l)ortune  notizie  sui  vari  modi  di  computar  gli  anni  e  de' sistemi  che 
al  riguardo  adottarono  i  principali  Stati  d'Italia  e  d'Europa,  ed  al- 
cuni cenni  storici  sul  Calendario,  l'A.  ci  presenta  con  ottimo  me- 
todo e  grande  diligenza  la  serie  cronologica  dei  Consoli  Romani,  quelle 
degl'imperatori  romani  d'Oriente  e  d'Occidente,  degl'imperatori  di 
Germania  e  dei  re  d'Italia  sino  ai  di  nostri,  cui  fanno  riscontro 
quelle  de' Papi  ed  Antipapi  da  S.  Pietro  a  Pio  X. 

Dà  quindi,  in  altrettante  tavole  egregiamente  disposte  e  di  fa- 
cilissima consultazione,  il  Calendario  romano  antico,  il  Calendario 
lìerpetuo  Giuliano  e  Gregoriano  e  un  ricco  glossario  di  date^  inteso 
a  far  risparmiare  agli  studiosi  i  calcoli  che  rendonsi  necessari  in- 
contrando documenti  datati  con  nomi  di  feste  religiose.  Nelle  tavole 
cronografìche  poi  son  posti  a  riscontro  gli  anni  dell'Era  Cristiana 
con  quelli  dell'Era  Bizantina,  di  Spagna,  dell'Egira,  della  Repub- 
blica Francese  e  colle  indizioni.  Segue  un  elenco  alfabetico  dei  prin- 
cipali Santi  e  Beati,  e  chiudono  il  volume  le  tavole  cronologiche 
de' Sovrani  de' principali  Stati  d'Europa.  In  appendice  a  queste 
avremmo  volentieri  vedute  le  serie  cronologiche  de'  Podestà  e  Capi- 
tani del  popolo  delle  più  importanti  città  italiane  nel  periodo  co- 
munale, che  sarebbero  infinitamente  preziose  per  la  datazione  di 
molti  documenti  di  quell'epoca;  mentre  invece  lo  scarso  e  incom- 
pleto tentativo  che  l'A,  ce  ne  offre,  scegliendo  ad  arbitrio  solo  al- 
cune città  e  non  sempre  delle  più  importanti,  e  amalgamando  no- 
cessariamente  i  magistrati  delle  libere  democrazie  co'tirannelli  e 
signori  de' singoli  luoghi,  non  fa  che  accrescere  il  nostro  desiderio 
d' un  lavoro  organico  e  veramente  completo  in  proposito.  E  ben  po- 
trebbe farlo  il  C,  il  quale  in  questo  eccellente  saggio  ha  dimostrato, 
cosi  per  la  vasta  conoscenza  del  materiale  bibliografico  come  per 
l'esattezza  del  metodo  di  compilazione,  una  speciale  attitudine  a  la- 
vori siffatti.  G.  D.  A. 

—  Già  altra  volta  in  questo  periodico  (ser.  V,  to.  XXX,  pp.  401- 
404 1  demmo  notizia  degli  Archivi  della  Storia  d'Italia,  utile  ed  in- 
teressante pubblicazione  degl'inventari  de' depositi  archivistici  più 
ragguardevoli  dello  Stato,  degli  enti  minori  e  de'  particolari,  che  il 
compianto  prof.  Giuseppe  Mazzatinti  aveva  iniziato  e  condotto  sino 
al  IV  volume.  Siamo  lieti  ora  di  apprendere  che  l'opera,  rimasta 
interrotta  per  la  morte  del  benemerito  erudito  e  studioso  umbro, 
sarà  ripresa  e  continuata  a  cura  del  dr.  Giustiniano  Degli  Azzi- 
ViTELLEscHi  del  uostro  Archivio  di  Stato,  e  (sempre  pe'  tipi  del- 
l'editore Licinio  Cappelli  di  Rocca  S.  Casciano)  ne  uscirà  in  breve 
il  voi.  V,  che    conterrà,   oltre   l'indice   generale   della   prima   serie. 


284  NOTIZIE 

inventari  di  Archivi  di  Stato(Lucca)  e  di  Archivi  comunali  e  par- 
ticolari (Arezzo,  Salò,  Perugia,  Firenze,  Faenza,  Colle  Val  d'Elsa, 
Gubbio,  Grosseto,  ec). 

—  L'importanza  delle  cronache,  ingiustamente  valutata  da  so- 
lenni letterati,  è  fatta  rilevare  dal  prof.  Albano  Sorbelli  in  un 
suo  lodevole  studio  {Le  Croniche^  estr.  dalla  Romagna,  an.  II, 
fase.  XI  e  XII.  Iesi,  tip.  coop.  edit.,  1905;  8^  p.  19);  nel  quale 
con  molta  dottrina  dimostra  qual  tesoro  di  verità,  di  notizie  e 
di  sentimenti  sia  contenuto  nella  cronaca,  per  quanto  rozza  e  di- 
sadorna ne  sia  la  forma.  Nello  svolgimento  di  questo  genere  egli 
ravvisa  due  periodi:  uno,  anteriore,  che  chiama  romanico,  l'altro, 
posteriore,  da  lui  denominato  nazionale;  il  primo  dei  quali  si  ri- 
connette al  concetto  romano,  sogna  l'antica  gloria,  vuole  l'impero; 
il  secondo  non  rammenta  più  il  passato,  segue  da  vicino  gli  avve- 
nimenti del  giorno  e  sembra  mirare  dinanzi  a  sé  ad  un  avvenire 
di  felicità  e  di  progresso.  Il  primo,  pieno  dei  due  principi  univer- 
sali allora  esistenti,  il  romanesimo  e  il  cristianesimo,  ci  permette 
di  assistere  alla  lotta  memoranda  tra  il  passato  romano,  preva- 
lente, e  la  condizione  nuova  delle  cose,  e  cessa  intorno  a  quel  leg- 
gendario anno  mille,  in  cui  l'anima  italiana  comincia  a  scuotersi, 
a  riconoscersi,  a  rivendicare  sé  stessa  coll'affermazione  del  suo  di- 
ritto, della  sua  potenza  economica,  col  reggimento  autonomo.  Al- 
lora comincia  il  vero  dominio  della  cronaca,  rozza  e  modesta,  ma 
piena  di  vita,  d'interesse,  di  verità,  non  offuscata  dalla  tabe  retto- 
rica,  e  quindi  fonte  preziosa  ed  importantissima  per  la  storia,  degna 
di  essere  altamente  apprezzata  e  studiata,  checché  dicano  i  mo- 
derni esteti.  La  cronaca  italiana  é  essenzialmente  popolare,  a  dif- 
ferenza della  francese  che  è  erudita,  della  spagnuola  che  è  di- 
nastica, della  russa  che  é  religiosa  ;  e  da  tale  carattere  acquista 
maggior  pregio  ancora  agli  occhi  nostri  e  di  quanti  vogliono  se- 
guire lo  svolgimento  della  vera  storia  dell'umanità  nelle  sue  varie 
manifestazioni.  E.  C. 

—  In  un  volumetto  intitolato  :  Studj  e  Discorsi  (Milano,  tii3.  so- 
ciale Opizzi,  Corno  e  C,  1906;  16",  p.  123)  il  sig.  Giuseppe  Bram- 
billa si  occupa,  accanto  ad  argomenti  prettamente  economici  o  so- 
ciali, del  modo  col  quale  era  tenuta  la  contabilità  commerciale  e 
di  Stato  nei  tempi  antichi  e  di  mezzo  e  a  principio  dell'epoca  mo- 
derna. Tratta  cosi  della  contabilità  comunale  dì  Pisa  nel  secolo  XIV; 
di  Aristotile  e  della  contabilità  di  Stato  in  Atene;  di  A^'ilentin 
Mennher  de  Kempten,  forse  il  più  antico  scrittore  di  cose  di  ragioneria 
nei  Paesi  Bassi  ;  dei  libri  di  conti  dei  fratelli  Bonis  di  Montauban 
in  Guascogna  (sec.  XIV);  del  Banco  di  S.  Ambrogio;  della   Conta- 


NOTIZIE  235 

ulità  di  Stato  presso  i  Longobardi.  Nulla  di  nuovo  vien  da  lui 
jposto,  poiché  spigola  le  sue  notizie  nelle  opere  altrui.  Si  limita  ad 
jporre  quello  che  gli  danno  le  sue  letture,  senza  aggiungervi  con- 
ùderazioni  né  conclusioni,  che  valgano  agli  studiosi  di  tale  disci- 
dina.  E.  C. 

P.  Kehr,  Regesta  Pontificiim  Romanorum.  Italia  Pontifìcia.  Voi.  I, 
Roma,  (Berolini,  1906).  —  Da  ben  dieci  anni  il  prof.  Kehr  attende  con 
lavoro  indefesso  alla  raccolta  e  allo  studio  delle  bolle  pontificie  an- 
teriori al  1198,  per  l'edizione  critica  affidatagli  dalla  R.  Accademia 
delle  Scienze  di  Gottinga.  Delle  ricerche  compiute  in  Italia  e  dì 
quelle  iniziate  in  Germania,  in  Svizzera  e  in  Francia  egli  è  venuto 
man  mano  pubblicando  varii  rendiconti,  i  quali  contengono  nume- 
rosi documenti  pontificii  inediti  e  preziose  notizie  archivistiche,  che 
fanno  ora  di  questi  rendiconti  un'ottima  guida  per  lo  studioso  che 
si  accinga  a  ricerche  su  documenti  medioevali  negli  archivi  e  nelle 
biblioteche  visitate  dal  K.  o  da' suoi  collaboratori,-  inoltre  colle  Di- 
plomatische  Miszellen  {Nachrichten  der  le.  Gesellschaft  der  Wiss.  zu 
Gòttingen.  Phil.  Klasse,  1898,  1900)  e  collo  studio  Scrinium  und  Pa- 
latium  {Mittlieilungen  des  Instituts  fùr  òsterr.  Geschichtsforschung, 
Ergilnzungsband  VI)  ha  portato  notevolissimi  contributi  alla  diplo- 
matica pontificia  del  secolo  XI  ;  e  cogli  Otia  diplomatica  {Nachri- 
chten der  k.  Gesellschaft  der  Wiss.  zu  Gòttingen,  Phil.  Klasse,  1903) 
e  con  altre  pubblicazioni  comunicò  parecchi  diplomi  inediti  rintrac- 
ciati casualmente  nelle  sue  ricerche,  mostrando  cosi  quale  mèsse  di 
materiale  si  possa  pur  raccogliere,  con  ricerche  ampie  e  sistema- 
tiche, anche  in  questo  campo,  sebbene  il  più  esplorato  di  tutti.  Dopo 
tanto  lavoro  e  dopo  sì  numerose  pubblicazioni  non  pochi  si  saranno 
aspettati  come  prossima  la  comparsa  del  primo  volume  dell'opera. 
Ecco  invece  un  volume  di  Regesta.,  ancora  un'altra  pubblicazione 
di  materiale  preparatorio. per  l'edizione  crìtica.  Si  inizia  con  esso 
una  nuova  pubblicazione  di  Regesta  Pontificum  Romanorum.,  la  quale, 
mentre  mira  allo  scopo  precipuo  di  affrettare  l'edizione  critica  delle 
più  antiche  bolle  pontificie,  sarà  alla  sua  volta,  come  l'opera  grande 
del  Jaffé,  di  base  e  dì  fonte  a  studi  e  a  pubblicazioni  varie. 

Dell'intento  della  sua  opera  e  del  metodo  seguito  il  K.  tratta 
ampiamente  nelle  Gòttingische  gelehrte  Anzeigen,  1906,  N.  8.  I  re- 
gesti furono  distribuiti  per  gruppi,  a  seconda  dei  destinatari,  come 
vescovati,  chiese,  monasteri,  istituzioni  varie,  città  e  singole  per- 
sone; precede  ad  ogni  titolo  o  gruppo  l'elenco  delle  pubblicazioni 
che  servirono  per  il  lavoro,  e  questo  elenco  é  cosi  ricco  ed  accu- 
rato, da  formare  una  vera  bibliografia  dell'argomento;  segue  poi  un 
sommario  storico  della  chiesa  o  del  monastero,  ecc.,  per   modo    che 


236  NOTIZIE 

lo  studioso  ha  in  un  (juadro  storico  il  regesto  o  i  regesti  di  ogni 
gruppo;  tengono  dietro  le  notizie  archivistiche  coir  elenco  generale 
delle  fonti  manoscritte,  e  in  questo  lavoro  è  raccolto  il  frutto  delle 
ampie  e  lunghe  ricerche  fatte  negli  archivi  e  nelle  biblioteche;  in 
ultimo  sono  dati  i  regesti  con  indicazione  sommaria  delle  singole 
fonti  manoscritte  e  delle  edizioni.  Si  tiene  conto  anche  dei  nume- 
rosi documenti  di  cui  non  ci  è  pervenuto  il  testo,  ma  soltanto  un 
estratto,  o  anche  solo  notizia  in  conferme  posteriori,  in  documenti 
e  atti  varii,  in  cataloghi  o  spogli  d'archivio,  in  pubblicazioni. 

Il  lavoro  del  K.,  pur  completando  l'opera  del  Jaffé,  sta  a  sé  e 
l)uò  dirsi  del  tutto  nuovo.  Coi  Refjesta  del  Jaffé  ha  di  comune  ben 
poco  più  del  soggetto  e  del  titolo;  diverso  è  il  metodo  seguito, 
vario  il  materiale  e  quale  il  Jaffé  non  pensò  certo  di  poter  ac- 
cogliere nella  sua  opera;  il  K.  pone  a  base  de' suoi  regesti  le  fonti 
dirette  e  sicure,  originali  e  copie,  già  in  gran  parte  vagliate,  sicché 
il  suo  è  un  regesto  critico.  Inoltre  i  Jlegesti  del  K.  si  scostano  dal 
tipo  finora  seguito  in  pubblicazioni  simili,  non  solo  per  la  distri- 
buzione dei  singoli  regesti  secondo  i  destinatari,  anziché  in  ordine 
cronologico  per  pontefice  o  sovrano,  m^  ben  anche  per  la  raccolta 
di  materiale  vario  e  disparato,  che  alcuni  potranno  forse  trovare 
superfluo  o  non  a  suo  posto  in  una  pubblicazione  di  regesti.  Dal  me- 
todo seguito  deriva  all'opera  del  K.  una  importanza  tutta  partico- 
lare per  la  storia  regionale.  Questa  nuova  opera,  poderosa  davveVo, 
non  soltanto  contiene  regesti,  ma  é  una  miniera  di  notizie  storiche, 
bibliografiche  e  archivistiche,  raccolte  ed  esposte  con  metodo  esem- 
plare ;  potrebbe  intitolarsi  Orbis  christìamis.  L.  S. 

—  A.  Hessel  und  H.  Wibel,  A'm  Turiner  Urkundenfdhcher  clef< 
11.  Jahrhnndertf^.  (Sonder-Abdruck  aus  dem  Neuen  Archir  der  Ge- 
sellschaft  f'ilr  altere  deiitsche  Gescliichtsl;unde,  1906,  pp.  321-376).  — 
Gli  AA.  prendono  in  esame  quattro  diplomi,  due  dell'imperatore  Cor- 
rado II  (1038  marzo  15  per  il  vescovato  di  Torino,  Stumpf  Reg.  2119 
e  1038  marzo  16  per  il  vescovato  di  Modena,  Stumpf  Reg.  2120)  e 
due  dell'imperatore  P^nrico  III  (1041  aprile  5  per  il  vescovato  di 
Bergamo,  Stumpf  Reg.  2208  e  1047  (?)  marzo  15  per  i  monasteri  di 
S.  Salvatore  di  Tolla,  nel  vescovato  di  Piacenza,  e  di  S.  Costanzo 
(Villar  S.  Costanzo)  nella  diocesi  di  Torino,  Stumpf  Reg.  2315).  I 
tre  ultimi  ci  giunsero  in  originale,  il  primo  soltanto  in  copia.  In 
base  ai  loro  caratteri  intrinseci  ed  estrinseci  risulta  ch'essi  furono 
composti  e  scritti  dalla  medesima  persona.  Gli  AA.  dopo  un'accu- 
ratissima analisi  giungono  alla  conclusione  che  sono  tutti  e  quattro 
falsi,  e  identificano  la  persona  del  falsificatore  nel  prete  torinese 
Adamo. 


NOTIZIE  237 

L'importanza  di  questo  lavoro  è  notevole,  non  tanto  per  la  di- 
mostrata specifica  falsità  dei  quattro  diplomi,  quanto  per  le  conse- 
j»uenze  generali,  interessanti  la  diplomatica,  che  ne  derivano.  Viene 
infatti  ad  ammettersi  la  possibilità  di  eccezioni  alla  regola  recen- 
temente formulata  dal  Bresslau,  secondo  la  quale  quando  due  o  più 
diplomi  originali  dello  stesso  autore  per  diversi  destinatari  sieno 
scritti  dalla  stessa  mano,  debbono  ritenersi  autentici. 

(;.  C.  B. 

—  H.  JSiMONSFELD,  Uì'kunden  Friedrich  Rotbarts  in  Italien  {Sit- 
zungshricìite  der  philos.-philol.  iind  der  histor.  Klasse  der  kgl.  Bayer. 
Akademie  der  Wissenschaften,  1905,  Heft  V).  —  Weitere  Urlcunden 
Friedrich  Rotbarts  in  Italien  (ibidem,  1906,  Heft  III).  -  Sono  rendi- 
conti di  ricerche  fatte  negli  archivi  e  nelle  biblioteche  di  città  del- 
l' Italia  settentrionale  e  di  Toscana,  coll'intento  di  prendere  in  esame 
diretto  originali  e  copie  dei  diplomi  di  Federico  I  e  poter  giudicare 
con  cognizione  della  loro  autenticità  o  falsità,  non  a  fine  di  prepa- 
rare un'  edizione  di  questi  diplomi  ne  per  uno  studio  diplomatico, 
ma  per  la  storia  di  Federico  I,  che  il  prof.  Simonsfeld  pubblicherà 
nei  Jahrbiicher  der  deiitschen  Geschichte.  Per  quanto  cosi  determinato 
lo  scopo  della  ricerca,  tuttavia  le  notizie  che  egli  offre,  colle  va- 
rianti principali  dei  testi  collazionati,  portano  un  contributo  alla 
futura  edizione  dei  diplomi  nei  Mon.  Germ.  hist.,  e  per  certi  archivi 
V  per  alcune  provenienze  completano  i  rendiconti  anteriori  ;  presen- 
tano quindi  un  interesse  generale,  e  possono  giovare  anche  allo 
studioso  dei  diplomi  e  della  storia  di  Federico  1.  In  appendice  l'A. 
illustra  e  pubblica  alcuni  nuovi  documenti,  notevoli  per  la  storia 
(li  (ifMiovn.  di  Imola,  di  ^Milano  e  di  Pavia  nel  XII  secolo. 

L.  S. 

—  Già  noto  favorevolmente  anche  ai  lettori  di  questo  Perio- 
dico, il  dott.  Dino  Muratore  ha  accresciuto  le  sue  benemerenze 
verso  gli  studi  storici  colla  pubblicazione  di  un  notevole  lavoro 
sopra  Una  principessa  sabauda  sul  trono  di  Bisanzio  :  Giovanna 
di  Savoia,  imperatrice  Anna  Paleologitia  (Chambéry,  Imprimerle 
generale  savoisienne,  1906;  8^  pp.  254,  con  1  tav.  geneal.).  Le  pa- 
zienti ed  accurate  indagini  da  lui  istituite  negfi  Archivi  di  Stato 
torinesi  e  segnatamente  in  quelli  Camerali,  la  conoscenza,  se  non 
perfetta,  abbastanza  larga,  delle  fonti  della  storia  bizantina,  la  cri- 
tica sapiente  delle  narrazioni  di  Giovanni  Cantacuzeno,  di  Niceforo 
Gregòra  e  dell'opera  del  Parisot  sul  primo  dei  due,  gli  hanno  som- 
ministrato la  materia  di  questo  diligentissimo  studio;  nel  quale  ha 
ritessuto  la  vita  della  forte  e  disgraziata  figlia  di  Amedeo  V,  conte 
di  Savoia,  dalla   nascita  (1306)  e  dai  placidi   e  fortunati  anni  tra- 


238  NOTIZIE 

scorsi  alla  Corte  del  fratello  Edoardo,  alle  nozze  di  lei  (1325-26) 
con  Andronico  III  Paleologo,  associato  all'  Impero  del  nonno  An- 
dronico II  e  (quindi  imperatore  (1332-1341),  alla  reggenza  dolorosa 
che  tenne  pel  figlio  Giovanni,  durante  la  quale  le  lotte  intestine, 
l'ambizione  dei  ministri  e  l'usurpazione  di  Giovanni  Cantacuzeno 
la  posero  più  volte  al  rischio  di  perdere  il  trono  ed  ogni  bene, 
che  pure  seppe  difendere  contro  la  mala  fede  che  la  circondava. 
Quando  suo  figlio,  Giovanni  V,  trionfò  dell'  usurpatore  e  degli 
-ambiziosi,  che  lo  insidiavano,  e  fu  in  grado  di  respingere  l'altrui 
ofi'ese  e  di  regnare,  ella,  afl:'ranta  dall' angoscie  sofferte,  chiuse  pla- 
cidamente gli  occhi  (1359),  che  mai  non  rimirarono  le  scene  di  san- 
gue, di  crudeltà  e  di  perfidia,  che  l'animosità  del  Parisot  volle  af- 
fibbiarle. Questa  verità  vien  dimostrata  dal  Muratore;  il  quale,  nella 
scarsità  degli  studiosi  di  storia  bizantina  ha  saputo  compiere  (a  parte 
alcune  inesattezze)  opera  lodevole  ed  onorevole  per  la  scuola  ita- 
liana. E.  C. 

—  Henry  Charles  Lea,  A  history  of  the  Inquisition  of  Spaìn,  in 
four  volumes.  —  New  Jork  -  London,  Macmillan,  1906.  -  L'autore, 
ormai  celebre,  della  storia  dell'Inquisizione  nel  Medio  Evo,  pubblica 
un  nuovo  e  poderoso  lavoro,  nel  quale  entra  in  pieno  evo  moderno. 
Poiché  l'inquisizione  nella  Spagna  si  stabilisce  e  si  rassoda  quando 
in  gran  parte  d' Europa  era  sul  declinare,  vale  a  dire  nel  mezzo 
del  secolo  XV.  Le  ragioni  di  questo  fatto  strano,  che  nel  fervore 
della  rinascenza  sorga  un  tribunale,  i  cui  metodi  e  le  cui  pene  sono 
più  atroci  delle  medioevali,  l'autore  cerca  di  scoprire.  Ed  in  base 
ad  un  ricchissimo  materiale,  in  gran  parte  inedito,  scrive  un'  opera 
che,  per  arditezza  e  vastità  di  disegno  e  per  scrupolosità  d'  indu- 
zioni, non  la  cede  alla  precedente.  Finora  non  sono  pubblicati  se 
non  tre  volumi;  aspettiamo  con  viva  impazienza  il  quarto  per  par- 
lare diifusamente  e  come  si  conviene  dell'opera  intera.  Alla  storia 
dell'inquisizione  Spagnola  aveva  già  accennato  l'illustre  storico  in 
due  precedenti  lavori  :  Capitoli  della  storia  religiosa  di  Spagna  ; 
I  Moriscos  di  Spagna^  loro  conversione  ed  espulsione.  Ora  entra  nel 
vivo  dell'argomento,  e  nessun  angolo,  per  riposto  che  sia,  ne  lascia 
inesplorato.  F.  T. 

—  Pierre  Champion,  Cronique  Martiniane,  Paris,  Honoré  Cham- 
pion, 1907  ;  8^,  pp.  LXXix-126.  —  Fra  le  cronache  universali  che  più 
ebbero  voga  nel  medio  evo  occupa  uno  dei  primi  posti  la  com- 
pilazione di  Martino  di  Troppau.  Il  suo  ristretto  nucleo  primitivo 
fu  ben  tosto  ampliato  e  le  continuazioni  vi  si  moltiplicarono  attorno. 
Verso  il  1503  Antonio  Vérard  ne  pubblicò  col  nome  di  Cronique 
Martiniane  una    traduzione   francese    in   due    volumi.   Il    primo   di 


NOTIZIE  239 

questi  contiene  intatti  la  Cronaca  di  Martino  di  Troppau  nella  ver- 
sione di  Sebastiano  Mamerot.  Il  secondo  invece  usurpa  il  titolo  di 
3[a)'tiniane.  non  essendo  che  una  raccolta  di  brani  relativi  quasi 
tutti  alla  storia  di  Francia,  scritti  con  ogni  probabilità  originaria- 
mente in  francese.  Fra  essi  trovasi  un  racconto  del  regno  di  Carlo  VII 
sotto  forma  di  interpolazione  delle  cronache  di  Monstrelet  e  di  Char- 
tier, redatto  evidentemente  nell'interesse  della  casa  di  Chabannes. 
È  questa  interpolazione  che  il  Champion  dà  oggi  alla  luce,  attri- 
buendola a  Jean  Le  Clerc,  e  corredandone  il  testo  di  abbondanti 
note  e  di  un'ampia  e  lucida  introduzione.  Il  racconto  del  Le  Clerc 
non  solo  ha  grande  importanza  per  la  conoscenza  del  sec.  XV  in 
Francia,  ma  interessa  altresì  la  storia  di  Casa  Savoia  sotto  il  ducato 
di  Ludovico.  Per  questa  pubblicazione  non  va  quindi  risparmiata 
la  lode  al  giovane  A.,  già  conosciuto  per  i  suoi  studi  su  Guillaume 
de  Flavy,  contributo  preziosissimo  alla  storia  di  Giovanna  d'Arco. 
La  Cronique  Martiniane  forma  il  secondo  volume  della  Bibltothèque 
du  XV'  siede;  e  all'intrinseco  valore  dell'opera  accresce  pregio 
l'eleganza  dell'edizione,  dovuta  alle  cure  del  padre  dell'A.,  il  noto 
editore  parigino,  cui  il  lavoro  è  dedicato.  G.  C.  B. 

—  P.  Ferdinand-Marie  D'Araules,  Vie  de  saint  Bernardin  de 
Sienne.  Texte  latin  inédit  du  XV  siede.  Rome,  1906.  —  Questa  bio- 
grafia inedita  di  S.  Bernardino  è  trascritta  in  un  cod.  miscellaneo 
del  sec.  XV,  esistente  nella  biblioteca  nazionale  di  Parigi.  Le  altre 
scritture  contenute  nel  libro,  descritte  e  brevemente  illustrate  dal 
nostro  A.,  si  attengono  tutte  a  questioni,  che  agitavano  l'animo  dei 
frati  minori,  specialmente  di  quelli  dell'Osservanza,  verso  la  fine 
del  sec.  XV.  Si  può  perciò  supporre  che  il  ms.  fosse  un  manuale  di 
qualche  francescano. 

La  vita  è  opera  anonima  di  un  frate  contemporaneo  ed  amico 
di  Bernardino,  probabilmente  di  famiglia  senese.  Fra  gli  episodi  più 
interessanti  il  D'Araules  menziona  il  noviziato  di  S.  Bernardino  a 
Fiesole,  la  predicazione  di  Bergamo,  l'incontro  coi  Viterbesi,  l'ab- 
boccamento con  Martino  V,  l' inchiesta  del  duca  di  Milano,  l'origine 
del  santuario  della  Madonna  delle  Grazie  ad  Arezzo,  la  conversione 
di  due  usurai.  In  confronto  delle  altre  biografie  del  santo,  questa 
è  storicamente  più  esatta,  e  contiene  la  narrazione  di  fatti  impor- 
tantissimi, cui  gli  altri  storici  appena  accennano  o  non  conoscono. 
Uno  di  questi  è  il  cominciaraento  dell'Osservanza  francescana,  della 
quale  Bernardino  fu  Vicario  generale.  Hanno  grande  valore  il  rac- 
conto del  soggiorno,  affatto  sconosciuto,  del  santo  frate  a  Bergamo, 
e  le  vicende  della  lunga  e  dolorosa  lotta  che  S.  Bernardino  dovette 
affrontare  per  la  causa  del  S.  Nome  di  Gesù.  L'adorazione  del  tri- 


240  NOTIZIE 

gamma  di  Gesù,  da  lui  predicata  alle  moltitudini,  gli  procurò  la 
taccia  di  ignorante,  idolatra  ed  eretico.  Tanto  fu  l'accanimento  dei 
suoi  denunciatori,  che  chiesero  persino  fosse  condannato  alla  pena 
del  rogo.  Chiamato  a  comparire  a  Roma,  obbedì  :  ma  per  sua  for- 
tuna Martino  V  lo  ammise  in  sua  presenza  ;  e  udite  le  difese  del 
frate,  lo  scagionò  d'ogni  colpa,  anzi  ne  ammirò  la  salda  fede.  Eu- 
genio IV  annullò  un  nuovo  processo,  imbastito  a  sua  insaputa  contro 
Bernardino.  Ma  i  suoi  nemici  non  si  dettero  per  vinti,  e  lo  accusa- 
rono dinanzi  ai  Padri,  raccolti  a  concilio  in  Basilea.  Questi  intima- 
rono a  Filippo  Maria  Visconti  l'atto  di  comparizione,  lanciato  contro 
Bernardino,  che  era  allora  negli  stati  viscontei.  Il  duca  di  Milano 
riconobbe  la  innocenza  del  frate  e  ne  prese  apertamente  le  difese. 
Il  biografo,  dopo  aver  parlato  dello  sventato  intrigo  di  Basilea, 
tace  del  seguito  degli  avvenimenti.  È  però  noto  che  gli  oppositori 
del  santo,  per  la  questione  della  devozione  del  nome  di  Gesù,  con- 
tinuarono a  combatterlo,  non  solo  iìnchè  visse,  ma  anche  dopo  la  sua 
morte,  tentando  di  impedirne  la  canonizzazione.  P.  S. 

—  Il  fondo  gesuitico  della  Vittorio  Emanuele  di  Roma  contiene 
poche  carte  che  abbiano  qualche  interesse  storico:  tuttavia  il  loro 
numero  non  è  cosi  scarso  da  rendere  superflua  la  fatica  di  esaminarle. 
Ben  dimostra  questa  verità  il  sig.  Giokgio  Bourgin  (Inventaire  ana- 
lytique  et  extraits  des  maniiscrits  du  Fondo  gesuitico  de  la  Biblioteca 
nazionale  Vittorio  Emanuele  de  Home  concernant  Vìiistoire  de  France 
(XVP-XIX«  siede).  Paris,  Champoin,  1906;  8",  pp.  77);  il  quale  ne 
indica  ed  estrae  tutto  quanto  si  riferisce  alla  storia  di  Francia 
in  senso  lato.  Parecchie  sono  le  citazioni  relative  al  giansenismo, 
alla  soppressione  dei  Gesuiti,  ai  frammassoni,  al  clero  francese  del 
XVIII  secolo,  al  principe  Eugenio  di  Savoia,  alle  relazioni  della 
S.  Sede  colla  Francia  dal  1793  in  poi,  ec.  Onde  può  dirsi  interes- 
sante anche  per  la  storia  italiana  la  consultazione  di  questo  inven- 
tario ;  nel  quale  però  avremmo  desiderato  più  accurata  la  trascri- 
zione di  tutti  i  brani  riportati  in  lingua  nostra.  E.  C. 

—  Gino  Bandixi,  Carboneria  e  Gueìfìsmo  nei  costituti  dei  Car- 
bonari del  Polesine  (estratto  dalla  Bivista  d'Italia,  fascicolo  di  set- 
tembre 1906).  Il  processo  contro  i  Carbonari  del  Polesine,  che  dopo 
il  diligente  studio  dì  A.  Luzio  è  ben  noto  in  tutte  le  sue  fasi,  si 
fonda  principalmente  sulle  deposizioni  di  quattro  degli  accusati  : 
Antonio  Villa,  Felice  Foresti,  Costantino  Munari  e  Antonio  Solerà. 

Nei  loro  costituti,  ora  nuovamente  esaminati,  si  trovano  le  più 
importanti  notizie  sulle  società  segrete. 

Il  Munari  ed  il  Foresti,  assolutamente  spregevoli,  fanno  tali  e 
tante  rivelazioni,  che   rendono  chiaramente   delineate   la  trasforma- 


NOTIZIE  241 

zioiie  della  Carboneria  nel  Guelfismo  e  la  tentata  e  poi  abbando- 
nata riforma  che  è  conosciuta  col  nome  di  Latinismo. 

I  costituti  del  Solerà  sono  degni  di  nota,  specialmente  per  la 
luce  che  recano  sul  progetto  di  Federazione  ideato  da  lui,  e  intorno 
al  quale  ha  dato  ampie  notizie  il  padre  Rinieri,  che  ritenne  note- 
vole per  la  filosofia  della  storia  quel  progetto,  in  cui  al  Pontefice 
si  dava  la  presidenza  di  una.  Federazione  di  Stati  italiani. 

Merita  poi  di  essere  rilevato  che,  mentre  il  Cantù  asserisce  che 
l'azione  dei  Carbonari  m/raz;a  solo  alla  indipendenza  non  alVunità 
o  repuhhUcana  o  regia,  dai  costituti  resulta  chiaramente  che  si  vo- 
leva non  soltanto  indipendenza,  ma  anche  unità,  e  che  esistevano 
già  ben  distinte  la  tendenza  federativa  di  fronte  a  quella  unitaria, 
e  la  democratica  di  fronte  a  quella  aristocratica.  E.  M. 

—  Brevi  ed  efficaci  parole,  rese  simpatiche  da  un  dolce  ricordo 
domestico,  disse  il  prof.  Giorgio  Bolognini  (il  14  maggio  1905)  Per 
il  LVII  anniversario  della  battaglia  di  Santa  ii<cm  (Verona,  Fran- 
chini, 1906,  pp.  9)  davanti  al  monumento  dei  caduti  in  quella  bat- 
taglia. Con  ottimo  intendimento  il  Bolognini  non  ripetè  i  particolari 
della  memoranda  giornata,  ma  preferì  insistere  sul  ravvivarsi  della 
fiamma  del  patriottismo,  che  al  soffio  della  critica  storica  si  è  come 
purificata.  Ora  non.  più  le  iperboli  generose  degli  uni,  ne  l'opera 
demolitrice  degli  altri,  per  la  quale  la  storia  del  Risorgimento  ap- 
pariva tutto  un  tessuto  di  errori,  ma  indagini  più  serene  e  più 
equi  giudizi. 

Ci  piace  di  riconoscere  che   in  queste   idee  e'  è   molto  di  vero  :- 
ma  d'altra  parte  dobbiam  rilevare  che  ancora  troppo  pochi  sono  i 
libri  e  le  pubblicazioni  che  trattino   scientificamente,  con  rigore  di 
metodo  e  con  profondità  di  ricerche,  la  nostra  storia  più  recente  e 
più  cara  all'animo  di  ogni  italiano.  F.  B. 

—  Ferdinando  Gregorovius,  Passeggiate  per  V  Italia.  Versione 
dal  tedesco.  -  Roma,  Carboni,  1906;  8",  pp.  vi-363.  —  Ferdinando 
Gregorovius  fu  uno  dei  tanti  stranieri  che  provarono  vivo  il  fascino 
delle  bellezze  naturali  e  delle  memorie  storiche  del  nostro  paese. 
Egli  trascorse  in  tempi  diversi  una  buona  parte  dell'Italia  cen- 
trale, dai  monti  Volsci  agli  Ernici,  da  Subiaco  alle  sponde  del  Liri, 
da  Bracciano  al  Circeo,  e  raccolse  in  diverse  relazioni  il  frutto  delle 
sue  peregrinazioni  e  dei  suoi  studi  nelle  varie  terre  e  città  ...  Wander- 
jahre  in  Italien,  come  suona  il  titolo  della  edizione  tedesca,  ma 
anche  vere  Passeggiate  per  V  Italia,  come  dice  il  titolo  della  recente 
edizione  italiana,  finalmente  comparsa  a  sostituire  la  primitiva  e 
monca  raccolta  del  senatore  Cossilla. 

Arch.  8tor.  It..  Serie  .5.».  —  XXXIX.  1(3 


242  NOTIZIE 

Il  Gregorovius  viaggiando  non  muta  la  sua  natura  di  storico; 
anche  in  un'opera  di  personali  impressioni  non  si  spoglia  del  suo 
abito  di  ricercatore  e  ricostruttore  di  epoche  trascorse:  e  in  queste 
pagine,  infatti,  è  tutto  il  Gregorovius  della  Storia  di  Roma  nel  Medio 
Evo  ;  è  il  Gregorovius  che  fruga  tra  le  rovine  e  tra  i  vecchi  mano- 
scritti. Ma  non  per  questo  la  sua  narrazione  è  seria  e  pesante  :  che 
anzi  spesso  egli  si  lascia  commuovere  dalle  maravigliose  visioni, 
che  si  presentano  ai  suoi  occhi  e  alla  sua  mente,  e  si  abbandona 
volentieri  a  vivaci  riflessioni  e  a  descrizioni  dolcemente  poetiche. 
Cosi  quando  descrive  le  infiorate  rovine  di  Ninfa,  e  quando  trat- 
teggia mirabilmente  le  selvagge  solitudini  dei  monti  Ernici  e  Yolsci 
e  il  pauroso  squallore  di  Astura  dinanzi  al  limpido  Tirreno. 

Qua  e  là  poi  il  Gregorovius,  sempre  franco  e  liberale,  si  mostra 
sincerò  amico  der nostro  paese,  nutre  la  più  viva  ammirazione  per 
Garibaldi,  il  nostro  «  eroe  popolare  »  (p.  290),  e  riconosce  agli  ita- 
liani il  diritto  di  conquistare  la  propria  indipendenza  (p.  335). 

E.  M. 

—  Intorno  a  I  nuovi  orizzonti  del  Foick-ìore  (Estr.  dalla  Rivista 
di  Psicologia,  anno  II,  n.  4,  Bologna,  1906,  pp.  31)  Dino  Peovenzal 
discorre  con  acutezza  di  indagine  e  novità  di  osservazioni.  Eilevato 
dapprima  il  rapido  progredire  degli  studi  folck-loristici  tra  noi,  il 
P.  osserva  che  fino  ad  oggi  al  popolo  della  città  è  stata  preferita 
dagli  studiosi  la  gente  di  campagna  :  se  si  faccia  eccezione  di  un 
solo  ramo  tra  i  vari  e  molteplici  che  ofì"re  lo  studio  di  questo  po- 
polo cittadino,  quello  cioè  offerto  dai  delinquenti,  pochissimo  di 
quanto  riguarda  il  folck-lore  delle  città  è  stato  oggetto  di  indagine 
«  e  quel  poco  è  stato  scelto  fra  i  costumi  e  le  tradizioni  dell'ele- 
«  mento  infimo  della  popolazione,  il  quale  per  natura  sua  ha  molta 
«  affinità  col  volgo  campagnuolo  ».  Eppure  vi  è  tutta  un'altra  folla 
di  persone,  che  non  è  analfabeta,  che  legge,  e  scrive  talvolta,  e  ac- 
coglie, sempre  a  modo  suo,  i  concetti  e  le  parole  del  tempo  in  cui 
vive,  senza  tuttavia  modificare  se  non  lievemente  le  idee  e  i  pre- 
giudizi del  suo  patrimonio  tradizionale  ;  e  le  nuove  teoriche,  gli 
ultimi  ritrovati  della  scienza,  gli  avvenimenti  quotidiani  apprende 
senza  essere  abbastanza  preparata  ad  accoglierli,  sicché  le  si  accal- 
cano nella  mente  e  vi  si  confondono  e  vi  si  sovrappongono,  in  sin- 
golare miscela,  ai  pregiudizi  e  alle  credenze  antiche.  Questo  feno- 
meno dato  dall'urbanismo  bisogna  studiare,  fidenti  di  comprendere 
per  esso  e  con  esso  la  coscienza  collettiva  di  tutto  un  popolo.  Anche 
gli  studi  storici  —  osserva  molto  giustamente  il  Provenzal  — trar- 
ranno incremento  da  queste  indagini  :  «  noi  non  troveremo  certa- 
«  mente  fra  la  gente  vissuta  per  generazioni  e  generazioni  in  città 


NOTIZIE  243 

«  quelle  tradizioni  vetustissime  che  formano  la  delizia  dei  folk-lo- 
«  risti,  ma  scopriremo  in  compenso  una  memoria  assai  più  lucida 
«  deirli  avvenimenti  storici  non  molto  antichi  e  ci  sana  nota  una 
«  suppellettile  di  leggende,  alle  quali  la  storia  ha  fornito  il  cane- 
«  vaccio  e  la  fantasia  ha  donato,  in  maggiore  o  minor  misura,  i 
«  fili  e  il  colore  ».  E  per  di  più,  osservando  la  vita,  il  linguaggio, 
i  costumi  della  semi-plebe  cittadina  (cosi  la  chiama  l'A.,  pur  non  na- 
scondendosi la  inesattezza  della  espressione)  «  prepareremo  un  anello 
«  della  catena   che  gli   storici  futuri  continueranno   a  intrecciare  ». 

Detto  cosi  delle  nuove  vie,  alle  quali  può  aprirsi  il  folk-lore, 
il  P.  parla  di  quelli,  che,  secondo  lui,  dovrebbero  essere  i  princi- 
pali elementi  della  ricerca.  Che  cosa  legge  tutta  questa  gente?  E 
che  cos^  leggeva  venti  o  trenta  anni  addietro  ?  Quali  sono  le  ra- 
gioni per  cui  i  gusti  sono  mutati  ?  Le  recenti  conquiste  della  scienza 
come  sono  apprese  e  assimilate  e  modificate  dalla  gran  massa  del 
pubblico?  E  qual'è  il  senso  storico  della  semi-plebe,  il  modo  cioè 
con  cui  essa  intende  e  considera  i  fenomeni  storici?  «In  città.... 
«  gli  autori  dei  rivolgimenti  d'ogni  genere  hanno  vissuto  e  dormono 
«oggi  l'ultimo  sonno:  in  città  i  monumenti  d'arte,  i  nomi  delle 
«  strade,  le  numerose  epigrafi  tengono  vivo  il  ricordo  del  passato. 
«  E  la  marea  delle  cozzanti  vite  che  passa  all'ombra  dei  monumenti 
«  secolari  ha  conservato,  a  suo  modo,  le  tradizioni  storiche  ».  Per 
gli  avvenimenti  remoti  i  ricordi  sono  più  rari  e  più  vaghi  ;  più 
numerose  e  più  vive  le  memorie  recenti,  ma  alterate  cosi  come  non 
è  facile  immaginare  :  più  numerosi  ancora  e  derivati  sempre  dalla 
imperfetta  conoscenza  della  storia,  i  pregiudizi  intorno  al  movi- 
mento politico  e  sociale  contemporaneo. 

Altri  elementi  indispensabili  di  ricerca  sono:  il  patrimonio 
novellistico,  ricchissimo  tra  la  semi-plebe,  e  il  gergo,  in  quanto  è 
«  patrimonio  di  un'intera  classe  di  persone  e  più  e  meglio  dei  vo- 
«  caboli  tecnici  scolpisce  la  fisonomia  di  questa  classe  »  (marinai, 
soldati,  sartine  ec). 

L'opuscolo  del  Provenzal  dovrebbe  esser  letto  anche  dai  cultori 
di  storia,  ai  quali  non  può  sfuggire  l'opportunità  di  raccogliere  pa- 
gine della  vita  contemporanea,  che  saranno  documenti  storici  di 
straordinario  valore.  F.  B. 

Storia  Regionale. 

Toscana.  —  Q.  Sàntoli,  «  Il  Liber  Censuum  »  del  Comune  di  Pi- 
stoia. Regesti  di  documenti  inediti  sulla  storia  della  Toscana  nei  sec.  XI- 
XIV.  -  Fascicolo  I  (dal  1097  al  1224),  Pistoia  1906.  -  Non  è  il  caso 
di  segnalare  l' importanza  di  ([uesta  pubblicazione  intrapresa  dalla 


244  NOTIZIE 

Società  Pistoiese  di  Storia  patria;  il  1"  fascicolo  fa  desiderare  che 
la  continuazione  sia  sollecita,  che  presto  sia  dato  allo  studioso  dì 
poter  consultar  l'opera  intiera.  Il  dr.  Sàntoli  si  è  accinto  al  lavoro 
con  grande  amore  e  diligenza,  e  in  questo  Archivio  (serie  V,  XXXVI) 
pubblicò  un  breve  studio  preparatorio  per  l'edizione  dei  regesti  del 
Liber  Censuum.  Questo  1"  fascicolo  non  è  preceduto  da  alcuna  av- 
vertenza che  rischiari  il  lettore  sul  metodo  seguito.  Il  regesto  ap- 
pare alle  volte  troppo  lungo  e  affaticato  :  ricorrono  vocaboli  e  for- 
mule per  un  regesto  talora  superflue;  non  sempre  l'uso  delle  virgolette 
sembra  opportuno.  Ma,  poiché  i  regesti  possono  essere  compilati  con 
metodi  e  intenti  vari,  queste  osservazioni  nulla  tolgono  alla  bontà 
e  tanto  meno  all'utilità  del  lavoro.  L.  S. 

—  Conte  Antonio  Mastai-Ferretti,  I  fatti  e  le  persone  piìt 
illustri  della  famiglia  Falconieri.  Roma,  Tip.  Coop.  Operaia  Eomana, 
1906;  8°,  pp.  24.  —  La  famiglia  Falconieri  trasse  origine  da  Fiesole 

Falconiera  proles 

A  Fesulis  deduxit  avos  antiqua  propago. 

Si  trapiantò  nel  secolo  XII  in  Firenze;  più  tardi  un  ramo  passò 
a  Roma  e  in  Sicilia,  un  altro,  di  parte  guelfa,  rimase  in  Firenze  e 
si  estinse  nel  1812  colla  morte  dei  due  fratelli  Francesco  e  Roberto 
Falconieri,  che  perirono  miseramente  nella  sciagurata  campagna  na- 
poleonica nella  Russia. 

I  più  illustri  personaggi  di  questa  nobile  famiglia  sono  :  Chia- 
rissimo, rimasto  celebre  per  aver  fatto  costruire  a  sue  spese  in  Fi- 
renze la  Chiesa  della  SS.  Annunziata,  Cambio,  figlio  di  Guido,  che 
nel  1354,  come  uno  degli  Anziani,  prese  parte  alla  conclusione  della 
lega  fra  Firenze  e  i  Guelfi  di  Arezzo,  Paolo,  figlio  di  Francesco,  che 
nel  1498  sali  alla  carica  suprema  del  gonfalonierato. 

La  famiglia  Falconieri  ebbe  anche  tre  cardinali  illustri  e  due 
santi  insigni:  S.  Alessio  e  S.  Giuliana,  fondatori  dei  Servi  di  Maria. 

E.  M. 

Liguria.  —  Ambrogio  Pesce,  Un  episodio  del  costume  in  Genova. 
Il  ratto  d'una  fanciulla  (1451).  Genova,  Carlini,  1906.  —  La  fanciulla 
rapita,  o  lasciatasi  rapire,  era  la  figlia  di  Nicolò  di  Negro;  il  rapitore 
Martinetto  Fregoso,  cugino  del  doge  Pietro  Fregoso,  il  quale,  ad 
impedire  che  l'offesa  privata  riaccendesse  le  lotte  intestine,  avrebbe 
accomodato  volentieri  la  faccenda  con  un  matrimonio.  Ma  Martinetto 
non  volle  saperne,  e  noi  ignoriamo  come  terminasse  l'aifare,  giacche 
i  tre  documenti,  che  l'A.  pubblica  in  appendice,  non  ce   lo   dicono. 

F.  L. 


NOTIZIE  245 

L()Mi5AKDiA.  —  Un  lavoro,  che  non  serve  soltanto  come  guida  al 
forestiere,  ma  può  essere  consultato  con  profitto  da  ogni  persona  colta, 
t'  la  Carta  topografica  di  Milano  e  dintorni,  con  Profilo  storico  delle 
età  preromana,  romana,  medievale  e  moderna,  edita  da  Giuseppe 
Crivellari,  dell'Istituto  geografico  militare,  già  ben  noto  per  con- 
simili pubblicazioni. 

La  Carta  è  stata  costruita  alla  scala  da  1  a  15000,  e  ridotta 
in  fotozincografia  alla  scala  di  1  a  18000.  Il  disegno,  riprodotto 
nitidamente  in  molteplici  colori,  mostra  a  colpo  d'occhio  le  varie 
cerchie  della  città  e  i  successivi  ingrandimenti  dai  tempi  remoti 
ai  nostri  giorni. 

Quanto  ai  dintorni,  si  ha  il  circuito  compreso  fra  l'Ippodromo 
di  S.  Siro  ad  0.,  Salvanesco  e  Chiaravalle  al  S.,  Rogoredo  e  Lam- 
brase  ad  E.,  Gorla,  Segnano  e  Villapizzone  al  N.  Tanto  nella  città 
(|uanto  nel  contado  risaltano  benissimo  i  monumenti  antichi  e  mo- 
derni, che  sono  descritti  ad  uno  ad  uno  nelle  varie  epoche.  L'A.  ha 
consultato  un  numero  considerevole  di  carte,  rilievi  e  piante,  ma- 
noscritte Q  a  stampa,  del  tempo  che  corre  dalla  seconda  metà  del 
!>ec.  XVI  fino  ad  oggi  ;  e  dal  confronto  di  tutte  ha  ricavato  la  pla- 
nimetria. Le  mappe,  rilevate  dal  1720  in  poi,  gli  hanno  servito  per 
comporre  la  toponomastica.  È  doveroso  avvertire  che  nella  parte 
storica  sono  incorse  alcune  mende,  derivate  principalmente  dalla 
fretta  con  cui  l'opuscolo  è  stato  composto,  volendo  l'A.  farne  coin- 
cidere la  pubblicazione  con  l'apertura  della  Esposizione  milanese. 
La  lontananza  da  Milano  ha  impedito  al  Crivellari  di  fare  gli  ul- 
timi riscontri  e  di  correggere  alcune  sviste  od  errori;  ne  per  la 
stessa  ragione  ha  potuto  curare  con  esattezza  la  revisione  delle 
bozze  di  stampa.  Ma  sono  sicuro  che  l'egregio  A.,  in  una  ristampa 
del  libretto,  che  gli  auguro  prossima,  vorrà  tener  conto  di  tutte  le 
osservazioni  e  correzioni,  che  gli  eruditi  cultori  della  storia  mila- 
nese si  compiaceranno  di  fargli  e  suggerirgli.  P.  S. 

Veneto.  —  Interessantissimo  l'argomento  di  uno  studio  di  B.  Pit- 
ZORNO,  pubblicato  nel  Nuovo  Archivio  Veneto  (Nuova  serie,  Voi.  XI, 
p.  I,  estr.  Venezia,  Fontana,  1906)  sui  Consoli  Veneziani  di  Sardegna 
e  di  Maiorca  :  diramazione,  per  così  dire,  di  un  soggetto  d' impor- 
tanza capitale  già  studiato  dal  Belgrano,  dal  Manfroni,  dal  Salles, 
dal  Morel  e  dallo  Schaube  :  le  istituzioni  consolari  medioevali. 
Nella  sua  «  Proxénie  au  moyen-dge  »  lo  Schaube  distinse  i  «  con- 
sules  missi  »  i  «  consules  electi  »  e  i  «  consules  hospites  »,  i  quali 
ultimi,  sudditi  dello  Stato  straniero  in  cui  s'insediavano  mercanti 
da  essi  protetti,  si  avvicinavano  giuridicamente  oltre  che  formal- 
mente ai  prosseni  dell'antichità   classica.  A  quest'ultima  categoria 


246  NOTIZIE 

sembrano  meglio  riferirsi  i  consoli  veneti  in  terre  catalane,  dei 
quali  appunto  si  occupa  ora  il  P.  Le  funzioni  del  console  veneto 
in  Cagliari  ricevono  lume  dalle  notizie  raccolte  intorno  al  Conso- 
lato di  Venezia  in  Maiorca;  e  la  istituzione  del  consolato  veneto 
in  Sardegna  sembra  a  sua  volta  accennare  maggiore  di  quel  che 
finora  si  sia  creduto  il  concorso  e  l'importanza  degli  elementi  Ve- 
neti nella  storia  della  Sardegna.  A.  A.  B, 

Emilia.  —  Il  dr.  Giulio  Jung,  professore  di  storia  antica  nel- 
l'Università imperiale  tedesca  di  Praga,  stampò  nel  voi.  XX  delle 
Mittheilungen  des  Institnts  filr  òsterreichische  Geschichtsforschiing 
l'interessante  scritto  :  Bobbio,  Veleia  e  Bardi,  escursione  topografica 
e  storica.  Questo  scritto  è  stato  voltato  in  italiano  dal  generale 
Antonio  Boselli  ed  inserito  a  pp.  57-91  del  voi.  IV,  nuova  serie, 
(\q\V Archivio  storico  per  le  Provincie  Parmensi,  che  si  pubblica  a  cura 
di  quella  R.  Deputazione  di  Storia  Patria.  G.  S. 

Napoli.  —  Il  dr.  Fausto  Nicolini  raccoglie  in  un  volume  in- 
teressanti studi  su  quella  parte  di  Napoli  che  dalla  Porta  reale 
giunge  fino  al  Palazzo  degli  studi  {Memorie  storiche  di  strade  e 
edifici  di  Napoli  dalla  Porta  reale  al  Palazzo  degli  studi.  —  Na- 
poli, R.  Ricciardi,  1907  ;  16^  pp.  vi-172).  Non  si  contenta  però  di 
chiarire  la  parte  topografica  di  quel  rione,  ma  si  ferma  a  narrare  la 
storia  di  ogni  largo,  di  ogni  chiesa,  di  ogni  palazzo  o  costruzione 
che  veda  sorgere  in  quel  tratto  della  città,  e  ad  illustrarla  ancora 
col  ricordo  degli  avvenimenti,  degli  aneddoti  che  vi  ebbero  luogo. 
Comincia  collo  spiegare  che  cosa  fosse  il  Limpiano,  sul  quale  si 
svolse  poi  una  buona  parte  della  via  Toledo,  e  si  estendeva  dal- 
l'attuale Piazza  Dante  almeno  fino  ad  Antignano.  Ricorda  quindi 
la  costruzione  della  Porta  Reale  per  opera  di  don  Pietro  di  Toledo: 
illustra  il  largo  del  Mercatello,  oggi  Piazza  Dante,  la  chiesa  di 
S.  Michele,  Port'Alba  ;  le  chiese  e  conventi  di  S.  Domenico  Soriano, 
di  Caravaggio,  dell'Avvocata,  le  Fosse  del  Grano,  il  Teatro  Bellini, 
la  Galleria  Principe  di  Napoli,  la  chiesa  e  convento  di  S.  Potito, 
quella  di  S.  Giovanni  de' Nudi,  ec.  E.  C. 

Puglie.  —  H.  Niese,  Normannische  und  staufische  Urkunden  ans 
Apulien.  Erster  Teil.  (  Quellen  und  Forschungen  aus  italianischen  Ar- 
chiven  und  Bibliothelcen,  IX,  Heft  2).  Roma,  1906.  —  Il  dr.  Niese,  che 
nell'autunno  del  1905  lavorò  negli  archivi  di  Puglia  per  la  raccolta, 
intrapresa  dal  R.  Istituto  storico  Prussiano  in  Roma,  dei  Diplomi  dei 
re  Normanni-Svevi,  inizia  ora  la  pubblicazione  del  materiale  inedito,  o 
che  si  può  considerar  tale,  da  lui  rintracciato.  In  questa  prima  parte 
presenta  il  frutto  delle  ricerche  negli  archivi  dì  Troia  e  di  Foggia. 


NOTIZIE  247 

cioè  nove  docunienti  nuovi;  vi  aggiunge  due  documenti  di  Fede- 
rico II  ricavati  da  una  pergamena,  di  cui  ebbe  riproduzione  foto- 
grafica, presso  l'archivio  civico  di  Altamura.  Precede  al  testo  un'ampia 
e  buona  illustrazione.  L.  S. 

Sardegna.  —  Rannodando  con  geniale  evocazione  alla  storia  delle 
antiche  corporazioni  d'arti  e  mestieri  della  Sardegna  i  fatti  della  So- 
cietà Operaia  di  Cagliari  per  il  50"  anniversario  della  fondazione  di 
questo  più  evoluto  e  moderno  sodalizio,  Silvio  Lippi  (Cagliari,  Tip. 
Unione  Sarda,  1906)  ha  raccolto  brevi  e  preziose  notizie  sugli  Statuti 
delle  Corporazioni  artigiane  sarde,  alcuni  de' quali  rimasero  in  vigore 
sino  alla  legge  generale  di  soppressione  del  29  maggio  1864.  Gli 
scopi,  i  sistemi  d'amministrazione  e  di  reclutamento  di  queste  as- 
sociazioni operaie,  che  in  Sardegna  ebber  nome  di  gremi,  sono  per 
lo  più  simili  a  quelli  delle  istituzioni  congeneri  che  fiorirono  in 
tutta  Italia  nel  medio  evo  ;  ma  le  peculiarità  caratteristiche  che  vi 
si  rilevano,  in  confronto  degli  altri  che  vigevano  nel  continente,  e 
la  redazione  di  alcuni  di  essi  nell'antico  dialetto  isolano,  rendono 
assai  interessante  la  lettura  di  quei  testi  statutari  die  il  L.  ha 
pubblicato,  e  che  appartengono  ai  gremì  de' Muratori  (147o),  dei  Bar- 
caiuoli (1547),  degli  Argentari  ed  Orefici  (16B1),  dei  Conciatori  (1673), 
dei  Falegnami  (1676)  e  dei  Pescatori  (1747). 

Se,  come  l'A.  si  augura,  l'esempio  egregiamente  da  lui  dato 
fosse  seguito  e  potesse  aversi  un'edizione  critica  e  ben  condotta  al 
pari  di  cfuesta  (che  lascia  solo  a  desiderare  per  la  esattezza  tipo- 
grafica) di  tutti  gli  statuti  delle  maestranze  sarde,  ne  resulterebbe 
un  notevole  vantaggio  agli  studi  storico-sociali  dell'isola,  e  ne  sa- 
rebbe di  molto  agevolata  la  compilazione  di  una  storia  artigiana  che 
ci  riveli  la  vita  operaia  de' secoli  scorsi  ne' riguardi  economici  e  ci- 
vili, ed  anche  in  quelli  politici,  poiché  le  maestranze  sarde,  siccome 
associazioni  politiche  riconosciute,  raccoglievano  e  coordinavano  le 
moltitudini,  ed  avevano  considerevole  parte  negli  avvenimenti. 

G.  D.  A. 

Storia  giuridica. 

—  Nei  Rendiconti  del  R.  Ist.  Lombardo  di  Scienze  e  Lettere,  ser.  II, 
voi.  XXXIX,  1906,  è  una  monografia  del  prof.  Del  Giudice,  Sulla 
questione  della  unità  o  dualità  del  diritto  in  Italia  sotto  la  domi- 
nazione ostrogota.  L'A.,  prendendo  come  punto  di  partenza  il  noto 
lavoro  dell' Halban  {Das  ròmische  Rechi  in  den  gerrnanischen  Vollìs- 
staaten,  Breslau,  1899),  cerca  di  determinare  i  limiti,  entro  i  quali 
deve  accettarsi  l'opinione  intermedia  tra  quella  che  ammette  l'unità 
del  diritto,  cioè  l'assoluto  ed  esclusivo  dominio  della  legge  romana 


248  NOTIZIE 

anche  sui  Goti,  e  l'.altra  che  ne  sostiene  la  dualità,  meno  che  sulle 
materie  contenute  negli  editti  regi,  i  quali  avevan  piena  autorità  sui 
vincitori  e  sui  vinti.  Nella  general  tendenza  iniziata  da  Teodorico 
ad  assicurare  al  romanesimo  un  incontrastato  potere,  il  diritto  na- 
zionale barbarico  si  applicò  ancora  in  alcuni  rapporti  privati  fra 
Goti,  specialmente  in  quelli  non  controversi,  ma  non  per  intenzione 
che  ne  avessero  avuto  Teodorico  ed  i  suoi  successori,  bensì  per  ne- 
cessità di  fatti  e  di  tradizioni,  che  ancora  si  opponevano  alla  per- 
fetta unificazione  del  diritto,  la  quale  fu  sempre,  e  il  Del  Giudice 
lo  dimostra  assai  chiaramente,  l'ultimo  ed  il  solo  scopo  della  legis- 
lazione dei  re  Goti  in  Italia.  Q.  Se. 

—  L'  ellenismo  nei  documenti  napolitani  del  medio  evo  è  argo- 
mento di  una  nota,  che  il  prof.  N.  Tamassia  ha  pubblicato  negli  Atti 
del  Beale  Istituto  Veneto  di  scienze,  lettere  ed  arti,  1906-7,  to.  LXIV, 
par.  2^  L'A.  ha  voluto  rimettere  in  onore  la  dottrina  che  considera 
l'ellenismo  medievale  del  mezzogiorno  d'Italia  un  pallido  riflesso 
dell'antichissima  civiltà  greca,  piuttosto  che  un  effetto  della  più 
recente  conquista  bizantina;  egli  limita  il  suo  studio  ai  documenti 
paternopei,  fermandosi  particolarmente  sopra  alcune  parole  di  ori- 
gine greca  che  in  essi  s'incontrano  e  che  hanno  particolare  atti- 
nenza col  diritto;  e  sostiene  validamente  l'opinione  che  lo  speciale 
linguaggio  curialistico  non  tragga  la  sua  origine  dai  rapporti  col- 
r impero  orientale  e  dal  dominio  bizantino,  il  quale  d'altra  parte 
non  si  affermò  mai  su  Napoli  con  un  eccessivo  potere  assorbente, 
ma  sia  una  vera  sopravvivenza  dell'ellenismo  antico,  che  forse  sol- 
tanto in  quelle  formule  tradizionali  si  mantenne  attraverso  i  secoli. 

Q.  Se. 

—  Il  prof.  A.  Solmi  ha  recentemente  esposto  in  una  nota  uscita 
negli  Studi  in  onore  di  C.  Fadda  alcune  notizie  Sulla  carta  de  logu 
cagliaritana  (Napoli,  1905),  ch'egli  ha  tratto  da  documenti  sardi  ine- 
diti, interessanti  perchè  danno  nuova  luce  sopra  il  breve  pisano  dei 
vicarii  regni  Kallari,  il  quale  dopo  la  conquista  aragonese  restò 
ancora  in  vigore  come  legge  territoriale,  carta  de  logu,  riconosciuta 
dal  nuovo  governo,  essendo  quella  che  meglio  rispondeva  ai  bisogni 
delle  popolazioni  rurali,  che  non  avevano  una  costituzione  propria. 

La  carta  de  logu  cagliaritana  è  andata  perduta,  principalmente 
perchè,  redatta  in  latino,  non  potè  reggere  contro  la  fortuna  che 
in  Sardegna  ebbe  nel  secolo  XV  quella  di  Arborea;  e,  se  di  questa 
non  può  dirsi  con  sicurezza  la  fonte,  mancando  il  testo,  certo  ha 
con  essa,  almeno  nella  parte  indirettamente  conosciuta,  tanti  punti 
di  contatto,  che  l'A.  è  tratto  a  pensare  che  ambe<lue  siano  un  pro- 
dotto della  legislazione  pisana  in  Sardegna.  Q.  Se. 


NOTIZIE  249. 

—  Ottimi  contributi  e  graditissimi  sempre  agli  studiosi  di  storia 
giuridica  e  di  diplomatica  son  quelli  che  intendono  a  gettar  luce 
sulla  non  ancor  ben  conosciuta  materia  del  documento  e  del  notariato 
italiano  nell'epoca  medievale.  Tale  è  il  breve  studio  di  Melchiorre 
Roberti  intorno  ai  frnmmenti  di  un  formulario  notarile  del  principio 
del  sec.  XIV  appartenuto  alla  Curia  del  Vescovo  di  Padova  (Padova, 
Randi,  1906). 

Il  tenue  manoscritto  consta  di  due  frammenti  :  il  primo  contiene 
sei  formule  complete  di  documenti  giuridici  con  una  brevissima 
notula  doctrinalis;  il  secondo  porta  invece  formule  di  documenti  di 
carattere  letterario;  taluno  di  questi  si  riferisce  all'Università  pa- 
dovana, ed  uno  ricorda  il  famoso  consultore  della  Repubblica  veneta, 
Riccardo  Malombra,  già  dottamente  illustrato  da  Enrico  Besta. 

È  da  deplorare  che  del  prezioso  codice  ci  sien  rimasti  cosi 
scarsi  frammenti,  perchè  la  conoscenza  del  testo  intero  ci  avrebbe 
molto  agevolato  lo  studio  sulla  giurisdizione  assai  larga  che  al  prin- 
cipio del  sec.  XIII  avea  ancora  conservata  il  Vescovo  di  Padova  in 
molti  rami  del  diritto  i)rivato  e  pubblico  e  nell'amministrazione 
stessa  del  Comune.  G.  D.  A. 

Storia  letteraria  e  artistica. 

—  Coir  intento  di  fornire  a  tutti  gli  studiosi  di  cose  vinciane 
una  raccolta  completa  del  materiale  che  si  riferisce  al  grande  ita- 
liano, di  cui  fra  pochi  anni  si  celebrerà  degnamente  il  quarto 
centenario  della  morte,  si  è  iniziata  in  Milano,  ad  iniziativa  del 
sen.  Luca  Beltrami,  presso  l'Archivio  Storico  del  Comune,  una  Rac- 
colta  Vinciana,  la  quale  si  propone  di  riunire: 

le  pubblicazioni  che  illustrano  la  vita  di  Leonardo,  l'opera 
artistica  di  lui  e  della  sua  scuola,  le  molteplici  manifestazioni  del 
suo  ingegno  in  tutti  i  campi  dello  scibile,  i  suoi  rapporti  con  con- 
temporanei, la  sua  influenza  sulle  arti  e  sulle  scienze,  la  fortuna 
della  sua  fama  nei  vari  tempi,  la  vita  e  le  opere  di  artisti  e  di 
pensatori  che  a  Leonardo  siansi  comunque  inspirati  ; 

le  pubblicazioni  d' indole  stòrica  che,  pur  trattando  in  gene- 
rale le  diverse  manifestazioni  dell'  arte  o  del  pensiero  nel  Rinasci- 
mento, a  Leonardo  in  qualche  parte  si  riferiscano;  e  quelle  d'in- 
dole artistica   che  da  lui   abbiano   tratto   argomento   o  ispirazione  ; 

le  opere  di  contemporanei  che  accennino  a  Leonardo  o  che, 
pur  non  facendo  menzione  di  lui,  risultino  di  utile  consultazione 
agli  studiosi  offrendo  materia  per  deduzióni  e  raffronti; 

le  pubblicazioni  antiche  e  moderne,  che  riproducono  integral- 
mente e  illustrano  i  manoscritti  vinciani  ; 


250  NOTIZIE 

le  incisioni,  anche  antiche,  le  fotografie  ed  eliotipie  riprodu- 
centi  disegni  e  dipinti  di  Leonardo,  i  documenti  che  direttamente 
0  indirettamente  a  lui  si  riferiscano,  le  medaglie,  ecc. 

Per  comodo  degli  studiosi  poi,  a  cura  del  Direttore  dell'Archi- 
vio Civico  di  Milano,  dott.  Ettore  Verga,  si  pubblica  annualmente 
un  bullettino,  che  s'intitola  appunto  Raccolta  Vinciana  (Milano, 
Allegretti,  1905  e  1906),  in  cui,  oltre  un'  accurata  bibliografia  vin- 
ciana e  una  cospicua  serie  di  regesti  di  tutti  i  documenti  relativi 
a  Leonardo  fin  qui  editi,  si  contengono  anche  articoli  originali,  il- 
lustrati da  splendide  incisioni.  Nel  1°  fascicolo  ricordiamo  quello 
del  Verga  su  «  la  donazione  dei  codici  di  Leonardo  fatta  dall' Ar- 
conati  all'Ambrosiana  di  Milano  »,  e  del  Beltrami  su  «  le  espres- 
sioni e  vocaboli  lombardi  nel  Codice  Atlantico  »  ;  e  nel  2"  fascicolo 
i  contributi  di  Corrado  Ricci,  A.  Favaro,  E.  De  Marinis,  G.  Bonelli 
e  de'  ricordati  Verga  e  Beltrami.  La  Baccolta  si  propone  anche  di 
pubblicare  separatamente,  non  appena  l'intero  lavoro  sarà  compiuto, 
il  materiale  bibliografico  dal  sec.  XVI  al  1900. 

Quest'istituzione,  che  ofi're  tutti  i  vantaggi  d'una  vera  associa- 
zione scientifica  e  clie  ha  reso  già  grandi  servigi  agli  studiosi  di 
cose  leonardesche  funzionando  come  un  utile  ufificio  d' informazioni 
vinciane,  non  impone  ai  suoi  aderenti  alcun  peso,  ma  solo  ne  at- 
tende tutti  quei  contributi  di  studi  e  di  ricerche,  che  permettano 
di  illustrare  e  lumeggiar  degnamente  la  nobile  e  simpatica  figura 
del  grande  da  Vinci.  "  G.  D.  A. 

—  Gustavo  Uzielli,  Lodovico  Ariosto  e  i  suoi  amori  in  Firenze 
(per  nozze  Uzielli-Franchetti  ).  -  Firenze,  Lapi,  1905  :  p.  25.  —  Il 
chiaro  Autore  in  questo  opuscolo  ripubblica  con  qualche  aggiunta 
alcune  pagine  della  illustrazione  con  cui  accompagnò  nel  1898  la 
sua  edizione  della  Vita  di  Amerigo  Vespucci  del  Bandini  ;  ed  è  stato 
ottimo  consiglio,  perchè  non  troppo  facilmente  si  sarebbe  pensato 
che  ci  fossero  notizie  sull'Ariosto  nelle  note  ad  una  vita  del  Ve- 
spucci; mentre  d'altra  parte  Fargomento  è  di  quelli  che  offrono  uno 
speciale  interesse,  perchè  si  tratta  di  questioni  irresolute:  quella 
degli  amori  dell'Ariosto  e,  quindi,  dell'ordinamento  delle  sue  rime 
amorose.  L'U.  dà  anzitutto  alquante  notìzie  su  Nicolò  Vespucci  (nella 
casa  del  quale  a  Firenze  Lodovico  s'innamorò  di  Alessandra  Be- 
nucci),  nato  nel  1474  da  Simone  Vespucci  e  da  Lucrezia  di  Niccolò 
Gualtierotti,  e  morto  verso  il  1535.  Riportate  indi  le  parole  del  noto 
biografo  dell'Ariosto,  Simone  Fornari  da  Reggio  Calabria,  sugli  amori 
fiorentini  del  cantor  dell'Orlando,  senza  però  darne  la  dimostrazione, 
ne  trae  la  conclusione  che  la  donna,  cognata  del  Vespucci,  da  cui 
l'Ariosto  ebbe  i  figli  Giambattista  e  Virginio,  non  è  l'Alessandra  Be- 


NOTIZIE  251 

micci;  chi  sia  questa  cognata  TU.  non  sa  dire  per  ora,  e  promette 
di  chiarire  questo  oscuro  punto  in  un  prossimo  studio.  E  ben  venga 
questo  studio  ;  ma  intanto  ci  affrettiamo  a  notare,  che,  chiunque  sia 
questa  cognata,  non  potranno  essere  figli  avuti  da  Lodovico  con  lei, 
conosciuta  da  lui  nel  1513,  né  Virginio,  né  Giambattista,  dei  quali 
si  hanno  notizie  rispettivamente  del  1509  e  del  1503.  Importante 
assai  è  invece  quello  che  TU.  ci  fa  sapere  a  pp.  21-22  del  suo  opu- 
scolo, che  cioè  l'Ariosto  fu  a  Firenze  non  soltanto,  com'era  noto,  nel 
giugno  1513,  quando  fu  ospite  del  Vespucci,  ma  anche  il  12  febbraio, 
avanti,  dunque,  che  i  D'Este  pensassero  a  mandarlo  Roma  per  l'in- 
coronazione di  Leone  X  (11  marzo  1513).  In  questo  primo  soggiorno 
fiorentino  noi  troviamo  Lodovico  incaricato  di  fare  pignoramenti  ed 
altre  operazioni  consimili,  insieme  a  Giovanni  di  Guidantonio  Ve- 
spucci, in  nome  del  suo  cugino  Rinaldo  degli  Ariosti,  per  denari  da 
questo  prestati  al  banco  di  Pier  Francesco  de'Medici.  Notizia,  questa, 
tanto  importante,  anche  come  prova  positiva  delle  sue  relazioni  coi 
Vespucci,  che  avremmo  desiderato  che  l'IT,  pubblicasse  il  documento, 
e  non  si  contentasse  di  darcene  un  breve  cenno.  L'opuscolo  si 
chiude  col  dar  notizia  delle  due  case  abitate  in  Firenze  dall'Ariosto, 
e  del  costui  ritratto  dipinto  dal  Tiziano,  assicurato  or  non  è  molto 
alla  Galleria  Nazionale  di  Londra.  A.  D.  T. 

—  Il  BuUettino  Senese  di  Storia  Patria  (XII,  2-3,  pp.  308-317) 
pubblica  una  piacevole  ed  erudita  illustrazione  del  dr.  Ludovico  Frati 
sur  una  curiosa  Novella  amorosa  Senese  del  Cinquecento,  autografa  ed 
anonima,  dedicata  a  Messer  Barbiano  Arrighi  nel  1553,  esistente  con 
altre  scritture  nel  voi.  39  dei  mss.  di  Ulisse  Aldobraudi,  conservati 
nella  Universitaria  di  Bologna.  È  preceduta  da  un  Proemio  agli  acca- 
demici bolognesi,  ed  é  divisa  in  sette  parti,  o  Trattati,  ciascuno  dei 
quali  ha  in  fine  un  capitolo  in  terza  rima.  Il  Frati  ne  scuopre  l'au- 
tore, un  Tiberio  dell'Aquila,  fiorentino,  il  cui  nome  é  fatto  in  altro 
cod.  Aldobrandino,  in  una  Satira  autografa,  scritta  dalla  stessa 
mano  della  Novella.  Il  nostro  scrittore  pone  il  quesito  se  v'ha  nel 
contenuto  di  essa  un  substrato  di  vero.  Da  accenni  storici,  non 
privi  di  importanza,  che  si  trovano  nel  Proemio,  si  desume  che  alcuni 
personaggi  nominati  in  essa  sono  veramente  esistiti.  Inoltre  sono  ben 
noti  il  monastero  delle  monache  di  S.  Stefano,  ove  si  sarebbero  svolti 
gli  episodi  raccontati  dal  novelliere,  e  l'altro  di  S.  Maria  Maddalena, 
pure  ricordato  nella  Novella.  P.  S. 

—  Adolfo  Simonetti,  Bartolomeo  Beverini  storico  e  poeta  luc- 
chese del  secolo  XVII.  Foligno,  Campi,  1906.  —  L'A.  vuol  rendere 
giustizia  a  un  suo  concittadino,  che  crede  a  torto  dimenticato,  o 
quasi,  dal  Morsolin  e  dal  Belloni  e  mal  giudicato  dal  Carducci.  Ne 


252  NOTIZIE 

narra  quindi  la  vita  e  ne  ricorda  le  opere  edite  ed  inedite,  soffer- 
mandosi specialmente  sulle  due  principali:  gli  annali  di  Lucca, 
scritti  in  buon  latino,  ma  di  scarso  valore  storico,  e  la  traduzione 
in  ottave  della  Eneide,  che  ebbe  sei  edizioni  sino  al  1829  e  fu  lar- 
gamente ammirata  dai  contemporanei.  Il  lavoro,  che  ci  è  sembrato 
assai  superficiale,  avrebbe  potuto  essere  considerevolmente  più  breve. 

F.  L. 

—  In  una  monografia  intitolata  Paol  Francesco  Carli  e  la  Poesia 
ditirambica  (Venezia,  Tip.  Emiliana,  1906),  il  prof.  Torello  Fanciul- 
LACCi  studia  da  un  punto  di  vista  puramente  letterario  l'opera  tra 
rediana  e  satirica  del  Carli,  poeta  valdinievolese  del  XVII-XVIII  se- 
colo, la  Svinatura,  con  digressioni  e  richiami  ad  altri  poeti  ditiram- 
bici del  tempo,  accennando  anche  a  certa  sua,  sebben  lontana,  afiinità 
con  quella  che  fu  poi  la  maniera  del  Giusti.  A.  A.  B. 

Concorsi. 

—  A  festeggiar  degnamente  il  50*^  anniversario  della  sua  fon- 
dazione la  Società  Ligure  di  Storia  Patria  ha  bandito  un  concorso, 
col  premio  di  lire  mille,  per  un  libro  che,  in  forma  di  sobrio  com- 
pendio, destinato  alle  scuole  e  condotto  sulle  fonti  criticamente  più 
accreditate,  esponga  la  Storia  di  Genova  dalle  origini  fino  all'  an- 
nessione al  Piemonte. 

I  lavori,  anonimi  e  contraddistinti  solo  da  un  motto  o  da  un 
numero,  dovranno  essere  consegnati  alla  Segreteria  della  Società  non 
più  tardi  del  31  gennaio  1908.  La  Commissione  esaminatrice  riferirà 
nel  termine  di  tre  mesi  dal  giorno  della  chiusura  del  concorso. 

L'opera  prescelta  sarà  stampata  a  spese  della  Società,  la  quale 
se  ne  riserva  la  proprietà  letteraria,  salvo  a  corrispondere  all'au- 
tore una  percentuale  non  inferiore  al  30  "/,,  sugi'  introiti  netti  da 
ogni  spesa. 

—  Con  vivo  compiacimento  annunziamo  che  il  dr.  Giustiniano 
Degli  Azzi  Vitelleschi,  aiuto  del  Direttore  di  questa  Rivista,  è  stato 
proclamato  vincitore  del  premio  Tenore  nel  concorso  indetto  dall'Ac- 
cademia Pontaniana  per  una  monografia  documentati?  sul  tema:  La 
dimora  di  Carlo  f,glio  di  Boherto  di  Napoli  a  Firenze  nel  1326-27. 

All'egregio  collaboratore  giungano  le  congratulazioni  (\e\V Archi- 
vio Storico,  insieme  con  l'augurio  di  un  avvenire  sempre  più  operoso 
e  sempre  migliore. 


(ì.    1*.    Vieusseux    responsabile. 


/' 


ATTI  DELLA  E.  DEPUTAZIONE 
(1907) 


Adunanza  generale  del  13  aprile.  —  L' adunanza  è  con- 
vocata, a  forma  degli  articoli  '25  e  2(i  del  Regolamento, 
col  seguente  ordine  del  giorno  : 

1.  Kiuiiovamento  del  Consiglio  Direttivo. 

2,  Elezione  del  Delegato  della  Regia  Deputazione  presso   1"  Istituto 

Storico  Italiano. 
ó.  Nomina  di  un  socio  ordinario. 

4.  Nomine  di  soci  corrispondenti  italiani  e  straniei'i. 

5.  Comunicazioni  della  Presidenza. 

Presiede  il  senatore  Villari.  Sono  presenti  i  soci 
ordinari  Berti.  Corsini,  Del  Badia^  Del  Lungo,  F  a- 
loci-Pulignani.  Cxlierardi,  Giorgetti,  Lupi,  Ma- 
gherini-Graziani.  Mancini,  Santini,  Sforza.  Hanno 
scusato  la  loro  assenza  i  soci  D'Ancona,  Del  Vecchio, 
Fumi.   G-iannini,  Sardi  e  Sardini. 

—  Dopo  aver  data  lettura  del  verbale  della  prece- 
dente adunanza,  che  viene  approvato,  si  procede  al  rin- 
novamento degli  uffici.  Si  forma,  per  votazione  a  schede 
segrete,  una  terna  da  proporsi  al  Ministero  per  la  nomina 
del  Presidente,  a  norma  dell'articolo  17  del  Regolamento, 
e  rimane  composta  del  senatore  Pasquale  Villari,  già 
Presidente,  del  senatore  Isidoro  Del  Lungo  e  del  sena- 
tore Tommaso  Corsini. 

Parimente  a  schede  segrete  vengono  confermati  il 
senatore  Isidoro  Del  Lungo  nell'ufficio  di  Vicepresi- 
dente; il  profes.sore  Alberto  Del  Vecchio  in  quello  di 
Segretario;  e  il  cav.  uff.  Alessandro  Grherardi  in  quello 
di  Economo. 


II 


Per  il  Vicepresidente  della  Sezione  Lncchese,  ne  viene 
demandata  la  designazione  alla  R.  Accademia  di  Lucca  (1). 

—  Circa  la  elezione  del  Delegato  della  Deputazione 
presso  r  Istituto  Storico  Italiano,  il  Presidente  osserva 
che  il  Segretario  prof.  Del  Vecchio,  attualmente  Dele- 
gato, ha  messo  questo  oggetto  all'ordine  del  giorno  nel- 
1'  i]3otesi  che  si  dovesse  procedere  alla  rinnovazione  anche 
di  questa  carica  :  ma  a  lui  e  agli  altri  membri  del  Con- 
siglio Direttivo  sembra  che  questo  incarico  non  sia  sog- 
getto a  rinnovazione,  in  quanto  non  dipende  da  quello  di 
Segretario,  ma  è  un  incarico  ad  personam  e  quindi  a  vita. 
Concordemente  si  delibera  che  il  socio  Del  Vecchio  con- 
tinui neir  ufficio  suddetto. 

—  Si  procede  alla  votazione  per  la  nomina  di  un  socio 
ordinario  da  succedere  al  defunto  cav.  prof.  Augusto  Fran- 
chetti.  Viene  proposto  da  più  di  tre  soci,  come  richiede 
l'art.  7  del  Regolamento,  il  socio  corrispondente  prof. 
Giuseppe  Rondoni  (Firenze).  Riesce  eletto  all'unanimità. 
Il  socio  Giovanni  Sforza  coglie  l'occasione  per  ricordare 
con  affettuose  parole  il  compianto  collega  Franchetti, 
rilevando  specialmente  la  grave  perdita  che  con  lui  ha 
fatto  la  scienza  storica  ;  e  propone  che  in  nome  di  tutta 
la  Deputazione  si  rinnovino  alla  famiglia  Franchetti  le 
più  vive  condoglianze.  La  proposta  viene  approvata,  e 
si  affida  alla  Presidenza  1'  incarico  di  esprimere  il  voto 
della  Deputazione. 

—  Si  apre  la  votazione  per  la  nomina  di  IH  soci 
corrispondenti,  dei  quali   12  italiani  e  4  stranieri. 

La  votazione  si  fa  sui  candidati,  il  cui  nome  sia  stato 
presentato  da  tre  proponenti  o  più  ;  e  resultano  eletti,  per 
votazione  segreta  a  scrutinio  di  lista,  i  signori  : 


(1)  Questa  confermò  nella  carica  il  marcii,  comm.  (tiacom<^>  Sardi xi. 


—  Ili  — 

Italiani:  Bonolis  prof.  Guido  (Pisa).  —  Canestrelli 
prof.  aroh.  Antonio  (Firenze).  —  Cipolla  conte  prof. 
Carlo  (Firenze).  —  Degli  Azzi  dott.  Griustiniano 
(Firenze).  —  Marchesini  prof.  Umberto  (Firenze).  — 
Rajna  prof.  Pio  (Firenze).  —  Eodolico  prof.  Niccolò 
(Firenze).  —  Eostagno  prof.  Enrico  (Firenze).  —  Scliia- 
parelli  prof.  Luigi  (Firenze).  —  Solaini  avv.  Ezio 
(Volterra).  —  Solmi  prof.  Arrigo  ("Siena).  —  Tocco 
prof.  Felice  (Firenze). 

Stranieri:  Brockhaus  prof.  Enrico  (Firenze).  — 
(xaiithiez  Pietro  (Parigi).  —  Kehr  prof.  Paolo  (Roma). 
—  Luchaire  prof.  Achille  ("Parigi). 

—  Il  Presidente  dà  notizia  dei  lavori  che  si  pubbli- 
cano nella  nostra  collezione  di  Documenti  di  Storiti  Ita- 
liana. Parla  del  Codice  diplomatico  Angioino,  che  si  vien 
pubblicando  a  cura  del  prof.  Sergio  Terlizzi,  deplorando 
che  le  condizioni  del  bilancio  e  altre  circostanze  inerenti 
al  carattere  dell'  opera  ne  ritardino  il  com})iniento.  An- 
nunzia che  il  Consiglio  Direttivo  ha  intanto  deliberato 
di  iniziare  la  pubblicazione  del  II  volume  del  Codice  di- 
plomatico Aretino,  edito  a  cura  del  sig.  Ubaldo   Pasqui. 

Riferendosi  ad  un'antica  proposta  del  socio  Lupi,  il 
Presidente  parla  della  raccolta  delle  iscrizioni  toscane,  co- 
municando che  a  questa  impresa  ha  rivolto  il  pensiero  la 
Facoltà  Letteraria  del  r.  Istituto  di  Studi  Superiori. 

—  Gli  adunati  deliberano  infine  d'  inviare  al  Segre- 
tario prof.  Del  Vecchio,  assente  per  gravi  motivi  di 
famiglia,  un  telegramma  di  saluto  e  d' augurio. 


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SOCI  DELLA  E.  DEPUTAZIONE 
(1907) 

SOCI  ORDINARI 


1.  Berti  comm.  Pietro,    già    Direttore  deirArchivio  di  Stato. 

Segretario  della  Commissione  Toscana  della  r.  Consulta 
Araldica  (1878J.  —  Firenze. 

2.  Corazzici  cav.  avv.  GtIUSEPPE  Odoardo,  Membro  della  Com- 

missione Toscana  della  r.  Consulta  Araldica  (1896).  — 
Firenze. 

3.  Cor8i:ni  S.  E.  principe  Tommaso.  Senatore  del  Regno.  Pre- 

sidente della  Società  Colombaria  fl898).  —  Firenze. 

4.  D'Ancona  comm.  Alessandro,  Senatore  del  Regno,  profes- 

sore di  lettere  italiane  nella  r.  Università  di  Pisa.  Socio  na- 
zionale dei  Lincei,  Accademico  corrispondente  della  Crusca, 
Membro  dell'  Istituto  di  Francia  (1889).  —  Pisa. 

5.  Del  Badia  cav.  Iodoco,  già  Archivista  di  Stato  (1892).  — 

Firenze, 

6.  Del  Lungo  comm.  prof.  Isidoro,    Senatore  del  Regno,  Ac- 

cademico residente  della  Crusca,  Socio  nazionale  dei  Lincei, 
Membro  della  Commissione  Toscana  della  r.  Consulta  Aral- 
dica (1878).  —  Firenze. 

7.  Del  Vecchio  cav.  Alberto,  Professore  d' istituzioni  medie- 

vali nel  r.  Istituto  di  Studi  Superiori  e  di  Storia  del  Di- 
ritto nel  r.  Istituto  di  Scienze  Sociali  «  Cesare  Allieri  ». 
Membro  dell'  Istituto  storico    italiano    (1896).    —    Firenze. 

8.  Paloci-Pulkinani  mons.  Michele  (1885).  —  Foligno. 

9.  Fumi  comm.  Luigi,  Prefetto   onorario   dell'Archivio   storico 

comunale  d'  Orvieto,  Membro   della    Commissione  Araldica 
romana.  Direttore  dell'Archivio  di  Stato  di   Lucca    (1875). 
—  Lucca. 
10.  CtAMURRINI    comm.    Gio.    Francesco,    Socio    nazionale    dei 
Lincei  (1888j.  —  Arezzo. 


1 1 .  Gherardi  cav.  uff.  Alessandro,  Accademico  residente  della 

Crusca,  Direttore  del  r.  Archivio  di  Stato  di  Firenze  (1884). 
—  Firenze. 

12.  Giannini  cav.  prof.  Crescentino  (1864j.  —  Roma. 

13.  GioKCiETTi  cav.    Alceste,    Archivista    di    Stato    (1902).    — 

Firenze. 

14.  Lupi  cav.  prof.   Clemente,   Archivista   di   Stato,    incaricato 

dell'  insegnamento  della  Paleografìa  nella  r.  Università  di 
Pisa  (1896).  —  Pisa. 

15.  Ma(4herini-Graziani  cav.  uff.   Giovanni,   Presidente   della 

r.  Deputazione  di  Storia  Patria  per  1'  Umbria  (1892).  — 
Città  di  Castello. 

16.  Mancini  cav.  Girolamo  (1898j.  —  Cortona. 

17.  PiccOLOMiNi  cav.  uff.  Enea,  già  Professore  di  lettere  greche 

nella  r.  Università  di  Roma,  Socio  corrispondente  dei  Lincei 
(1898).  —  Eoma. 

18.  RiDOLFi  cav.  uff.  prof.  Enrico,  già  Direttore  delle  rr.  Gal- 

lerie e  del  Museo  Nazionale  di  Firenze  (1878).  —  Firenze. 

19.  Rondoni  prof.  Giuseppe  (1907).  —  Firenze. 

20.  Santini  prof.  Pietro  (1902).  —  Firenze. 

21.  Sardi  conte  cav.  Cesare,  Segretario  della  r.  Accademia  luc- 

chese (1888).  —  Lucca. 

22.  Sardini  march,  comm.  Giacomo,  Presidente  della   r.  Acca- 

demia lucchese  (1900).  —  Lucca. 

23.  Sforza  comm.  Giovanni,  Direttore  del  r.  Archivio  di  Stato 

di  Torino  (1875).  —  Inorino. 

24.  ViLLARi  comm.  prof.  Pasquale,  Vicepresidente  del  Senato, 

Presidente  della  Facoltà  di  lettere  nel  r.  Istituto  di  Studi 
Superiori  di  Firenze,  dell'  Istituto  storico  italiano,  del  Con- 
siglio degli  Archivi,  Accademico  residente  della  Crusca, 
Socio  nazionale  dei  Lincei  (1863).  —  Firenze. 


I 


SOCI  CORRISPONDENTI 


ITALIANI. 

1.  Ansidei  conte  cav.  dott.  Vincenzo  (1H\)2ì.  —  Pfirngia. 

•2.  Bacci  cav.  prof.  Orazio  (1898j.  —  Firenze. 

3.  Balzani  conte  comm.  Ugo  (1892).  —  Roma. 

4.  Barbi  prof.  Michele  Y1902).  —  Messina. 

5.  Bellucci  prof.  Alessandro  (1892).  —  Perugia. 

H.  Bertolini  comm.   prof.  Francesco  (1870).  —  Bologna. 

7.  Biagi  comm.  dott.  Guido  (1888).  —  Firenze. 

8.  Bicchierai  avv.  Iacopo  (1902 j.  —  Bucine. 

9.  Bonolis  prof.  Guido  (1907).  -—  Pisa. 

10.  Calisse  comm.  prof.  Carlo  (1902).  —   Roma. 

11.  Canestrelli  arch.  prof.  Antonio  (1907).  —  Firenze. 

12.  Carnesecchi  cav.  Carlo  (1898).  —  Firenze. 

13.  Carutti  di  Cantogno  barone  Domenico  (1885).  —   Torino. 

14.  Casanova  cav.  prof.  avv.  Eugenio  (1892).   —   Torino. 

15.  Castagna  avv.  Niccola  (1870).  —  Sani' Angelo  degli  Ahrnzzi. 

16.  Cecconi  cav.  prof.  Giosuè  (1864).  —  Osimo. 

17.  Chiappelli  cav.  avv.  Luigi  fl888).  —  Pistoia. 

18.  Cipolla  conte  cav.  prof.  Carlo  (1907).  —  Firenze. 

19.  Crivellucci  cav.  prof.  Amedeo  (1902).  —  Pisa. 

20.  De  Blasiis  cav.  prof.  Giuseppe  (1883).  —  Xapoli: 

21.  Degli  Azzi  dott.  Giustiniano  (1907).   —  Fir^^nze. 

22.  Dominici  conte  Girolamo  (1863).  —  Todi. 

23.  Donati  dott.  Fortunato  (1878).  —  Siena. 

24.  Falletti  cav.  prof.  Pio  Carlo  (1878).  —  Bologna. 

25.  Favaro  comm.  prof.  Antonio  (1885).  —  Padova. 

26.  Gorrini  comm.  prof.  Giacomo  (1902).  —  Roma. 

27.  Hortis  prof  Attilio  (1902;.  —   Trieste. 

28.  Lisini  cav.  Alessandro  (1878 1.  —  Siena. 

29.  Livi  cav.  Giovanni  (1892).  —  Bologna. 

30.  Marchesini  cav.  prof.  Umberto  (1907).  —   Firenze. 

31.  Manassei  conte  cav.  Paolano  (1863).  —   Terni. 


VII    — 

32.  Manno  barone  coniiii,  Antonio  (1883 j.   —  Torino. 

33.  Marietti  comm.  sen.  Filippo  fl863).  —  Jionut. 

34.  Marzi  dott.  Demetrio  (1902 1.  —  Firenze. 

35.  Masi  comm.  prof.   Ernesto  ('1902).  —  Firenze. 
3(j.  Mazzi  dott.  Curzio  (1888;.  —  Firenze: 

37.  Morpurgo  cav.  dott.  Salomone  (1892).  —   Firenze. 

38.  Papaleoni  prof.  Griuseppe  (1892).  —  Xcipoli. 

39.  Pasolini  conte  sen.  Pier  Desiderio  (  1875).  —  Roma. 

40.  Pasqui  Ubaldo  (1892).  —  Firenze. 

41.  Podestà  barone  cav.  Bartolommeo  ('1888;.  —  Firenze. 

42.  Rajna  cav.  prof.  Pio  (1907  .  —  Fir;>n.ze. 

43.  Ristori  can.  dott.  Gio.  Battista  (1902;.  —  Fin'nzt^. 

44.  Rodolico  prof.  Niccolò  C1907).  —  Firenze. 

45.  Rossi  cav.  prof.  CTÌrolamo  (1870;.  —   Ventimiglia. 

46.  Rossi  cav.  prof.  Pietro  (1898).  —  Siena. 

47.  Rossi-Scotti  conte  comm.  Crio.  Battista  (  1863;.  —  Tolo.sa. 

48.  Rostagno  cav.  prof.  Enrico  (1897;.  —  Firenze. 

49.  Salvemini  prof.  Gaetano  (1902).  —  Messina. 

50.  Santoni  cav.  can.  Milziade  il883).  —   (Jaìnerino. 

51.  Schiaparelli  prof.  Luigi  (1907).  —  Firenzi'. 

52.  Solaini  avv.  Ezio  (1907).  —   Volterra. 

53.  Solmi  prof.  Arrigo  (1907).  —   Sirnu. 

54.  Tocco  cav.  prof.  Felice  (1907;.  —   Fir:'nze. 

55.  Tommasini  comm.  Oreste  (1883  .  —   l'orna. 

56.  Vigo  cav.  prof.  Pietro  (1902).  —   l.irni-n.o. 

57.  Virgili  cav.  prof.  Antonio  (1885;.  —  Firenze. 

58.  Zdekauer  prof.  Lodovico  (1888).  —  Macerata. 

59.  Zenatti  prof.  Albino  (1892).  —  Me.s-.nna. 


vili  -— 


STRANIERI. 


1.  Bryce  Giacomo  (1898).  — ■  Londra. 

•2.  Brockhaus  prof.  Enrico  (1907).  —  Firenze. 

3.  Davidsohn  dott.  Roberto  (1898).  —  Firenze. 

4.  Duchesne  ab.  L.  (1898).  —  Roma. 

5.  Fricken  (v.)  Alessio  (1885).  —  Firenze. 

6.  Gauthiez  Pietro  (1907).  —  Parigi. 

7.  Kehr  prof.  Paolo  (1907).  —  Roma. 

8.  Luchaire  prof.  Achille  (1907).  —  Parigi. 

9.  Monod  prof.  Gabriele  (1898).  —  Parigi. 

10.  Ottenthal  (v.)  prof.  Emilio  (1892).  —  Innshruck. 

11.  Pélissier  prof.  Leone  G.  (1892).  —  Montpellier. 

12.  Rodocanachi  Emanuele  (1892).  —  Parigi. 

13.  Sabatier  prof.  Paolo  (1902).  —  Parigi. 

14.  Semper  prof.  Hans  (1898).  —  Innshruck. 

15.  Sickel  (v.)  prof.  Teodoro  (1898).  —  Merano. 


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CONSIGLIO  DIRETTIVO  DELLA  R.  DEPUTAZIONE 

(1906-1911) 


Presidente. 
F*asqiiale  Villari. 

Vicepresidente. 
IsidLoro  I>el   Luiig-o. 

Vicepresidente  per  Lucca. 
Oiacomo   Sar dilli. 

Economo. 
Aless^saiiclro   Grlxerardi, 

Segretario. 
Gilberto   Del   Vecchio. 


REDAZIONE  ì)ELJ.'AHCHIVIO  STORICO  ITALIANO, 
Direttore.  -  Alberto  Del  Vecchio 


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PUBBLICAZIONI 

DELLA  R.  DEPUTAZIONE  DI  STORIA  PATRIA 


dX^c 


Dociiiiieiiti   (lì   stoi-ia  italiana. 

Voi.  I-III.  Commissioni  di  Rinaldo  degli  Albizzi 
per  il  Comune  di  Firenze  dal  1399  al 
1433,  pubblicate  e  illustrate  da  Cesare  Guasti 
[an.  1399-1433],  Firenze,  Galileiana,  1867-73.     .  L.  45.— 

»  IV.  Cronache  della  città  di  Fermo,  pubblicate 
e  illustrate  da  Gaetano  De  Minicis;  con  la  giun- 
ta di  un  Sommario  cronologico  di  carte  fermane 
anteriori  al  secolo  XIV,  con  molti  documenti  in- 
tercalati, a  cura  di  Marco  Tabarrini,  1870    .   »     15.  — 

»  V.  Cronache  e  Statuti  della  città  di  Vi- 
terbo, pubblicati  e  illustrati  da  Ignazio  Ciam- 
pi, 1872 »     15.— 

»  VI.  Cronache  dei  secoli  XIII  e  XIV.  -  Anna- 
les  Ptolemaei  Lucensis  (a  cura  di  Carlo  Minu- 
TOLi).  -  Saiizanome  iudicis  Gesta  Florentinorum 
(a  cura  di  Gaetano  Milanesi),  -  Diario  di  ser 
Giovanni  di  Lemmo  da  Comugnori  (a  cura  di 
Luigi  Passerini).  -  Diario  di  Anonimo  Fioren- 
tino, 1358-1388  (a  cura  di  Alessandro  Ghe- 
RARDi).  -  Chronicon  Tolosani  canonici  faventini 
(a  cura  di  Marco  Tabarrini),  1876 »     15— 

»  VII.  Statuti  della  Università  e  Studio  Fio- 
rentino dell'anno  1387,  seguiti  da  un'Ap- 
pendice di  Documenti  dal  1320  al  1472,  pubbli- 
cati da  Alessandro  Gherardi.  Con  un  Discorso 
del  prof.  Carlo  Morelli,  1881 »     1 5.  — 


,      —   XI  — 

Voi.  vili.  Codice  diplomatico  della  città  d'Or- 
vieto, documenti  e  regesti  dal  secolo  XI  al  XV; 
e  la  Carta  del  popolo,  codice  statutario  del  Co- 
mune d'Orvieto,  con  illustrazioni  e  note  di  Luigi 
Fumi,  1884 L.    15. 

»    IX.     Il  Libro  di  Montaperti  [an.  1260],  pubblicato 

per  cura  di  Cesare  Paoli,  1889 »     15. 

»  X.  Documenti  dell'antica  costituzione  del 
comune  di  Firenze,  pubblicati  per  cura  di 
Pietro  Santini,  1895 »     15. 

»  XL  Documenti  per  la  storia  della  città  di 
Arezzo  nel  medio  evo,  a  cura  di  Ubaldo 
Pasqui.  -  Voi.  primo:  Codice  diplomatico  aretino 
(6509-118O),  1899 »     15. 


Sono  in  corso  di  stcìmpa  due  volumi: 

Codice  diplomatico  delle  relazioni  di  Carlo  I  D'Angiò 
con  la  Toscana  (1265-1285),  per  cura  di  Seegio 
Teelizzi. 

Documenti  per  la  storia  della  città  di  Arezzo  nel  medio 
evo,  a  cura  di  Ubaldo  Pasqui.  -  Voi.  secondo  : 
Codice  diplomatico  aretino. 


CHARTA  AUGUSTANA 


NOTE    DIPLOMATICHE 


L' aggiunta  di  «  Note  diplomatiche  »  al  titolo  dice  chia- 
ramente in  quale  campo  si  svolga  il  presente  studio.  Di 
proposito  trascuro  la  parte  giuridica  che  non  è  strettamente 
in  rapporto  con  quella  diplomatica,  perchè  altri  possa  trat- 
tarne colla  necessaria  competenza. 

Alcuni  caratteri  di  questa  carta  furono  da  tempo  messi 
in  rilievo.  L.  Gibrario,  che  pubblicò  parecchie  carte  di  Aosta 
negli  Historiae  patriae  Monumenta,  Chartariint  I  e  II,  av- 
vertiva in  una  nota,  che  «  i  notai  o  cancellieri  d'Aosta  so- 
«  levano  porre  appiè  dell' atto,  e  più  spesso  sul  dorso  del 
«  medesimo,  un  breve  sunto  delle  sostanziali  sue  disposi- 
«  zioni  »  (1),  ed  in  altra  indicava  una  formula  di  inscriptio 
come  propria  di  detti  cancellieri  o  notai  (2).  Un  altro  edi- 
tore di  carte  di  Aosta  nei  citati  Monumenta,  il  canonico  di 
S.  Orso  in  Aosta  A.  Gal,  parla  di  «  sommaire  qui  est  sur 
«  le  dos  de  l'acte,  selon  l' ancien  usage  des  chanceliers 
«d'Aoste»  (3).  L.  Bethmann,  visitando  gli  archivi  e  le  bi- 
blioteche di  Aosta,  fermò  la  sua  attenzione  su  questa  carta, 
della  quale  ci  diede  la  seguente  descrizione:  «  Die  Urkunden 
«  sind  alle  in  Rollen  ;  die  àlteste,  die  mir  vorgekommen,  war 


(1)  Historiae  patriae  Momimenta  edita  iiissa  regis  Caroli  Alberti, 
(liartarum  I  {Augustae  Taarlnoruni,  1836),  498  nota  2.  Lo  storico  di 
Aosta,  .1.  B.  De  Tillier,  ha  un  solo  accenno,  confuso  ed  errato,  del  notaio 
in  genere  di  Aosta,  che  considera  come  notaio  imperiale,  «  Lieutenant  du 
^  Chancelier  de  l'Empire  ».  {Hiatoriqae  de  la  Vallèe  d'Aoste.  Mamiscrit 
inédit  de  l'an  1742,  I  (Aoste,  1887),  114. 

(2)  Op.  cit.,  I,  789  nota  1. 

(3)  Op.  cit.,  II  {Augustae  Taurinorum.  1853),  311  nota  1. 

Akch.  Stor.  It.,  Serie  5.*,  —  XXXIX.  17 


254  LUIGI   SCHIAPARELLl  f«jj 

«  vom  Anfang  des  Xfl  Jahrh.  Die  Form  derselbeii  ist  sebi* 
«  eigenthiimlich  und  bei  alien  ziemlich  dieselbe,  so  dass  man 
«  einen  eignen  Typus  furs  Thal  von  Aosta  annelimen  miiss. 
«  Der  Notar  notirte  sicli  namlich  in  loco  publico,  meist 
«  Yor  der  Kirclie  oder  im  Kloster  derselben,  rogatus  corani 
«  più  ri  bus,  auf  kleine  Pergamentstiicke,  die  er  dazu  bei  sicli 
«  fiihrte,  die  Hauptpunkte  des  Inhalts  in  dieser  Weise:  Ven- 
«  ditionem  facit....  Precium  est....  Pena....  Tesies.... 
«  Fideiussores....  Hoc  laudat....  Zu  Hause  schrieb  er  dami 
«  aus  diesen  Notaten  die  Urkunde  selbst  in  der  gewòhnli- 
«  chen  Form  gleich  auf  die  andere  Seite  desselben  Stiickes, 
«  so  dass  man  immer  Protokoll  und  Akte  ziisammen  hat  »  (1). 
Un  discreto  numero  di  carte  aostane  fu  pubblicato 
nei  due  volumi  Chartarum  dei  citati  Hist.  patriae  Monti- 
menta;  il  materiale  si  accrebbe  in  seguito  coli' edizione  fatta 
nel  1884  da  mons.  Due,  cosi  benemerito  della  storia  della 
sua  diocesi,  del  cartolario  del  vescovato  di  Aosta  (2),  e  più 


(1)  Archic  der  Gesellsc/taff  fVir  difere  denfsche  Geschicldsìnoide. 
Jierausg.  con  Pertz,  XII  (Hannover,  1872-74),-  591  ;  cfr.  H.  Bresslau, 
Handhiiclì  der  Vrh-underdehre  plr  Deutscldand  und  Italie h.  I  (Leipzig?, 
1889),  742. 

(2)  JosEPH-AutiUST  Due,  Cartulaire  de  l'Écècìfé  d'Aoste  {XIII'  sie- 
de), nella  Miseellanea  di  Storia  Italiana,  XXIII  (Torino,  1884),  183  segg. 
Un  altro  cartolario  (cart.  in  fo.  del  principio  del  XV  sec,  di  128  ce.  :  ctV. 
Pertz,  ArcJrii-,  IX,  630)  si  conserva  nell'Archivio  della  Collegiata  di 
S,  Orso.  Sul  fo.  di  risguardo  leggesi  una  grande  R,  forse  l'iniziale  di 
Registrum  o  Regestum,  che  mano  moderna  interpretò  e  completò 
K(alendarium);  e  il  cartolario  passò  sotto  questo  titolo.  Più  di  450  carte 
aostane  sono  ivi  registrate,  ma  in  modo  incompleto  e  trascurato.  La  data 
raramente  è  riferita  per  intiero,  si  omettono  di  regola  la  feria  e  il  mese. 
Così,  fatte  poche  eccezioni,  non  si  trascrivono  i  nomi  dei  testes  e  dei 
laudatores .  Di  alcune  carte  si  leggono  poche  parole  coll'aggiunta  «parum 
«valet».  Questo  cartolario  venne  opportunamente  utilizzato  dal  Due  nei 
suoi  lavori  :  Le  hienheureiix  Boni  face  de  Valperyne  évéqiie  d'Aoste  (Aoste, 
1883) ed  Esquisses  liistoriqiies  des  évèques  d'Aoste  appartenant  aii  XTI'  et 
au  XIII"  siècles  (I,  Aoste,  1885;  II,  Aoste,  1886)  (extrait  du  XI,  XII  et  XIII 
Bidletin  de  la  Société  Acadéinique  religieuse  et  scientifique  dn  Diiché 
d'Aoste).  Ignoro  se  esista  tuttora  il  cartolario  della  cattedrale  del  1554, 
citato  dal  De  Tillier,  op.  cit.,  I,  63.  Una  bella  raccolta  di  documenti 
(dal  1302  al  1312)  mons.  Due  ha  pure  pubblicato  in  Docìinients  relatifs 
à  Vépiscopat  du  bienheurenx  Émeric  I  de  Otiart  évèqne  d'Aoste  (Aoste, 
1879),  e  in  Nonroaii.r  dofìfn>ei/fs  relatifs  à  l'èpiseojnd  dii  tt.   Einer/f  1 


[7]  CHARTA   AUGUSTANA  255 

ancora  nel  1903  colla  Miscellanea  Valdostana  edita  dalla 
Società  storica  Snbal])ina  (1).  In  questo  volume  S.  Pivano 
pubblicò  le  più  antiche  carte  del  Grande  e  Piccolo  S.  Ber- 
nardo (i2),  premettendovi  osservazioni  generali  che  possono 
considerarsi  come  primo  tentativo  di  uno  studio  giuridico 
su  questa  carta,  e  G.  Battaglino  alcune  carte  dell'Ospe- 
dale Mauriziano  di  Aosta  (3).  Utilizzarono  opportunamente 
queste  ultime  pubblicazioni  A.  Gaudenzi  (4)  e  F.  Kerx  (5) 
per  le  loro  erudite  considerazioni  sulla  notizia  dorsale  nelle 
carte  medioevali.  Il  Kerx  dedica  un  intiero  capitolo  a  questa 
carta,  di  cui  espone  alcuni  caratteri  e  mostra  il  valore  delle 
due  redazioni,  sul  verso  e  sul  recto.  Riassume  con  queste 
parole  il  procedimento  che  si  teneva  per  l'estensione  del- 
l' atto  :  «  Vor  der  Aostaner  Marienkirche  versammeln  sich 
«  die  Parteien  und  Zeugen.  Auf  Verlangen  des  Ausstellers 
«  (rogatus)  schreibt  der  cancellarius  den  Inhalt  des  ini 
«  Gang  betindlichen  Rechtsgeschàftes  auf  die  àussere  Seite 
«  des  zur  Urkunde  bestimmten  Pergaments.  Den  Kaufpreis 
«  und   die   Pònsumme  begniigt  er  sich   im  gegebenen  Fall 


/le  (ìHfirf  écéqiie  d'Aoste:  ma  tra  questi  figurano  solo  quattro  carte 
aostane  ( Dociunents  ec.  n.  70,  Appetidìce  nn.  15-17).  Si  cfr.  anche  F.  G. 
Frutaz.  Uecueil  de  c/iarfes  Valdofalnes  du  XIII'-  siede  (Aoste,  1891) 
(Extrait  du  XV^  Bnlletin  Soc.  Acad.  d' Aoste),  con  una  sola  carta  aostana 
(p.  53,  n.  XVIII).  .J.  Gremaud,  Dociiments  relatifs  àVliistoire  du  Vcdlais 
{\n  Méuioires  et  docniuenfs  ptibllés  par  la  Socìété  d'hìsfoire  de  la  Stiissc 
iìomande,  XXIX,  Lausanne,  1875),  riprodusse  parecctiie  carte  aostane  dagli 
Hìsf.  patriae  Mon..  una  sola  ricavò  àsLÌVArcìi.  del  Gran  S.  Beniardo 
<p.  121.  n.  175). 

(l)  Miscellanea  Valdostana,  nella  Biblioteca  della  Società  storica 
Sultalpina,  diretta  da  Ferdinando  Gabotto,  XVII  (Pinerolo,  1903). 

(:2)  S.  PivAXO,  Le  carte  delle  case  del  Grande  e  del  Piccolo  San 
Bernardo  esistenti  nell'Arci  il  rio  dell'Ordine  Mauriziano,  pp.  57  segg. 

(3)  G.  Battaglino,  Le  carte  dell' Ardii  rio  dell'Ospedale  Manriziano 
fli  Aosta  fino  al  ISOO,  pp.  239  segg. 

(4)  A.  Gaudenzi,  Le  notizie  dorsali  delle  antiche  carte  bolognesi 
e  la  formula  *  post  tradita  ni  compie  ri  et  dedi  »  in  rapporto  alla  re- 
dazione degli  atti  e  alla  tradizione  degli  immobili,  negli  Atti  del  Con- 
gresso internazionale  di  scienze  storiche  {lioma,  1-9  aprile  190H),  IX 
(Roma,  1904),  419  segg. 

(5)  Fritz  Kern,  Dorsaalkonzept  und  Imbreriatur.  Zur  desdiichte 
der  Xotariatsnrhnnde  in  Italien  (Stuttgart,  1906). 


25G  LUIGI    SCHIAPARELLI  [8| 

«  mit  kiirzen  Stichworten  zu  notieren,  ebenso  beschrànkt 
«  er  sich  ini  Datum  auf  die  Angabe  cles  Tages.  Dagegen 
«  nimmt  er  die  anwesenden  Zeugen  iind  die  Einzelbestim- 
«  miingen  des  Vertrags  (Grenzbeschreibung  u.  s.  w.)  in 
«extenso  zu  Protokoll.  Indem  der  cancellarius  aus 
«  diesen  Dorsualnotizen  spàter  die  Reinschrift  auf  der  in- 
«  nern  Pergamentseite  lierstellt,  Aerzichtet  er  auf  die  Wie- 
«  derholung  aller  materiellen  Angaben,  so  namentlich  der 
«  Grenzbeschreibung,  der  Zeugenliste,  auf  deren  Existenz 
«  nur  durch  das  corani  pluribus  verAviesen  wird,  und  be- 
«  gniigt  sich  mit  einer  allgemeinen  Bezeichnung  des  ma- 
«  teriellen  Inhalts.  Dagegen  wird  das  in  den  Dorsuahio- 
«  tizen  vernachlàssigte  Formular  hier  gieichsam  nachgeholt. 
«  Schliesslich  erhàlt  die  Urkunde  auch  Rechtskraft  durch  die 
«  dazu  erforderliche  Unterschrift  des  cancellarius,  durch 
«  Nennung  des  Herrschers  und  Datierung  iiach  dem  Kalender- 
«  jahr  »  (1).  Secondo  il  K.  lo  scrittore  della  nostra  carta  sarebbe 
uno  scrittore  vescovile  :  «  Dagegen  eigiiet  dem  bischòflichen 
«  cancellarius,  der  sich  stàndig  mit  der  Herstellung  voii 
«  Privaturkunden  befasst,  die  Sitte  der  Doppelredaktion 
«  durchgàngig  voni  Ende  des  11  bis  zum  Ende  des  13  Jalir- 
«  hunderts;  wie  weit  sie  sich  nodi  in  das  14  erstreckt  hat, 
«  lasst  sich  an  der  Hand  der  veròffentlichten  Urkunden  nicht 
«  feststellen  »  (2). 

Le  carte  aostane  finora  edite  sono  ben  poche  in  confronto 
delle  parecchie  migliaia  che  si  conservano  negli  archivi  di 
Stato  e  dell'Ospedale  Mauriziano  in  Torino  e  segnatamente 
negli  archivi  Vescovile,  Capitolare,  della  Collegiata  di  S.  Orso. 
dell'Ospedale  in  Aosta  e   in  piccoli  archivi  della  Valle  (3). 


(1)  Op.  cit.,  pp.  5-6. 

(2)  Op.  cit.,  p.  3.  La  stessa  opinione  ebbe  già  a  Jiianifestare.  ma 
fuor  di  proposito  (cfr.  Bresslau,  Urkundenìelire,  I,  462  nota  2),  M.  Hand- 
LOiKE,  nel  suo  studio:  Die  ìonibardlsclten  Stddte  unter  der  Hcrrschaft 
der  Bischòfe  iind  die  EufsteJturu/  der  Coinmunen  (Berlin,  1883),  p.  45, 
nota  5. 

(3)  Nell'archivio  della  parrocchia  di  Fénis  si  conserva  una  gran  parte 
dei  documenti  del  convento  di  S.  Egidio  di  Verrès;  l'altra  parte  fu  da 
poco  linvenuta  dal  piof.  canonico  F,  G.  Frutaz  in  un  solaio  delFUtiicio 
del   Registro   di    Donnas.    Secondo   gejitile  comunicazione    dello   stessa 


[isi  lai'gaiuente  anche  a  queste  fonti  inedite  ;  ma,  debl)o 
aggiungere,  non  come  avrei  desiderato  e  sarebbe  stato  op- 
portuno, e  per  mancanza  di  tempo  e  perchè  l'ordinamento 
degli  archivi  Vescovile  e  Capitolare,  i  quali  conservano  il 
migliore  e  il  più  copioso  materiale,  non  è  ancora  condotto 
al  i)inito  da  permettere  un  esame  sicuro  e  completo  dei  do- 
cumenti tutti.  Il  presente  studio  è  quindi  necessariamente 
lacunoso  e  incompleto;  pur  tuttavia,  voglio  sperare,  potrà 
dare  qualche  contributo  alla  pubblicazione  che  delle  carte 
di  Aosta  si  sta  preparando  a  cura  della  R.  Deputazione  di 
storia  patria  di  Torino  (1).  Ebbe  origine,  questo  studio,  da 
una  visita  agli  archivi  Vescovile  e  Capitolare,  consigliatami 
dal  benemerito  segretario  di  detta  Deputazione  di  storia  pa- 
tria, barone  Antonio  Manno. 

Nelle  mie  ricerche  in  Aosta  mi  fu  di  guida  e  di  grande 
aiuto  il  prof.  can.  F.  G.  Frutaz. 


Charta  augustana  e  charta  notarli. 

Nei  documenti  di  Aosta  e  territorio  charta  non  si  con- 
trappone, in  senso  giuridico  e  diplomatico,  a  notitia;  desi- 
gna generalmente,  come  scriptum  e  anche  instrumentum. 
Fatto  scritto  di  qualsiasi  genere  {^),  Con  «  carta  augustana  ». 
«  carta  augustensis  »  (3),  vien  denominato  e  distinto  il  docu- 


Frltaz  si  trovano  pure  alcune  carte  aostane  nel  paesello  di  Douvks. 
n  vescovo  di  Aosta  mons.  J.  A.  Due  tiene  presso  di  sé  vari  documenti  e 
manoscritti  raccolti  da  archìvi  della  città  e  della  diocesi.  L'archivio  della 
curia  vescovile  non  è  ancora  accessibile  agli  studiosi. 

(1)  Attende  a  questo  lavoro  il  prof,  canonico  F.  G.  Frutaz. 

(H)  Ha  questo  significato  generale  l' espressione  :  «  et  facio  secundum 
«  strumenta  chartaruni  »  della  carta  del  1035;  cfr.  Appendice.  I,  n.  I:  cfr. 
anche  Due,  Docniìients  relatifs  ù  Vépiscopat  dti  b.  Énteric  I,  p.  84. 

(3)  Si  ha  *  carta  auguste  »  in  una  carta  edita  dal  Pivano,  op.  cit., 
p.  83,  n.  II,  se  non  che  sorge  il  dubbio  che  l'orig.  abbia  la  l'orma  abbreviata 
*aug.  »:  così  il  Battaglino,  op.  cit.,  p.  265,  n.  XXVII,  stampa,  «carta 
*  augusta  »  dove  Torig.  ha  «  calta  aug.  *. 


258  LUIGI    SCHIAPARELLI  flOJ 

mento  uscito  da  ima  speciale  cancelleria,  quella  della  città 
di  Aosta,  il  quale  si  differenzia  dalla  carta  notarli,  cioè 
dalla  carta  di  uno  scrittore  qualsiasi  che  non  funga  da  uffi- 
ciale di  detta  cancelleria.  Le  denominazioni  di  «  carta  augu- 
«  stana  »  o  «  augustensis  »  si  incontrano  nei  documenti  stessi  ; 
il  titolo  di  «  carta  notarli  »,  dato  ad  ogni  atto  scritto  che 
non  sia  carta  augustana,  leggesi  nel  cartolario  del  XIII 
secolo  del  vescovato  di  Aosta  (1).  Carta  augustana  non  si 
confonde  con  carta  o  scriptum  de  Augusta,  designando 
quest'ultima  espressione  il  contenuto  della  carta  non  il  ge- 
nere (2).  La  carta  notarli  prende  poi  nomi  speciali:  così  il 
citato  cartolario  distingue  ristrumento  notarile  con  «  instru- 
«  mentum  publicum  »  o  «  scriptum  publicum  »  o  anche  soltanto 
con  «  instrumentum  ».  Per  designare  l'atto  notarile  o  pub- 
blico si  usa  anche  «  carta  publica  »  (3),  o  semplicemente 
«  carta  »  ;  «  instrumentum  illud  publicum  quod  carta  dicitur  », 
leggesi  in  un  documento  del  giugno  1242(4).  Spesso  nei  do- 


I 


(1)  Cfr.  p.  254,  nota  i2.  Mons.  Due,  dice  a  p.  188:  «  Il  est  legiettable 
*  qiie  le  compilateiir  ne  se  soit  soiicié  ni  de  l'ordre  chronologique  ni 
«  de  l'ordre  des  matières  >.  Eppure  si  seguì  un  certo  criterio  nella 
raccolta  del  materiale.  Infatti  in  calce  alla  carta  n.  LXIX  sta  scritto: 
«  Omnes  carte  suprascripte  sunt  augustane  »  (op.  cit.,  p.  265)  e  prima 
del  documento  n.  LXXl  :  «  Carte  inferius  scripte  sunt  notarli  »  (op.  cit.. 
.p.  266).  La  parte  prima  del  cartolario  contiene  appunto  le  cade  aostane 
con  poche  eccezioni  (il  n.  I  è  una  composi! io,  i  nn.  II-IV  sono  docu- 
menti pontifìct,  il  n.  LV  è  un  breve  recordationis  colla  rubrica: 
«  scriptum  de  augusta  »)  e  nella  seconda  parte  abbiamo  soltanto  le 
carte  notarli,  fatta  eccezione  dei  privilegia  e  di  due  carte  aostane 
(i  nn.  LXXXII,  LXXXIII),  le  quali  però  sono  designate  come  tali  nella 
rubrica. 

(2)  Nelle  rubriche  del  citato  cartolario  questa  distinzione  si  man- 
tiene sempre, .  quindi  leggesi  ad  es.  :  «Carta  augustana  de  Augusta» 
(n.  LIV)  ;  la  designazione  carta  o  scriptum  de  Augusta  va  sempre 
riferita  al  contenuto.  Il  rubricatore  si  serve  spesso  anche  solo  di  carta 
per  designare  la  carta  augustana  ;  ma  non  usa  mai  in  questo  caso 
scriptum.  Carta  per  carta  augustana  nort  si  incontra  nei  docu- 
menti. 

(3)  Esempio  in  F.  Gajjotto,  Est  raffi  dai  ^  Confi  ^  deW  Archivio 
(Vimerale  di  Torino  relafivi  (dia  Vaffc  djosfa  fl2(ì7-lSòO).  nella  citata 
Miscellanea  Valdosfana,  p.  327. 

(4)  Nel  cartolario  citato,  p.  323,  n.  CXVIIl;  cfr.  sopra  nota  1.  Nella 
sottoscrizione  notarile  degli  istiomenti  Tatto  viene  designato  d'ordinario 


1 


CHARTA   AUGUSTANA 

ciiinenti,  accanto  alle  carte  augustane,  si  ricordano  gli 
«  in  strumenta  »,  le  «  attestationes  »,  gli  «  scripta  »,  cioè  tutti 
gli  scritti  che  non  sono  carte  augustane  (1)  ;  più  di  rado 
si  distingue  anche  con  instrumentum  lombardum  o 
carta  lombarda  il  vero  documento  notarile  italiano  (i^). 

In  base  ai  caratteri  intrinseci  ed  estrinseci,  quali  emer- 
geranno durante  la  trattazione  seguente,  e  per  opportunità 
e  chiarezza  di  studio,  distinguo  le  carte  aostane  in  tre  periodi. 
Del  primo  periodo  conosco  soltanto  sette  carte,  che  vanno 
dall'anno  10124  al  1045;  una  ventina  del  secondo,  dal  1053 
al  1147;  numerosissime  sono  le  carte  del  terzo,  e  quelle  da 
me  esaminate  vanno  dal  1149  al  1408  (3). 


11.^ 
La  cancelleria  di  Aosta. 

La  carta  augustana  è  il  prodotto  di  una  speciale  or- 
ganizzazione di  scrittori;  è  l'atto  scritto  uscito  da  una  can- 
celleria con  propri  ufficiali  e  retta  da  determinate  norme. 
Quale  cancelleria  sia  questa,  come  debba   chiamarsi,  ce  lo 


come  cJiarta  :  «  hanc  caitam  scripsi  *.  In  un  istromento  del  7  ott.  1309, 
rogato  in  Aosta  :  «  Ego  Vuillelmus  de  Christa  dictiis  de  Dovia  sacri  pa- 

*  latii  notariiis  publicus  instrumentum  et  hanc  chaiiam  rogatus  scripsi  * 
(Due,  Docuììients  relafifs  à  Vépiscopat  da  h.  Énieric  I,  n.  54). 

(1)  Esempi  :  «  Hoc  vendidit  eis  donavit  et  finivit  cum  omnibus   in- 

*  stiumentis  tam  cartis  augustensibus  quam  atestationibus  cantantibus 

*  de  dieta   pecia  vince  »  (  1280,  maggio   18,   orig.   Archivio   Capitolare)  ; 

*  hoc  ...dedit  cum  cartis  aug.  et  omnibus  instrumentis  inde  confectis  » 
(1:288.  gennaio  23,  orig.  Arch.  Gapit.).  Quest'ultima  espressione  ricorre  di 
frequente  nei  documenti  di  Aosta  ;  cfr.  anche  la  carta  del  febbraio  1288 
in  Battaglino,  op.  cit.,  p.  276,  n.  XXXVIII  e  Due,  Docuniputa  reìafifft: 
ò  /'épiscopat  dtt  h.  Énteric  I,  pp.  84,  170. 

(2)  Ad  es.  :  «  cartis  augustanis  et  lombardicis  »,  in  cai  ta  del  1°  aprile 
1291,  cfr.  Due,  Esqulsses  hisforìques,  II,  395.  —  «  Hoc  donavit  ei  cum  om- 

*  nibus  cartis  aug.  et  omnibus  aliis  instrumentis  lonbardis  et  aliis  de 

*  dictis  rebus  confectis  *  (1288.  ottobre  feria  2,  orig.  Arch.  Capii.). 

(3)  Cfr.  Apix'HdìCi'.  II. 


260  LUIGI   SCHIAPARELLI  [12J 

dicono  due  ufficiali  di  essa,  «  Stephanus  »  e  «  Petrus  »,  i 
quali  si  sottoscrivono  aggiungendo  al  loro  nome  :  «  dictus 
«  Auguste  cancellarius  ».  Dunque  cancelleria  di  Aosta,  della 
città  di  Aosta,  non  del  conte,  non  del  vescovo  (1). 

Vediamo  brevemente  come  fosse  organizzata  e  come  fun- 
2:ionasse. 

A  capo  della  cancelleria  sta  il  cancellarius  e  da  lui 
dipendono  gli  scriptores  o  \  icecancellarii  (2).  Il  cancel- 
liere non  sottoscrive  i  documenti,  né  prende  parte  alcuna  alla 
loro  fattura.  Fanno  però  eccezione  il  cancelliere  «  Thom[as]  » 
e  i  ricordati  «  Stephanus  »  e  «  Petrus  »,  i  quali  sottoscrivono 
direttamente  le  carte,  e  quindi  fimgono  da  scrittori  e  da 
cancellieri  (3).  Nella  subscript  io  delle  carte  aostane  del 
primo  e  del  secondo  periodo  troviamo  in  alcuni  casi,  aggiunte 
al  nome  del  cancelliere,  designazioni  che  ci  attestano  della 
carica  e  delP  importanza  del  personaggio.  Il  primo  cancelliere 
era  «  prepositus  »  ;  fu  cancelliere,  il  quarto  della  nostra  serie, 
il  vescovo  Anselmo  di  Aosta  (4)  ;  poi  scompare  ogni  designa- 
zione in  aggiunta  al  titolo  ufficiale  di  cancelliere,  fino  a  quando 
questa  carica  non  fu  occupata  dai  conti  di  Savoia,  i  quali 
premisero  al  titolo  di  «  cancellarius  »  quello  di  «  comes  Sa- 
«  baudie  »  (5).  La  serie  dei  conti  di  Savoia  cancellieri  di  Aosta 


(1)  Tutta  la  seguente  esposizione  mostrerà  chiaramente  come  non 
si  tratti,  per  questi  cancellieri  di  Aosta,  di  scrittori  vescovili,  i  quali  ab- 
biano anche  atteso  a  redigere  atti  privati.  Ritengo  quindi  errato  il 
giudizio  del  Kern,  di  cui  cfr.  p.  256.  Di  un  vero  scrittore  vescovile  si  ha 
ricordo  in  un  documento  del  13  marzo  1311,  ed  è  ivi  denominato  script  or, 
non  cancellarius:  «In  capitulo  Beate  Marie  Augustensis  corani  test  i- 
«  bus  domino  Petro  rectore    hospitalis  citra  Montem  lovis.    Humberteto 

*  de  Porta  et  magistro  Roberto  de  Anglia  scriptore  domini  episcopi  Au- 
«  gustensis  et  pluribus  aiiis  »  (Due,  DocHmcttfs  reìafif.s  à  ì'épiscopaf  (in 
h.  Éineric  I.  p.  127,  n.  60).  Non  è  il  caso  di  indugiarsi  a  dimostrare  ei- 
ronea  V  opinione  di  J.  B.  De  Tillier,  di  cui  cfr.  p.  253,  nota  1. 

(2)  Dì  questi  ufficiali  si  veda  la  serie  in  Appendice,  II;  i  loro  nomi 
si  leggono  nella  formula  di  subscript  io  delle  singole  carte. 

(3)  La  sub  script  io  delle  carte  di  *  Stephanus  *  e  di  *  Petrus  »  ba 
la  formula:  *  N.  dictus  Auguste  cancellarius  scripsit  et  subscripsìt  ». 

(4)  Cfr.  p.  34(),  nota  3. 

(5)  La  subscriptio  prende  allora  la  formula:  *  N.  gerens  vicem  (o 

*  vices)  N.  comitis  Sabaudie  cancellarii  scripsit  et  subscripsìt  >. 


[13J  CHARTA   AUGUSTANA  2(51 

principia  con  Amedeo  V,  precisamente  coiranno  1318,  e  cessa 
solo  collo  scomparire  della  carta  aostana  (1).  Ad  Amedeo  V 
seguono  Edoardo,  Aimone,  Amedeo  VI,  Amedeo  VII  e  Ame- 
deo VITI.  Uno  solo  per  volta  fu  il  cancelliere  in  carica.  Il  la- 
voro della  cancelleria  era  affidato  agli  ufficiali  inferiori,  a  quelli 
che  sottoscrivono  il  documento  a  nome,  a  vece  del  cancelliere. 
La  loro  non  era  una  carica  puramente  onorifica,  poiché  sono 
essi  che  scrivono  la  carta.  Il  confronto  della  scrittura  non 
lascia  duhhio  alcuno  che  questa  si  debha  attribuire  allo  scrit- 
tore nominato  nella  subscriptio.  Non  aggiungono  di  regola 
alcun  titolo  ufficiale  al  loro  nome  :  soltanto  «  Armannus  »  e 
«  Cono  »  si  dicono  «  scriptor  ».  Nelle  carte  non  aostane  lo 
scrittore  di  queste  viene  detto  «  vicecancellarius  »  (2),  e 
questo  titolo  compare  poi,  collo  stesso  significato,  nella  sub- 
scriptio delle  carte  durante  il  cancellierato  dei  conti  di 
Savoia.  Titoli  o  designazioni  non  ufficiali  che  denotino  la 
qualità  dello  scrittore  si  trovano  solo  nelle  carte  aostane  dei 
primi  due  periodi,  ed  apprendiamo  che  «  Dodo  »,  «  Ejtìcus  » 
e  «  Petrus  »  erano  presbiteri,  «Armannus»  clericus. 
La  carta  del  ricordato  «  Armannus  »  ci  dà  l' unica  ecce- 
zione di  carta  aostana  non  scritta  dal  cancelliere  o  a  vece 
del  cancelliere.  Non  sappiamo  con  precisione  se  dalla  carica 
di  scrittore  si  potesse  salire  a  quella  di  capo  della  cancel- 
leria: ma  ciò  è  probabile,  da  quanto  lascia  supporre  l'iden- 
tità di  alcuni  nomi  (3).  Nel  periodo  in  cui  sono   cancellieri 


(1)  Questa  data  1318  ha  probabilmente  qualche  relazione  cogli  av- 
venimenti storici  della  città  o  coi  numerosi  acquisti  fatti  intorno  a  quel- 
r  epoca  dal  conte  di  Savoia  nella  Valle.  Per  questa  ricerca  daranno  forse 
materiale  i  Confi  delle  castellante  conservati  neir Archivio  Camerale  di 
Torino,  e  dei  quali  il  Gabotto  ha  pubblicato  degli  estratti  (cfr.  p.  2.58, 
nota  3).  Recatomi  appositamente  a  Torino  nei  primi  dell'ottobre  1906  per 
esaminare  questi  Coììti  ho  trovato  TArchivio  chiuso,  per  mancanza  di 
personale  !  E  grazie  soltanto  alla  cortesia  del  prof.  Casanova  ho  po- 
tuto esaminare,  in  via  eccezionale,  pochissimi  rotoli  trasportati,  per  lo 
studio,  nella  prima  sezione  dell'Archivio  di  Stato. 

(^)  Cfr.  pp.  267,  nota  3;  ai3,  nota  7;  344,  nota  22,  e  3.5(). 

(3)  È  probabile,  ad  es.,  che  1'  «  Aimo  *  cancelliere  nel  1211  sia  lo 
scrittore  dello  stesso  nome  dal  1205  al  1209;  che  1' *  Aimo  >  cancelliere 
negli  anni  128:^1292  sia  lo  scrittore  di  carte  dal  1276  al  1279. 


262  lA'IGI    SCHIAPAKELLI  [14 1 

i  conti  di  SaAoia  non  solo  si  accresce  l' antorità  del  vice- 
cancelliere, a  nome  del  quale  vengono  sottoscritte  alcune 
carte  ;  ma  talora  viene  a  lui  dato  pertìno  il  titolo  di  «  can- 
«  cellarius  »  (1).  Più  scrittori  furono  contemporaneamente  a 
servigio  della  cancelleria;  tuttavia  il  loro  ninnerò  non  do- 
vette essere  grande,  e  limitata  ci  appare  la  loro  serie  quale 
si  ricava  dalle  carte  a  noi  pervenute  (2).  Quegli  nel  cui  nome 
si  sottoscriv ono  alcune  carte,  e  che  porta  ufficialmente  nella 
subscriptio  il  titolo  di  «  vicecancellarius  »,  godeva  certo 
sugli  altri  scrittori  maggiore  tìducia  e  autorità,  ne  era  come 
il  capo  e  talora  rappresentava  e  sostituiva  il  «  cancellariiis  ». 
Questi  scrittori  venivano  nominati  o  designati  molto  proba- 
bilmente dal  cancelliere  o  capo  della  cancelleria.  Dovevano 
essere  scelti  non  solo  tra  le  persone  pratiche  nell' arte  dello 
scrivere,  ma  pur  tra  quelle  che  erano  di  buona  condizione 
sociale  e  godevano  grande  tìducia,  che  il  loro  ufficio  era 
molto  importante.  Non  erano  però  ad  esclusivo  servizio  della 
cancelleria,  potevano  cioè  esercitare  liberamente  l'arte  loro  di 
scrittori.  Così  ho  notato  nell'Archivio  Capitolare  una  precaria 
del  1158  scritta  da  «  Stephanus  »  ;  di  sua  mano,  e  di  altri 
scrittori  della  cancelleria  ho  riconosciuto  alcuni  brevi  presso 
gli  Archivi  Vescovile  e  Capitolare.  Taluni  di  questi. scrittori 
furono  anche  notai  pubblici;  ad  es.,  «  Turumbertus  »,  «  Dio- 
«  nisius  »  e  «  Aymo  (Boneti)  »;  ma,  naturalmente,  quando  scri- 
vevano altre  carte,  come  brevi  o  istromenti,  non  fungevano 
da  ufficiali  della  cancelleria  (3).  Di  altri  ufficiali,  oltre  ai  de- 


ll) CtV.  p.  344,  note  17,  21.  Nella  subscriptio  dì  alcune  carte  ligu- 
la no  il  vicecancelliere  ed  il  cancelliere  ;  cfr.  p.  342. 

(2)  Cfr.  Appendice,  IL 

(3)  Il  breve  del  novembre  1161,  edito  in  Ilisf.  patr.  Mon..  (Ikdì.. 
I.  827,  n.  DXIX,  fu  scritto  da  *  Stephanus  cancellarius....  iussu  episcopi 
«  Guillelnii  ».  Non  ho  visto  l'originale  di  questo  breve,  ma  pare  che  si  tratti 
del  nostro  «  Stephanus  ».  Il  titolo  che  qui  prende  è  quello  che  aveva 
come  scrittore  della  cancelleria,  non  come  scrittore  privato  del  vescovo. 
11  medesimo  caso  si  ha  nel  documento  del  1177  edito  dal  Pivaxo,  op.  cit., 
p.  1(K).  n.  XX.  È  pure  probabile  che  sia  il  nostro,  lo  «  Stephanus  »  che  scrisse 
il  breve  pubblicato  in  llist.  pair.  Mori..  Cltarf.,  II,  1025,  n.  MDXXXV.  La 
precaria  ricordata  si  conserva  nell'Archivio  Capitolare:  in  essa  non 
lìgura  il  nome  del  notaio,  ma  si  riconosce  dalla  scrittiiia  la  mano  di  Ste- 
fano. (Cfr.  Appriìdico.   1.  n.  iS). 


[15] 


CHARTA    AUGUSTAXA 


263 


jignati,  non  rinvenni  notizia.  Solo  in  nna  carta,  quella 
del  1040,  si  ricorda  il  dictator;  ma  di  tale  carica  non  si 
sentì  certo  il  bisogno  quando  la  carta  aostana  raggiunse  il 
suo  sviluppo  e  fissò  il  suo  formulario,  poiché  allora  per  la 
fatlin*a  di  essa  ben  poteva  bastare  lo  scrittore. 

Gli  scrittori  della  cancelleria  tenevano  la  loro  sta t io  in 
Aosta,  in  luogo  pubblico,  «  ante  ecclesiam  S.  Marie  et  S.  lo- 
«  hannis  »  (1),  e  «  rogati  corani  pluribus  »  ricevevano  le  dispo- 
sizioni di  quanti  volevano  far  stendere  un  atto  contrattuale. 

Non  risulta  che  per  il  loro  ufficio  fossero  fissati  giorni 
speciali  della  settimana,  e  infatti  abbiamo  carte  datate  con 
tutte  le  ferie,  dalla  prima  alla  settima  ;  così  non  sappiamo  se 
nei  primi  tempi  fossero  stabiliti  i  giorni  del  mese  o  la  setti- 
mana :  è  forse  probabile,  ma  certo  non  risulta  dalle  carte  di 
epoca  più  tarda,  allorquando  si  usò  indicare  nella  datazione 
teria  e  settimana  o  giorno  del  mese  {^).  Erano  presenti  all'atto 
i  «  testes  »  (3),  i  «  fideiussores  »  (4)  e  talora  anche  i  «  land a- 


(1)  Cfr.  per  questa  località,  Due,  Cariulaire,  p.  :213,  nota  1. 

(:2)  Per  i  notai  pubblici,  leggesi  nelle  CoùHimes  générales  chi  Ducile 
(l'Aoste  {"2  ecliz.,  Aoste,  1684),  p.  123,  JJes  nofalres,  article  LV,  questa 
disposizione  :  *  Est  inhibé  aux  notaires  recevoir  à  jour  de  Dimanche,  ou 
<  autre  fete  solemnelle,  méme  pendant  la  celebration  du  divin  Office,  et 

*  audition  du  Sermon,  contracts  aucuns  de  vente,  permutation,  échange, 

*  bail  à  ferme,  et  autres  actes  quels  qui  soient,  qui  peuvent  etre  passés  à 

*  autre  temps  ;  si  non  qu'il  y  aìt  nécessité  urgente  de  ce  taire,  et  telle 

*  que  pour  dilayer  de  passer  les  dits  contracts   le   droict  des  paities  en 

*  soit  rendu  détérieur  *. 

(3)  In  numero  di  cinque;  cfr.  p.  280,  nota  1. 

(4)  In  numero  di  due;  cfr.  p.  28(),  nota  1.  Servendoci  di  una  frase 
di  un  istrumento  del  18  marzo  1278  (cfr.  p.  345)  potremo  dire  che  si  fa- 
ceva garantire  la  carta  acciò  1"  acquirente  «  decipi  non  possit  nec  eciam 
«  defraudari».  Figurano,  senza  eccezione,  in  tutti  i  generi  di  atto.  Erano 
mallevadori  per  l'evizione;  servivano  certamente  ad  impedire  possibili 
contestazioni.  Gli  acquirenti  erano  così  assicurati,  garantiti  dai  fideius- 
sori di  fronte  ai  terzi.  La  frase  che  ricorre  nelle  nostre  carte  per  indi- 
care la  fideiussione  o  garanzia  e  il  corrispondente  suo  valore,  trova 
speciale  riscontro  con  simili  espressioni  in  carte  del  territorio  franco. 
Nel  territorio  del  regno  longobardo,  è  notevole  l'uso  che  si  trova  nei 
documenti  di  Ivrea,  così  vicina  ad  Aovsta,   della  formula  «  dedit....  gua- 

*  diam  guarentandi  *  (cfr.  Durando,   Le   carte  dell' Ardi  tv  io   capitolare 
d'Irrca   fino   al    12S0.    nella    liiblioteca    della    Società    storica    Sidìal- 


264  LUIGI   SCHIAPARELLI  [16] 

«  tores  »  (1).  Questi  potevano  farsi  rappresentare,  la  moglie  dal 
marito  e  gli  altri  dai  loro  avvocati,  ed  è  probabile  che  atte- 
stassero il  consenso  ponendo  la  loro  mano  in  quella  dell'  alie- 
nante (2).  Il  consenso,  che  pure  figura  in  ogni  genere  di 
atto,  non  era  sempre  necessario  e  spesso  si  ottenne  dopo  che 
la  carta  era  compiuta,  trascorso  anche  un  certo  tempo,  come 
ci  dicono  alcuni  documenti  e  attestano  i  caratteri  estrinseci 
della  stessa  carta  aostana  (3).  La  carta  augustana  ammet- 
teva il  contradittorio  ;  leggesi  infatti  sul  verso  di  alcune 
di  esse:    «  contradixit  »   o   «  contradixerunt  ».   È   probabile 


plìU(,  Pinerolo,  1902,  pp.  27,  33,  ec),  la  quale  ricorda  e  serve  a  spie- 
gare la  forma  gerundiva  «  garendi  »  o  *  guarendi  cartam  »  della  nostra 
carta;  cfr.  p.  295.  Non  credo  che  i  fideiussori  in  Aosta  formassero  allora 
una  vera  istituzione.  Il  loro  intervento  non  è  limitato  alla  carta  aostana 
e  non  scompare  con  questa.  In  un  breve  del  sec.  XII  {Hist.  patr.  Moit,. 
Charf.,  II,  211,  n.  GLXVI),  sono  detti  «  fideiussores  de  legali  guarentia  ». 
Diedero  origine  più  tardi  all'istituzione  dei  garends  o  della  (jareìit'te. 
Cfr.  Coùtìtnies  générales  dii  (ìiiché  d'Aoste  (2.*  ediz.),  pp.  458  segg.,  Des 
fìde'utsseuì's.  e  pp.  527  segg.,  D'insfance  de  garenfìe  ;  G.  Nani,  Gli  Sfa- 
fiffi  dì  Pietro  II  conte  di  Savoia,  nelle  Memorie  della  li.  Accadetnia 
delle  Scienze  di  Torino,  ser.  II,  to.  XXXIII,  Scienze  mor..  stor.  e  plos. 
(Torino,  1881),  p.  74,  nota  4;  Pivaxo,  op.  cit.,  p.  67;  A.  Lattes.  //  diritto 
consiietadinario  delle  città  Lombarde  (Milano,  1899),  pp.  213  segg.  ; 
V.  Gampogrande,  Trattato  della  fideiussione  nel  diritto  odierno  (Torino, 
1902),  p.  24.  Si  veda  quanto  sui  fideiussori  nelle  carte  Bavaresi  scrive 
J.  Merkel,  iJas  firmare  des  bairischen  Volksrecldes.  nella  Zeìtsclirift 
far  lìecidsgesclìichte,  II  (Weimar,  1863),  pp.  146  segg. 

(1)  Sul  verso  della  carta  del  1291  febbraio  feria  6  (orig.  Ardi. 
Capitolare)  si  legge  la  nota  :  *  debet  un  den.  prò  laudacione  cuiusdam 
«  carte  aug.  *  ;  la  carta  1283  gennaio  feria  2,  di  vendita  fatta  da  *  Beatrix 

*  f.  condam  Peroneti  de  Foschia....  in  Vioninum  Felisie  clericum  civem 
«  Aug.  >,  ha  la  nota  (sul  verso):  «  debet  de  laudatione  et  extra  sedem  » 
(orig.  Arch.  Gapit.);  1348  febb.  16  (orig.  Arch.  Vesc),  pure  sul    verso: 

*  debet  prò  laudacione  x  den.».  Questo  lascerebbe  supporre  che,  in  al- 
cuni casi  almeno,  per  il  consenso  si  pagasse  una  tassa  alla  cancelleria. 
Re  ci  pere  laudacionem  costituiva  un  atto  a  sé  (cfr.  p.  347).  I  *  lauda- 
«  tores  »  appartengono  per  lo  piìi  alla  famiglia  dell'alienante  ;  è  notevole 
il  largo  uso  che  se  ne  fa  per  i  vari  generi  di  carta;  diverso  è  il  loro  nu- 
mero e  il  grado  di  parentela.  Figurano  anche  gli  infanti.  Cfr.  Pivaxo, 
op.  cit.,  pp.  67-68,  e  Kerx,  op.  cit.,  pp.  9-10. 

(2)  Tale,  ad  es.,  era  l'uso  bavarese;  cfr,  Merkel,    op.  cit..    p.  138. 

(3)  Cfr.  PI).  ^307-308,  347. 


!17J  CHARTA   AUGUSTANA  265 

che  in  Aosta  si  praticasse  qualche  cosa  di  simile  all'uso 
del  diritto  popolare  Bavarese  (1),  che  lo  scrittore  della  can- 
celleria, ricevuta  la  volontà  dell'attore  o  degli  attori,  gri- 
dasse per  tre  volte  se  alcuno  dei  presenti  avesse  opposizione 
da  tare.  Se  opposizione  si  taceva,  non  si  procedeva  al  com- 
pimento della  carta  (i2);  se  poi  non  vi  era  opposizione,  se 
alla  domanda  dell' utfìciale  rispondeva  il  silenzio  dei  pre- 
senti, allora  l'atto  si  intendeva  come  eseguito.  Allo  scrittore 
della  cancelleria  non  restava  che  dare  compimento  materiale 
alla  carta,  assicurarle  la  fides  publica.  Nelle  carte  aostane 
nessuna  formula  accenna  all'investitura  ;  ma  è  probabile  che, 
se  pure  non  bastava  il  tacito  consenso  dei  presenti,  venisse 
latta  ordinariamente  «  corporaliter  per  pollicem»,  come  era 
r  uso  comune  del  luogo  e  come  troviamo  ricordato  in  altri 
documenti  (3)  ;  conosco  un  solo  esempio,  con  riferimento 
ad  atto  compiuto  mediante  carta  aostana,  di  possessio 
e  or  p  orali  s   fatta   «  per  traditionem   capucii  »  (4).   Nessun 


(1)  Cfr.  Merkel,  op.  cit,,  p.  14tì, 

{•2)  Cfr.  a  p.  271,  che  cosa  si  intenda  per  compimento  della  carta 
aostana. 

(3)  In  un  istromento  di  vendita  del  1294  giugno  3,  fatta  da  *  laco- 

*  beta  filia  condam  Petri  mistralis  civis  Aug.    uxor  lohannis  Thiebaldi 

*  de  Prato  Sancii  Dederii  de   consemsu  volumtate  et  mandato  expressis 

*  predicti  viri  sui  et  Mathelda  dieta  Bertoleta  soror  predicte  lacobete  * 
a  *  lohanni  de  Fonte  de  Villa  super  Nunx  »  :  «  ....  et  dictum  dominum 
«  lohannem   de   ipsa  (pecia)  corporaliter  per  policem,  ut  moris  est,   in- 

*  vestìerunt,  dantes  et  concedentes  eidem  licenciam  et  mandatum  ut 
«  possesionem  corporalem  ipsius  rei,  quandocumque  sibi  placuerit,  intrare 

*  et  apprehendere  possit  sua  auctoritate,  et  apprehemsam  possidere,  con- 
«  stituenites  se  prò  eo  precario  possidere  donec  ipsius  rei  possesionem 
<  apprehemderit  corporalem  *  (orig.  Arch.  Capit.).  Gli  esempi  sono  nu- 
merosi ;  cfr.  Due,  Documents  relafifs  à  réplscopat  citi  b.  Énieric  1, 
nn.  1,  2,  7,  8  ec. 

(4)  *  Anno  Domini  W  GCC'  XLIP,  ind.  X%  pridie  kal.  aprilis,  ante 
«  ecclesiam  S.  Marie  Aug.,  coram  testibus....  Notum  sit  omnibus,  quod 
«  cum   lohannodus   asinarius   civis  Aug.   vendiderit   per  chertam  aug. 

*  iuratam  per  ipsum  in  Nicholetum  Felisie  civem  Aug.  et  cui  dare  vo- 
«  hierit  sub  anno  predicto  die  xxvii  mens.  marcii  unam  peciam  terre,  que 

*  iacet  Puen^'o  {s-e(/iiono  ì  c'onfììiì),  hinc  est  quod  dictus  lohannodus  po- 

*  suit  dictum  Mcholetum  Felisie  in  corporalem  possessioneni  diete  pecie 
«  per  traditionem  capucii  sui,  renuncians  omni  exceptione....  Ego  Aymo 

*  Honeti  not.  publicus  *  ec.  (orig.  Arch.  Capit.). 


2(56  JXIUI    SCHIAPAKELLI  fl8J 

accenno  alla  tradii  io  e  art  a  e  (1).  Ritengo  che  lo  scrittore  non 
giudicasse  sul  merito  delF  opposizione  che  veniva  sollevata, 
ma  dovesse  unicamente  prenderne  atto  e  non  passare  a  dar 
compimento  alla  carta.  Non  ho  trovato  esempio  in  cui  al 
«  contradixit  »  si  aggiunga  una  motivazione  qualsiasi.  Occor- 
rendo, spettava  alle  parti  interessate  far  sentire  le  loro  n\- 
gioni  e  ricorrere  al  giudizio,  secondo  le  leggi  e  le  consuetu- 
dini del.  paese.  Così  spiego  il  conservarsi  di  carte  aostane 
non  compiute  e  colla  nota  cancelleresca  «  contradixit  »  o 
«  contradixerunt  »  (2)  ;  non  per  questo  l'atto  si  riteneva  nullo, 
ne  il  documento  veniva  a  perdere  ogni  suo  valore,  ma  do- 
veva conservare  ancora  il  valore  della  notitia  o  del  breve, 
salvi  restando  i  diritti  dell'opposizione  già  manifestata  (3). 
Tutto  questo  procedimento  si  sarà  seguito  probabilmente  sol- 
tanto nei  primi  tempi  e  non  in  tutti  i  casi  ;  in  seguito  nella 
pratica  si  sarà  fatto  a  meno  di  alcune  formalità,    per  adot- 


(1)  Cfr.  Kern,  op.  cit.,  p.  65. 

(2)  Sul  verso  di  una  carta  aostana  del  1344  febbraio  7  (orig.  Ardi. 
Capit.)  si  legge  questa  nota  :  «  Bonefacius  fìlius  condam  Roleti  de 
«  Villa,  Bernardus  fìlius  condam  lohannis  de  Villa  et  domnus  episcopus 

*  Aug.   ad  lequisitionein   Gapituli  Aug.   contradixerunt.   Passata  est   de 

*  precepto  dictorum  contradicentium  ».   Malgrado  l'opposizione  la  carta 

*  passata  est  »  ;  le  venne  cioè  dato  compimento,  perchè  gli  oppositori  ac- 
consentirono. Un  altro  esempio  troviamo  in  una  carta  del  1363  mag- 
gio %  con  questa  nota  in  calce,  sul  verso:  *  domnus  episcopus  Auguste 
«  contradixit  presentem  chertam  ad  requisitionem  Gapituli  Auguste;  pas- 

*  sala  est  de  precepto  dictorum  episcopi  et  Gapituli  ».  Il  recto  è  com- 
pleto ed  è  sottoscritto  da  «  Aymo  gerens  vices  domni  Amedei  com.  Sab. 
«  cancell.  >  (orig.  Arch.  Gapit.).  L'ufficiale  della  cancelleria  non  è  giu- 
dice e  non  giudica  ;  soltanto  se  non  vi  sono  oppositori  o  se  questi 
non  insistono,  egli  passa  a  dare  compimento  alla  caiia,  ad  assicurarle 
piena  fede. 

(3)  Infatti  una  carta  dell"  Arch.  Gapit..  di  vendita  di  una  casa  in 
Aosta  nel  luogo  detto  «  Malum   Gonsilium  »,    fatta   da    *  lacobus   dictus 

*  Raschays  de  Ginno....  in  Petrum  Gotrous  »,  ha  sul  verso ,  in  calce,  questa 
nota  :  «  Dumnus  Guido  de  Ginno  contradixit.  Reddatur  venditori,  non 
-«  solvit  ».  11  «contradixit»  non  rendeva  inutile  l'altra  nota  che  avverte 
come  la  carta  si  debl)a  restituire  all'autore.  Questa  seconda  nota  annulla 
effettivamente  l'atto.  La  pergamena  è  scritta  soltanto  sulla  faccia  verso, 
e  la  scrittura  rivela  la  mano  di  *  Dionisius  ».  l  dati  cronologici  sono: 
-*  feria  iF,  mens.  may  ». 


|19J  CHARTA    AUGUST.VXA  2«)7 

tare   un   procedimento  più  sbrigativo,   che  avrà  dato  tacile 
il  passo  a  commettere  alcune  irregolarità  (1). 

Nel  primo  periodo  della  carta  aoslana  probabilmente  lo 
scrittore  della  cancelleria  riceveva  la  disposizione  dei  con- 
traenti scrivendola  subito  direttamente  nella  faccia  verso 
della  pergamena,  sul  cui  recto  poi  doveva  stendere  una 
seconda  redazione,  quella  che  per  ora  potremo  dire  reda- 
zione solenne  dell'atto  o  copia  a  buono.  Ma  negli  altri  pe- 
riodi di  questa  carta,  quando  essa  raggiunse  il  suo  sviluppo, 
la  notitia  sul  verso  è  dovuta  ad  un  atto  posteriore  (^)  ; 
Tufficiale  riceveva  le  disposizioni  su  una  scheda  o  imbrevia- 
tura.  Sappiamo  che  nel  XIV  secolo  questi  ufficiali  della  can- 
celleria tenevano  veri  protocolli,  detti  registri,  come  quelli 
dei  notai  pubblici  (3)  :  ma  è  probabile  che  già  prima  la  can- 


(1)  Abbiamo  esempi  di  carte  la  cui  azione  giuridica  non  ebbe  effetto, 
e  la  cancelleria  fu  tenuta  ad  apporre  sul  verso  speciali  note  dichiarative. 
Una  carta  dell'Archivio  Capit..  di  donazione  fatta  da  «  Guido  de  Gigno 
«  domicelhis....  in  ecclesiam  S.  Marie  Aug.  ad  opus  prebende  quam  dedit 

*  diete  ecclesie  Reymondus  de  Estra  ».  ha   sul  verso:  «non  solvit,  do- 

*  natori  reddatur  »  e  sotto  si  aggiunge:  «  Domnus  P.  rector  ecclesie  de 
«  Gigno  vocetur,  lohannes  de  Gigno  prò  eo  ».  L'altra  faccia  della  pergamena 
è  in  bianco,  sicché  la  carta  non  venne  compiuta.  Porta  i  dati  cronologici 
«  feria  ini»,  mens.  decembr.  »,  e  la  scrittura  si  riconosce  per  quella  delle 
carte  di  «lohannes  gerens  vicem  Gonterii  cane».  Si  ha  esempio  di  carta 
completa  di  vendita  in  cui  si  dichiara  che  il  prezzo  non  è  stato  pagato 
(cfr.  p.  289,  nota  3).  Così  una  carta  completa  del  1289.  feria  ii,  ha  sul 
verso:  *  R(eddatui)  permutatori,  non  solvit  »  (orig.  Arch.  Capit.).  Cfr. 
ancora  p.  266,  nota  3  e  gli  esempi  in  Due,  Carfulalre.  p.  227,  n.  XXV, 
p.  229.  n.  XXVII  e  p.  24(),  n.  XL.  Le  due  prime  carte  (nn.  XXV,  XXVII) 
hanno  nell"  ed.  del  Due  la  nota  «  non  est  f.  »  ;  ma  ritengo  si  debba  coi- 
reggere  «non  est  f.  ».  '<  non  est  s(olutum  precium)».  Una  carta  di  do- 
nazione, del  1217  ott.  (orig.  Arch.  Osp.  Maur.,  Torino;  Aosta.  Territori 
<1'EHtroHljìes  e  Stipule,  mazzo  I,  n.  8),  ha  sul  verso:  «p(recium)  e(st)  so- 
«  l(utum)  ».  Non  crederei  che  «  precium  »  si  riferisca  alla  tassa  della  cane. 

(2)  Questo  si  ricava  da  quanto  segue,  e  vedansi  in  particolare  gli  esempi 
alla  nota  3.  Ne  sono  di  conferma  anche  1  caratteri  estrinseci,  poiché  ora 
la  scrittura  sul  verso  non  presenta  più  i  caratteri  propri  di  una  minuta, 
è  meno  affrettata  e  trascurata,  ha  meno  forti  e  numerose  le  abbreviature. 

(3)  NeVi "autenticazione  di  copia,  eseguita  nel  sec.  XV,  di  una  carta 
aostana  del  20  aprile  1345,  il  pubblico  notaio  «  Bonifatius  de  Villa  civis  Au- 
«  gust.  »  dichiara:  «  hanc  chertram  de  prothocollis  condam  Aymonis  Boneti 
«  tunc  vicecancellarii  prò  illustri  principe  donino  Amedeo  comite  Sabaudie 
«  inichi  commissis  manu   propria   levavi  et  in  hanc  formam,  prout  in 


268  1X1(41    SCHIAPARELLI  |20J 

cellerìa  avesse  sentito  il  bisogno  di  conservare  in  appositi 
registri  notizia  o  copia  degli  atti  che  venivano  scritti  da'siioi 
ufficiali  (1).  La  scheda,  che  veniva  probabilmente  letta  agli  au- 
tori dell'atto  e  alle  persone  interessate  (2),  doveva  contenere 


*  ipsis  inveni,  redegi  »  (Arch.  Osp.  Maur.,  Torino  :  Aosta,  Territori 
d' Estronbles  e  Stipnle,  mazzo  I,  n.  80).  Esempi  ci  offrono  le  stesse  carte 
aostane  :  a.  1337  maggio  2,  donazione  fatta  da  «Richardus  de  Mer  de  Gigno» 
ad  *  Anthonie  eiiis  uxori  »  colla  sottoscrizione  «  Aymo  gerens  vices 
«  domni  Aymonis  comitis  Sabaudie  scripsit  et  subscripsit  ac  levavit  de 
«  registris  Bonefacii  vicecancellarii,  qui  eam  registravi!  in  Angusta 
«  ci  vitate  »  ec.  (orig.  Arch.  Capit.);  a.  1366  luglio  21,  vendita  fatta  da 
«  lohannes  clericus  f.   condam   Bonifatii    Picolerii....    in  Anthonium  de 

*  Terico  de  Lucana  ci  veni  Aug.  et  in  Alesiam  eius  uxorem....  Petrus 
•«  gerens   vices   domni  Amedei  comitis   Sabaudie  cancellarli  scripsit   et 

*  subscripsit  in  Augusta  civitate  rogatus  coram  pluribus  loco  publico 
«  ante  ecclesiam  S.  Marie  et  S.  lohannis,  de  registris  condam  Aymonis 
«  vicecancellarii  et  secundum  est  usitatum,  die  xxi  mensis  iulii,  regnante 
«  Karolo  imperatore,  anno  Domini  moccclxvp  »  (orig.  Arch,  Capit.).  I  regi- 
stri di  questo  Aimone  vice  cancelliere  li  trovo  ricordati  nelle  sottoscri- 
zioni di  altre  due  carte  aostane,  1366  novembre  28  e  1372  novembre  22, 
dell'Archivio  Capitolare,  ricavate  da  quelli  da  «  Petrus  gerens  vices  domni 
«Amedei  com.  Sab.  cancell.  ».  NeirArch.  Capitolare  ho  notato  due 
carte,  una  del  7  aprile  1326  e  altra  del  30  aprile  1326,  di  contenuto  di- 
verso, scritte  sulla  stessa  pergamena  ;  non  furono  staccate,  e  vien  fatto 
di  supporre  che  sieno  state  ricavate  dal  registro  del  notaio.  I  documenti 
imbreviati  in  questi  registri  dovevano  essere  del  tenore  della  redazione 
che  ora  leggiamo  sulla  faccia  verso  della  carta  aostana  ;  in  altre  parole, 
questa  redazione  sul  verso  sarebbe  stata  copiata  letteralmente  dal  re- 
gistro o  imbreviatura  (cfr.  p.  308).  La  datava  riferita  all'azione  (cfr.  p.  305), 
e  l'anno  di  Cristo,  ogni  qual  volta  manca  sul  verso,  è  supponibile  che 
venisse  ricavato  dal  registro,  naturalmente  quando  si  fece  uso  di  questo  ; 
e  quivi  non  doveva  trovarsi  in  calce  ad  ogni  documento,  poiché  allora 
figurerebbe  sul  verso  di  tutte  le  carte  riprodotte  dal  registro.  Il  fatto  è 
evidente  per  le  carte  che  hanno  le  due  redazioni  compilate  a  distanza 
di  tempo  e  soiio  dovute  a  diversi  ufficiali  della  cancelleria.  Per  queste 
carte  l'anno  doveva  pure  essere  registrato  in  qualche  parte.  Forse  nei 
registri  l'anno  di  Cristo  era  notato  soltanto  in  alcuni  casi,  quando  mu- 
tava: in  altri  termini,  probabilmente  questi  registri  erano  compilati  e 
distribuiti  per  anni. 

(1)  Ad  es..  Fanno  della  carta  del  dicembre  1290  (di  cui  alla  p.  270, 
nota  1),  colla  redazione  sul  recto  scritta  a  distanza  di  qualche  anno 
dalla  redazione  sul  verso,  non  venne  ricavato  dal  verso,  dove  manca, 
ma  da  un  registro  o  protocollo,  nel  quale  doveva  figurarvi. 

(2)  Gli  Statuti  di  Pietro  li  di  Savoia  (1263-1268)  ordinano  questo 
procedimento  per  gli  istromenti  nel  comitato  di  Savoia:  *  Item  statuimus 
«  quod   omnes  notarli   seu   tabelliones  qui  sunt  vel  erunt  in   Comitatu 


|21J  CHARTA   AUGUSTANA  [269] 

quanto  riproducono  le  carte  sul  verso  della  pergamena  (1). 
Stendere  la  scheda  o  imbreviatura  si  disse  «  recipere  »  (2),  anche 
«  registrare  »  (3)  ;  passare  da  quella  alla  redazione  dell'atto 
sulla  pergamena  «  levare  »  (cartam)  (4),  e  si  distinse  il  lavoro 


■»  Sabaudie  qui  voliierint  tacere  cartas  vel  instrumenta,  ea  primo  iniue- 

*  vient  in  cartalariis  suis  et  omnia  ponant  in  breviatura  que  postea  erunt 

*  in  cartis  vel  instrumentis,  et  hec  faciant  dicti  tabelliones  antequam 

*  recitent  vel  narrent  partibus  ea  de  quibus  erunt  facturi  instrumenta 

*  vel  cartas,  corani  testibus  vocatis  et  rogatis  et  corani  partibus,  et,  post 

*  abreviaturam  lectam  corani  testibus  et  partibus  et  approbatam,  nichil 

*  addatiir  vel  minuatiir  postea  per  tabelliones  de  Consilio  jurisperiti  vel 
«  sine  eius  Consilio;  de  siistancia  taraen  contractus  pertìciatur  »,  C.  Nani, 
op.  cit.,  p.  121,  art.  13.  cfr.  p.  109;  cfr.  Bresslau,  Urkumlenlehre,  I,  765. 
Si  cfr.  gli  Statuti  di  Amedeo  VI  (C.  Nani,  Gli  Statuti  dell'anno  1379 
di  Amedeo  VI  conte  di  Savoia,  nelle  Meni,  della  B.  Acc.  delle  Sciente 
di  Torino,  serie  II,  to.  XXXIV,  Sciente  mor.,  stor.  e  fìlos..  Torino, 
1881,  p.  156,  art.  42  e  Xuova  edizione  degli  Statuti  del  1379  di  Ame- 
deo VI  di  Savoia,  nella  Miscellanea  di  Storia  Itcdiana,  XXII,  To- 
rino, 1884,  276,  ali.  41);  e  l'art.  De  tabellionibus  et  notariis  negli 
Statuti  di  Amedeo  VIII  (E.  Durando,  Il  tabellionato  o  notariato  To- 
rino. 1897,  pp.  159  segg).  Nelle  Coùtumes  générales  du  diiché  d'Aoste, 
op.  cit.,  p.  115,  Des  notaires,  article  XIV:  *  Dresseront  aussi  d'ores- 

<  en  avant  la  minute,  ou  à  tout  le  moins,  retiendront  memoires  par  écrit 
«  de  tonte  la  substance  des  contrats,  avant  que  prendre  lamain,  etserment 
«  des  parties,  pour  la  reception  d' iceux,  et  en  feront  lecture  tout  au  long, 

*  intelligible  et  claire,  en  la  presence  des  dites  parties,  et  des  témoins  qui 

<  y  seront  appellés  ». 

(1)  Questo  valga  come  ipotesi  e  si  intenda  in  senso  generale.  Delle 
carte  aostane  di  cui  a  p.  267,  nota  3,  estratte  dai  protocolli  di  Aimone 
e  di  Bonifacio,  si  riproduce  appunto  il  verso.  Non  mi  risulta  che  si 
conservino  tuttora  protocolli  di  questi  scrittori  della  cancelleria. 

(2)  1322  marzo  28  (orig.  Arch.  Capii.):   *  Hugo  gerens  vices  domni 

*  Amedei  com.  Saubaudie  cane,  recepii  in  Augusta  civitate,  die  xxviii", 
«  mens.  martii,  vacante  sede  imperiali,  anno  Domini  M^CGC^XXIP.  Fran- 
«  ciscus  gerens  vices  Eduardi  com.  Saub.  cane,  levavit  scripsit  et  sub- 
«  scripsit  et  in  publicam  formam  reddegit  ».  La  carta  è  scritta  sulle  due 
facce  da  *  Franciscus  ».  La  data  si  riferisce  all'azione,  e  già  doveva 
trovarsi  sulla  scheda  o  protocollo. 

(3)  Cfr.  p.  267,  nota  3. 

(4)  Cfr.  nota  2  e  p.  267,  nota  3.  Il  medesimo  si  verifica  negli  istro- 
menti  della  Valle  di  Aosta,  dove  troviamo  le  frasi  «  recipere  instrumen- 

*  tum  »,  *  ita  est  receptum  per  me....  notarium  »  che  si  riferiscono  al 
lavoro  di  imbreviatura.  Quando  si  distinse  la  scheda  dalla  imbreviatura 
le  citate  frasi  si  usarono  con  riferimento  alla  prima,  e  si  disse  «  imbre- 

<  viare  »  la  seconda  operazione,  e  *  levare  »  estrarre  la  copia  dal  proto- 
collo; quindi  abbiamo  nei  protocolli  e  negli  istrumenti  indicazioni  come 

Arch.  8tor.  It.,  5."  Serie.  —  XXXIX.  18 


270  LUIGI    SCHIAPARELLI  |22J 

di  redazione  sul  verso  con  «  scribere  »,  e  con  «  subscribeie  » 
quello  sul   recto  (1).    Invece  di   «  subscribere  »   si  adopera 


queste:   «  Ita  est  receptum  per  me....  notariuin  et  imbreviatum  manu.... 

*  notarii  publici»;  «Ego....  aiictoritate  imperiali  et  domini  comitis  Sa- 

*  baudie  notaiius  publicus  hanc  cartam  rogatus  recepi,  scribi  feci  per.... 

*  notarium  piiblicum  coadiutorem  meum,  me  quoque  manu  propria  sub- 
«  scripsi  et  signo  meo  signavi  consueto»;  «Ego....  imperiali  auct.  not. 
«  publicus  hanc  cartam  per  me  receptam  scribi  et  levari  feci  manu.... 
«notarli  publici  ex  commissione  et  potestate  mihi  concessa  per  dominum 
«  ballivum  Vallis  Aug.,  et  inde  me  subscripsi  et  fideliter  signavi».  Si 
cfr.  l'art.  De  tabellionibus  et  notariis,  negli  Statuti  di  Amedeo  VILI 
conte  di  Savoia  (Durando,  op.  cit..  pp.  161  segg.). 

(1)  Esempi:  1290  dicembre,  feria  vi  (orig.  Arch.  Capit.):  «  Guilleiimis 
«  gerens  vicem  lacobi  cancellarli  scripsit  et  subscripsit  in  Augusta  civ.... 
«  feria  vr,  mens.  dee,  vacante  sede  imperatorum,  anno  Domini  M'^GCXC". 
«  Et  licet  Dionisius  de  Sala  olim  vicecancellariì  prima  scripsisset.  predici us 
«  Guillelmus  auctoritate  et  mandato  domni  Comitis  complevit  *  :  sul  verso: 
«  fer.  VI,  m.  decemb.  ».  La  data  si  riferisce  indubbiamente  all'azione  o 
alla  prima  redazione  sul  verso,  di  mano  di  «  Dionisius».  Tra  questa  e  la 
seconda  redazione  sul  recto  trascorsero  almeno  due  anni  (questo  «  Guìl- 
«  lelmus  »  è  lo  scrittore  che  lìgura,  secondo  la  lista  a  p.  342,  tra  il  1292  e 
il  1310  sotto  il  cane.  «  lacobus  »).  —  1299  luglio  (27),  ter.  ii  i\  ebd.  (orig.  Ardi. 
Ga^it.):  «  Guillelmus  scripsit.  Villentus  gerens  vicem  lacobi  cancellarii  sul)- 
«  scripsit  in  civitate  Auguste...,  feria  ii,  mens.  iulii,  a.  Domini  MGGLXXIX  '» 
(segue  a  GG  rasura  di  altro  G).  Il  verso,  che  fu  scritto  da  «Guillelmus» 
ha  la  data:  «feria  ii,  mens.  iulii,  iv  ebd.,  IX»  ».  L'a.  1279  del  recto  è 
certamente  errato,  e  va  corretto  1299.  Questo  scrittore  «  Guillelmus  » 
suole  abl)reviare  1299  con  IX''.  —  1300  ian.  (9),  feria  vii  ii  ebd.  (orig.  Arch. 
Gapit.).  Sul  verso  l'anno  è  indicato  in  forma  abbreviata  con  «  IX"»,  e  si 
dovrebbe  sciogliere  1299,  secondo  l'uso  che  adotta  anche  in  altre  carte 
lo  scrittore  di  questa  «  Guillelmus  ».  Sul  recto  però  sta  13(X),  mentre 
le  indicazioni  del  giorno  del  mese  sono  uguali  a  quelle  del  verso.  Sì 
potrebbe  supporre  che  l'a.  1300  si  riferisca  alla  redazione  sul  recto,  ma 
è  forse  più  probabile  che  sia  errato  il  «IX"»  sul  verso,  trattandosi  dei 
primi  giorni  dell'anno  nuovo,  ed  essendo  quindi  facile  che  sia  stata 
ripetuta  per  inavvertenza  la  data  dell'anno  trascorso.  —  1302  agosto  (10). 
feria  vi  ii  ebd.  (orig.  Arch.  di  Stato  in  Torino,  Ducato  d'Aosta,  mazzo  1. 
8,  n.  43)  :  «  Guillelmus  scripsit.  W.  Moschet  gerens  vicem  lacobi  cancel- 
«  larii  subscripsit  »;  «ii  ebd.  »  leggesi  solo  sul  verso.  —  1304  gennaio  (25), 
feria  vii  iv  ebd.  (orig.  Arch.  Gapit.):  «  Brunus  gerens  vices  lacobi  cancel- 
«  larii  scripsit,  et  Aymo  gerens  vices  Amedei  comitis  Sabaudie  subscripsit  ». 
Tra  le  due  redazioni  trascorsero  circa  40  anni  ;  cfr.  la  serie  degli  uf- 
ficiali della  cancelleria,  p.  342.  —  1304  ottobre  (28),  feria  iv  iv  ebd.  (orig. 
Arch.  Vesc.)  :  «  Guillelmus  gerens  vicem  lacobi  cane,  scripsit.  W.  Moschet 
«  subscripsit  ».  —  1305 (?)  apr.  (26),  ter.  ii  iv  ebd.  (orig.  Arch.  Gapit.)  :  «  Wil- 


\2'S\  CHARTA   AUGUSTANA  271 

anche,  di  preferenza  nelle  carte  non  aostane,  ma  con  rife- 
rimento ad  esse,  «  compiere  »  (1).  Tra  lo  «  scribere  »  e  il 
«  subscribere  »,  cioè  tra  la  redazione  sul  verso  e  quella 
sul  recto,  poteva  trascorrere  un  tempo  più  o  meno  lungo  (^). 
Non  sempre  si  poteva  o  si  voleva  «  compiere  »  la  carta,  con- 
diu'la  cioè  a  compimento  tutta  di  seguito,  senza  una  pausa, 
e  infatti  non  sono  rare  le  carte  aostane  giunte  a  noi  in- 
compiute, vale  a  dire  colla  sola  scrittura  o  redazione  sulla 
faccia  verso  (3).  Si  potev^ano  dell'atto  stendere  più  copie, 
delle  quali  il  protocollo  presentava  la  redazione  prima  e  ne 
era,  considerato  sotto  un  certo  aspetto,  la  minuta.  Sul  verso 
delle  carte  aostane  si  leggono  talvolta  alcune  indicazioni, 
come:  «  levata  est  ad  opus...  »,  «  reddatur  »  o  «  datur  »  («  ven- 
«  ditori  »,  «  donatori  »,  «  acquisitori  »,  o  anche  a  persone  di- 
verse dai  contraenti,  anche  a  persone  non  nominate  nel  testo), 
le  quali  si  riferiscono  al   possessore  della  carta,  a   chi   ne 


*  lentiis  gerens  viceni  lacobi  cancellaiii  subscripsit....  Guillehnus  scripsìt. 

*  Willentus  subscripsit  ».  —  1309  apr.-ag.   (orig.    Arch.  Gapit.)  :    *  Guil- 

*  lelmiis  gerens  viceni  lacobi  cancellarii  scripxit,  feria  i,  raens.  aprii.,  et 

*  lohannes  gerens  vicem  ipsius  lacobi  subscripxit  in  Augusta  ci  vitate..., 

*  feria  ima,  mens.  aug..  vacante  sede  imperatorum,  a.  Domini  APCCCIX''  »  : 
sul  verso  *  feria  f,  apr.  *.— 1309  marzo-nov.  (orig.  Arch.  Osp.  Maur., 
Torino:  Aosta,  Terrifori  d'Esfrotibles  e  Sfipiile,  mazzo  I,  n.  56):  «  Da- 
«  nisetus  gerens  vicem  lacobi  cane,  scripxit,  feria  iii»,  mens.  martii,  et 

*  lohannes  ger.  vie.  ipsius  lacobi  subscripxit...,  feria  vi^,  raens.  nov.,  va- 
«  caute  sede  imperatorum,  anno  Domini  M^CGCIX  »  ;  sul  verso  :  «  feria  iiP, 
«  mens.  marcii  ».  —  Inoltre  si  cfr.  gli  esempi  riferiti  a  p.  267,  nota  3,  e 
p.  269,  nota  ± 

(1)  Cfr.  gli  esempi  a  p.  270  nota  1,  e  pp.  345,  346.  Compiere  insfrtf- 
ìnentum  o  charfam  significa  redigere  dall' imbreviatura*  l'istromento  in  • 
forma  pubblica  (=  compiere  imbreviaturam);  es:  *  Pateat  universis  presens 

*  instrumentum  inspecturis,  quod  ego  infrascriptus  notarius  vidi  tenui  et 

*  de  verbo  ad  verbum  legi  in  protocollo  condam  Dionisii  de  Sala  prebendari! 

*  Sancii  Ursi  inbreviaturam  cuiusdam  instrumenti  »,  e  nella  compiei  io  : 

*  Et  ego  Petrus,  qui  dicor  Guido,  clericus  publicus  not.  sacri  palatii.... 

*  predictam  inbreviaturam  in  hanc  publicam  formam  redegi,  cum  dictus 
«  Dionisius  morte  preventus  non  potuisset  instrumentum  cumplere:  et 

*  hanc  cartam  scripsi  fideliter  et  signavi  »  a.  1294,  ottobre  23  (orig.  Arch. 
della  Collegiata  di  Sant'Orso).  Cfr.  Kern,  op.  cit.,  p.  5(),  nota  5. 

(2)  Cfr.  gli  esempi  di  cui  a  p.  270,  nota  1. 

(3)  CfV.  p.  267.  nota  1.  e  p.  3(VS. 


272  LUIGI   SCHIAPARELLI  [24] 

fece  eseguire,  estrane  copia  (1).  Per  avere  una  carta  ao- 
stana si  pagava  una  tassa  (^).  Nei  secoli  XIII  e  XIV,  ma 
nel  XIV  meno  regolarmente,  si  aggiunse  al  nome  dell'autore 
«  iuratus  »,  quindi  ne  derivò  l'espressione  «  iurare  »  o  «  iurare 
«  tacere  cartam  augustanam  »  per  indicare  l'autore  della  mede- 
sima, ossia  per  designare  chi  ricorse  alla  carta  stessa  per  un 
atto  contrattuale  (3).   Sull'azione  di  questa  cancelleria  eser- 


(1)  In  ima  carta  del  5  ottobre  1339  (orig.  Ardi,   di  Sant'Orso),  sul 
verso  :  *  De  hlis  fiant  due  cherte  augustane  unius  tenoris,  quarum  ista 

*  erit  ad  opus  dicti  donatoris  ».  In  parecchie  carte  del  sec.  XIV,  nel- 
1'  Arch.  Capit.,  leggesi  sulla  faccia  verso,  in  calce  :  *  Levata  est  ad  opus 
«  ecclesie  de  mandato  domni  comitis  SaJ)audie  »  o  «  Levata  est  ad  opus 
«ecclesie  prò  helemosina  de  mandato  domni  nostri  comitis  Sabaudie  ». 
N'elle  carte  aostane  della  seconda  metà  del  XIV  secolo,  quasi  di  regola, 
si  legge  sul  verso,  tra  il  giorno  del  mese  e  l'anno:  *  Reddatur  acqui- 
*sitori  »  o  «  Reddatur....  »  col  nome  della  persona  cui  dovrà  consegnarsi 
la  carta.  Lo  stesso  procedimento  si  teneva  per  gli  istromenti.  Nelle  im- 
laeviature  si  leggono  note  come  queste:  «levavi  unum  >,  •«  levavi  duo  » 
e  spesso  con  una  determinazione,  come  :  *  levavi  unum  (o  duo)  pio  acquisi- 

*  tori  »,  oppure  *  levavi  unum  (o  duo)  ad  opus  dicti...  ».  Eil  testo  del  do- 
cumento, sia  nell'imbreviatura,  sia  nel  vero  i  n  s  t  r  u  m  e  n  t  u  m  p  u  b  1  i  e  u  m, 
termina  spesso  con  indicazioni,  come:  «  inde  quoque  duo  et  plura  pu- 

*  blica  instrumenta  ».  *  inde  quoque  unum  et  plura  publica  instrumenta  », 

*  inde   tìant  tot  publica  instrumenta  quot  fuerint  necessaria  »,  *  et  de 

*  predictis  flant  duo  et  plura  publica  instrumenta  ut  melius  dictari  et 

*  emendar!  potuerint  sustancia  observata  »,  *  et  de  predictis  mihi  no- 

*  tarlo  infrascripto  iussum  fuit  fieri  quoque  tradi  unum  et  plura  pu- 

*  blica  instrumenta  ad  opus  dictorum  domnorum  ».  Talora  si  aggiungono 
indicazioni  relative  al  prezzo  della  copia  o  delle  copie  ;  quindi  nelle 
imbreviature  si  legge  in  line  del  testo:  *  de  quibus  idem  acquisitor  dixit 
«  solvere  duo,  videlicet  unum  prò  se  aliud  prò  donatore  »  (o  «  prò  domno...  » 
o  *  prò  dicto....  »)  e  simili,  e  negli  istromenti  troviamo  esempi  come 
questi  :  *  de  quibus  primis  instrumentis  predicti  acquisitores  dixerunt 
«  solvere  unum  prò  dicto  donatore»,  «  michi  not.  infrascripto  precepit  duo 

*  et  plura  publica  instrumenta,  quorum  duo  prima  sunt  expensis  ac- 
«  quisitoris  »,  ■«  duo  et   plura   instrumenta  expensis   dicti  acquisitoris  ». 

(2)  In  calce  (faccia  verso)  della  carta  1340  luglio  :2,  di  vendita  fatta 
da  <  laquemetus  Marro....  indoranura  Petrum  Botona  »,  si  legge  :  «  Debet 

*  de  presenti  cherta  xviii  den.  et  xviii  den.  de  quadam  alia  precedenti 

*  cherta  »  (orig.  Arch.  Capit.).  Questa  tassa  o  emolumento  dovuto  alla 
cancelleria  probabilmente  era  in  rapporto  col  valore  del  contenuto  dei- 
Fatto. 

(3)  Cfr.  p.  seg.,  nota  1. 


f25j  CHARTA   AUCtUSTAXA  273 

citarono  autorità  e  sorveglianza,  nei  primi  tempi,  come  pare, 
il  vescovo,  indi  il  conte  di  Savoia  e  in  sua  ^ece  il  visconte  e 
poi  il  bailivo  di  Aosta  (1). 

Come  si  spiega  questa  istituzione  cancelleresca  in  Aosta  e 
quale  fu  la  sua  origine'?  Il  pensiero  ricorre  subito,  come 
confronto,  ad  altre  simili  istituzioni,  ai  label liones  in  Roma 
ed  a  Ravenna,  ai  curiales  in  Napoli,  agli  scribae  a  Gaeta  ed 
Amalfi.  Se  quella  di  Aosta  avesse  comune  l'origine  con  queste. 


(1)  Ct'r.  gli  esempi  di  cui  a  p.  :27:2,  nota  1.  Sul  verso,  in  calce,  di  una 
calta  del  15  gennaio  1342  (orig.  Arch.  Gapit.):  «  Predictam  chertam  refeci 

*  de  mandato  domni  ballivi  Aug.  *  —  1329  maggio  1  (orig.  Arch.  Vesc): 
«  Nos  Tliomas  de  Puanis  ballivus  Vallis  Aug.  prò  illustri  principe  domno 
«  Eduardo  comite  Sabaudie,  notum  facimus....  quod  veniens  ad  nos  lo- 

*  hannes  de  Valle  Enchalant  dictus  de  Palen  civis  Aug.  nobis  supplicavit 
-«  humiliter,  quod  nos  duo  instrumenta  facta  manu  Dyonisii  de  Sala  pu- 
«  blici  notarli  et  unam  chertram  augustanam  deberemus  videre  et  exa- 
«  minare  per  modum  de  vidimus  ad  perpetuam  rei  memoriam....  Tenoi- 
«  diete  chertre  talis  est....  In  quorum  omnium  premissorum  robur  et 
«  testimonium  presentibus  literis  sigillum  Curie  dicti  domini  nostri  comi- 

*  tis.  quo  utimur  in  Valle  Aug.,  duximus  apponendum  »  ;  cfr.  p.  351. 
I  Conti  del  bailivo  della  Valle  d'  Aosta,  nelT  Archivio  Camerale  di 
Torino,  danno  numerose  testimonianze  in  riguardo.  Dagli  Estratti 
pubblicati  dal  prof.  Gabotto,  op.  cit.,  ricavo  questi  notevoli  esempi  : 
p.  328,  21.  Reati  hi  Val  d'Aosta  negli  anni  1304-1306  :  *  De  viii  libr. 
«  receptis  prò  facto  laqueraeti  de  C[r]est,  qui  dicebatur  turasse  quamdam 

*  falsam  cartam,  et  periurasse,  et  eciam  quia  famuli  Peroneti  Gontardi 
«  dicuntur  impedisse  quominus  castellanus  Castri  Argenti  dictum  laque- 
«  metum  caperei  »  ;  pp.  357-58,  80.  Reati  in  Val  d' Aosta  fra  28  nor. 
1328  e  1  sett.  1.330.  (Recepii)  :  «  A  Cecilia  Porte  Sancii  Ursi,  que  in  se 
«  iurare  fecerat  chartam  augustanam  indebite,  xl  sol.  »,  «  A  laquemeto 
«  Gontardi,  prò  Theobaldo  de   Genevrines,  quia  inculpabatur  fecisse  fieri 

*  falsam  chartam.  xxv  sol.  »;  p;  361,  88.  Reati  in  Val  d'Aosta  fra  1  seti. 
1330  e  ò  maggio  1332.  (Recepii):  «  A  Bosoneto  de  la  Ciriaci  et  eius  con- 
«  sorti  bus,  quia  se  iuraverant  de  quodam  instromento  falso  contra  Alariam. 
«  VI  libr,  »  :  p.  372,  109.  Reati  in  Val  d'Aosta  fra  1  aprile  1337  e  24  giu- 
gno 1338.  (Recepii):  «  A  Villelmo  de  Quarro  de  Stipulis  notarlo,  morante 

*  apud  Augustam,  quia  inculpabatur  falsum  scripsisse  in  prothocollo  pa- 
«  piri  sui,  XL  libr.  vien.  *  ;  pp.  380-81,  127.  Reati  in  Val  d'Aosta  fra 
7  luglio  1340  e  2.0  agosto  1341.  (Recepii):    «  A  dicto  Marenchon  de  Ar- 

*  puUes,  quia  iuravit  quamdam  chartam  augustanam  in  Martinum  de 
«  Triceno,  non  reservatis  sex   sol.   de  helemosina  ecclesie   S.    Stephani, 

*  LX  sol.  vien.  *. 


274  LUIGI    SCHIAPARELLI  f26J 

dovremmo  farla  derivare  direttamente  dalla  Curia  romana 
cittadina;  il  suo  comparire  proverebbe  il  perdurare  anche  in 
Aosta  di  antichi  usi  giuridici  romani.  Aosta  apparteneva  al 
territorio  franco-burgundio,  ed  è  noto  che  in  Francia  la  Curia 
diu'ò  più  a  lungo  che  non  nell'Italia  longobarda;  l'uso  della 
insinuazione  dei  documenti  nei  Gesta  ninnici  pali  a,  nei  pro- 
tocolli della  Curia,  scompare  prima  in  Italia,  dove  le  ultime 
tracce  sono  del  VII  secolo,  mentre  in  Francia  si  conserva  vivo 
ancora  tutto  il  secolo,  ed  alcuni  esempi  si  spingono  fino  alla 
metà  circa  dell' Vili  (1).  La  stessa  posizione  geografica  di 
Aosta  avrebbe  contribuito  al  conservarsi  di  certi  usi  e  carat- 
teri antichi.  Se  non  che  tale  ipotesi  non  spiega  alcuni  fatti. 
La  carta  augustana  quale  ci  appare  nell' XI  secolo  none 
che  all'inizio  del  suo  sviluppo;  l'istituzione  cancelleresca 
che  vorremmo  far  derivare  dalla  Curia  è  al  principio  del 
suo  costituirsi,  mentre  la  Curia  romana  era  certo  scomparsa 
da  secoli  dal  territòrio  franco,  e  nulla  ci  attesta  che  in  Aosta 
sia  perdurata  tanto  tempo  dopo;  di  essa  si  sarà  conservata 
solo  una  certa  tradizione.  Nessun  documento  ci  permette  di 
vedere  una  continuità  dallo  scrittore  ufficiale  che  insinuava 
gli  atti  nei  Gesta  municipalia  allo  scrittore,  al  cancel- 
larius  della  nostra  cancelleria.  E  perchè  il  titolo  di  e  a  ne  ci- 
tar ius?  Non  credo  che  si  possa  trattare  di  una  imitazione 
delle  cancellerie  reali  o  imperiali  o  di  quella  pontifìcia. 

0  non  avrà  piuttosto  questo  scrittore  relazione  col  notaio 
dei  giudizi,  che  si  trova  nel  regno  franco  fin  dalla  metà  del 
VII  secolo,  che  i  Carolingi  estesero  nei  paesi  della  loro  do- 
minazione, e  che  andò  presto  scomparendo  collo  sfasciarsi 
del  loro  impero,  lasciando  in  generale  poche  tracce,  salvo  in 


(1)  Cfr.  H.  Bruxxer,  Zar  lìechtsgescìiichte  dor  roniisc/icn  nnd 
(jcnnanischen  U rkmide  {Berlm,  1880),  pp.  139  segg.  ;  Bruno  Hirschfeld, 
Die  Gesta  ìitmilclpalia  in  romischer  imd  frdhgerniauischer  Zeit  (Mar- 
hurg,  1904),  pp.  66 segg.  e  pp.  79  segg.;  H.  Steinacker,  Die  Lelire  von  den 
nicJit  konigliclien  {Privai-)  JJ vkiinden  vovnelimlich  des  deiifscJten  Mitfel- 
(lìfers,  in  A.  Meister,  Griindriss  der  GeschicJdswissen.scltaff  sur 
Einfuhrung  in  das  SimUiim  der  detvtsclien  Geschichte  des  Miffeìalters 
und  der  Xeuzeit,  I  (Leipzig,  1906),  !M3,  245.  Lo  Steinacker  estende  1"  uso 
dell'  insinuazione,  in  Italia  fino  al  secolo  Vili,  e  in  Francia  fino  al  secolo  IX; 
ma  è  da  tenersi  conto  delle  osservazioni  fatte  dallo  Hirschfeld.  op.  cit. 


[27J  CHARTA   AUGUSTANA  275 

Italia"?  Nei  documenti  del  regno  franco  occidentale  e  di  Bor- 
gogna si  hanno  gli  ultimi  esempi  nell'XI  secolo  (1);  nel  ter- 
ritorio tedesco  scompaiono  prima,  nel  X  secolo  ;  nella  Rezia 
Romana  perdurano  fino  al  principio  del  XII;  ma  solo  in 
Italia  lo  scrittore  dei  giudizi,  sotto  l' impulso  delle  leggi 
Carolingie,  ebbe  vita  e  valore  speciale,  tanto  da  divenire 
una  causa  diretta  dello  SAolgimento  del  notariato  italiano  (i2). 
La  derivazione  che  si  vuol  vedere- del  notarius  publicus 
dall'exceptor  publicus  e  dal  tabularius  non  è  stata 
sempre  e  dovunque  diretta  (3)  ;  uno  dei  passaggi  intermedi 
ci  è  dato  talora  da  Cfuesto  scrittore  di  giudizio,  che  è  un  vero 
scrittore  ufficiale  e,  sotto  un  certo  aspetto,  pubblico  (non 
ancora  però  nel  senso, del  notarius  publicus  italiano,  poiché 
il  diritto  franco  non  riconosceva  maggiore  fides  public  a  al 
suo  atto  che  a  quello  di  uno  scrittore  privato).  Sappiamo  che 
tali  scrittori  erano  stabili  e  che  formavano  una  vera  orga- 
nizzazione. Prendevano  il  nome  di  notarli  o  di  cancellarli  ; 
il  primo  è  usato  di  preferenza  nel  territorio  salico,  il  secondo 
nel  ribuarico  e  alamannico.  Dovevano  essere  in  maggioranza 
ecclesiastici  e  la  loro  giurisdizione  era  per  lo  più  limitata 
al  distretto  del  comitato,  sebbene  in  alcuni  casi  scrivessero 
documenti  anche  fuori  di  questo.  Nel  lavoro  di  scrittura  po- 
tevano farsi  aiutare  da  altri  (4).  E  ad  essi  si  soleva  ricorrere 
per  stendere  un  atto  contrattuale  qualsiasi,  ancorché  non 
aA'esse  alcuna  relazione  con  un  giudizio  o  placito. 


(1)  Forse  si  ha  ancora  un  esempio  in  una  carta  di  Gluny,  1109-1118: 
*  Ebrardus  presbiter  rogatus  ad  vicem  cancellarli  scripsit  »  {lieo nei!  des 
Cìlurtes  (le  l'ahhaye  de  Chtny,  nei  Docnincììts  hìédits  sur  l'hlstoìre  de 
France,  V,  n.  3881). 

(2)  Cfr.  R.  SoHM,  Die  f'rdnhisclie  Reiclis-ìind  (ierichtsverfassìmg 
(AVeimar,  1871),  pp.  525  e  segg.  ;  L.  Beauchet,  Hìsto'ne  de  rorgaiiisatìoif 
jitdkialre  en  France  (Paris,  1886).  pp.  49:2  e  segg.  ;  H.  Bresslau,  Frlntn- 
flenbeweis  und  Urkiindenschreiber  hit  diferen  detdsclten  Rechi,  nelle 
For.se/ningen  sur  dentsclien  GeschicJite,  XXVI  (Gòttingen,  1886),  64; 
l'rhundenlehre,  I,  444  e  segg.;  H.  Bruìì^er,  Detitsche  lìecJdsgeschìchte, 
II  (Leipzig,  1892),  185  e  segg.,  Griindsnge  der  deutscJien  lìecJdsgescJt/cJde 
(Leipzig,    19()1),  p.  58:  Steixacker,  op.  cit.,  p.  245. 

(3)  Cfr.  Gaudenzi,  op.  cit.,  pp.  433,  434;  Steinacker,  op.cit.,pp.  241, 245. 

(4)  Gir.  Bresslau,  Frkiiiidenhen'ela  ec,  pp.  ^30,  49-51;  Frìnoìdeu- 
lehre,  I,  444,  445.  Bruxxer,  Deutsche  lìechfsgeschichfe.  II,  186. 


27()  LUIGI   SCHIAPARELLI  [28J 

Detto  scrittore,  che  nei  documenti  di  Borgogna  figiu'a 
ancora  nell'XI  secolo,  col  titolo  prevalente  di  cancella- 
rius,  dovette  penetrare  anche  nella  Valle  di  Aosta.  È 
probabile  che  qui  siasi  fermato  a  lungo,  e  che,  a  contatto 
cogli  usi  giuridici  locali,  e  favorito  in  particolar  modo  dalla 
tradizione  ancor  viva  della  Curia  e  de' suoi  Gesta  (1),  abbia 
determinato  lo  svolgimento  della  istituzione  cancelleresca  di 
di  cui  ci  occupiamo.  L'anello  più  vicino  al  cancellarius 
di  Aosta  non  sarebbe  lo  scrittore  pubblico  della  città,  il 
quale  teneva  il  protocollo  della  Curia  ed  insinuava  gli 
atti  nei  Gesta,  ma  il  cancellarius,  scrittore  pubblico  di 
giudizi  nel  comitato;  dall'istituto  di  questi  scrittori  di  giu- 
dizi si  passerebbe  alla  cancelleria  di  Aosta.  I  registri  o  pro- 
tocolli di  questi  cancellieri,  mentre  fanno  pensare,  per  la  loro 
origine,  agli  acta  della  Curia,  ai  Gesta  municipalia,  ricor- 
dano nel  loro  svolgimento  le  imbreviature  notarili,  alle  quali 


(l)  Una  testiinonianza  di  questa  tradizione,  come  dell"  applicazione 
del  diritto  Giustinianeo  in  Aosta,  panni  si  possa  ricavare  dal  conser- 
varsi ancora  in  alcuni  stromenti  del  XIV  sec,  priva  naturalmente  di  qual- 
siasi valore  giuridico,  la  formula  di  rinunzia  ricordante  la  nullità  della 
donazione,   eccedente  i   500   solidi   (aurei),  non  insinuata  nei  Gesta: 

*  Renunciando  per  pactum  expressum  specialiter  in  hoc  factum  actioni 
■*  et  exceptioni   doli,   metus.   et    in   factum  conditioni  sine   causa  et   ob 

*  causam  et  ex  iniusta  causa,  beneticio  restitutionis  in  Matheum  fratrem 

*  minoris  etatis.  l^eneficio  et  auxilio  iurium  quibus  cavetur  donationem 

*  perfectam  posse  ex  causa  vel  causis  ingratitudinis  revocari.  et  si  excedat 

*  quingentos  aureos  nisi  fuerit  insinuata  minime  valituram,  omnique  fraudi 

*  simulationideceptioni  et  geneialiter  omni  auxilio  quocunque  modo  excogi- 

*  tando  per  quod  omnino  possit  infringi  vel  anniiUari  aliquid  predictorum  » 
a.  13(H  febbraio  8  in  Due.  Dociuìients  relatìfs  à  l'épiscopat  chi  h.  Émerìc  T, 
n.  1.  —  «  Renunciando....  beneficio  iuris  dicentis  donationem    que    excedit 

*  quingentos  aureos  absque  insinuatione  non  tenere....  »  a.  1302,  sett. 
29,  a.  1308,  febbraio  8  (*  absque  insinuatione  minime  valituram  »),  a.  1312, 
marzo 7,  in  Due,  ibid.,  nn.  9,  40,  69.  —  «Renunciando  ex  certa  scientia  iuri 

*  dicenti   donationem  non  valere  que  excedit  quingentos  aureos  nisi  per 

*  principalem  insynuationem....  »  a.  1305  marzo  26,  Due,  ibid.,  n.  29.  — 
«Renunciando...  iuri  dicenti  donacionem  que  excedit  quingentos  aureos 
«  absque  insinuatione  non  valere  »  a.  1305,  aprile  29,  Due,  ibid.,  n.  32. 
U  HiRseHFELD  (op.  cit.,  p.  89,  nota  1)  ricorda  due  simili  esempi  del  XIU  sec. 
nel  Cartulalre  de  V abbaj/e  de  St.  Victor  d-c  Marseille  (in  Doctiìuoifs 
ùìédifs),  II.  nn.  905,  998. 


[29J  CHARTA   AUGUSTAXA  277 

vengono  a  collegarsi  direttamente.  Questa  cancelleria  si  fìssa 
solidamente  tra  1'  XI  e  il  XII  secolo,  proprio  nel  periodo 
di  viva  e  generale  rinascenza  del  diritto  romano.  L' im- 
portanza sua  sta  essenzialmente  nel  carattere  pubblico,  per 
Aosta  e  territorio,  che  ebbe  il  documento  da  essa  emanato  (1)  ; 
lo  scrittore  è  cancellarius  Auguste,  non  del  vescovo 
o  di  una  chiesa  o  di  un  monastero.  Fu  dipendente  dal- 
l' autorità  politica  locale,  prima,  come  pare,  dal  vescovo 
e  poi  dai  conti  di  Savoia.  Nella  sua  organizzazione,  nel 
modo  di  funzionare,  e  più  ancora  nella  carta  emanata, 
come  tosto  vedremo,  mostra  caratteri  propri,  che  la  distin- 
guono da  altre  cancellerie  aventi  al  pari  di  essa  facoltà  di 
ricevere  atti  privati  {^). 


III. 
I  caratteri  della  carta  aostana. 

Le  due  redazioni  sul  verso  e  sul  recto. 

La  carta  aostana  è  scritta  sulle  due  facce  della  perga- 
mena, sul  verso,  o  prima  facies,  e  sul  recto.  Non  si  tratta 
di  un  testo  unico  che  continui  sul  verso,  ma  di  due  reda- 
zioni di  uno  stesso  atto,  la  prima  scritta  sulla  faccia  verso, 
la  seconda  sulla  faccia  recto.  La  redazione  sul  verso  corri- 
sponde alla  notizia  dorsale  che  è  comune  a  moltissime  carte 
di  vari  territori  (3).  Vediamo  quali  sieno  i  principali  caratteri 
distintivi  delle  due  redazioni  nei  singoli  periodi  in  cui  ab- 
biamo diviso  la  nostra  carta. 

Verso.  Tutte  le  carte  aostane  del  primo  periodo,  con- 
servateci in  originale  e  da  me  esaminate  (4),   hanno  notizia 


(1)  Sul  valore  giuridico  della  carta  aostana  cfr.  pp.  306  segg. 

(:2)  Riuscirebbe  molto  istruttivo  uno  studio  su  un'altra  cancelleria 
dello  stesso  territorio  giuridico,  la  quale  presenta  caratteri  simili  alla 
nostra,  cioè  la  cancelleria  di  Sion  nel  Vallese.  tenuta  dal  Capitolo. 

(3)  Cfr.  p.  317,  nota  2. 

(4)  Cfr.  p.  3.34. 


L78  LUIGI    SCHIAPARELLI  [SO] 

dorsale  (1).  Come  tipo  o  esempio  possiamo  prendere  quella 
della  carta  di  «  Eyriciis  presbiter  »  dell'a.  1035  (2).  Non  si 
discosta  dalla  notizia  dorsale  usata  in  carte  di  altro  terri- 
torio. È  redatta  in  forma  oggettiva  (3)  ;  principia  col  ti- 
tolo dell'atto,  cui  tien  dietro  il  verbo  «  facit  »  (4)  ;  il  dispo- 
sitivo viene  riferito  in  forma  brevissima.  L'escatocollo 
manca  nella  notitia  della  carta  del  1024.  Tutti  gli  esempi 
poi  sono  privi  di  dati  cronologici.  La  scrittura  è  più  trascu- 
rata è  più  ricca  di  abbreviature  di  quella  della  redazione 
sulla  taccia  recto,  sebbene  sia  dovuta  alla  stessa  mano. 

Passando  al  secondo  periodo,  ricordiamo  anzitutto  la 
carta  del  cancelliere  «  Thom[as]  »  con  la  sola  redazione  sul 
verso,  cioè  senza  scrittura  sul  recto,  che  è  lasciato  in 
bianco  (5).  In  questa  carta  la  notitia  dorsale  principia  come 
quella  del  primo  periodo,  il  testo  comincia  però  ad  essere 
espresso  con  maggiori  particolari,  in  forma  meno  abbre- 
viata ;  e'  è  più  abbondanza  di  parole,  vi  sono  maggiori  de- 
terminazioni. E  maggiore  è  la  cura  nei  caratteri  estrinseci; 
la  scrittura  è  più  regolare;  meno  forti  sono  le  abbrevia- 
ture; con  «  signum  »  e  «  testes  »  si  va  a  capo  di  linea.  In 
complesso,  non  ci  lascia,  come  la  notitia  del  primo  periodo, 
r  impressione  di  un  abbozzo  o  di  una  minuta,  ma  di  un  vero 
documento  destinato  a  conservarsi  e  a  leggersi  da  tutti.  So- 
prattutto la  distinguono  da  quella  del  primo  periodo  non  solo, 
ma  in  genere  dalla  notitia  delle  altre  carte,  la  datazione, 
che  è  riferita  in  una  forma  ampia,  e  la  sottoscrizione  can- 
celleresca. La  carta  di  «  Gosfredus  »  (1075  o  1090)  e  quella  di 
«Cono»  dell'aprile  lli25  hanno  sul  verso  una  redazione 
dello  stesso  tenore,  la  quale  manca  però  dei  dati  cronologici  e 


(1)  È  anche  riprodotta  nella  copia  della  carta  17  febbraio  1032  edita 
in  Ilist.  pafr.  Man.,  Charf..  I.  497,  n.  CCLXXXVI. 

(3)  Cfr.  Appendice,  I,  n.  1,  e  L.  Schiaparelli,  Il  conte  L'inherto 
BiancauKino  fu  contestabile  del  regno  di  Borgogna  y.  neìV Archìvio  Sto- 
rico Italiano,  Serie  V,  XXXVI  (Firenze,  1905),  337,  nota  6. 

(3)  Soltanto  quella  della  carta  17  febbraio  10^^!2  usa  le  due  foinie 
ojrfiettiva  e  soggettiva. 

(4)  Quindi  si  ha  :  «  donacioneni  *  o  *  venditioneni  *  o  *  coni  imi  ta- 
*  cionem  facit  ». 

(5)  Cfr.  Appendice.   1.  n.  2. 


\3Ì\  CHARTA   AUGUSTANA  279 

(Iella  sottoscrizione  cancelleresca  (1).  Nelle  carte  del  ricordato 
scrittore  «  Cono  »  si  notano  incertezze,  oscillazioni  e  varietà 
di  forme,  indici  di  nn  periodo  di  transizione  nel  quale  si 
[)iepara  la  selezione  del  tipo  che  poi  verrà  adottato  (2).  In 
generale  la  notitia  dorsale  segue  lo  schema  sopra  ricordato, 
con  una  datazione  in  forma  abbreviata  e  coli'  indicazione  del 
luogo,  ma  senza  sottoscrizione  cancelleresca.  Va  notato  che 
le  sottoscrizioni  si  ripetono  sul  recto,  il  cui  escatocollo 
differisce  perciò  da  quello  della  redazione  sul  verso  sol- 
tanto per  avere  una  datazione  in  forma  piìi  estesa  e  più 
solenne  (3)  e  per  la  sottoscrizione  dell'  ufficiale  della  cancel- 
lei'ia.  Caratteristiche  sono  due  carte,  del  giugno  1102  e  del 
gennaio  1127  - 1129  (4),  con  una  sola  redazione,  la  quale 
però  presenta  caratteri  comuni  alle  due  redazioni  sul  verso 
e  sul  recto.  Principiano  come  la  notitia  sul  verso:  «  ven- 
«  ditionem  facit»,  poi  il  testo  prende  lo  svolgimento  della 
parte  sul  recto  e  contiene  persino  le  tbrmule  di  pertinenza 
e  di  sanzione.  L' escatocollo  ha  tutte  le  sottoscrizioni,  e 
l'actum  colla  data  in  forma  solenne  e  colla  subscriptio 
deir  ufficiale  della  cancelleria. 

E  si  giunge  cosi  al  terzo  periodo,  cioè  alle  carte  del  can- 
celliere Stefano,  le  quali  ci  presentano  un  altro  passo  nello 
svolgimento  della  notitia  dorsale.  Questa  è  nel  complesso 
conforme  a  quella  del  periodo  precedente  (5),  ma  ne  differisce 
in  quanto  dà  stabilità  alla  forma  di  datazione,  che  viene 
abbreviata  e  posta  in  calce,  staccata  cioè  dalle  altre  parti 
dell' escatocollo.  Ora  scompare  dal  verso  l'indicazione 
del  luogo.  Resta  fissato  il  formulario  della  redazione  sul 
verso  in  questo  modo:  principia  col  titolo  dell'atto,  seguito  da 
«  facit  »;  ad  es.,  «  donationem  («  venditionem  »  ec.)  facit  N.  » 
(«  faciunt  »,  più  di  rado  «  fecit  »  o  «  fecerunt  »);  al  dispositivo 


(1)  Cfr.  anche  Appendice,  I,  nn.  4,  5,  dove  però  la  notitia  è  scritta 
sulla  faccia  recto  (cfr.  p.  3()9,  nota  3). 

(:2)  Questo  affermo  in  base  soltanto  agli  originali  che  ho  potuto  esa- 
minare; cfr.  p.  340. 

(3)  La  data  sul  verso  manca  nella  carta  del  febbraio  1131. 

(4)  Cfr.  p.  U\.  note  6,  10. 

(.5)  Le  prime  carte  del  1149  riproducono  ancoia  caratteri  precedenti 
(cfr.  p.  -299). 


280  LUIGI   SCHIAPARELLI  [32J 

seguono  i  nomi  dei  «  testes  »,  in  numero  di  cinque,  e  dei 
«  fìdeiussores  »,  in  numero  di  due  (1)  ;  talora  dopo  di  questi 
o  prima  di  questi  o  tra  gli  uni  e  gli  altri  si  trovano  i  «  lau- 
«  datores  »,  in  calce  poi  della  pergamena  sta  la  data  in  forma 
molto  abbreviata  {^).  Mentre  le  sottoscrizioni  dei  testi  e  dei 
fideiussori  si  trovano  unicamente  sul  verso,  quelle  dei  «  lau- 
«  datores  »  figurano,  ma  non  simultaneamente  (3),  ora  sul 
verso  ora  sul  recto  soltanto.  Le  clausole  al  testo,  come 
le  notizie  varie  che  la  cancelleria  apponeva  alla  carta,  pare 
venissero  scritte  solo  sulla  faccia  verso  (4).  Una  leggiera 
modificazione  subisce  detto  formulario  a  partire  dai  primi 
anni  del  secolo  XIII:  il  nome  dell'autore  o  degli  autori 
trova  posto  non  dopo  il  verbo,  ma  avanti  il  titolo  dell'atto, 
quindi  si  ha  :  «  N.  (iuratus)  donationem  («  vendicionem  »  ec.) 
«  facit  ».  Già  sulla  fine  del  XII  secolo  si  nota  che  la  redazione 
sul  verso  va  prendendo  un  maggiore  sviluppo  nella  parte 
dispositiva  del  contenuto  dell'atto,  tantoché  i  confini  si 
trovano  talora  espressi  soltanto  sul  verso,  e  nella  reda- 
zione sul   recto   si   rimanda  per  quelli  a  quanto  sta  scritto 


(1)  Questo  numero  di  cinque  testes  e  due  fìdeiussores  si  ha  già 
in  carte  del  primo  periodo  (nella  permuta  del  1045,  nelle  donazioni  103-2 
febbraio  17,  1035  e  1040)  ;  ma  si  fissa  soltanto  nel  terzo  periodo.  Nelle 
carte  del  secondo  periodo  si  notano  ancora  alcune  incertezze:  così  nella 
carta  di  *  Thomas  *  figurano  sette  testi,  in  quella  dì  *  Gosfredus  »  tre 
fideiussori.  Non  è  esatto  quanto  scrìve  il  Pi  vano.  op.  cit.,  p.  66,  che 
*  i  testimoni  sono  vari  di  numero,  non  altrimenti  che  i  fideiussori  ».  Sì 
notano  poche  eccezioni  nel  numero  dei  testi.  Così  in  Pivano,  op.  cit., 
p.  124,  n.  9,  si  hanno  sei  testi  (l'orig.  dirà  proprio  tre  volte  «  alter  Petrus  »?), 
quattro  a  p.  132,  n.  34,  p.  154,  n.  LXVI,  ec,  ma  è  anche  possibile,  dato 
il  ripetersi  frequente  degli  stessi  nomi,  qualche  errore  materiale  ;  ad  es. 
in  Battaglino,  op.  cit.,  p.  244,  n.  Ili,  appaiono  quattro  testi,  ma  nell'orig. 
se  ne  leggono  cinque.  I  fideiussori,  in  tutte  le  carte  del  terzo  periodo  da 
me  esaminate,  sono  sempre  due;  ma  pare,  da  un  istromento  del  1278 
marzo  18  (cfr.  p.  345),  che  in  alcuni  casi  potessero  essere  in  numero  mag- 
giore, quanti  sì  credessero  «  opportuni  ». 

(2)  Cfr.  p.  ;V)4. 

(3)  Un'eccezione  sola  ho  notato,  nella  carta  edita  dal  Pi  vano,  op.  cit.. 
p.  139,  n.  L  (cfr.  Kern,  op.  cit.,  p.  9),  nella  quale  sono  distribuiti  paite 
sul  verso  e  parte  sul  recto. 

(4)  Cfr.  p.  271  ;  Pi  vano,  op.  cit.,  p.  166,  n.  LXXXVII.  p.  206,  n.  CXXXIX  ; 
Battaglino,  op.  cit..  p.  274.  n.  XXXV:  Kern,  op.  cit.,  p.  10. 


[8.3J  ORARIA   AUGUSTANA  281 

nell'altra  faccia  della  pergamena  (1).  Questo  sviluppo  aumenta 
nel  XIII  e  nel  XIV  secolo.  La  proporzione  quindi  tra  la 
lunghezza  dello  scritto  nelle  due  parti  o  facce  si  capovòlge  : 
alla  fine  del  XIII  secolo  e  poi  nel  XIV  appare  più  estesa  la 
redazione  sul  verso  di  quella  sul  recto  (i2).  E  vi  corrisponde 
anche  uno  spostamento  di  carattere  estrinseco,  cioè  la  reda- 
zione che  si  scriveva  sulla  faccia  meno  levigata  della  perga- 
mena, sul  dorso,  passa  nel  recto,  e  viceversa  quella  che 
stava  sul  recto  prende  posto  nel  verso  (3).  La  redazione 
dorsale  si  andò  svolgendo  a  danno  della  redazione  sul  diritto 
della  pergamena,  adottò  parti  od  elementi  che  prima  si  tro- 
vavano in  questa  e  fini  per  occuparne  anche  il  posto. 

Recto.  Dirò  in  seguito  delle  tbrmule  dell'atto  che  si  trova 
sulla  faccia  recto  della  pergamena  ;  ora  mi  limito  a  rilevare 
alcuni  principali  caratteri  che  differenziano  questa  reda- 
zione dall'altra  sul  verso.  Precisamente  nel  secondo  periodo 
vediamo  la  notitia  dorsale  svilupparsi  prendendo  formule 
della  redazione  sul  recto.  In  questo  periodo,  come  si  notò. 


(1)  Ad  esempio,  la  carta  del  gennaio  1178,  Hist.  patr.  Mori.,  CJiart., 
11.  1062,  n.  MDLXV,  ha  i  confini  solo  sul  verso.  In  una  carta  del  can- 
celliere *  Petrus  »  del  1195  gennaio  feria  iv  :    *  Notum  sit  omnibus,  quod 

*  Ricalmus  canonicus  donat  in  perpetuum  per  manum  Petri  advocati  sui 

*  Petro  Alio  suo  totum  illud  quod  ex  alia  parte  carte  determinatum  est, 
«  hoc  salvo  quod  retinuit  in  carta  determinato  »    (orig.  Arch.  Vescovile). 

(i)  Cito,  come  esempio,  una  carta  del  1354  aprile  4,  che  ha  il  recto 
di  pochi  righi,  mentre  il  verso  occupa  tre  pergamene  unite.  «  Notum  sit 

*  omnibus,  quod  domnus  Yballus  de  Chalant  miles  domnus  de  Vyssellis 

*  iuratus  donavit  in  perpetuum  due  francesie  de  prato  eius  uxori  et  cui 

*  dare  voluerit  mille  trecentas  libras  capitalis   monete   super  res  ex  alia 

*  parte  contentas  in  tribus  pellibus   simul   consutis,  et  Inter  quamlibet 

*  iuncturam  ipsarum  pellium  scriptum  est  0.""^^  je  quibus  rebus  ipsa 
«  habeat  a  modo  potestatem  et  dominium  faciendi  quitquid  voluerit  do- 

*  nare  vendere  commutare  et  retinere.  Itaque  hec   donatio  firma  et   sta- 

*  bilis  »  ec.  (orig.,  Arch.  di  Stato  in  Torino,  Dticttto  d'Aosta,  mazzo  2, 
n.  9).  J^a  carta  è  sottoscritta  nel  recto  da  *  Guillelmus  gerens  vices  domni 

*  AintHlei  comitis  Sabaudie  cancellarli....  *.  Nell'unione  delle  tre  pergamene 
sta  scritto  il  nome  *  G.""*'  »  (=  Guillelmus)  in  tre  punti,  cioè  alle  due 
estremità  e  nel  mezzo.  Si  cfr.  le  osservazioni,  sebbene  troppo  generali, 
che  sul  contenuto  delle  due  redazioni  fa  il  Kern,  op.  cit.,  pp.  6  e  9. 

(3)  Già  prima  si  hanno  rari  esempi  in  cui  la  notitia  è  scritta  sul 
recto,  ma  solo  ([uando  manca  la  seconda  redazione;  cfr.  p.  :309,  nota  3. 


282  1X1(41    SCHIAPARELLI  |34J 

le  sottoscrizioni  (non  quella  dell'alienante  che  cessa  dall'uso 
colle  carte  di  «Thomas  »  e  di  «  Gosfredus  »)  si  trqvano  d'ordi- 
nario con  eguale  formula  sul  recto  e  sul  verso. 

E  si  viene  al  terzo  periodo,  quando  le  sottoscrizioni 
dei  testi  e  dei  fideiussori  trovano  posto  sempre  e  unicamente 
sul  verso.  Ora,  cioè  nell'ultimo  svolgimento  della  carta, 
l'escatocollo  della  redazione  sul  recto  è  ridotto  alla  sot- 
toscrizione cancelleresca  e  alla  datazione  in  forma  solenne. 
Soltanto  le  sottoscrizioni  dei  laudai ores  trovano  qualche 
volta  posto  sul  recto,  prima  o  dopo  o  tra  le  due  formule 
di  subscriptio  e  di  datatio. 

Come  la  redazione  sul  verso  prese  da  quella  sul  recto 
le  sottoscrizioni,  così  quest'  ultima  ricavò  dalla  prima  la 
forma  oggettiva.  E  colla  forma  oggettiva  si  modifica  la 
disposi t io  nelle  due  redazioni.  Mentre  nel  primo  periodo 
era  completa  solamente  sul  recto  e  di  contenuto  uguale  sul 
verso  e  sul  recto  nel  secondo,  nel  terzo  invece,  essendosi 
estesa  l'uguaglianza  anche  alla  forma  comune  oggettiA^a, 
scompariva  ogni  carattere  distintivo,  vale  a  dire  la  disposi!  io 
sul  recto  ripeteva  quella  sul  verso;  l'una  era  copia  del- 
l' altra.  Cosi  si  rinunziò  a  poco  a  poco  a  trascrivere  due 
volte  il  dispositivo  nella  sua  forma  intiera  ;  questa  divenne 
prerogativa  della  notitia  dorsale,  e  la  redazione  sul  recto 
si  limitò  a  riprodurre  del  dispositivo  la  parte  necessaria  in 
torma  breve,  conservando  tuttavia  colle  formule  il  suo  ca- 
rattere solenne. 

La  pergamena  adoperata  per  la  carta  augu stana  e  in 
generale  sottile  e  molto  floscia  (1).  Non  ricordo  di  averne  tro- 
vata di  simile  in  altre  parti  d'Italia.  Abbiamo  evidentemente 
una  pergamena  di  fattura  locale  (2).  Non  venne  però  usata 
esclusivamente  dalla  cancelleria  ;  anche  altri  documenti  di 
Aosta  e  della  Valle,  non  esclusi  gli  istromenti,  sono  scritti  su 
pergamena  simile.   Il  verso  o  dorso,  che  doveva  contenere 


(1)  Mi  comunica  il  prof.  Frutaz,  che  per  la  carta  aostana  si  adope- 
rava spesso  la  pergamena  fatta  con  pelle  di  capretto. 

(2)  In  una  causa  matrimoniale  del  1334  figura  tra  i  testi:  «Johannes 
*  pargaminator  de  Salanchia  commorans  Aug.  *  (Arch.  Vesc). 


[o5J  CHARTA    AUGUSTANA  288 

una  redtizione  dell'atto,  veniva  pure  preparato  per  ricevere  la 
scrittura,  e  questo  lavoro  si  fece  via  via  più  accurato  se- 
condo lo  sviluppo  che  andò  prendendo  la  notiti  a  dorsale. 
La  carta  aostana  si  distingue  anche  per  il  taglio  regolare  e 
costante  della  sua  pergamena.  Nelle  carte  del  primo  ])eriodo 
la  scrittura  è  nel  senso  della  maggiore  dimensione,  sicché 
si  presentano  più  larghe  che  alte,  di  forma  rettangolare  ;  ma 
nel  secondo  e  nel  terzo  periodo,  da  quando  principiò  lo 
sviluppo  della  redazione  sul  verso,  si  scrisse  nel  lato  più 
stretto  della  pergamena  e  la  carta  appare  molto  alta  e 
stretta.  In  generale,  poiché  il  testo  è  per  lo  più  breve,  la 
pergamena  è  piccola,  rettangolare;  ma  quando  il  testo  è 
ampio,  allora  prende  la  forma  di  una  vera  striscia,  di  un 
piccolo  rotolo. 

La  scrittura  è  la  minuscola  delle  carte  della  Francia 
orientale,  del  territorio  di  Borgogna.  Dalle  prime  carte  aostane 
alle  ultime,  la  scrittura  passa  dal  bel  minuscolo  rotondeg- 
giante grosso  e  regolare  al  minuscolo  angoloso  e  duro  della 
scrittura  così  detta  gotica  nei  documenti.  La  bellezza  di 
scrittura  delle  prime  carte  fa  certo  supporre  un  periodo  pj»e- 
cedente  di  scrittura  già  molto  perfezionata.  E  ritengo  che 
della  scuola  calligrafica  fiorita  in  Aosta  si  conservino  ancora 
alcune  tracce.  Pur  troppo  dell'antica  biblioteca  del  Capitolo 
rimangono  pochi  frammenti,  ma  di  questi  alcuni  debbono 
essere  stati  scritti  in  Aosta  e  nella  scrittura  mi  pare  di  scor- 
gere certe  somiglianze  di  forme  con  quella  delle  più  antiche 
carte  di  Aosta  a  noi  pervenute.  La  raccolta  di  canoni  del 
sec.  IX  (1),  di  cui  rinvenni  frammenti  presso  l'Arch.  Gapit., 


(1)  La  Chiesa  di  Aosta  dovette  avere  la  sua  raccolta  di  canoni,  e 
credo  che  appartengano  a  questa  raccolta  alcuni  fogli  che  ho  ritrovato, 
dispersi  fra  le  altre  carte,  nell'Archivio  Capitolare.  Dev'essere  questo 
il  manoscritto  così  descritto  dal  Bethmanx:  «  nibr.  fol.  max.  sec.  X  med. 
«Epistolae  Pontificum  Romanorum  antiquissimae,  pulcliie 
«exaratae;  initio  et  fine  mancae  »  (Pertz,  Arcliiv,  IX,  629;  cfr.  anche 
ibid.,  XII,  591).  Conteneva,  come  credo  di  poter  rilevare  dai  frammenti 
esaminati  e  se  bene  mi  appongo,  i  concili  e  le  decretali  nella  redazione 
Dioìiysio-Hmlrìami .  La  scrittura  è  del  IX  secolo  ;  il  testo  su  due  co- 
lonne. Il  nostro  frammento  principia  [e.  1]  con  «  credo  sicut  superius...  », 


284  LriOI   SCHIAPARELLI  [86J 

un  frammento  di  lezionario  del  X  sec,  adoperato  come  co- 
pertina, il  pontificale  dell'  XI  secolo  ec.  (1),  presentano  nel 
loro  complesso,  come  pare  a  me,  cosi  nella  configurazione 
delle  lettere  come  nei  caratteri  estrinseci,  alcune  particolarità 
comuni,  che  sono  indizi  di  una  medesima  scuola. 


cioè  colle  ultime  parole  dei  Canoni  di  Nicea:  *  [Expliciunt  Ganones.  Et 
«  siibscripserunt   CCGXVIII   qui   in  eodem   concilio    convenerimt.  Osius 

*  episcopus  civitatis  Cordubensis  provinciae  Spaniae  dixit  ita]  credo  sicut 

*  superius  scriptum  est.  Victor  et  Vincentius  orbis  Romae  suscripserunt  ». 
[e.  64'  «  Explicit  Africani  Concilii.  Incipit  epistola  decretalìs  papae  Sirici  ». 
Il  nostro  frammento  termina  [e.  64']  colle  parole  della  lettera  di  Siricio  : 
«  quatenus  apostolica  illa  impleatur  praeceptio  ut  ex  purgato  fermento 
«  veteri  nova  incipiat  esse  »,  le  quali  sono  del  Capitolo  o  Titolo  II  del 
decreto  di  papa  Siricio  (J.-K.  n.  255):  II  Ut  praeter  Pascha  et  Pen- 
tecosten  baptismum  non  celebretur.  Di  questa  raccolta,  nello 
stesso  ms.,  doveva  far  parte  un  altro  frammento  di  sette  carte,  scritto 
dalla  stessa  mano  e  coi  medesimi  caratteri  estrinseci:  come  la  distribu- 
zione del  testo  su  due  colonne,  lo  stesso  numero  di  linee  e  il  formato 
uguale.  Principia  [e.  1]  :  *  XLII.  Quod  debeant  faeminae  quae  captis 
«'viris  nupserant  aliis  regressis  de  captìvitate  viris  priotibus  copu- 
*:  lari  ».  Si  tratta  cioè  della  lettera  di  Leone  I  (J.-K.  n.  536)  al  vescovo 

*  lanuarius  »  di  Aquileia  (XLII-XLVIII).  Segue  [e.  26]  la  lettera  di  Leone  I 
a  tutti  i  vescovi  della  Mayrifcmìa  Caesariensìs  (J.-K.  n.  410):  poi  viene 
[e.  5]  la  lettera  di  Gelasio  I  (J.-K.  n.  636)  coir  inscriptio:  *  Papae  Gelasi 
«  generale  decretum  ad  omnes  episcopos  de  institutis  ecclesiasticis  mo- 

*  derate  prò  temporis  qualitate  dispositis»,  propria  delVHadriana  (cfr. 
F.  Maassen,  Gescliichte  der  Ouellen  und  der  Literatur  des  canonischeìi 
/ieclffs  in/  Ahendlande  bis  ^um  Ausgange  des  Miffelalfers  (Graìz,  1871), 
I,  p.  281).  Il  frammento  termina  [e.  7']  :  *  secundum  apostolum  precavendum 

*  est  ne  fides  et  disciplina  Domini  blasphemetur  »  ;  si  arresta  cioè  pioprio 
alle  ultime  parole  del  Tìfidus  XIV.  Detto  codice  doveva  inoltre  conte- 
nere un  glossario  ciceroniano,  di  cui  rinvenni  solo  un  foglio.  La  scrit- 
tura e  i  caratteri  estrinseci  corrispondono  a  quelli  dei  frammenti  sopra 
ricordati.  Questo  foglio  ci  dà  del  glossario  le  lettere  A,  M,  P.  La  prima 
carta  incomincia:  *  Ixcipiunt  Glosae  Ciceronis.  Adaepiscitur.   conse- 

*  quitur  »,  e  termina  nella  pagina  verso:  «Adcitus,  vocatus  adiungtus». 
L'altra  carta  del  fo.  principia:  «Monumentum,  memoria»,  e  termina 
nel  verso:  *Propter,  comminus,  fere». 

(1)  Presso  mons.  Due.  Cfr.  Pertz,  Archiv,  IX,  627  e  Misceììanpa  di 
Storia  Italiana,  XXIV,  335  segg. 


f:i7|  CHARTA  AunrsTAXA  285 

Formule. 

Con  l'esame  delle  tbrmiile  apparirà  ancora  più  giusti- 
ficata la  divisione  in  tre  periodi  della  charta  augustana. 

Notiamo  nel  primo  periodo  un  maggiore  carattere  di  solen- 
nità, i  generi  dei  documenti  si  distinguono  per  formule  proprie. 

Il  secondo  è  caratterizzato  dalla  inscriptio;  le  carte, 
di  qualsiasi  genere,  hanno  la  forma  dell'epistola  e  prin- 
cipiano (gli  originali  sono  preceduti  da  invocazione  simbo- 
lica, rappresentata  dalla  croce)  con  «  Magnifico  »  o  «  Magni- 
«  tìcamus  te  (vos)  »,  «  Magnificamus  in  Domino»,  «  Amabilis 
«  michi  atque  valde  karissima  nomine...  »,  «  Amabilis  michi 
«  atque  valde  karissima  sponsa  mea  nomine...  »  (1). 

Nel  terzo  periodo  le  carte  sono  tutte  redatte  in  forma  ogget- 
tiva e  condotte  su  uno  schema  unico;  i  vari  generi  di  atti 
si  distinguono  dal  verbo  o  dai  verbi  dispositivi.  Principiano 
coir  invocazione  simbolica,  segnata  da  croce,  e  colla  tbr- 
mula  di  promulgatio:  «  Notum  sit  omnibus  quod  »  (più 
raramente  «  quia  »)  (2)  ;  segue  il  nome  dell'autore,  cui  si  suole 


(1)  Simili  formule  di  inscriptio  nelle  carte  private  dopo  il  mille  non 
sono  frequenti.  Nelle  carte  del  Piemonte  e  della  Lombardia,  per  citare 
le  più  vicine  ad  Aosta  del  territorio  del  regno  longobardo,  ma  non  solo 
in  queste,  è  usata  normalmente  l' inscriptio  fino  al  momento  in  cui 
r  atto  notarile  prende  la  forma  narrativa;  d'ordinario  però  consiste  nel 
semplice  nome  della  chiesa  o  del  monastero  o  della  persona  ;  amplificazioni 
di  detta  formula  così  come  nella  nostra  carta  sono  rare  e,  in  generale, 
più  antiche.  In  queste,  a  difterenza  della  nostra  carta,  l' inscriptio  vien 
dopo  la  datazione,  che  sta  in  principio  del  documento.  Esempi  uguali  o 
simili  della  nostra  formula  ci  oflrono  gli  antichi  formulari;  cfr.  ad  es.  in 
Zeumer,  Formuìae  Merowingicl  et  Karolinì  aevi  {Mon.  Gemi,  liist., 
Legiim,  Sectìo  V,  Hannoverae,  1886):  Carta  e  Senonicae,  n.  23;  For- 
muìae salicae  Bignonianae,  n.  17;  Formuìae  salicae  Linden- 
brogianae,  nn.  7,  8,  15,  16;  e  Thévexix,  Textes  relatifs  mix  Iristitii- 
tions  privées  et publiques  nux  époqucs  }ff'ror/)/rj/pnne  et  CarnJhn/fPHìje 
(Paris,  1887),  nn.  42,  176,  178,  179. 

(2)  Con  questa  formula  principiano  generalmente  i  documenti  del 
territorio  in  cui,  scomparsa  la  carta,  non  si  ebbe  subito  l' istromento 
notarile,  ma  la  notitia  o  il  breve  (cfr.  Redlich,  Die  Tranitionstnlclìer 
den  Ilorhf>t/fts  Jirixen.  in  Acfa  Tiroleìiaia.  I,  Innsbruck,  1886,  XLl). 
Detta  formula  non  va  messa  in  relazione  con  quella  simile  dei  diplomi, 
come  vorrebbe  il  Pivano,  op,  cit.,  pp.  66.  69. 

Aech.  Stok.  It.,  5."  iierìe.  —  XXXIX.  Hi 


280  LUKtI    SCHIAPAKELLI  [SS\ 

aggiungere,  a  partire  dal  XIII  secolo.  «  iiiratus  »,  poi  ven- 
gono i  verbi  dispositivi,  come:  «  comniiitavil  »,  «  donavit  » 
o  «  dedit  »  (talora  con  aggiunta  di  «  in  perpetuum  »),  «  do- 
«  navit  et  fìnivit  »,  «  dedit  et  fìnem  fecit  »,  «  vendidit  »  ec. 
secondo  il  genere  dell'atto  contrattuale.  Questi  verbi  sono 
anche  usati,  ma  più  di  rado,  al  presente  indicativo  ;  l'oppo- 
sto di  quanto  succede  nella  redazione  sul  verso,  dove  il 
verbo  è  d'ordinario  al  tempo  presente  (1). 

Riguardo  alle  formule  dobbiamo  distinguere  quelle  speciali 
ai  singoli  generi  di  atto  contrattuale  nelle  carte  dei  primi  due 
periodi,  e  quelle  comuni  a  tutte  le  carte  dei  tre  periodi,  le 
quali  sono  indipendenti  dal  contenuto  giuridico  delle  singole 
carte. 

Tra  le  carte  finora  note  del  primo  periodo  si  hanno  sol- 
tanto delle  coni  muta  t  ione  s  e  delle  donationes;  nel  se- 
condo già  appaiono  parecchie  venditiones,  e  sono  in  numero 
superiore  alle  donationes;  il  terzo  periodo  ci  offre  tutta  la 
varietà  di  generi,  quindi  oltre  alle  citate  carte  si  trovano  quelle 
di  «  finis  »,  di  «donatio  et  finis»,  di  «finis  et  refutatio»  ec, 
ma  pare  che  prevalga  su  tutte  l'atto  di  vendita. 

Gommutationes.  Sono  in  numero  di  quattro  e  tutte 
del  primo  periodo.  Principiano  coli'  invocazione  verbale  «  In 
«  Ghrisli  nomine  »,  che  negli  originali  è  preceduta  da  invo- 
cazione simbolica  espressa  colla  croce.  Segue,  nelle  dije  carte 
dello  scrittore  «  Dodo  »  e  in  quella  del  novembre  1045  :  «  Pla- 
«  cult  adque  convenit  de  commutandis  terris  inter...  et...»; 
nella  carta  di  «  Eyricus  »  del  1032  (!2)  :  «  Quod  bonum  pacis  et 
«  studium  karitatis  utriusque  id  conplacuit  adque  convenit 
«de  conmutandis  terris  inter...  et...  »;  poi  il  formulario  si 
svolge  uguale  in  tutte:  «  ...ut  inter  se  terras  aliquas  com- 
«  mutari  deberent.  Quod  ita  et  fecerunt.  In  primis  donat...  Si- 
«  militer  donat...  ». 


(1)  Cfr.  Kerx,  op.  cìt.,  p.  5. 

(2)  Il  medesimo  formulario  si  trova  in  una  cajta  del  maggio  i()5()  data 
da  Ivrea  (Pivaxo,  op.  cit.,  p.  81):  ma,  come  attesta  anche  il  contenuto,  è 
ricavato  dalla  nostra,  la  quale  servì  di  fonte  e  modello. 


[39\  CHARTA   AUGUSTAXA  287 

È  r  antico  formulario  della  permuta  (1).  Figura  la  du- 
plice azione,  l'atto  cioè  dei  due  contraenti,  quanto  ciascuno 
dà  e  quanto  riceve.  Nel  terzo  periodo  della  carta  aostana 
la  permuta  si  uniforma  all'atto  di  vendita  e  di  donazione,  e 
in  non  rari  esempi  contiene  solo  quanto  uno  dei  due  contraenti 
commuta  (2).  Nelle  nostre  carte  non  appare  mai  la  formula 
che  accenni  a  duplice  redazione  dell'atto  (3). 

Riguardo  all'escatocollo  delle  nostre  carte,  notiamo 
che  le  prime  due  sono  munite  della  sottoscrizione  dei  due 
autori  di  ogni  singola  permuta  e  sono  firmate  da  tre  persone 
nella  prima  e  da  sei  nella  seconda  ;  la  seconda  ha  in  piìi  quattro 
«  laudatores  et  extimatores  »  ;  le  rimanenti  due  mancano  della 
sottoscrizione  di  uno  dei  contraenti,  e  mentre  la  terza  ha 
ancora  i  «  laudatores  et  extimatores  »,  ma  ridotti  in  numero 
di  due  soltanto,  la  quarta  ha,  in  luogo  di  questi,  i  testes 
in  numero  di  cinque  ed  i  fideiussores  in  numero  di  due. 
Nelle  permute  successive  non  figurano  più  gli  estimatori.  Ora 
Tescatocollo  è  uguale  per  tutti  i  generi  di  carta. 

Donationes.  Nel  primo  periodo  hanno  tutte  un'ar  enga  : 
«  Quicquid  in  hoc  seculo  prò  Dei  amore  bonis  operibus  in- 


(i)  Simile  formula  venne  usata  nel  territorio  franco;  cfr.  (in  Zeumer, 
op.  cit.)  Formulae  Andecavenses,  n.  8  ;  Cartae  senonicae,  n.  5; 
Formulae  salicae  Bignonlanae,  n.  15.  Nelle  carte  del  Piemonte  e 
della  Lombardia,  e  in  generale  nel  territorio  del  regno  longobardo,  detta 
formula  suona  più  comunemente  :  *  Commutati©  bone  fidei  noscitur  esse 
<^  contractum  ut  vice  emptionis  obtineat  ftrmitatem  eodejnque  nexu  ol)ligat 

*  contraentes.  Placuit  itaque  et  bona  convenit  voluntate  Inter...,  et....  ». 
Cfr.  per  detto  formulario  nelle  carte  di  Frisinga,  Redlich,  Ueber  bairi- 
sclte  TradifionsbncJier  und  Tradiflonpn.  nelle  MiWieiUiìKjeri  des  lutitì- 
fiils  far  osfcrr.  GescJiichtsfor.scIntng.  V  (Innsbruck,  1884),  14  segg.,  e  in 
generale  su  quest'argomento,  H.  v.  Voltelini,  Bie  siìdfiroler  Xofaricffs- 
lììibreckitui'en  des  dreizelinteii  JahrJnindsrts  {in  Acta  Tirolensia.  Ur- 
kìiìidliclie  Quellensur  Geschichte  Tirols,  II),  I  (Innsbruck,  1899),  LXXXIV. 

(2)  La  carta  dell' a.  1202  marzo  feria  iii,  edita  dal  Pivano,  op.  cit., 
p.  139.  n.  L,  è  quindi  una  permuta,  non  una  donatio,  come  ritiene  il 
Pivano  perchè  non  vi  è  in  essa  accenno  a  cosa  data  in  cambio.  Secondo 
i!  diritto  romano  eia  sufficiente  che  figurasse  il  dispositivo  di  una  delle 
paiti  contraenti. 

(3)  Nelle  carte  settentrionali  e  del  territorio  longobardo-toscano,  si 
ha  di  regola  la  formula  :  *  Unde  due  cartule  commutationis  uno  tenore 

*  scrii)te  sunt»,  o  simile. 


288  LUIGI   SCHIAPARELLI  [40] 

«  tulerit,  mercedem  recepturus  et  in  futuro  seculo  liber  et 
«  vacat  arbitrio  de  res  proprietatis  sue  tacere  quidquid  vo- 
«  luerit  »  (a.  1032  febbraip  17)  ;  «  Quicquid  in  hoc  seculo 
«  prò  Dei  amore  bonis  operibus  intulerit,  mercedem  se  re- 
«  cepturus  erit  hab  ipso  et  in  futuro  seculo  »  (a.  1035)  ;  «  Licet 
«  imicuique  homini  bene  lacere  si  sui  iuris  est  suaeque  pote- 
«  statis  dum  in  presenti  et  proclivo  seculo  libero  viget  ar- 
<<  bitrio  »  (a.  1040)  (1).  L'arenga  è  soltanto  preceduta  dal- 
l' invocazione  simbolica,  espressa  negli  originali  colla  croce  ; 
e  si  congiunge  alla  intitulatio  con  «  quapropter  »  :  «  qua- 
«  propter  ego  in  Dei  (Ghristi)  nomine...  dono  »,  o  semplice- 
mente: «quapropter  ego...  dono...  ». 

Nel  secondo  periodo  lo  svolgimento  è  diverso.  Scompare 
la  vera  arenga  e  all'invocazione  simbolica  segue  1"  in- 
script io,  cui  tien  dietro  Tinti  tu!  alio  accompagnata  da 
motivazione  dell'atto,  la  quale  prende  lo  sviluppo  e  il  signi- 
ticato  di  un' arenga.  Quest'ultima  formula  nelle  nostre  tre 
carte  di  donazione  (2),  tutte  di  donazione  dotale  che  fa  il 
marito  alla  moglie,  è  del  seguente  tenore  :  «  Ego  enim  in 
«  Dei  nomine...  adtrahit  me  amor  et  benivolentia  et  dul- 
«  citudo  et  propter  bonum  servicium  tuum  (oppure  «  et  prò 
«  honesto  servicio  »)  quod  circa  me  inpendis  atque  Deo 
«  iubente  in  antea  meliorare  promittis,  propterea  dono  libi 
«  in  tuo  antefactu  »  ec.  (3).  Nel  terzo  periodo  scompare  anche 
questa  formula  in  un  colla  forma  soggettiva. 

Vendi tiones.  Come  già  avvertii,  non  abbiamo  esempi 
del  primo  periodo.  Nel  secondo  sono  in  numero  molto  su- 
periore alle  donazioni,  e  pare  che  anche  nel  terzo  si  man- 
tengano prevalenti  sebbene  in  proporzioni  minori.  AH*  in- 
serì ptio,  colla  quale  principiano  le  carte  del  secondo  periodo, 
segue  la  formula:  «Ego  enim  in  Dei  nomine...  vendo  Aobis 
«  venditum  quod  in  perpetuum  esse  volo,  hoc  est  (sunt)  »  ec. 
La  formula  del  prezzo  è  del  tenore  :  «  et  accepi  a  vobis  pre- 


(1)  La  medesima  arenga  nel  diploma  del  vescovo  Anselmo,  di  cui  a 
p.  :«4,  nota  ± 

(2)  Due  altre  carte  (cfr.  Appo  mi  ice,  \,  nn.  4,  .'>).  pure  di   donazione 
dotale,  sono  rimaste  incompiute,  hanno  cioè  la  sola  redazione  sul  verso. 

(3)  Cfr.  Thkvenix.  nn.  4-2.   17(5.  179. 


|41J  CHARTA   AUC4USTAXA  289 

«  ciiiiu,  sicut  inter  nos  («  inter  me  et  vos  »  o  «  inter  me  et  te») 
«  bene  complacuit  atqiie  convenit  (o  «  bene  con venit  atqiie  eom- 
«  plaeuit  »),  libras  »  («  solidos  »  o  «  libr.  et  sol.  »)  (1).  Nel  terzo 
periodo  abbiamo  :  «  vendit  (vendunt)  in  perpetuum  »,  e  «  huius 
«  aiitem  (vero)  \  endicionis  est  precium  (oppure  «  huius  autem 
«  venditionis  est  precium...  precium  adpreciatum»)  sicut  (si- 
«  cuti)  bene  convenit  atque  complacuit  inter  [ipsos]  venditores 
«  et  emptores  »  («  inter  vendentem  et  ementem  »  o  «  inter 
«  vendentes  et  ementes  »). 

Dei  due  generi  di  carte  di  vendita,  che  si  possono  di- 
stinguere dalla  formula  «  constat  me  vendidisse  »  e  «  con- 
«  stat  me  accepisse  »,  la  nostra  appartiene  al  primo,  in  quanto 
non  principia  colla  ricevuta  o  quietanza  (i2). 

Quando  non  veniva  ett'ettuata  la  datio  rei  vendite,  la 
solutio  pretii,  allora  la  cancelleria  apponeva  una  nota 
sul  verso,  come  «  non  est  sol.  »,  «  non  solvit  »,  per  dichia- 
rare che  il  prezzo  non  era  stato  pagato  :  anzi  in  alcuni  casi 
non  si  passava  al  compimento  della  carta  (3).  È  probabile 
che  queste  note  fossero  apposte  anche  nelF  imbreviatura  o 
protocollo  del  cancelliere  per  evitare  ogni  contestazione. 

Formule  generali.  Oltre  alle  formule  introduttive  (o 
del  protocollo),  delle  quali  già  abbiamo  incidentalmente  par- 
lato, sono  da  ricordarsi  altre  formule  comuni  a  tutti  i  generi 
di  carta,  cioè  le  formule  del  testo,  come  quelle  di  pertinenza 
€  di  sanzione  o  minaccia  di  pena,  e  le  formule  delFescato- 
collo,  quali  le  sottoscrizioni  e  la  datazione. 


(1)  Poche  eccezioni:  la  carta  del  marzo  1146  (cfr.  p.  341,  nota  9)  ha 
più  l)revemente:  «et  accepi  a  vobis  precium..,,  libr.  et  sol.  »;  quelle  del- 
raprilell47  (cfr.  p.  341,  nota  9)  :  «  et  est  precium  sicut  inter  me  et  te  *  ec. 
Una  carta  del  noveml)re  1146  (cfr.  p.  341,  nota  9)  di  vendita  e  di  elemosina  : 

*  venditionem  et  elemosinam  facimus....  quara  in  perpetuum  esse  volumus, 
«  hoc  est....  Kt  accepimus  precium  libr....  et  sol....  *.  Cfr.  Fornìnlnc  Mdr- 
cnlp,  ed.  Zkumer,  n.  22;  Thévenin,  n.  19. 

(2)  Nelle  carte  piemontesi  e  lombarde  si  segue  costantemente  il  se- 
condo tipo.  Cfr.  in  genere  Voltelini,  op.  cit.,  n.  LXVIII. 

(3)  Cfr.  p.  266,  nota  3,  e  Due,  Carfulaire  ec,  p.  24(),  n.  XL.  K  com- 
pleta invece  una  carta  dell'ottobre  feria  i.  1217,  colla  nota  sul  verso: 

*  non  est  sol.  »,  che  intendo  *  non  est  sol(utum  precium)  »  (orig.  Arch. 
Vesc):  cfr.  p.  267,  nota  1, 


290  LUIGI   se  HI  APARE  LLI  [42J 

Formula  di  pertinenza.  Dalla  formula:  «  in  sua  pote- 
«  state  habeat  («et  habeatis  potestatem  »  o  «et  de  isto...  ha- 
«  beas  potestatem  »)  fa  cere  (faciendi)  [inde]  quicquid  voluerit 
«  (volueritis)  habendi  vendendi  donandi  sive  commutandi  [una] 
«  cum  exitibus  (exiis)  et  perviis  et  aquarum  (aquis)  eursibus  » 
del  primo  e  del  secondo  periodo  (1)  si  passa  a  quella  del 
terzo  con  leggiere  modificazioni.  Già  nelle  carte  del  cancel- 
liere Stefano  si  va  fissando  il  tipo  che  poi  si  conserverà 
per  tutta  la  durata  della  carta  aostana.  Accanto  a  questa 
formula:  «  concedit  (o  «  concedunt...  »,  o  «  de  quibus  con- 
«  cessit  »  o  «  concesserunt  »)  habere  («  habeat  »  o  «habeant 
«  a  modo  »)  potestatem  et  dominium  (2)  faciendi  quicquid 
«  voluerit  (voluerint)  retinere  donare  vendere  sive  (seu)  com- 
«  mutare  (3)  si  opus  et  necesse  fuerit  (4)  una  cum  perviis  (5) 
«  et  exitibus  et  aquariciis  et  aliis  usibus  »  [«ipsius  (istius, 
«  hiiius)  terre  »  o  «  alodii  »  o  «  haium  rerum  »  ec]  (6)  ne 
usa  due  altre,  le  quali  vengono  poi  adoperate  con  pochis- 
sime e  insignificanti  variazioni  dagli  altri  scrittori  della 
cancelleria:  I,  «  ...habeat  (habeant)  a  modo  potestatem  et 
«  dominium  faciendi  quicquid  voluerit  (voluerint)  (7)  donare 
«  vendere  commutare  et  retinere  »  (8)  ;  il,  «  ...habeat  (habeant) 
«  a  modo  (o  «  concessit  »  o  «  concesserunt  habere  »)  pote- 
«  statem  et  dominium  (9)  faciendi  (10)  quidquid  voluerit  (vo- 
«  luerint)  [rationabiliter]  (11)  una  cum  perviis  et  exitibus  et 


(1)  Racchiudo  tra  (  )  le  varianti  e  tra  []  le  a^^^iiinte  della  tbniuila 
nel  secondo  periodo. 

{■i)  Talora  manca  *  et  dominium  *. 

(3)  I  verbi  non  sono  sempre  in  questa  disposizione  e  manta  non  di 
rado  il  verbo  *  retinere  ». 

(4)  La  frase  *  si  opus  et  necesse  fuerit  »  manca  in  alcune  carte. 

(5)  La  carta  genn.  1178  {Hist.patì'.  Mou.,  Charf..  11.  1063,  n.  MDLXVl) 
ha  *  pascuis  »,  ma  si  deve  trattare  di  errore  di  lettura  o  di  stampa. 

(6)  Racchiudo  tra  parentesi  (  )  le  varianti  e  tra  [1  le  aggiunte. 

(7)  Spesso  si  chiarisce  con  l'aggiunta,  talora  posta  dopo  *  faciendi  *, 
di  *  de  hac  re  »,  *  de  hiis  rebus  »,  *  de  hac  terra  »,  *  de  hac  venditione 

*  (donatione)  »,  ec. 

(8)  Cfr.  sopra,  nota  3. 

(9)  Cfr.  sopra,  nota  2. 

(10)  *  Vellet  facere  »  in  Jli.sf.pafr.  Mon.,  rinirl..  11.  1114.  n.  .MDCXUl: 

*  v(duerit  facere  »  ibid.,  II,  1115,  n.  MDCXIV. 

(11)  Cfr.  sopra,  nota  7. 


|4::{|  C MARTA   AUGUSTA X A  291 

«  cUjuai'iciis  et  aliis  [bonis]  usibiis  »  [«  ipsiiis  »  o  «  huius  » 
()  «  istiiis  terre  »  o  «  rei  »  o  «  allodii  »]  (1). 

La  formula  di  pertinenza  è  per  lo  più  introdotta  da 
un'espressione  come:  «  huius  aiitem  doni  »,  «prò  hoc  itaque 
«  precio  »,  «  prò  liac  itaque  venditione  (donatione)  »  e  simili. 
Nelle  carte  del  terzo  ])eriodo  segue  ad  essa  una  specie  di 
conclusio:  «itaque  hec  donatio  («  venditio  »  o  «  commu- 
«  tatto  »  o  «  hoc  donum  »)  (2)  firma  (firmimi)  et  stabilis 
«  (stabile)  et  absque  ulto  («  et  sine  »  o  «  et  sine  aliquo  ») 
«  impedimento  (3)  in  perpetuum  valeat  permanere  »,  la  quale 
d'ordinario  si  abbrevia  omettendo  «  et  sine  impedimento  ». 
Questa  conclusio  si  trova  anche  nelle  carte  che  omettono  la 
formula  di  pertinenza.  Il  suo  uso  si  nota  già  nelle  carte  dei 
primi  due  periodi,  ma  in  queste  segue  alla  mi  natio,  ed  è 
del  tenore:  «  et  donatio  («  venditio  »  o  «  commutacio  »)  ista 
«  omni  tempore  firma  et  stabilis  permaneat  (valeat  perdu- 
«  rare)  cum  stipulatione  prò  omni  firmitate  subnixa  »  (4). 


(I)  Cfr.  p.  ^9().  nota  6.  Si  notano  poche  varianti  a  questi  tipi  di  foniiula : 
ne  citei'ò  alcuni  esempi  :  *  ....  et  aquaiùciis  et  arboiibiis  qiie  in  ea  siint  et 

*  aliis  usibus  ipsius  terre  *{Hisf.  p(ttr.  Mou.,  Chart..  I,  90:2,  n.  DLXXVIII); 

*  aquai'iciis  »  manca  nella  carta  in  Hist.  patr.  Man.,  CJtart.,  I,  846, 
n.  DXXXIV;  *  et  aliis  usibus  »  manca  nelle  carte:  Hist.  patr.  Man..  Chart., 
11,  :37(i,  nn.  GCCCXV  e  GCCCXVI,  502,  n.  DCXXIII;  *  ....  concessit....  habere 

*  I)otestatem  et  dominium  de  omnibus  rebus  quas....  donaverunt....  quic- 
«  (juid  sit  et  ubicumque   sit   pratum   terra   vinea  faciendi  quicquid  vo- 

*  luerint  una  cum  perviis  et  exitibus  et  aquariciis  et  aliis  usibus  ipsius 
«  terre  »  (ibid.,  I,  942,  n.  DCXII);  «  ....  concesserunt....  habere  potenciam 

*  et  dominium  faciendi  quidquìd  voluerit  facere  rationabiliter  »  (ibid., 
I.  929.  n.   DCI)  ;  «....concessit....   habere  potestatem  de  hac  vendicione 

*  faciendi  ([uidquid  voluerint  »  (ibid..  11.  267,  n.  CCXXVI);  *  ....concessit.... 

*  habere  potestatem  et  dominium  faciendi  quidquid  voluerint  »  (ibid.,  I, 
981.  n.  DCLII).  Carte  le  quali  per  il  genere  del  contenuto  od  altro  omettano 
(juesta  formula  sono  relativamente  poche:  noto:  ibid.,  I,  944,  n.  DCXV;  II: 
-284.  n.  CCXXXIX  :  :316,  n.  CGLXXXVII  ;  377,  n.  GGGXCVII.  Pivaxo,  op.  cit., 
p.   105,  n.  XXX:  p.  108,  n.  XXXIII.  Battaglino,  op.  cit.,  p.  259.  n.  XXI.  ec. 

(2)  Due  carte  del  1:^12  (Due:,  DocKinents  relatifs  à  l'épiscopaf  dn 
h.  Hìnerlc  I,  n.  70  e  App.  n.  17,  hanno  «ad  hoc  ut  dieta  venditio 
■>  fuma»  ec.  Questa  formula  dev'essere  di  uso  più  raro. 

(3)  *  et  sine  inquietacione  *  nella  carta  del  gennaio  11.55  in  liìsf. 
},<ttr.  Mf>n..   Chart..  II,  284.  n.  GGXXXIX. 

(4)  La  formula  della  stipulai  io  manca  nella  carta  del  marzo  1146 
(cfr.  p.  :UI.  nota  9). 


292  LUIGI    SCHIAPARELLI  [44J 

La  stipulatio,  che  scompare  dall'uso  nella  seconda 
metà  del  Xll  secolo,  si  legge  ancora  in  alcune  carte  dei  primi 
cancellieri  del  terzo  periodo;  gli  ultimi  esempì  che  notai 
sono  dello  scrittore  Michele  (1)..  Nei  casi  in  cui  ricorre  è 
espressa  colla  formula:  «  itaque  hec  venditio  («donatio»  o 
«  hoc  donum  »)  cum  stipulacione  prò  omni  firmitate  suh- 
«  nixa  (subnixum)  et  corroborata  (corroboratum)  firma  (tir- 
«  mum)  et  stabilis  (et  stabile)  [et  absque  ullo  («  et  sine  »  o 
«  et  sine  aliquo  »)  impedimento]  in  perpetuum  valeat  per- 
«  manere  »  (^). 

Sa  ne  ti  o  o  mi  natio.  Nelle  carte  del  primo  periodo  ab- 
biamo queste  formule:  «  Quod  si  post  hunc  diem  si....  vel 
«  succéssores  sui  sive....  aut  ullus  homo  uUoque  tempore  qui 
«  liane  commutacionem  infringere  aut  inquietare  voluerit. 
«  dupla  bona  melioratis  in  consimilis  locis  rebus  componat 
«et  in  argento  libras....  »  (nelle  due  carte  di  «  Dodo  »)  ; 
«  Quod  si  post  hunc  diem  si  ullus  homo  est  uUoque  tem- 
«  pore  qui  conmutacione  (donacio)  ista  infringere  aut  inquie- 
«  tare  vel  removere  voluerit,  conponat  pena  in  argentimi 
«(de  aurum  choctum)  libras....»  (1032;  1035;:  «Quod  si 
«  de  post  hunc  diem  si  ego  ipse....  aut  aliquis  meoruiii  he- 
«  redum  sive  ullus  homo  in  aliquo  tempore  (si  ullus  homo 
«  est  iilloque  tempore)  qui  donationem  (conmutationem)  istam 
«  infrangere  aut  inquietare  vel  dampnare  (removere)  voluerit, 
«  non  valeat  vindicare  quod  repetit,  set  insuper  sit  culpabilis 
«  et  impleturus  dupla  bona  melioratis  rebus  (atque  meliorata) 
«  in  consimilibus  locis  (locis  rebus)  conponat  et  in  argento 
«libras  (solidos)....  »    (1040;    1045)  (3).    La    pena   spirituale 


(1)  L'ultimo  esempio  che  ho  notato  figura  in  una  carta  (ielT  otto- 
bre 1197  {Hist.  patì'.  Man.,  Charf..  II,  1181,  n.  MDCLXXXV). 

(-2)  Gfr.  p.  290,  nota  6.  Nella  carta  del  noveml)re  1165  {Wsf.  patr. 
Muìi..  C/tarf.,  I,  846,  n.  DXXXIV)  è  collocata  prima  della  formula  di 
pertinenza.  Nella  carta  1166  ott.,  in  Pivano,  op.  cit.,  p.  89,  n.  XI:  «  et  vult 

*  quod  in  perpetuum  fìrmum  et  sta])ile  et  omni   stipulatione  suhnixum 

*  permaneat  *. 

(3)  Poco  diversa  da  questa  è  quella  del  diploma  del  vescovo  An- 
selmo di  cui  a  p.  334,  nota  2.  La  redazione  di  questa  formula  è  simile 
a  quella  che  di  preferenza  troviamo  nelle  carte  del  territorio  franco.  Ri- 


f45J  CHARTA    ALItUSTAXA  2f»:> 

si  trova  in  una  sola  carta:  «  Quòd  si  post  hunc  diem  si  ego 
«  ipse  aiit  parentibus  meis  aut  iilhis  homo  iiUoqiie  tempore 
«  qui  istam  donaeionem  infringere  aut  inquietare  vel  remo- 
«  vere  voluerit,  sit  exeomunieatus  de  Deo  patre  et  filio  et 
«  S])ii*itu  Sancto  et  de  omnibus  Sanctis  eius  maledictus  et 
«  anatematizatus  in  hoc  seeulo  et  in  futuro  insuper  eciam 
«  componat  pena  de  auro....  libr.  »  (1032  febbraio  17). 

Nel  secondo  periodo  si  ha  una  formula  simile,  che  nelle 
carte  di  «  Cono  »  si  fìssa  in  questo  tenore:  «  Quod  si  post 
«  hunc  diem  ullus  homo  est  (homo  est  aut  femina)  qui  hanc 
«  (istam)  donationem  (venditionem)  infringere  aut  inquie- 
«  tare  vel  removere  voluerit,  non  valeat  vindicare  quod  re- 
«  petit,  sed  insuper  sit  culpabilis  et  impleturus  dupla  bona 
«  (duplo  bono)  (1)  atque  meliorata  (melioratis)  (2)  in  consi- 
«  milibus  locis  (in  consimili  loco)  et  in  argento  libras....  ». 

E  da  questa  si  passa  alla  formula  tipica  del  terzo  pe- 
riodo, già  completamente  tìssata  nelle  carte  del  cancelliere 
Stefano:  «  Et  (3)  si  forte  contingat  (contigerit)  quod  aliquis 
«  a  modo  (4)  sive  homo  sive  (seu)  temina  (5)  donationem 
«  istam  («  hoc  donum  »,  «  hanc  venditionem  »  ec....)  in- 
«  fringat  (o  «aliqua  fraude  removeat»  o  «  aliqua  traude  re- 
«  moveat   vel   (aut)  infringat  »   o  semplicemente   «  infringat 


cordo,  tra  i  niiinerosi,  un  solo  esempio,  ricavato  da  una  carta  del  gen- 
naio 928  di  Cluny.  Thkvenix,  n.  179:  *  et  si  qiiis  vero,  quod  futuruni  esse 

*  minime  credo,  et  si  ego  ipse,  aut  ullus  omo,  aut  ullus  ex  heredibus 
«  meis,  aut  ulta  aliqua  persona  qui  contra  anc  dotalicio  isto  inquietale 
«  presumserit,  non  valeat  evindicare  quod  repetit,  set  insuper  sit  culpa- 

*  bilis,  et  impleturus  una  cum  fisco  auri  libera  i  componat,  et  in  antea 
«  donacio    ista    omnique   tempore    firma    permaneat,    cum    stipulacione 

*  supnixa  ». 

(1)  La  carta  del  marzo  1146  (cfr.  p.  341,  nota  9)  aggiunge  *  alodium  ». 

{"2)  Ques'ta  clausola  manca  nelle  carte  1127  nov.  3, 1131  febb.,  1146  marzo 
(cfr.  p.  :i41,  nota  9);  la  carta  del  giugno  1102  (cfr.  p.  341,  nota  6)  abbrevia 
la  formula  :  *  ....sed  componat  alodium  in  consimili  loco  in  duplum  et.... 
v  libras  de  argento  ». 

(3)  *  Quod  »  nella  carta  dell" ottobre  1176  in  Pivaxo,  op.  cit.,  p.  98, 
ri.  XVI 11. 

(4)  «  a  modo  »  è  talora  omesso. 

(5)  La  frase  *  sive  homo  sive  femina»  è  omessa  nella  carta  feria  ii 
novembre  115.5  in  Pivano,  op.  cit.,  p.  88,  n.  X,  e  in  altra  del  marzo  1156 
in  IJisf.  pafr.  Man..  Chart..  [I,  316,  n.  GGLXXXVII. 


294  LUIGI    SCHIAPARELLI  [46J 

«  cuit  removeat  »)  (1),  prò  pena  remotionis  (!^)....  libr.  puri 
«  [et  examinati]  argenti  reus  sit  et  culpabilis  »  (3).  Va  sog- 
getta  a  poche  e  lievi  varianti.  Di  rado  si  aggiunge  ancora 
il  risarcimento  del  doppio,  di  cui  notai  pochi  esempì  e  solo 
in  carte  del  cancelliere  Stefano,  colla  formula:  «et  in  du- 
«  plum  (dupliciter)  et  in  consimilibus  locis  (consimili  loco) 
«[de  suo]  componat  »  (4),  che  in  alcuni  casi  si  abbrevia: 
«  et....  in  duplum  restituat  »  (5).  Sta  a  sé  la  mi  natio  di  una 
carta  dell'aprile  1149:  «  Sed  si  contigerit  a  modo  quod  aut 
«  liomo  aut  temina  liane  venditionem  iniringere  vel  removere 
«  velit,  quod  male  petit  nullo  modo  adimplere  possit,  sed  prò 
«pena  centum  solidos  iustitie  reddat,  et  emptoribus  islam 
«  venditionem  dupliciter  et  in  consimili  loco  et  meliori  de 
«  suo  componat  »  (6). 

Sottoscrizioni.  La  forma  di  sottoscrizione  soggettiva, 
limitata  quasi  esclusivamente  alla  sottoscrizione  cancelleresca, 
scompare  dall'uso  colle  carte  del  secondo  periodo.  Negli  origi- 
nali da  me  esaminati  non  si  hanno  sottoscrizioni,  né  segni  di 
sottoscrizioni,  autografe,  all'infuori  di  quelle  degli  scrittori 
della  cancelleria  (7).  Le  espressioni  «  marni  sua  fìrmavit  »  o 


(1)  Nella  carta  in  ///.s7.  patr.  Mott..  riiarf..  11,  316.  n.  CCLXXXVII, 
si  Ila:  «a  modo  aliqiia  traiide  Inquietet  et  suhmoveat», 

{ì)  «  lemoti  doni  »  nella  carta  del  gennaio  1155  {Jli.sf.  pafr.  Moìi., 
Churt..  II,  284,  n.  CCXXXIX)  e  1156  nov.  (Pivano,  op.  cit.,  p.  88.  n.  X). 

(3)  Cfr.  p.  290,  nota  6.  Si  usano  anche  altre  simili  espressioni,  come  : 
*  culpabilis  existat  »,  *  reus  sit  *,  «  reus  et  culpabilis  existat  »  o  «  perma- 
^  neat  *,  «  culpabilis  sit  »,  *  reus  sit  et  condenlpnabilis  ». 

(4)  «...  in  consimili  loco  vel  in  meliori  de  suo  componat  »  ha  la  carta 
del  febbraio  1184  {Hìst.  pafr.  Moìl,  CJiarf..  I,  929,  n.  DCI). 

(5)  Così  nelle  carte:  Ifisf.patr.  Mori.,  Chart.,  II,  316.  n.  CCT.XXXVII: 
376.  n.  GGGXV:  377,  n.  GCCXCVII;  502,  n.  DGXXIII. 

(6)  llist.  pafr.  Moì?.,  Chart.,  II,  267,  n.  GGXXVl.  venne  licavata 
da  un  caitolario,  arch.  della  chiesa  di  Fénis. 

(7)  A  proposito  della  carta  del  1040,  cfr.  p.  :3:38,  nota  8.  Nella  edi- 
zione in  llist.  patr.  Mon..  Chart..  alcune  carte  aostane  del  terzo  pe- 
riodo portano  il  segno  di  •i^  avanti  i  singoli  nomi,  o  hanno  in  prin- 
cipio una  serie  di  >-I-<  rispondente  al  numero  dei  testi  e  dei  fideiussori 
(ad  es.  Chart.,  I,  844.  n.  DXXXII;  8a5,  n.  DLXV;i)02,  n.  DLXXVIII:  905, 
n.  DLXXXl:  954.  n.  DGXXVIll):    ma  si    tratta   di  aggiunte  delleditore,. 


[47  I  CHAKTA   AUtìU STANA  295 

plioemente  «  tìinuivi  »  o  «  tìimavit  »  non  designano  affatto 
sottoscrizioni  autografe.  Queste,  nei  documenti  privati  di  tale 
epoca,  sono  piuttosto  rare  in  tutto  il  territorio  franco.  Si  disse 
firmare  cartam  nel  senso  e  col  valore  di  manum  (ma- 
nus)  ponere  in  (super)  cartam,  cartam  tangere  ;  que- 
st'atto costituiva  la  firma t io.  Colla  carta  di  «  Gosfredus  » 
(1075  o  1090)  abbiamo  l'ultimo  esempio  di  un'antica  formula 
di  sottoscrizione  ragionata  :  «  signum....  qui  vendicioném 
«  istam  fecerunt  et  firmare  rogaverunt  et  eis  relictum  est  ». 
Come  già  si  è  notato,  nel  periodo  in  cui  la  carta  aostana 
raggiiuise  il  suo  maggiore  sviluppo  e  fissò  i  suoi  caratteri, 
le  sottoscrizioni  dei  testes  e  dei  fideiussores  presero  po- 
sto sempre  e  soltanto  sulla  faccia  verso  della  pergamena. 
Ora,  la  formula  clie  introduce  i  nomi  di  questi  è  molto 
breve,  conforme  a  tutta  la  redazione  sul  dorso  (1).  Con 
«  Testes  sunt  »  o  anche  semplicemente  «  Testes  »  si  introdu- 
cono i  nomi  dei  cinque  testimoni.  La  formula  «  Signum  te- 
«  stium  »  è  scomparsa  nelle  carte  del  secondo  periodo.  1  nomi 
dei  due  fideiussores,  che  tengono  subito  dietro  a  quelli 
dei  testimoni,  sono  seguiti  e  contraddistinti  da:  «  tìdeius- 
«  sores  (fìdeiuxores)  (o  «  sunt  fideiussores  »)  de  carta  gua- 
«  rendi  (garendi)  »,  o  «  garendi  (guarendi)  cartam  »  (2),  for- 
mula che  si  sostituisce  a  quella  dei  due  primi  periodi  :  «  fìdem 
«  feceriuit de   carta  vuarendi  »  (3).  Per  i   laudai ores  si 


poiché  confrontando,  ad.  es.,  le  carte  citate  edite  negli  lUst.  patr.  Moif.. 
C/tftrf..  I.  VK>2,  n.  DLXXVIII  e  954,  n.  DCXXYIII  coi  rispettivi  originali 
neir  Arch.  della  Collegiata  di  S.  Ojso,  si  nota  che  in  questi  man- 
cano le  't^. 

(I)  (Ih-,  quanto  avvertii  a  pp.  :278  segg.  sulle  sottoscrizioni  nei  due 
primi  periodi. 

{ì)  Quest'  ultima  formula  senza  *  de  »  diventa  di  uso  generale  a 
partire  dalle  carte  di  «  Aymo  *  (1:205-1:2(X)). 

(3)  Le  due  formule  non  sono  sempre  separate  da  punteggiatura,  e 
quindi  facilmente  si  possono  confondere  i  nomi  dei  testi  con  quelli  dei 
tldeiussori.  Ad  es.:  «Testes  sunt  Girardus  Petrus  Aymo  Petrus  Guido 
*\Villelmus  Guido  sunt  fideiussores  garendi  cartam  >>.  Il  secondo  nome 
«lei  tldeiussori  nelle  carte  di  *  Stephanus  »  è  sempre  preceduto  dalla 
congiunzione  *  et  »  ;  questa  è  premessa  a  tutti  e  due  i  nomi  o  soltanto 
ad  uno  di  essi  nelle  carte  del  cane.  *  Petrus  *,  scompare  dall'uso  colle 
carte  di  *  Michael  *  (cfr.  anche  Lattks,  op.  cit.,  p.  214.  nota  89).  Avver- 


296  LUIGI   SCHIAPARELLI  |48] 

usano  formule,  come  :  «  Hoc  laudai  (laudani)  »  o  «  laudavit 
«  (lauda veruni)  »,  «  Hanc  commuta tionem  (donationem,  ec.) 
«  laudai  (laudani)  »  o  «  laudarli  (laudaverunl)  »,  e  quando  si 
ha  il  nome  del  rappresenlanle,  queslo  è  introdollo  da  «  per 
«  manum  »  ;  di  rado,  nel  lerzo  periodo,  e  pare  sollanlo  nelle 
carie  dei  primi  scrillori,  si  Irova  «  laudavit  (laudaverunl)  et 
«  lìrmavil  (firmaverunt)  »  o  «  et  confirmavil  (confìrmaverunl)  » 
con  o  senza  aggiunta  di  «  per  manum». 

Della  sottoscrizione  cancelleresca  Irallerò  in  seguilo, 
quando  parlerò  della  formula  di  datazione,  colla  quale  è 
strettamente  collegata.  Basterà  ora  notare,  che,  come  risulla 
dall'esame  e  dal  confronto  degli  originali,  l'ufficiale  della 
cancelleria  di  cui  figura  il  nome  su  ogni  carta  come  scrillore, 
è  propriamente  lo  scrittore  di  essa,  delle  due  redazioni; 
quindi  le  carte  sono  autografe  dei  singoli  scrillori  nominati,  e 
le  espressioni  «  scripsit  »  o  «  subscripsil  »  non  sono  una  fin- 
zione giuridica.  Quando  furono  due  gli  scrittori,  uno  della 
redazione  sul  verso,  l'altro  di  quella  sul  recto,  ciò  fu 
espressamente  avvertito  (1).  Soltanto  nelle  carte  originali  del 
primo  periodo,  e  non  in  tutte,  si  trova  usato,  a  destra  della 
sottoscrizione  cancelleresca,  un  signum  speciale  o  di  ri- 
cognizione (2). 

Datazione.  La  carta  aug asiana,  nel  periodo  del  suo 
maggiore  sviluppo,  ha  la  sottoscrizione  cancelleresca  e  la  da- 
tazione coir  aduni  tanto  collegale  da  formare  come  un'unica 
formula.  Nei  primi  due  periodi  si  nota  una  certa  varietà  di 
usi,  un'oscillazione  nella  forma  e  nella  posizione  di  questi 
elementi,  che  poi  nel  terzo  periodo  si  fissano  definitivamente. 


tasi  ancora  che  in  alcune  carte  lo  scrittore  omise,  forse  per  dimenticanza, 
la  formula  dei  fideiussori,  sicché  dopo  «  Testes  sunt  »  vengono  sette  nomi, 
che  converrà  distinguere,  essendo  «  testes  »  solo  i  primi  cinque,  e  i 
due  rimanenti  «fìdeiussores  ».  L'edizione  di  carte  aostane  nei  citati 
Hist.  patr.  Man..  Chart.,  e  nella  Miscellanea  Valdostana,  col  metodo 
di  riprodurre  la  punteggiatura  dell'  originale,  in  questo  caso  genera  con- 
fusione e  non  aiuta  affatto  il  lettore  a  intendere  il  documento. 

(1)  Vedansi  gli  esempi  a  p.  ,270,  nota  1. 

(2)  Questo  signum  si  trova  nelle  carte  1024,  ottobie  19,  1035,  e  pare 
anche,  a  giudicare  dalla  riproduzione  eliotipica  nel  citato  lavoro  del 
Due,  Carttilaire  ec,  nella  carta  del  1032  (cfr.  L.  Sckiaparelli,  o\).  cit., 
p.  3.37,  nota  6);  manca  nella  carta  del  1040. 


|49J  CHARTA    AUdUSTANA  297 

Osserveremo,  anzitutto,  che  ractum  nelle  carte  del  primo 
e  del  secondo  periodo  tien  dietro  immediatamente  al  testo, 
precede  quindi  alle  sottoscrizioni  e  alla  datazione.  Le  formule 
usate  sono:  «Hactum  in  Augusta  civitate  loco  pubblico»  (nelle 
carte  di  «  Dodo  »  e  di  «  Eyricus  »)  ;  «  Hactum  est  hoc  donum 
«  in  Augusta  civitate  et  in  ecclesia  S.  Mariae  loco  publico  » 
(nella  carta  di  «  Petrus  presb.  »);  «  Actum  in  Augusta  civitate 
«  loco  publico  in  claustra  S.  Marie  »  (carta  dell'  a.  1045)  ; 
«  Actum  est  hoc  in  Augusta  civitate  in  publico  loco  et  in 
«  claustra  S.  lohannis  »  (in  quella  di  «  [Arjmannus»);  «  Actum 
«  est  hoc  in  Augusta  civitate  in  loco  publico  in  claustro 
«  S.  Marie  vel  S.  Ioannis  »  lineila  carta  di  «  Gosfredus  »),  e 
«  Actum  in  Augusta  civitate  loco  publico  in  claustro  S.  Marie 
«  et  S.  lohannis  »  (nella  carta  di  «  A.  »  e  in  quelle  di  «  Cono  »). 

La  formula  di  datazione  è,  nelle  più  antiche  carte,  col- 
legata colla  subscriptio  cancelleresca,  della  quale  si  pre- 
senta come  una  continuazione.  Così  nelle  carte  di  «  Dodo  » 
e  nelle  due  di  «  Eyricus  »  degli  anni  103^  e  1035.  Nella  terza 
carta  di  «  Eyricus  »,  del  1032  febbraio  17,  le  due  formule 
si  intrecciano,  si  compenetrano  in  questo  modo  :  «  Facta  do- 
«  natio  XIII  kal.  marcii,  ego  Eyricus  presbiter  a  vice  Bovoni 
«  cancelarii  in  die  iovis  rogitus,  regnante  Rodulfo  rege  anno 
«  XLI,  indicione  XII,  feliciter  ».  La  formula  «  facta  donatio 
«  (  venditio  ec.)  »,  e  più  spesso  «  facta  carta  »,  è  usata  nelle  ri- 
manenti carte  del  primo  e  del  secondo  periodo  per  introdurre  la 
datazione,  la  quale  ora  si  distaccadalla  subscriptio  cancelle- 
resca e  prende  posizione  propria;  per  mezzo  delle  sottoscrizioni 
è  separata  e  dall' actum  e  dalla  sottoscrizione  dell'ufficiale 
della  cancelleria.  Soltanto  lo  scrittore  «  Cono  »  ritorna  all'uso 
di  prima  colle  carte  1146  novembre  e  1147  aprile,  nelle  quali 
la  subscriptio  è  seguita  dalla  datazione  (però  nella  prima 
carta,  di  cui  potei  esaminare  l'orig.,  la  formula  «  facta  carta  » 
si  trova  sul  verso  ad  introdurre  la  datazione  in  forma  ab- 
breviata), e  colla  carta  del  sett.  1103,  dove  pone  la  sua  sot- 
toscrizione tra  gli  anni  dell'  incarnazione  e  la  formula  «  re- 
«  gnante  Henri  co  rege». 

La  notiti  a  dorsale  del  primo  periodo  non  registra  dati 
cronologici.  Questi  sono  usati  soltanto  per  il  recto,  sempre 
iieir  escatoco  Ilo,  ma  in  modo  vario  a  seconda  degli  scrittori. 


298  Ll'Itìl    SCHIAPAKELIJ  |.3l>ì 

Così  «Dodo»  usa  il  giorno  della  settimana  e  del  mese  (secondo 
il  calendario  romano),  gli  anni  di  Rodolfo  III  di  Borgogna 
e  V  indizione  ;  «  Eyricus  »  pratica  lo  stesso  uso  nella  carta 
del  17  febbraio  1032,  in  un'altra  del  1032  omette  il  giorno  del 
mese,  e  in  quella  del  1035  adopera  soltanto  il  giorno  della 
settimana  e  l' indizione  ;  «  Petrus  presbiter  »  fa  uso  degli  anni 
«ab  incarnatione  »  e  dell'indizione;  nella  carta  del  1045  si 
hanno  il  mese,  il  giorno  della  settimana,  l'indizione  e  gli 
anni  di  Enrico  III. 

Nel  secondo  periodo  incominciano  a  comparire  elementi 
cronologici  anche  sul  verso,  cioè  nella  notitia  dorsale  : 
quindi  si  distingue  ora  una  datazione  abbreviata  sul  verso 
ed  altra"  più  completa  o  solenne  nella  faccia  recto.  La  carta 
di  «  Thomas  »,  colla  datazione  ampia  snl  verso,  sta  a  se,  ci 
segna  mi  momento  nello  sviluppo  della  carta  aostana.  «Cono» 
usa  scrivere  nella  notitia  la  feria  e  il  mese. 

Anche  in  questo  periodo  si  nota  varietà  di  uso  nei 
dati  cronologici  sul  recto.  «  [Ar]mannus  »  usa  il  mese,  il 
giorno  della  settimana,  l' indizione,  gli  anni  «  ab  incarna- 
«  tione  »  e  del  regno  di  Enrico  III  (1)  ;  «  Gosfredus  »  invece 
tralascia  il  giorno  della  settimana,  e  gli  anni  di  Cristo;  «  A.  » 
alla  sua  volta  trascura  giorno  e  mese,  ci  dà  l' a.  «  ab  incarn.  », 
e  non  registra  gli  anni  del  sovrano,  pur  usando  la  formula. 
Così  «  Cono  »  adopera  ancora  la  formula  «  regnante  Henrico 
«  rege»,  «regnante  Gunrado  rege»,  ma  senza  aggiungervi  il 
dato  cronologico;  indica  una  sola  volta  il  giorno  del  mese 
secondo  il  calendario  romano;  nota  sempre  il  giorno  della 
settimana,  ad  eccezione  della  carta  1125,  ma  due  volte  sol- 
tanto col  nome  proprio  del  giorno,  negli  altri  casi  ricorre  al 
ritus  ecclesiasticus,  cioè  alle  ferie;  usa  sempre  l'indi- 
zione e  gli  anni  di  Cristo.  E  a  proposito  dell'  indizione  va 
notato,  che  nelle  prime  tre  carte  essa  è  minore  di  un'  unità 
rispetto  all'  indizione  romana  corrispondente  all'  anno  di 
Cristo,  e  sarebbe  quindi  corretta  solo  se  fosse  usato  il  com- 
puto pisano;  nelle  tre  carte  successive  corrisponde  all' anno 
{è  romana  nella  carta  del  3  novembre  1127),  ma  poi   cessa 


(1)  Come  «  [Aijinannus  »  pare  datasse  anche  «  Thomas  »,  a  giudicare 
dal  frammento  (cfr.  A|)|)endice,  1,  n.  2):  aj?gi unge  però  la  festa  del  calen- 
dario ecclesiastico. 


[51)  CHAHTA    AUGUSTAXA  299 

questa  loucoidauza,  in  tal  modo:  nella  carta  iWl  l'indi- 
zione è  di  nuovo  minore  di  un'  unità  di  quella  corrispondente 
all'anno,  si  ha  cioè  IV  invece  di  V,  e  nelle  quattro  carte  suc- 
cessive, in  tutte,  l'indizione  si  mantiene  minore  di  due 
unità  (si  ha  rispettivamente  VI,  V^II,  Vili  invece  di  Vili, 
IX,  X)  ;  pare  insomma  che  si  tratti  di  errore  iniziale  nel  com- 
puto dell'indizione,  del  quale  il  cancelliere  non  si  avvide. 
Gli  anni  di  Cristo  sono  introdotti  nelle  prime  quattro  carte 
di  «  Cono  »  dalla  formula  «  anno  ab  incarnacione  Domini  », 
in  tutte  le  altre  da  «  anno  Domini  ». 

Se  veniamo  al  terzo  periodo,  le  carte  di  «  Stephanus  »  ci 
mostreranno  subito  il  formulario  che  venne  adottato  regolar- 
mente da  tutti  gli  scrittori  successivi  della  cancelleria.  Due 
carte,  dell'aprile  feria  ii  e  del  maggio  feria  iv,  1149  (1), 
servono  a  mostrarci  il  passaggio  alla  forma  definitiva  :  scom- 
pare la  formula  «  facta  carta  »  del  periodo  precedentje,  si 
collega  Factum  colla  datazione,  cui  segue,  separata  dalle 
sottoscrizioni  dei  testi  e  dei  fideiussori,  la  subscriptio: 
«  Actum  in  Augusta  Civita  te  in  claustro  S.  Marie  et  S.  lo- 
«  hannis  anno....  ab  incarnatione Domini,  in  mense...,  feria..., 
«  Gonrado  imperatore  regnante....  (vengono  i  «  testes  »  e  i 
«  fìdeiussores  »)....  Stephanus  dictus  cancellarius  scripsit 
«  et  subscripsit  rogatus  ».  Ed  eccoci  ora  alla  formula  ti- 
pica, la  quale  consiste  nel  premettere  la  sottoscrizione  can- 
celleresca e  nel  far  seguire  il  luogo  e  poi  i  dati  cronologici  : 
«  Stephanus  dictus  Auguste  cancellarius  scripsit  et  subscrip- 
«  sit  in  Augusta  ci  vitate  rogatus  corani  pluribus  ante  eccle- 
«  sia  S.  Marie  et  S.  lohannis,  feria  mi,  mense  mar.  Fre- 
«  derico  imperatore  regnante,  anno  Domini  M^'CL^VP  »  {^). 
La  tbrmula  che  viene  così  fissata  e  dura  per  tutto  il  periodo 
di  vita  della  carta  aostana  si  riduce  a  questo  schema  :  «  N.  ge- 
«  rens  vicem  N.  cancellarli  scripsit  et  subscripsit  in  Augu- 
«  sta  civitate  rogatus  corani  pluribus  loco  publico  ante  eccle- 
«  Siam  S.  Mariae  et  S.  lohannis,  feria...  («  feria...  ebd.  »  o 
«  die...  »)  (1)  mense...,  regnante...  imperatore  (o  «  vacante  sede 


(1)  La  pròna  è  edita  in  ll/sf.  pafr.  Mon..  Cliarl..  Il,  267,  n.  CCXXVl. 
Della  seconda,  orig.  nell'Arch.  di  S.  Orso;  il  verso  è  privo  di  dati  ci-o- 
nologicl. 

(2)  Originale  nell'Arch .  Vesc. 


800  i.uKtI  schiaparelli  |52J 

«  imperatorum  »),  anno  Domini  (o  «  ab  incarnatione  Domini  » 
o  «  dominicae  incarnationis  »)...  »  (2).  Le  varianti  a  questo 
schema,  come  le  eccezioni,  sono  poche.  Noterò,  come  esempio, 
che  il  cancelliere  «Stephanus»  omette  d'ordinario  «locopii- 
«  blico  »,  che  il  cancelliere  «Petrus  »  pone  per  lo  più,  quando 
ne  faccia  uso,  «  loco  publico  »  dopo  «  civitate».  Una  carta  di 
Stefano,  del  gennaio  1155,  ha  :  «  ....in  loco  publico,  videlicet 
«  ante  ecclesiam  S.  Marie  et  S.  lohannis  corani  pluribus  te- 
«  stibus...  »  ec.  (3).  In  due  carte,  pure  del  cancelliere  Stefano, 
dell'ottobre  feria  ii  1182  e  novembre  feria  vii  1187,  la  data- 
zione è  inserta  nel  testo  prima  della  minati o  (4).  Così  in  una 
carta  di  «  Petrus  »  del  gennaio  1193  ed  in  altra  di  «  Michael  » 
del  gennaio  1196  abbiamo  un  ritorno  all'uso  dei  periodi  prece- 
denti, cioè  la  sottoscrizione  cancelleresca  è  separata  dai  dati 
cronologici  per  mezzo  delle  sottoscrizioni  dei  testes  e  dei 
fideiussores  (5). 

Ciò  detto  in  riguardo  specialmente  alle  tormide,  aggiun- 
giamo qualche  cenno  sui  singoli  dati  cronologici  della  carta 
augustana  nel  terzo  periodo. 

Anno  di  Cristo.  Mons.  Due  scrive:  «La  plupart  des 
«  Charles  de  cette  epoque  sont  datées  d'après  le  style  de 


(l)  SiilFiiso  della  settimana  e  del  giorno  cfr.  p.  ^303. 

{"!)  Le  due  formule,  della  subscript  io  e  della  datatio,  non  ven- 
gono separate  nella  scrittura.  Soltanto  nelle  carte  di  «  Michael  »  si  va  a 
capo  di  linea  per  la  formula  di  datazione.  Per  la  formula  e  posizione 
del  datum  la  nostra  si  distacca  dalla  carta  usata  in  Italia  (cfr.  Bresslau, 
rylandenlelwe,  I,  852). 

(3)  Cfr.  lUst.  patì'.  Mon..  CJiarf..  II,  284,  n.  CCXXXIX,  dove  invece 
di  *  lohannis»  è  stampato  «iotus*. 

(4)  Nella  prima  carta  la  datazione  si  ripete,  ma  in  forma  abbreviata, 
neir  e  scafo  collo:  *  Stephanus  dictus  Auguste  cancellarius  scripsit  et 

*  subscripsit  rogatus  coram  pluribus  eodem  die  quo  hec  commutatio 
«  fuit  facta  ».  (Orig.  Arch.  Vesc).  La  formula  di  datazione  della  seconda 
si  distacca  dalle  altre:  *  Hoc  totum  autem  et  de  line  et  de  pace  in  Augusta 
«  civitate  loco  publico  ante  ecclesiam  S.  Marie  et  S.  lohannis  factum  fuit 

*  videntibus  et  audientibus  multìs  et  clericis,  anno  ab  incarnatione  Do- 

*  mini...  »  ec.  {Hisf.patr.  Mon.,  Charf..  I,  946,  n.  DCXVIII). 

(5)  Cfr.  HLst.  patr.  Mon..  CharL.  II,  1158,  n.  MDCLX  e  1173, 
n.  MDCLXXV. 


|5;f|  CHARTA    AUGUSTAXA  301 

«  rineaniatioii,  qui  commence  le  ^5  niars  »  (1),  e  dagli  esempi 
die  ricorda  si  deduce  che  egli  sia  d'avviso  che  fosse  in  uso 
il  computo  fiorentino  (2).  Per  le  carte  aostane  che  hanno 
soltanto  l'a.  di  Cristo,  la  feria  e  il  mese,  e  non  il  giorno 
del  mese  né  l' indizione,  viene  a  mancare  i,l  mezzo  per  giu- 
dicare con  sicurezza  dello  stile  o  principio  d'anno  usato  ;  ma 
se  esaminiamo  le  carte  in  cui  è  registrato  anche  il  giorno 
del  mese  o  l' indizione,  apprenderemo  che  l'anno  non  muta 
col  25  marzo,  ma  col  25  dicembre  o  col  l''  gennaio  (3). 

Non  raccolsi  né  conosco  carte  aostane  datate  tra  il  25  di- 
cembre e  il  1"  gennaio,  con  dati  cronologici  sicuri  che  per- 
mettano di  giudicare  suU'  uso  dell'  uno  o  dell'  altro  dei  due 
stili  (della  Natività  o  della  Circoncisione).  Se  allarghiamo 
l'esame  agli  altri  documenti  di  Aosta  e  della  Valle,  trove- 
remo in  questi  adoperati  i  due  stili  della  Natività  e  della 
Circoncisione  (4). 


(1)  Due,  (fui  aia  he.  p.  :214,  notai;  cfr.  anche  Due,  Lo  h.  liouiface 
ile  Valpergite.  p.  16,  nota  ^2;  HO,  nota  1;  121,  notai2;e  Due,  Esqiiìsses 
hi.sforiques.  II,  66,  nota  1;  9-2.  nota  2:  161,  nota  1;  197,  nota  1;  251, 
nota  l;  259,  nota  1;  382,  nota  1. 

(2)  Pare  che  egli  sia  venuto  in  questo  giudizio  intendendo  troppo 
letteralmente  la  lorniula  «  anno  dominicae  incarnationis  »  e  dando  una 
falsa  interpretazione  a  feri  a  (interpretò  «  feria  i  *  come  *  dies  prima  »  ec); 
cfr.  Cartidaire,  p.  215,  nota  1.  Dalla  formula  «anno  Domini*  di  una 
carta  del  cancelliere  Stefano  dell'aprile  1178,  suppone  che  questi  abbia 
usato,  almeno  in  detto  caso,  lo  stile  della  natività;  cfr.  Esqiiisses  Msf.. 
r.  114,  nota  2  e  II,  197,  nota  1,  dove  ammette  un  più  largo  uso  dello 
stile  a  nati  vitate;  cfr.  anche  Le  b.  Uonìface  de  Valpergue,  p.  152, 
nota  1;  15.3,  nota  1;  altrove  {Esqnissea  Jti.sf.,  II,  382,  nota  1)  suppone 
che  il  vicecancelliere  *  Dionisius  *  abbia,  in  due  carte  del  febbraio  e 
del  marzo  1290,  usato  lo  stile  moderno.  Questi  esempi  non  provano  nulla 
liguardo  al  principio  d'anno. 

(3)  Le  carte  citate  a  p.  .304,  nota  1,  le  quali  hanno  la  feria  e  il  giorno 
(lei  mesi  di  febbraio  e  marzo  rispondenti  agli  anni  di  Cristo  secondo  lo 
stile  moderno,  attestano  che  non  si  fece  uso  del  computo  fiorentino. 

(4)  *  Libravit  [Guillelmus  de  Castelliono  baillivus  Vallis  Auguste  a 

*  die  XIV  augusti  MCGGXLVI  usque  ad  diera  viii  septembris  MCCGXLVII], 

*  heredibus  Nicholeti  Felisie,  civis  Auguste,  prò  prima  solutione  termini 

*  lesti  nativitatis  Domini  ({uo  inceperunt  ciirrere  anni  eiusdem  MGGGXLVI  » 
Gabotto,  op.  cit.,  p.  :ì89.  Nei  Conti  dellv  Cauteli ((uie  ricorre  non  tanto 
di  ijido  l'espressione:  «  die  testo  nativitatis  Domini  >  o  *  in  testo  nativi- 

Arch.  Ktor.  It.,  5."  Serie.  —  XXXIX.  -" 


802  LUIGI   SCHIAPARELLI  |54J 

La  formula  «  anno  domiiiice  iiicarnationis  »  o  simile  è 
spesso  adoperata  nei  documenti  medievali  per  indicare  sem- 
plicemente «  anno  Domini  »,  anno  dell'era  cristiana;  inoltre 
«  incarnatio  Domini  »  nel  Medioevo  prese  non  di  rado  il 
doppio  significato  di  «  annunciatio  »  e  di  «  nativitas  »  (1). 

Anno  di  regno  e  di  impero.  Non  figurano  gli  anni, 
ma  perdura  la  formula  :  «  regnante....  rege  »  o  «  imperatore  », 
la  cfuale  viene  usata  durante  i  regni  di  Corrado  III,  Fede- 
rico 1,  Enrico  VI,  Filippo  di  Svevia,  Ottone  IV,  Federico  II  e 
Carlo  IV.  L' imperatore  Federico  II  viene  designato  coi  suoi 
due  nomi  di  battesimo,  e  quindi  si  legge  :  «  regnante  Federico 
«  Rogerio  imperatore  »  (^).  A  «  regnante...  »  si  contrappone  la 
formula  :  «  vacante  sede  imperatoris  »  o  «  im])eratoruni  »,  o 
«  sede  imperatoria  »  o  «  imperiali  ».  L'  uso  delle  due  foiniule 


*  tatis  Domini  ([uo  die  incipiunt  ciiriere  anni  eiiisdem  a  nativitate....  ». 
Negli  tStatuti  di  Amedeo  VI  (ed.  G.  N\xr,  op.  cit.,  p.  160).  art.  64:  *  Item  qiiod 

*  singiili  Secretarii  teneantur  singulis  annìs  in  festo  nativitatis  Domini 

*  tradeie  registium  omnium  instiumentorum  que  in  anno  retro  receperint 

*  prò  domino  nostro  eomite  custodi  crote  Domini  existentis  in  Ghamhe- 

*  riaco  ».  Nelle  poche  e  frammentarie  imbreviature  che  ho  potuto  esajiii- 
nare  nelF  Archivio  Capit.  di  Aosta  1"  anno  cambia  col  1  gennaio.  L"  uso 
dei  due  stili  era  probabilmente  promiscuo  nella  Valle  d"  Aosta,  come 
negli  altri  Stati  della  Monarchia  di  Savoia;  cfr.  Datta,  Legioni  di  p<i- 
leoyyafin  e  critica  (ìipìotnafica  (Torino,  1834),  pp.  378-379,  e  nel  ducato 
di  Borgogna,  cfr.  Giry,  Manuel  de  diploìnafiqtte  (Paris.  1894).  p.  1:21. 
L' istromento  edito  dal  Pi  vano,  op.  cit.,  p.  177,  n.  GV,  datato  presso 
Ghatiilon  «  Anno  Domini  MGGXXX.  lercia  ind.,  pridie  kal.  ianuarii  ».  è 
probabilmente  del  31  die.  1229,  collo  stile  della  natività  e  coir  ind.  del 
sett.  o  romana  del  25  die.  Neil'  istromento  del  24  die.  1253.  ed.  Bat- 
taglino, op.  cit,,  p.  265,  n.  XXVII,  è  usata  Tind.  del  settembre:  «anno 

*  Domini   MGG"LIII^  ind.  XII%   mense  decembris    in    vigilia  nativitatis 

*  Domìni  »  :  venne  scritto  in  Aosta,  ed  è  probabilmente  dell*  ultimo  gioino 
del  1253,  stile  della  natività.  La  formula  *  anno  dominicae  Nativitatis  ^ 
o  simile  dovette  essere  usata  raramente  nel  territorio  di  Aosta.  Tn 
esempio  si  ha  in  Due,  Cartìdaire,  p.  273. 

(1)  Nelle  carte  aostane  (redazione  sul  recto)  è  laro  il  caso  che  si 
ometta  l'a.  di  Cristo;  notai  due  esempi  in  carte  di  «Michael»,  I"  una 
dell'ottobre  feria  vi  e  l'altra  del  marzo  feria  i  (orig.  Arch.  Vesc). 

(2)  Questa  formula  nelle  carte  aostane  venne  avvertita  già  dal  Beth- 
MANN  (cfr.  Pertz.  Jrclfir.  XFI.  591),  e  dal  Kehx.  o]).  cit..  p.  4,  nota  1. 


[55;  CHAKTA    AUCiUSTAXA  :^03 

varia  secondo  gli  scrittori,  dei  quali  alcuni  ora  se  ne  servono 
ed  Ola  no  ;  non  di  rado  poi  sono  usate  irregolarmente,  sicché 
per  la  datazione  delle  carte  non  sempre  o  ben  poco  giovano. 

Indizione.  L'uso  dell'indizione  è  raiissimo  nelle  carte 
aostane  del  terzo  periodo  (1).  Nei  documenti  della  Valle  di 
Aosta  si  adopera  in  generale  l'indizione  romana  del  25  di- 
cembre o  del   l''  gennaio,  la  quale  cambia  coiranno;  raro 

dev'essere  stato  Fuso  dell*  indizione  del  settemlire  (*^). 

Giorno  della  settimana  e  del  mese.  Nelle  prime 
calte  del  terzo  periodo  prevale  il  sistema  di  indicare  soltanto 
la  teria  e  il  mese.  Nelle  carte  aostane  non  trovasi  mai  «  dies 
«  dominica  »  ma  «  teria  i  »,  non  mai  «  dies  sabbati  »  ma 
«  feria  vii  »  (3).  Con  questo  metodo  si  indicava  il  gioi-no  di 
una  settimana  del  mese  senza  aggiungere  di  quale  settimana, 
e  ne  derivava  quindi  un'  indeterminatezza,  non  potendosi 
fissare  con  precisione  il  giorno  del  mese.  Nel  XIII  e  XIV  se-, 
colo  si  provvide  a  grado  a  grado  a  tale  inconveniente  col- 
r  aggiunta  di  altri  dati  cronologici. 

Nella  data  sulla  redazione  del  recto  compare  nel  XI \' 
secolo   r  «  ebdomada  ».  poi  il  «  die....  »,  cioè  l'uso  che  dura 


(1)  Registrai  <iue  soli  casi,  in  una  carta  di  Stefano  del  IKW  iiiaizo 
feria  ii  (Pivano,  op.  cit.,  p.  VM,  n.  41),  ed  in  altia  dello  scrittole  L'go 
del  13:23  aprile  feria  vi  (orig.  Ardi.  Capit.). 

{•2)  Clr.  p.  301,  nota  4.  Nei  documenti  di  Aosta  pubblicati  dal  Due  e  dal 
Fkutaz,  di  cui  a  p.  254,  nota  2,  è  usata  costantemente  Tind.  romana. 

(3)  L'uso  del  ritus  ecclesias ficus  si  trova  esteso  in  Aosta  a 
tutti  i  generi  di  documenti,  anche  agli  istromenti  notarili.  In  questi,  per 
designare  il  giorno  del  mese  e  della  settimana,  si  ricone  spesso  alle  feste 
del  calendario  ecclesiastico,  indicandole  col  nome  del  santo  o  colle  prime 
parole  deir Introito  della  Messa;  di  tale  uso  avvertii  un  solo  esempio  in 
carta  aostana,  precisamente  nella  carta  di  *  Thomas  *  {Appendice.  1,  n.  2). 
L'uso  del  rito  ecclesiastico  è  raro  nelle  carte  italiane,  ed  anche  in  quelle 
di  Ivrea,  molto  vicina  ad  Aosta,  appare  in  caso  eccezionale.  Ricordo  un 
esempio  in  diploma  del  vescovo  Guido  (Gabotto,  Le  carte  dell'Archivio 
Vescovile  d' Ivrea  fino  al  1S13,  I,  Pinerolo,  1900,  14,  n.  IV,  nella  liiblio- 
feca  della  Società  storica  Subalpina):  «Anno  ab  incarnacione  Domini 
*  M^CXXII".  feria  iiP,  indictione  vif,  Lotario  imperatore  regnante,  luna 
«  septima  *.  In  quesf  uso  del  rito  ecclesiastico  la  carta  aostana  è  piut- 
tosto analoga  alla  carta  del  territorio  franco. 


304  LUIGI    SCHIAPARELU  [5(3] 

tuttora  di  numerare  i  giorni  dal  primo  all' ultimo  del  mese. 
Del  computo  secondo  il  calendario  romano,  per  calende,  none 
e  idi,  ho  notato  pochi  esempi  nel  terzo  periodo,  e  tutti  in 
carte  del  cancelliere  «Stephanus»  (1). 

Nella  notiti  a  dorsale  in  questo  periodo  ahbiamo,  come 
già  rilevammo,  una  datazione  abbreviata,  la  quale  riferisce, 
in  calce,  la  feria  e  il  mese  (2).  Alla  line  del  XIII  secolo  entra 
in  uso  anche  1'  «  ebdomada  »  (3)  e  col  XIV  secolo  si  adopera 
il  sistema  di  numerare  i  giorni  del  mese  con  «  die  »  in  or- 
dine diretto  (4).  Il  quale  sistema  si  allarga  e  ben  presto  sot- 
tentra alla  feria  e  alla  settimana.  Nel  XIII  secolo  compaiono 
anche  sul  verso  gli  anni  di  Cristo  (5);  pare  che  quest'uso  si 


(1)  Ad  es.,  nelle  carte  1161  kal.  mar.  feria  v  (copia  1770  dicembre  4, 
Arch.  di  Sant'Orso;  la  feria  v  sarebbe  corretta  col  1  marzo  1162).  1176 
kal.  mar.  feria  ii  (orig.  Arch.  di  Sant'Orso),  e  nelle  carte  1188  kal.  febr. 
feria  ii  e  1172  kal.  febr.  feria  in  (Pivano,  op.  cit..  p.  126,  n.  14,  e  p.  132, 
n.  35).  Le  carte  del  1311  e  1312,  edite  dal  Due,  in  Docnìnents  roìafìfs  n 
iépincopat  chi  h.  Émeric  I,  n.  70,  e  Appendice,  nn.  16-17,  hanno,  nella 
citata  edizione,  la  prima  *  feria  vi,  mi  eddibns  mensis  aprilis»,  la  seconda 
«  feria  vii.  mensis  augusti,  un"  ed.  »,  la  terza  «  feria  vi*,  mi"  edd.  mensis 

*  iulii  *;  il  Due  interpretò  klihiis,  ma  io  ritengo  che  gli  oiiglnali  ab])iano 

*  ebd.  »•  e  che  si  debba  leggere  *  ebdomada  ». 

(2)  Spesso,  per  trovarsi  questi  dati  cronologici  troppo  in  basso,  sono 
molto  corrosi  e  guasti,  e  in  alcuni  casi  in  cui  majicano  si  rimane  incerti 
se  non  siano  stati  asportati  da  taglio  della  pergamena.  Feria  si  abbrevia 
in  F  o  Flì  e  mense  in  M.  La  carta  del  marzo  feria  iii  1232,  edita  dal 
Battaglino,  op.  cit..  p.  258,  n,  XX,  aggiunge  dopo  feria  e  mese:  *  in  ci- 
«  vitate  Augusta  ». 

(3)  I  primi  esempi  eh'  io  notai  sono  del  1298.  Se  le  mie  osservazioni 
furono  esatte,  la  settimana  si  usò  prima  per  la  datazione  sul  verso,  poi 
passò  sul  recto. 

(4)  Ho  notato  il  primo  esempio  in  una  carta  del  1319. 

(5)  Ho  notato  il  primo  esempio  in- una  carta  dell'Archivio  Vescovile 
del  1217  (dove  però  Fanno  è  molto  corroso),  il  secondo  in  una  carta  del 
1299.  11  (Jartiilaire,  edito  da  mons.  Due.  ci  darebbe  moltissimi  esempi  : 
a.  1217.  p.  28Ò.  n.  LXXXIII;  a.  1232,  p.  253,  n.  LVII  ec,  se  non  che  resta 
il  dubbio  che  l'aggiunta  dell'anno  sia  dovuta  talora  al  compilatore  del 
Cartolario  e  che  egli  l'abbia  ricavata  dal  recto  della  carta.  E  clie  in 
([ualche  caso  così  si  sìa  fatto,  che  cioè  siano  stati  aggiunti  arbitrariamente 
alla  notitia  del  verso  dati  cronologici  che  erano  soltanto  sul  recto, 
non  è  dubbio;  cfr.  ad  es.,  p.  211,  n.  MII,  dove  la  formula  «regnante»  ec.  è 
certo  ricavata  dalla  datazione  del  recto.  Un  esempio  ci  offre  pure  una  carta 
dell'aprile  1197,  Hi.st.  patr.  Moti.,  dtart.,  IL  1177,  n.  MDCLXXXI,  masi 
avverta  che  è  stata  estratta  da  un  cartolario,  arch.  della  chiesa  di  Fénis.  Sul 


|57|  CHARTA    AUUUSTANA  :M5 

possa  fai"  pj'iiK-ipiare  piuttosto  verso  la  fine  del  secolo,  però 
non  si  mantenne  eostante. 

Risulta  da  queste  poche  osservazioni,  come  nel  XIV  se- 
colo la  datazione,  nella  carta  aostana,  sia  andata  facendosi 
più  completa  e  precisa  coli'  indicazione  del  giorno  del  mese  ; 
anche  sul  verso  penetrarono  i  dati  cronologici  che  prima 
si  avevano  solo  sul  recto  e  si  finì  per  avere  tutti  i  mede- 
simi dati  nelle  due  redazioni.  La  data  della  redazione  sul 
recto  venne  così  a  differire  da  quella  sul  verso  unicamente 
per  avere  in  più  l'elemento  formale. 

Sul  riferimento  in  genere  dei  dati  cronologici  e  del  luogo 
ad  uno  stesso  periodo  o  momento,  e  precisamente  all'  azione, 
non  vi  può  essere  dubbio,  tanto  parlano  in  modo  chiaro  e  la 
fornnila  stessa  di  datazione  e  gli  esempi  di  carte  aostane  fatte 
complete  dopo  un  certo  tempo  e  colla  data  che  appartiene 
alla  prima  redazione  (1).  Molto  di  rado  si,  trova  espressa  una 
data  diversa  per  le  due  redazioni  {^).  La  formula  «  facta 
«  donatio  »,  «  facta  carta  »  dei  primi  due  periodi  si  riferisce, 
stando  all'espressione,  alla  fattura  o  compilazione  del  docu- 
mento, ma  in  realtà  questa  viene  a  confondersi  coli' azione, 
cui  dovette   seguire  senza  intervallo  o  a  breve  distanza  (3Ì. 

Apprecatio.  La  formula  usata  è  «  feliciter  »,  che  leg- 
gesi  nelle  carte  del  primo  periodo  e  del  secondo  fino  al  1091. 
Segue  immediatamente  alla  datazione;  soltanto  nelle  carte 
del    1053   marzo  e  del    1091    è   collocata  tra  i  dati   crono- 


verso.  Tanno  si  abbrevia  spesso  omettendo  b2tìO:  così  IX»  =  (MCC)IX'^ ; 
CI  =  (MCC)CI.  Sul  recto  le  abbreviature  nellanno  sono  molto  rare  e 
senza  norma  costante:  ho  notato  un  caso  coir  omissione  di  M,  altri  di 
ce  (vedansi  due  esempi  in  Frutaz,  op.  cit.,  n.  1  e  Pivano,  op.  cit.,  p.  8:2, 
n.  Il;  cfr.  p.  310,  nota  :2  e  p.  343,  nota  12).  Si  possono  incontrare  usi 
speciali  di  singoli  scrittori;  ad  es.,  «  (juillelmus  »  abbrevia  con  IX  Va. 
MGCXCIX,  cfr.  p.  270,  nota  i.  A  proposito  rilevo  l'uso  nelle  carte  aostane 
di  esprimere  49  con  IL,  quindi  si  trova  ad  e*i.  :  MCCCIL  =  MCCCXLIX. 

(1)  Cfr.  p.  267,  nota  3;  p.  269,  nota  2;  p.  270,  nota  1. 

(2)  Ho  notato  due  soli  esempi  in  carte  del  1309  ;  cfr.  p.  270.  nota  1 . 

(3)  In  una  carta  del  novembre  feria  vii,  1187:  «  Notum  sit  omniims 

♦  quod....  finem  et  pacem  fecerunt....  de  omni  querinronia  et  querela  que 

*  erat  Inter  ipsos  usque  ad  hanc  diem  quo  hec  carta  facta  fuit  »  Hisf. 
pdf)-.  Mon..   diart..   1.  946.    n.  DCXVIII:  Puano.  op.   cit..    p.  127.  n.  17. 


806  LUIGI    SCHIAPARELLI  |58J 

logici  (1).  Colle  carte  di  «Cono»,  cioè  col  XII  secolo,  J'appre- 
catlo  scompare  dall'uso  nella  nostra  carta. 

Riassumendo,  diremo  che  la  carta  aostana  presenta  ca- 
ratteri estrinseci  ed  intrinseci  che  la  differenziano  dalla  carta, 
finora  conosciuta,  usata  in  altri  territori.  Vien  fatto  di  do- 
mandarci con  quali  altri  gruppi  di  carte  abbia  maggiore  af- 
finità, e  se  si  debba  classificare  tra  la  carta  italiana  longobarda 
()  tra  quella  del  regno  franco.  Aosta  colla  sua  Valle,  prima 
(li  essere  Piemontese,  fece  parte  del  reame  di  Borgogna,  e  la 
sua  carta,  che  si  andò  formando  in  detto  periodo,  appar- 
tiene in  tidto  a  questo  territorio  giuridico;  ha  però  propri 
caratteri  distintivi,  che  della  carta  augustana  fanno  un 
lirupjx)  speciale  di  carta  franco-burgunda.  Le  maggiori  affi- 
nità le  troveiemo  adunque  coi  documenti  di  detta  regione; 
al  di  qua  delle  Alpi,  nella  confinante  Ivrea,  siamo  in  altro 
territorio  giuridico,  dove  è  usata  la  carta  longobarda  (2).  La 
carta  aostana,  come  prodotto  di  una  cancelleria,  ha  speciali 
caratteri  di  solennità,  propri  in  genere  del  documento  pub- 
l)lico,  ed  è  condotta  con  regolarità  grande;  le  sue  formule 
si  ii])et()n()  (*  durano  a  lungo  come  stereotipate. 

IV. 

Valore  giuridico  della  carta  aostana. 

Vediamo  anzitutto  quale  valore  abbiano  le  due  redazioni, 
considerate  l'una  rispetto  all'altra;  poi  cercheremo  di  co- 
noscere il  valore  generico  della  nostra  carta  di  fronte  agli 

.•litri  atti  scritti. 

(1)  \a\  calta  1053  niaizo  usa  anche  «valeat»,  ma  staccato  da  «feliciterà. 

(-1)  Le  osservazioni  fatte,  come  ([nelle  che  seguiranno,  riguardano  la 
calta  aostana,  considerata  sotto  l'aspetto  diplomatico,  non  le  leggi  e  non  le 
consuetudini:  sicché  non  entro  nella  ({uestione  quale  sia  stato  il  diritto 
privato  in  Aosta,  ([uali  influenze  si  siano  esercitate  ed  abbiano  piedoni i- 
nato  in  (|iiesto  territorio.  Uno  studio  sui  documenti  eporediesi  mostrerà 
torse  (jualcJie  intiìtrazione  o  ricordo  dell'uso  che  si  praticava  nella  con- 
finante Aosta  e  nel  territorio  franco:  ma  la  carta  usata  nel  Canavese  sta 
colle  altre  del  Piemonte,  appartiene  cioè  al  gruppo  della  cai-ta  del  regno 
longobardo,  e  non  ha  riscontro  colla  nostra.  1/ influenza  del  documento 
usato  nella  vicina  Ivrea  si  fece,  se  mai,  sentire  in  Aosta  coll'istiomento 
notarile,  che  da  Ivrea  risalì  probabilmente  la  Valle  d'Aosta. 


|5!»i  CHARTA   AUGUSTANA  807 

È  chiaro,  da  quanto  esposi,  che  la  notitia  dorsale  non 
j>u()  dirsi  né  considerarsi  soltanto  minuta  o  abbozzo  della 
re(U\zione  sul  recto.  Dovette  servire  come  tale  nel  primo 
periodo,  non  certamente  dopo,  quando,  ad  es.,  si  fece  uso 
dell'  imbreviatura,  che  allora  questa  fu  fonte  e  base  alla  reda- 
zione solenne  o  copia  a  buono  dell'atto.  È  pure  chiaro,  che 
le  due  redazioni  verso  e  recto  non  si  confondono,  non  si 
ripetono.  Quella  sul  recto  non  contiene  tutto  il  verso,  e 
non  esclude  il  verso.  Chi  pubblicasse  quindi  della  carta 
augustana  soltanto  il  testo  del  recto  non  riprodurrebbe 
ratto  per  intiero  con  tutti  i  suoi  elementi.  La  notitia  dorsale, 
nel  periodo  del  maggiore  svolgimento,  ha,  come  abbiamo 
veduto,  la  di  sposi  fio  talora  più  estesa  di  quella  sulla  faccia 
recto,  non  mai  più  breve;  ha  i  testes  e  i  fideiussores, 
che  mancano  sempre  alla  redazione  sul  recto;  non  ha,  come 
questa,  la  sottoscrizione  cancelleresca;  i  laudatores  possono 
trovarsi  ora  sul  verso  ora  sul  recto  ;  la  datazione  è  comune 
alle  due  redazioni,  ma  è  completa  nellaì  formula  e  nei  dati 
cronologici  solo  nella  parte  recto;  le  formule  sono  svilup- 
pate soltanto  in  questa  parte  o  faccia.  Avremo  invece  tutti. gli 
elementi,  salvo  i  formali,  della  carta,  se  di  essa  pubbliche- 
remo il  verso  e  l'escatocollo  del  recto.  E  questo  è  il  me- 
todo in  generale  adottato  nelle  trascrizioni  che  di  detta  carta 
si  fecero  in  Aosta  da  ui!ìciali  della  Curia  e  da  notai  pubblici  ; 
è  il  metodo  pure  seguito  nel  cartulario  del  XIII  secolo,  che 
si  conserva  frammentario  presso  l'Archivio  dell'Ospedale 
Maiuiziano  in  Torino  (1). 

Il  protocollo  o  r  imbreviatura,  qiiando  principiò  ad  es- 
sere in  uso,  accoglieva  la  prima  redazione  scritta  deiratto. 
La  notitia  dorsale  viene  dopo  questa  e  da  questa  dipende  ; 
è  quindi  una  seconda  redazione  dell'atto,  è  notizia,  memoria, 
narrazione  di  un  fatto  la  cui  azione  giuridica  è  stata  com- 
piuta prima.  Questa  seconda  redazione  è  documento  di  prova. 
Da  ini  esame  degli  originali  si  ricava,  che  i  nomi  dei  lau- 
datores  furono   spesso  aggiunti   dopo   un    certo  tempo,   a 


(1)  Kdito  da  !S.  PiVANO,()p.  cit.,p|).  I  ISsegg.  Cfr.  Kkhn.  op.  cit..  pp.ti-S,  71. 
La  datazione,  ricavata  dal  recto,  viene  per  lo  più  inserta  prima  di  «  pre- 
^  cium  *  o  di  *  pena  *.  anziché  in  fine  dell'atto. 


308  LUIGI   SCHIAPARELLI  |60] 

una  certa  distanza  o  pausa  dalle  altre  parti  della  carta,  le 
quali,  salvo  poche  eccezioni,  appaiono  scritte  senza  inter- 
ruzione dal  principio  alla  fine.  Questo  fatto  ci  permette  di 
dedurre,  che  spesso  i  nomi  dei  laudatores  non  si  trovas- 
sero nell'imhreviatura,  o  ivi  pure  venissero  aggliniti  dopo  (1). 
Non  dovevano  invece  mancare  i  testi  e  i  fideiussori.  Questi 
sono  testes  e  fideiussores  non  della  notitia,  ma  del- 
l'azione del  documento,  dell'atto  giuridico,  di  cui  il  verso 
della  pergamena  contiene  la  narrazione  e  serba  la  memoria. 
Manca  a  questa  notitia  dorsale  il  carattere  del  documento 
dispositivo  ;  ha  giuridicamente  e  diplomaticamente  il  valore 
di  un  breve.  Lo  scritto  che  abbiamo  sul  recto  ci  dà  una 
terza  redazione  del  medesimo  atto,  ed  è  anzitutto  pur  esso  do- 
cumento di  prova.  E  si  comprende  come  essendo  tale,  ripro- 
ducendo cioè  quel  testo  che  dall' imbreviatura  era  passato 
sul  verso  della  pergamena,  a  poco  a  poco  si  sia  fatto  a 
meno  di  ripetere  tutto  quanto  già  si  trovava  sull'altra  faccia 
della  pergamena.  Però  questa  terza  redazione  non  scomparve, 
non  venne  soppressa,  perchè  il  suo  carattere  non  era,  come 
la  forma  e  il  contenuto,  solamente  uguale  a  quello  della 
notitia  dorsale;  essa  non  era  solamente  documento  dì  prova, 
come  la  notitia,  ma  era  anche  documento  dispositivo.  Di- 
spositivo, non  nel  senso  che  l'azione  giuridica  cominciasse 
ora,  poiché  questo  valore  l'ebbe  prima  l' imbreviatura  ;  ma 
nel  senso  che  colla  sottoscrizione  dell'ufficiale  pubblico  della 
cancelleria,  colla  solennità  di  redazione  scritta  si  veniva 
a  dare  pubblica  forma  dispositiva  all'atto.  Questa  terza  re- 
dazione non  era  necessaria  quando  le  persone  interessate 
non  credessero  opportuno  di  dare  maggiore  sicurezza  o  fede 
al  loro  atto,  precisamente  come  non  era  sempre  necessario 
di  ogni  imbreviatura  notarile  stendere  1'  instrumentum 
publicum(^).  Siccome  però  ci  sono  pervenute  non  poche 
carte  aostane  colla  sola  notitia  dorsale,  ed  alcune  con 
note  cancelleresche  che  le  tolgono  ogni  valore,  siamo  in- 
dotti a  supporre  che  fosse  obbligo  di  redigere  questa  scrit- 


(J)  Cfr.  pp.  ^64-,  :U7.  e  Kkkn.  op.  rit,,  |)p.  IMO. 
(2)  Cfr.  Kkhx,  op.  cit..  p.  m. 


|(UJ  CHARTA  AUGUSTAXA  309 

tura  ()  notiti  a  sul  verso,  e  forse  entro  un  dato  tempo  (1), 
salvo  poi  a  completare  la  carta  quando  le  persone  interessate 
lo  richiedessero  {;2).  In  questo  caso,  naturalmente,  la  sclieda 
o  la  pergamena  colla  sola  notizia  dorsale  veniva  consegnata 
alle  parti  (3).  Forse  alcuni  avranno  evitato  di  passare  al  com- 
pimento della  carta  per  risparmio  di  spesa.  L' intervallo  che 
talora  si  constata  tra  le  due  redazioni  sul  verso  e  sul  recto, 
si  spiega  appunto  supponendo  che  la  carta  sia  stata  com- 
piuta solo  quando  si  sentì  il  bisogno  di  assicurare  piena  fides 
publica  all'atto  (4).  E  ditatti  in  alcuni  casi,  quando  si  vuole 
assicurare  vieppiù  l'esecuzione  dell'atto  di  cui  si  redigerà 
ima  carta  augustana,  si  dice  espressamente  che  questa 
dovrà  essere  completa  (5). 

La  notitia  dorsale  della  carta  aostana  sta  al  breve  come 
la  redazione  sul  recto  all' istromento  pubblico.  A  differenza 
di  questo,  la  nostra  carta  ci  dà  in  più,  sul  verso  della  per- 
gamena, copia  della  prima  redazione  dell'atto,  quella  re- 
dazione che  r  ufficiale  della  cancelleria  raccolse,  e  fermò 
neirimbreviatura  o  protocollo,  direttamente  dalla  voce  degli 
autori  dell'atto  e  alla  presenza  dei  testi  e  dei  fideiussori  (6). 
La  redazione  sul  verso  è  una   vera   imbreviatura   dorsale. 


(1)  Gli  Statuti  di  Pietro  II  di  Savoia  stabiliscono  un  termine  per  gli 
istionienti  :  *  Item  statuinius  quod  omnes  taljelliones  qui  eiiint  in  Goini- 

*  tatù  SaJjaudie,  postquam   instruinenta   vel  carte   fuerint    abreviata.  te- 

*  neantui-  tacere  cartas  seu  instrumenta  infra  mensem  quo  per  ipsos  fue- 

*  runt  abreviata....  ».  Gir.  G.  Nani.  op.  cit..  p.  1-21,  art.  15. 

(^)  In  alcuni  casi  non  si  passava  al  compimento  della  carta  perchè 
l'azione  giuridica  non  aveva  avuto  intero  effetto:  cfr.  p.  267,  nota  1. 

(3)  E  nessuna  meraviglia  se  troviamo  di  queste  notitie  scritte  sulla 
l'accia  più  levigata  o  recto;  cfr.  Appendice,  I,  nn.  4,  5. 

(4)  11  Kern,  op.  cit.,  p.  65,  è  d'avviso  che  tutta  la  carta,  colla  re- 
dazione sul  recto,  venisse  compilata  alla  presenza  dei  testimoni.  *  wiih- 

*  rend  des  Rechtsaktes  »  :  quanto  abbiamo  esposto  |)rova  il  diverso    |)i()- 
cedimento  e  valore  delle  due  redazioni. 

(5)  Gfr.  pp.  345.  346.  L'esempio  ricordato  più  sopì  a  (p.  267,  nota  3) 
di  due  carte  complete  scritte  sulla  stessa  pergamena  sarebbe  contrario  a 
questo  procedimento:  ma  forse  trattasi  di  un'eccezione. 

(6)  Dice  il  Kern:  *  Die  Aostaner  Urkunde  liisst  sich  nur  verstehen, 

*  wenn  man  Vorder  -  und  Ruckseite  als  ein  untrennbares  Ganzes.  etwa 

*  wie  die  zwei  Seiten  einer  Miinze,  auff'asst.    wobei  die   materiellen   He- 

*  standteile  der  Dorsualfassung  durch  die  Rechtskraft  des  inneren  Textes 
«  gedeckt  werden  »  (op.  cit..  p.  6). 


:>10  Li: Idi    SCHIAPAKELLI  \()2\ 

La  carta  augustana  non  fu  l'unico  atto  scritto  usato 
in  Aosta.  La  serie  delle  carte  private,  cui  la  nostra  appar- 
tiene, comprende  anche  in  Aosta  brevi  o  notizie  e  istro- 
menti.  Di  carta  propriamente  detta,  che  non  presenti  i 
caratteri  peculiari  flell'aostana,  conosco  mi  solo  esempio  (1), 
avanzo  di  un  genere  di  documento  che  anche  in  Aosta  fu 
certo  in  uso  e  che  il  tempo  non  ci  ha  tramandato  in  maggior 
numero.  Questo  documento,  per  noi  di  speciale  interesse, 
a])partiene  per  il  formulario  alla  carta,  ma  ha  la  forma 
oggettiva  della  notitia  o  del  breve;  occupa  un  posto 
intermedio  tra  la  carta  soggettiva  e  la  carta  oggettiva,  quale 
si  ha  nella  redazione  sul  recto  della  carta  aostana.  L'istro- 
mento  penetra  tardi  in  Aosta,  dove  i  primi  esempi  sono 
della  prima  metà  del  XIII  secolo  (i2)  ;  l'uso  suo  si  allarga 
quando  diminuisce  quello  della  carta  aostana,  siccliè  con- 
verrà per  il  nostro  studio  mettere  da  prima  in  confronto 
questa  coi  brevi.  Gli  altri  documenti  di  Aosta,  quelli  che 
vanno  classificati  tra  i  pubblici,  come  i  diplomi  ^escovili 
degli  abbati,  del  capitolo  ec,  di  rado  prendono  la  torma  della 
carta  aostana  e  quindi  non  si  confondono  con  questa  :  oi'dina- 
riamente  hanno  forma  propria,  la  quale,  in  genere,  da  prima 
è  quella  della  carta  o  del  breve,  poi  quella  dell' istromento 
pubblico  (3). 

La  carta  aostana  del  primo  e  dei  secondo  periodo  è, 
si  può  dire,  l'unico  documento  privato  aostano  a  noi  giunto 
di  quell'epoca,    cioè  tìn   quasi  alla  metà  del  XII  secolo  (4). 


(l)  Ctr.  AppeìKÌivc.  I.  n.  (>. 

{;2)  L"  istromento  che  piibblicò  F.  G.  Frutaz,  op.  eit..  n.  I,  colla  data 
l(H)5  è  certamente  molto  posteriore  :  è  forse  del  1^5,  al  qual  anno  cor- 
risponderebbe l'indizione  vili;  la.  sarebbe  stato  abbieviato  omettendo  ce 
(ctr.  p.  304,  nota  5). 

(3)  Anche  atti  dei  conti  di  Savoia  sono  nella  forma  tiella  caita  auji:.  : 
cfr.  ]).  815,  nota  1.  Quando  è  usato  in  Aosta  Tatto  notaiile.  troviamo  di- 
plomi vescovili  scritti  da  notai  pubblici,  e  si  dilferenziano  dall"  istiomento 
per  r  autenticazione  e  per  il  sigillo  del  vescovo. 

(4)  È  ritenuto  spurio  il  diploma  del  vescovo  Giso  dell"  a.  iHi()  circa. 
Il  foi-mulario  e  il  contenuto  storico  sollevano  gravi  dubbi  sulla  sua  au- 
tenticità. Edizioni  :  Besson,  Móntolres pour  ì'/nsfoh;e  ecciési((Htì(jìie  (fes 
(lioa'ses  de  Genere.  Tct ninfa ise,  .iosfe  et  Maurien ne  (Nanay,  1759).  p.  479, 
l'rciires  n.  Ili:  (Uilli<(  ('hrÌHtiaua,  XII,  hiaty.  485,  n.  II;  Savio.  (Ui 
(inficili  rescori  d' Haìia.   Il  Piemonte  (Torino.  1899).  p.  85:  LAmuzzi.    L(i 


[(j:j\  CHAKTA   AUGUSTA X A  -Ul 

Nel  terzo  periodo  della  carta  aostana,  quando  questa  rag- 
giunse il  maggiore  sviluppo  e  prima  che  penetrasse  in  Aosta 
r  istromento  notarile,  troviamo  in  uso  accanto  ad  essa  nu- 
merose carte  private,  le  quali  però,  fatte  poche  eccezioni, 
non  appartengono,  in  istretto  senso  diplomatico  e  giuridico, 
alle  carte  ma  alle  notitie(l).  Diremo  che  Tunica  carta  è 
Ola  la  carta  augustana:  gli  altri  documenti  privati  in 
uso  sono  notitie. 

Nella  seconda  metà  del  secolo  XU  il  numero  dei  hre vi 
è  molto  considerevole  e  forse  si  avvicina  a  quello  delle  carte 
aostane  ;  queste  al  contrario  sono  in  grandissima  prevalenza 
nel  XIII  secolo  (^).  Il  breve  ha,  rispetto  alla  carta  augu- 
stana come  a  tutti  i  generi  di  documenti  contrattuali,  un 
rampo  molto  più  vasto,  serve  per  qualsiasi  atto  di  cui  si 
voglia  serbare  memoria.  Nessun  atto  che  non  si  possa  ricor- 
dare nella  forma  libera  del  breve,  come  nessun  impedimento, 
nessun  vincolo  presenta  il  breve  a  chi  voglia  serbare  notizia 
di  un  fatto,  di  un'azione  giuridica  qualsiasi  già  compiuta.  Non 


nn)iK(rrìti<i  <ìi  Savoia  dalle  origini  all'anno  IIOS  (Roma.  19(X)),  p.  358, 
n.  XXXV;  Due,  llistoire  de  l'Église  d'Aoste,  1  (Aoste,  1901),  ^3;Tibaldi, 
Storia  della  Valle  d'Aosta.  II  (Torino-Roma,  1902),  101,  nota  1;  Patrucco, 
Aitsta  dalle  inrasioiii  barbariche  alla  sigìioria  Sabauda,  neUd  Miscel- 
laneff  Valdostana,  p.  ux,  nota  5.  Cfr.  Pertz,  Archic,  IX,  6^;  XII.  590; 
K.  Albert,  La  Vallèe  d'Aoste  (Paris,  1860),  p.  "269:  Du.mmler,  Kaiser  Otto 
dor  <i rosse,  in  JahrbacJter  des  deidsclien  lleicJts  (Leipzig,  1876),  pp.  186, 
nota  2,  286-287.  e  287,  nota  1.  Lo  dichiarano  spurio  il  Gabqtto  (cfr.  Ti- 
BALDi.  op.  cit.,  II,  102  in  nota,  che  riporta  pure  la  risposta  di  mons. 
Due  alle  ohbiezioni  del  Gabotto)  e  il  Patrucco.  Su  un  preteso  testamento 
di  un  vescovo  Anselmo  dell"  a.  960,  cfr.  Savio,  op.  cit.,  p.  84,  e  Patrucco, 
op.  cit..  p.  iaiu,  nota  1.  Leggesi  in  Aubert,  op.  cit.,  p.  269:  «<  Anseric.  On 
-  flou  ve  le  nom  de  cet  évèque  sur  des  Charles  de  920,  au  dire  des  Frères 

*  (le  Sainte-Marthe,  et  aussì  sur  quelques  parchemins  de  910,  d'après  un 

*  Muinuscrit  valdòtain.  Anseoie  P',  en  921.  Il  ligure  sur  une  charte  de 
r  (ette  mèine  année...  »  (Cfr.  Savio,  op.  cit.,  p.  84,  nota  1). 

(1)  Di  charte  ho  notat  )  soltanto  la  citata  precania  {^lpj)endice.  I, 
n.  6).  Krioneamente  il  Kekx  (op.  cit.,  pp.  3,  11)  considera  la  carta  aostana 
<tiiasi  come  eccezione,  come  una  caita  meno  bella  e  meno  pregiata  delle 
altie. 

(2)  Xel  secolo  Xill  i  brevi  sono  assai  meno  numerosi:  ma  alloia 
entrano  nelU  uso  jrli  istromenti  notarili.  Faccio  questo  calcolo  basandomi 
sui  documenti  dell' Ai-ch.  Vescovile. 


312  LUIGI    SCHIAPARELLI  [64J 

esclude  la  carta,  come  questa  non  rende  inutile  l'uso  del 
breve  per  il  medesimo  atto.  Abbiamo  quindi  fra  i  documenti 
di  Aosta  il  «  breve  recordationis  de  quodam  convadio  »,  il 
«  breve  recordationis  de  quadam  helemosina  »,  e  brevi  di  do- 
nazione, di  vendita,  di  permuta,  di  pace  e  di  concordia.  Per 
alcuni  atti  si  adoperava  prevalentemente,  se  pur  non  anche  in 
modo  unico  od  esclusivo,  il  breve  ;  così  non  ricordo  di  aver 
visto  una  carta  de  convadio.  I  brevi  non  sono  documenti 
usciti  da  una  speciale  cancelleria,  né  scritti  necessariamente 
da  notai  pubblici.  Alcuni  brevi  aostani  furono  certamente 
scritti  da  ufficiali  della  nostra  cancelleria  ;  ma  evidentemente 
non  fungevano  allora  da  ufficiali  di  questa  ;  si  ricorreva  a  loro 
perchè  erano  i  più  indicati  e  i  più  capaci  di  eseguire  un  tale 
lavoro,  ma  non  era  necessario,  né  richiesto  che  ad  essi  si  ri- 
corresse. 

Aggiungiamo  qualche  parola  sulla  composizione  di  questi 
brevi.  Noto  che  in  alcuni  di  essi  compaiono  la  stessa  pro- 
mulgai io  della  carta  aostana,  e  formule  simili  di  pertinenza 
e  di  sanzione,  talora  perfino  in  forma  più  ampia  (1).  Non 
mancano  i  testi,  spesso  designati  colla  formula  «  audientes  et 
«  videntes  »  (2),  di  numero  vario  e  registrati  sempre  in  fine 
del  documento.  Si  trovano  i  laudai  or  es  (3),  talora  perfino  i 
«  tìdeiussores  de  guarentia»  (4).  Non  manca  qualche  volta  la 
datazione,  in  forma  abbreviata  e  che  ricorda  quella  della  nostra 
carta  (5).  Voglio  anche  notare  un  carattere  estrinseco.  Il  breve 
è  di  regola  scritto  su  una  sola  faccia  della  pergamena,  ma 
non  sempre,  e  si  hanno  esempi  in  cui  il  testo  continua  sul 


(1)  Cfr.  Axìpemlicv.  1.  n.  8.  La  minatio  del  breve  in  Appendice.  1, 
n.  10,  è  tanto  lunga  che  certo  non  avrebbe  trovato  posto  in  ima  carta 
aostana,  dove  lo  spazio  era  in  certa  guisa  limitato,  non  potendo  il  testo 
che  si  trova  su  una  faccia  continuare  suir  altra. 

(2)  Come,  ad  es.,  in  Hist.  patr.  Man..  Chart..  I,  827,  n.  DXIX  ;  II, 
211,  n.  CLXVl:  219,  n.  CLXXllI;  221.  n.  GLXXVI.  Battaglino,  op.  cit., 
p.  244,  n.  II,  e  Appeudìce,  1,  nn.  7-10. 

(3)  Come,  ad.  es.,  in  lUst.  patr.  Man..  Cìiart..  I,  9r)7,  n.  DCXIJ  :  II. 
182,  n.  CXLII  ;  1201,  n.  MDCCI  e  Appendice.  I.  nn.  7-9. 

,(4)  Cfr.   Appendice.    I,    n.   9,   e  Hist.  pati:    Mon..  CJ/arf..    Il,  211, 
n.  CLXVI  :  «tìdeiussores  de  legali  guarentia». 

(.'))  Cfr.  Appendice.  1,  n.  7  e  Uisf.  pcdr.  Man.,  ('//art..  1,  827,  n.  DXIX. 


[<J5J  CHARTA    AUGUSTANA  'U8 

verso;  in  alcuni  di  questi  esempi  la  parte  sul  verso,  pur 
continuando  e  completando  quella  sul  recto,  è  come  distinta 
e  potrebbe  stare  a  sé  come  formula  o  speciale  parte  del  do- 
(U mento,  e  fa  ricordare  in  particolar  modo  la  redazione  sul 
verso  della  carta  aostana (1). 

Ora  da  tutto  questo  emerge  chiaramente  come  tra  carta 
augii  stana  e  breve  esistano  certi  rapporti  e  certe  identità, 
tanto  nei  caratteri  intrinseci  quanto  negli  estrinseci.  I  due  ge- 
neri di  atto  scritto  non  sono  un  prodotto  del  tutto  isolato  l'uno 
dall'  altro  ;  hanno  invece  relazioni  e  punti  di  contatto.  Ma  in 
che  consiste  la  loro  differenza?  Nel  diverso  valore  giuridico. 
La  carta  augustana  presentava  di  fronte  al  breve  dei  van- 
taggi: assicurava  all'atto  maggior  fede.  Il  verso  della  carta, 
come  rilevammo,  nella  forma  e  per  il  valore  è  nient' altro 
che  un  breve;  ma  la  redazione  sul  recto  ha  sempre  in  più 
ciò  che  manca  nel  breve  aostano,  la  sottoscrizione  cancelle- 
resca (2).  A  differenza  del  breve,  la  carta  augustana  è  ri- 
conoscinta  da  uno  scrittore  ufficiale.  Questi  non  è  ufficiale 
dell'autorità  sovrana,  ma  della  cancelleria  propria  di  Aosta;  è 
r  ufficiale  delegato  da  quella  istituzione  locale  cittadina  che  è 
incaricata  di  ricevere  e  dare  valore  agli  atti  contrattuali.  L'atto 
uscito  da  questa  cancelleria  si  può  ben  dire,  per  Aosta,  atto 
pubblico,  in  quanto  ha  tutta  la  fede  che  gli  veniva  dall'isti- 
tuzione pubblica  per  iVosta  e  territorio  (3).  Chi  adunque  fa- 
ceva stendere  un  atto  da  questa  cancelleria,  ricorreva  al 
mezzo  migliore  per  assicurare  pieno  valore  al  contratto  ;  con 
questo  procedimento  dava  piena  prova  della  sua  disposizione 
contrattuale  di  fronte  ai  terzi.  Ma  era  necessario  che  tutti 
gli  atti  privati,   per  avere  valore,  fossero  redatti  da  questa 


(1)  Cfr.  Appendice,  1,  nn.  7,  8,  10.  Il  breve  edito  in  Hist.  pdf r.  Mon.. 
c/ntrt..  II,  ^41,  n.  GXCIII,  ha  1  *  testes  »  sul  verso:  *  Testes:  Bernardiis 
^  archidiaconiis,  ma^ister  Girardiis,  Ebrardiis  de  Grange,  Dus  de  Villa, 
*  Bernai-dus  Arisi*.  È  un  chirografo.  Orig.  nell'Aich.  Vescovile.  11  do- 
cumento in  PivAXO,  op.  cit.,  p.  1(X),  n.  XX,  è  precisamente  un  breve, 
coi  testi  anche  sul  veiso  ;  non  può  essere  annoverato  tra  le  carte  aostane, 
»'  (filanto  avverte  il  Kern  (op.  cit.,  p.  8)  non  torna  opportuno  circa  l'ar- 
gomento che  tratta. 

(:2)  Per  alcune  a^arenti  eccezioni  cfr,  p.  26i2. 

(3)  Cfr,  PiVANO.  op.  cit..  p.  (36. 


;Ul  IXIUI   SCHIAPARELU  HjiiJ 

€ancelleria?  Non  credo.  Troviamo  infatti,  che  in  alcuni  casi, 
per  dare  anche  al  breve  questa  tede,  si  ricorse  al  chiro- 
grafo e  al  sigillo.  Questi  mezzi  però  non  potevano  offrire 
quella  sicurezza  che  dava  la  carta  augnstana.  Percliè  il 
chirografo  avesse  valore  in  caso  di  contestazioni,  occorreva 
che  almeno  due  copie  dell'atto  fossero  conservate  e  venis- 
sero presentate  dalle  parti,  il  che  è  presumibile  che  non 
sempre  si  avverasse.  Nulla  poi  lascia  supporre  che  in  Aosta 
si  sia  ricorso  al  sistema  adottato  in  Inghilterra  e  piìj 
raramente  in  Germania  di  conservar  negli  archivi  una 
copia,  colla  quale,  occorrendo,  si  potessero  confrontare  gli 
esemplari  ])osseduti  dagli  interessati  (1).  Maggior  valore  e 
maggiore  sicurezza  dava  il  sigillo,  che  venne  anche  appli- 
cato ai  chirografi  (2)  ;  ma  Fuso  del  sigillo  era  limitato  a 
poche  persone  e  a  poche  istituzioni,  a  quelle  precisamente 
che  come  autorità  pubbliche  usavano  d'ordinario  un  pro- 
prio, speciale  genere  di  documento  (3).  È  probabile  che  le 
persone  e  le  istituzioni  che  usavano  sigillo  per  i  propri  do- 
cumenti potessero  farne  uso  anche  per  documenti  di  altii 
autori,  e  ciò  avranno  fatto  specialmente  quando  gli  atti  in- 
teressavano loro  in  qualche  modo;  tuttavia  l'uso  del  sigillo 
non  poteva  non  essere  molto  ristretto.  Precisamente  il  pub- 
blico ricorreva  alla  carta  augnstana,  mentre  le  autorità, 
come  il  vescovo,  il  conte,  il  capitolo  ec,  preferivano  redigere 


(1)  I  chiiogiati  eh" io  esaminai  constano  soltanto  di  due  carte.  Ta- 
lora sono  designati  nel  testo  stesso  colla  formula:  «duo  scripta  divisa 
«  per  alfabetum  ».  Ma  le  lettere  che  si  scrivevano  nella  parte  da  tagliarsi 
non  erano  soltanto  quelle  dell"  alfabeto  ;  vidi  parecclii  brevi  colle  lettere: 
Breve  recordationis;  uno  col  nome  del  vescovo  «  Arnulfus  ».  Gfr.  :  Jp- 
pemlice.  J,  n.  8;  Jlist.  pafr.  Mon..  Chart..  II.  13:58,  n.  MDGGXGIV: 
Due,  Cartidaire  ec,  p.  3()9,  n.  GVI.  Giustamente  osserva  lo  Steixacker 
(op.  cit..  p.  249):  «  So  ist  die  Ghirographierung  melir  ein  vSymptom  des 
■«  Bediirtnisses  nach  einer  Wiederherstellung  des  verfallenen  Urkunden- 
*  Wesens,  als  ein  Mittel  zur  Befriedigung  dieses  Bediirtnisses  ». 

(2)  Uso  frequente  ;  cfr.  :  Hisf.pafr.  Moìì..  Chart..  TI.  1338.  n.  MOCCXCn'  ; 
Due,  Carfnkure  ec,  309,  n.  GVI. 

(3)  Usarono  il  sigillo:  il  conte,  il  vicedomino,  il  vescovo,  i  capitoli 
della  cattedrale  e  della  collegiata  di  S.  Orso,  Farcidiacono,  il  priore  di 
S.  Orso,  la  Guria. 


\{ji\  CHARTA    AUGUSTAXA  ;'>l'> 

atti  propri,  cui  assicuravano  valore  coi  propri  sigilli  (1).  Pei- 
accrescere  valore  ad  un  atto  si  applicavano  anche  più  si- 
gilli di  autorità  varie.  E  dall'importanza  maggiore  dell'au- 
torità doveva  derivare  maggiore  efficacia  al  documento  die 
portava  il  suo  sigillo.  Dati  questi  vantaggi  che  presentavfi 
la  carta  augusta na.  si  comprende  il  suo  uso  grande  e  il 
suo  rapido  sviluppo. 

\'ediamo  ora  la  carta  augu stana  nel  periodo  in  cui 
si  trova  di  fronte  all' istromento  notarile.  Questo  penetra  in 
Aosta,  come  dissi,  nella  prima  metà  del  XIII  secolo,  e  gli 
esempi  si  fanno  numerosi  solo  dopo  il  1^50.  Col  suo  allar- 
garsi diminuisce  l'uso  della  carta  aostana:  prevale  l'istromento 
notarile  nel  XtV  secolo,  e  nei  primi  anni  del  XV  la  carta 
aostana  scompare  ;  l' istromento  finisce  per  occu})are  tutto 
il  campo  di  questa.  Però  tra  i  due  generi  di  documenti  non 
vi  fu  lotta.  Vediamo  notai  pubblici,  cioè  scrittori  di  istro- 
menti  pubblici,  fungere  da  scrittori  della  cancelleria.  I  notai 
pubblici  in  Aosta  sono  in  quest'epoca  nominati  dai  conti  di  Sa- 
voia, e  i  conti  sono  i  capi  della  cancelleria.  E  non  risulta 
che  tra  le  due  istituzioni,  la  cancelleria  e  i  iabellioni  o  notai 
publ)lici,  vi  fosse  una  differenza  di  giurisdizione  o  una  li- 
mitazione nei  loro  diritti,  che,  ad  es.,  gli  ufficiali  della  can- 
celleria dovessero  ricevere  gli  atti  di  valore  perpetuo  e  i 
notai  pubblici  i  contratti  tempoi-anei,  della  durata  di  un 
certo  numero  di  anni.  Dipendendo  poi  gli  uni  e  gli  altri  notai 
dal  conte  di  Savoia,  possiamo  ritenere  che  non  dovessero 
sorgere  frequenti  contrasti  o  gare  per  diritti  vari  ed  emo- 
lumenti. Le  due  istituzioni  adunque  non  si  escludcmo  e  nep- 
pure sono  in  contrasto;  gli  atti  che  emanano  hanno  proprio 
significato  e  valore;  istromento  e  carta  augu  stana  sono 
contemporaneamente  usati  come  documenti  dispositivi.  Ta- 
lora si  ricoì'se  all'istromento  per  preparare  e  assicurare  Patto 


(1)  Anche  i  conti  di  Savoia,  come  i  vescovi,  si  servirono  delia  calta 
aostana  per  i  loio  atti.  Cfr.  ad  es.,  Due,  Carfidaire  ec,  p.  21)8,  n.  V 
(atto  del  conte  Toniinaso  I);  233,  n.  XXXIII  (del  vescovo  Oberto  d'Ivrea); 
238,  n.  XXXVIIl  (del  conte  Tommaso  l);  248,  n.  LI  (del  vescovo  Giial- 
l)erto  (li  Aotìta). 


81d  LUKtI   SCHIAPARELLI  [G8J 

che  doveva  rivestire  la  forma  della  carta  aostana,  come  con 
quello  si  venne  a  corroborare  questa,  a  completarla  nelle 
sue  disposizioni.  Non  si  può  affermare  che  l'uno  avesse  più 
valore  giuridico  dell' altra,  ma  emerge  che  da  prima  si  dava 
maggiore  importanza  alla  carta  aostana,  e  forse  non  unica- 
mente perchè  guarentigiata,  che  l'istromento,  come  si  adattava, 
e  più  della  carta  aostana,  a  tutti  i  generi  di  atti,  così  poteva 
contenere  tutte  le  clausole  di  essa  carta;  ma  perchè  doveva 
sembrare  la  più  indicata  e  la  più  sicura  «  ad  evidenciam  bo- 
«  norum  hominum  ».  Si  preferiva  all'istromento  l'antica  carta 
perchè  emanava  da  cancelleria  locale;  alla  forma  di  documento 
da  poco  entrata  nell'uso  si  preferiva  l'antica,  cui  davano  tanta 
forza  di  vita  gli  usi  e  le  tradizioni  del  luogo.  La  carta  aostana 
non  poteva  però  reggersi  a  lungo  di  fronte  all'istromento. 
[ntanto  si  noti,  che  per  quelli  che  non  risiedevano  in  Aosta 
non  poteva  tornare  sempre  agevole  ottenere  prontamente 
una  carta;  e  per  rimediare  a  questo,  per  assicurare  subito 
effetto  e  valore  giuridico  all'atto  si  ricorreva  ai  notai  pub- 
blici, che  erano  certamente  più  numerosi  degli  scrittori  della 
cancelleria  e  che  potevano  recarsi  da  un  luogo  all'altro  per 
esercitare  la  loro  professione. 

Tutto  ciò  non  poteva  non  essere  una  debolezza  per  la 
carta  aostana  e  una  forza  per  Tistromento,  che  andava 
estendendosi  nell'  uso.  L' istromento  si  prestava  a  varietà 
intìnita  di  contenuto  ;  si  muoveva  con  libertà  maggiore  di 
quella  concessa  alla  carta  aostana.  L' istromento  aveva  poi  in 
sé  un'  altra  forza  che  doveva  condurlo  a  sicura  vittoria  : 
il  suo  valore  giuridico  era  più  ampio  di  quello  della  carta. 
L' istromento  era  scritto  dal  «  notarius  sacri  palatii  et  comitis 
«  Sabaudie»,  la  carta  aostana  da  uno  scrittore  della  cancelleria 
di  Aosta.  Si  aveva  quindi  da  una  parte  l'atto  pubblico  in 
senso  esteso,  dall'altra  l'atto  pubblico  in  senso  molto  ri- 
stretto; la  publica  fides,  l'evidencia  honorum  homi- 
num della  carta  aostana  era  limitata  al  territorio  politico  di 
Aosta.  Doveva  naturalmente  prevalere  l' istromento  sulla 
carta.  Alla  carta  augu stana,  formatasi  in  territorio  franco- 
burgundio  e  rispondente  a  questo  diritto,  sottentra  l'istro- 
mento notarile  italiano;  la  carta  locale  cede  il  posto  al 
genere  di  documento  che  risponde  al  nuovo  diritto  della 
regione  cui  Aosta  viene  ad  appartenere. 


[69 1  CHARTA   AUGUSTAXA  817 

Per  meglio  comprendere  alcuni  caratteri  o  momenti  nello 
sviluppo  della  nostra  carta,  occorre  ricordare  alcuni  periodi 
della  storia  generale  del  documento  privato,  a  fine  di  non 
ritenere  come  carattere  particolare  dell'atto  aostano  quello 
che  è  comune  al  documento  privato  in  genere  o  a  documenti 
di  altri  territorii  giuridici. 

La  redazione  sul  verso  della  nostra  carta  ha  punti  di 
contatto  e  colla  notitia  dorsale  delle  altre  cade  e  col- 
r  imbreviatura  notarile;  serve,  in  certa  guisa,  a  spiegarci 
il  passaggio  dall'una  all' altra  (1).  La  notizia  dorsale,  con- 
siderata diplomaticamente,  è  anzitutto,  in  generale,  una  mi- 
nuta, in  qvianto  ha  servito  o  poteva  servire  di  base  per 
l'estensione  in  mundum  dell'atto;  non  solo,  ma  è  anche 
una  scritta,  cioè  un  atto  che  ha  dato  o  poteva  dare  origine 
al  vero  documento  notarile,  al  quale  viene  a  fornire  ele- 
menti sostanziali  (^2).  Tale  atto  preparatorio  della  carta  o  del- 


(1)  Il  Kerx,  op.  cit.,  p.  H5,  dice,  sebbene  con  esitazione,  il  documento 
aostano  precursore  del]iml)reviatura  ;  il  che  parmi  un  po' troppo,  e  non 
rispondente  a  quanto  attestano  i  documenti.  Cfr,  Ordo  iudicìarius.  %  3 
(ed.  Gross,  pp.  :217-218),  che  bene  si  adatta  alla  carta  aostana  (cfr.  Vol- 
TKLixi.  op.  cit..  p.  XXVII,  nota  3  ;  Kern,  op.  cit.,  p.  62). 

(2)  Parlo  di  notitia  dorsale  in  senso  ampio.  La  maggior  parte  di 
queste  notitie  sono  veramente  dorsali,  ma  non  tutte;  alcune  sono  scritte 
sul  recto  della  pergamena,  sulla  faccia  che  contiene  Tatto  in  ìihiìkIiuh, 
nei  margini  superiore  o  inferiore,  in  principio  o  in  calce  del  documento. 
(Si  cfr.  la  glossa  Protocollnm  alla  Xov.,  44,  cap.  I;  Voltelini,  op.  cit., 
p.  XXVII,  nota  3).  Un  caso  ebbe  già  ad  avvertirlo  A.  Gloria,  in  una  carta  Pa- 
dovana del  1131  maggio  ^{Codice  dlpìomcdico  Padoirtno  dall'anno  1101 
alla  pace  di  Costaìisa,  I,  Venezia  1879,  176,  n.  223,  nei  Moniunenti  .sto- 
rici pubbliccdi  dalla  li.  Deputasione  Veneta  di  Storia  patria,  voi.  IV, 
serie  prima.  Doctinienti,  voi.  IV.  Cfr.  Kern,  op.  cit.,  p.  22).  Tra  le  perga- 
mene di  alcuni  fondi  dell'archivio  di  Stato  in  Firenze  trovansi  notitie 
sul  recto  in  un  angolo  estremo  della  pergamena,  il  quale  pare  dovesse 
venir  tagliato  per  uguagliare  il  foimato  della  membrana  ;  cito  alcuni 
esempi:  Canialdoli,  1008  nov.,  1010  febbr.;  Luco,  1038 giugno  24,  1061  gen- 
naio 5,  1089  giugno  1  ;  Ikidia  di  Firenze.  1072  nov.,  1073  mar.  27,  1083  ott. 
CoUibiwno,  1010  giugno  8  (in  note  tachigraflche).  Talora  questa  notitia 
è  scritta  in  senso  opposto  a  quello  del  testo,  sicché  per  leggerla  bisogna 
capovolgere  la  pergamena.  Parreb!)e  che  tali  notitie  dovessero  essere 
tagliate.  L'acuta  ipotesi  del  Gaudknzi  (op.  cit.,  pp.  424,  428)  sarebbe  così 
avvalorata  da  esempi.  È  molto  probabile  che  si  scrivessero  notitie  su 

Akch.  Stor.  It.,  5."  Serie.  —  XXXIX.  Jl 


818  luKtI  schiafarelli  |70j 

ristromento  propriamente  detto  ebl)e,  e  semj)re,  il  valore  giu- 
ridico che  abbiamo  attribuito  alla  redazione  sul  verso  della 
carta  aostana,  e  dovremo  perciò  considerarlo  come  un  vero 
documento  a  sé?  Dalle  pubblicazioni  finora  fatte  di  docu- 
menti, per  essersi  tenuto  conto  solo  eccezionalmente  delle 
notizie  dorsali,  non  è  possibile  affrontare  l'argomento  colla 
speranza  di  giungere  ad  una  conclusione  generale  e  defini- 
tiva. L' acuta  tesi  sostenuta  dal  prof.  A.  Gaudexzi  (1),  che 
considera  la  notizia  dorsale  come  vero  atto  giuridico,  come 
«  una  prima  e  diversa  redazione  del  documento  »,  trova  ap- 
poggio e  conferma  nella  carta  aostana;  ma  è  stata  com- 
battuta dal  dr.  Kerx  (^2)  per  le  notizie  dorsali  delle  altre 
carte,  e  la  questione,  pare  a  me,  è  più  viva  che  mai,  occor- 
rendo ancora  e  anzitutto  fare  nuove  ricerche  e  nuovi  esami 
delle  pergamene  medievali   col   precipuo  intento  di  studiale 


scheda  a  parte,  su  propria  perjjaniena.  staccata  da  ([uellache  doveva  conte- 
nere l'atto  in  iiumiltiiiK  ed  è  prol)al)ile  che  nuovi  esami  e  studi  ne  dimo- 
strino l'esistenza  tra  il  materiale  archivistico  a  noi  giunto:  tali  sono  forse  i 
documenti  editi  dal  Belgraxo,  Cartario  (jonovese.  in  Affi  (iella  Società 
Ligure  di  storia  patria,  II,  parte  I  (Genova,  1870).  72  n.  XLVII  e  193 
n.  GLVII.  Secondo  il  Gaudenzi  (op.  cit.,  pp.  420.  438)  non  mancherehheio 
esempi,  e  *  In  Borgogna  era  uso  costante  di  scrivere  notizia  e  carta  su 
%  due  membrane  diverse.  E  di  questo  uso  troviamo  infiniti  esempi  nelle 

*  carte  del  X  ed  XI  secolo  dell'abbazia  di  Gluny.  Ed  è  da  osservare  che 
■«  nell'Archivio  di  questa  ci  furono  generalmente  conservate  in  originale 

*  le  notizie,  mentre  nei  cartulari  dell'abbazia   abbiamo  le  copie  delie 

*  carte  »  (op.  cit..  p.  428).  Peccato  che  egli  non  citi  meglio  e  non  esa- 
mini questi  esempi  (cfr.  Kerx,  op.  cit.,  p.  30). 

(1)  Op.  cit.  Si  cfr.  le  recensioni  dello  Schupfer  {La  jurbhlicità  nei 
trapassi  della  projirietà  secondo  il  diritto  roìnano  del  basso  impero 
specie  in  reiasione  alle  vendite,  in  Rirista  italiana  per  le  Sciente 
giuridiche.  XXXIX,  1,  segg.)  e  àe\  ^o\.^ìi {Archivio  giuridico  *  F.  Sera- 
fini», LXXIV,  511  segg.);  cfr.  anche  Bresslau  nel  Xeues  Archir.  XXXI, 
276,  n.  127.  e  Bruxxer,  Deutsche  liechtsgeschichte.  l.  2^'  Aufl.  (Leipzijz. 
1906),  571.  nota  30. 

(2)  Kerx,  op.  cit.:  cfr.  in  particolare  le  pp.  30-34.  Non  entro  nel 
merito  della  questione.  Il  Gaudexzi,  che  ha  raccolto  nuovi  materiali, 
l'isponderà  fra  poco  alle  critiche  del  Kerx.  Questi,  va  notato,  viene  del 
jesto  ad  ammettere  una  doppia  redazione  del  documento  al  tempo  del- 
l' imbreviatura  (oj).  cit..  p.  64).  Cfr.  E.  Besta,  Xuori  appunti  di  storia 
giuridica  sui  documenti  Lucchesi,  in  Archìvio  giuridico  *  F.  Serafini  ». 
LXXV.  357. 


[/Il  CHARTA    AlurSTAXA  '^19 

queste  notizie.  Intanto  da  quel  poeo  elle  finora  eonoseiamo 
si  può  (liie,  in  relazione  eoi  nostro  argomento,  clie  non  ri- 
sulta ehe  vi  siano  altri  gruppi  di  carte  con  una  redazione 
sul  verso,  la  quale  abbia  e  lo  sviluppo  uniforme  e  i  ca- 
ratteri di  quella  aostana  :  cbe  l' uso  della  notizia  dorsale 
fu  esteso,  ma  non  generale;  che  essa  prende  caratteri  vaii 
e  assume  speciale  valore  a  seconda  dei  territori,  talora 
a  seconda  dei  casi  singoli.  Di  alcuni  caratteri,  da  noi  già 
rilevati,  che  nella  notizia  dorsale  aostana  hanno  ampio  svi- 
luppo ed  uso  regolare,  si  trovano  accenni  ed  usi  singoli 
anche  in  altri  gruppi  di  carte.  Così  non  parmi  si  possa  du- 
bitare che,  come  avvertimmo  per  la  redazione  sul  verso 
della  carta  aostana,  alcune  notizie  dorsali  formino  un  vero 
documento  a  se  con  speciale  valore  giuridico;  basterà  ri- 
cordare l'esempio  offertoci  da  una  pergamena  genovese  del 
gennaio  10i25,  la  quale  contiene  sul  verso  un  atto  di  ven- 
dita e  sul  recto  la  relativa  cartula  promissionis  (1). 
È  frequente  il  caso  di  vendita  e  di  promissio,  di  dona- 
zione e  di  promissio  con  due  atti  su  due  pergamene  —  e 
spesso  nella  carta  promissionis,  proprio  come  nella  carta 
genovese,  è  specificatamente  ricordato  l'atto  di  vendita  o 
di  donazione  già  compiuto  —  ;  nel  citato  esempio  invece  i  due 
atti  sono  scritti  sulla  stessa  pergamena  e  vengono  a  for- 
mare come  una  carta  unica.  Lo  svolgimento  maggiore  che 
va  prendendo  la  notizia  dorsale  sul  verso  nella  carta  ao- 
stana del  terzo  periodo  si  riscontra  anche  in  alcune  notizie 
dorsali,  le  quali  allargano  il  loro  testo  che  va  facendosi 
uguale  a  quello  della  parte  recto  (^).  Pure  alcuni  gruppi 
di  notizie  dorsali  prendono  il  carattere  narrativo  del  breve  ; 
hanno  la   forma    oggettiva,    mentre    il    recto   è  redatto    in 


(1)  Edita  da  L.  T.  Bklgraxo,  su  copia  di  H.  Poch,  nel  citato  (V/y- 
tario  Genovese,  p.  128,  n.  XC.  Presuppongo  che  la  notitia  dorsale  sia 
della  mano  che  scrisse  il  recto  :  il  Poch  notò  soltanto  :  *  di  mano  egual- 
«  mente,  come  parmi.  antica  *.  L'  esempio  è  ricordato  anche  dal  Kkrn 
<op.  cit.,  p,  27),  ma  in  sostegno  della  tesi  opposta.  Egli  ritiene  la  jjro- 
missio  come  atto  anteriore  alla  vendita,  sebbene  nel  testo  si  ricordi 
quesfultima  («  cartulam  vindicionis  etmiximus  »).  Un  esempio  di  dona- 
zione e  di  promissio  si  ha  nello  stesso  Carta  rio  Genovese,  p.  101,  n-LXX. 

(2)  Gfr.  Kkrx,  op.  cit.,  pp.  16,  23,  W. 


320  LUIGI   SCHIAPARELLI  [72] 

forma  diretta  o  soggettiAa  (1).  Forse  nuove  ricerche  e  ulte- 
riori studi  sulle  pergamene  medievali  metteranno  in  evi- 
denza altri  riscontri  :  è  probabile  che,  come  si  notò  per  la 
carta  aostana,  si  usassero  e  si  conservino  tuttora  notizie 
dorsali  staccate  (2),  che  non  di  tutte  le  notizie  venisse  stesa 
la  carta  e  che  esse  fossero  consegnate  alle  parti  (3). 

Quelle  relazioni  che  rilevammo  in  Aosta  tra  breve  e 
carta  si  sono  verificate,  quasi  nello  stesso  tempo,  in  Italia, 
dove  si  svolse  l' istromento  notarile.  Il  breve  ebbe  in  Italia 
il  suo  maggiore  svolgimento  verso  la  fine  dell'  XI  e  nel  XII 
secolo  a  seconda  dei  territori  ;  e  questo  svolgimento  avviene 
appunto  nel  periodo  in  cui  si  prepara  una  grande  modifica- 
zione nell'atto  scritto  medioevale,  cioè  il  passaggio  dalla 
carta  ali '  i  n  s  t  r u  m  e  n  t  u  m  propriamente  detto  (4) .  In  seguito 
ad  un  naturale  svolgimento,  che  diremo  storico,  dell'atto 
scritto,  attraverso  il  quale  si  ebbe  come  una  selezione  tra 
le  forme  antiche,  di  cui  alcune  vennero  accettate  ed  altre 
modificate  in  modo  da  rispondere  ai  nuovi  concetti  giuridici, 
e  sotto  l'influenza  dei  glossatori  e  dei  canonisti,  si  fissò 
r  istromento,  che  differisce  dalla  carta  in  quanto  lo  scrit- 
tore è  ufficiale  pubblico  e  l'atto  suo  gode  publica  fides. 
Come  si  sia  arrivati  a  questo  concetto,  non  tocca  a  noi  di 
indagare  (5).  Basti  per  il  nostro  scopo  ricordare,  che  i  glos- 


(1)  Cfr.  Kerx,  op.  cit.,  pp.:  16,  64. 

(2)  Cfr.  p.  317,  nota  2. 

(3)  Di  tutto  questo  va  tenuto  conto  per  spiegare  i  casi  di  più  no- 
tizie dorsali  su  una  stessa  pergamena,  o  di  notizia  che  non  ha  relazione 
col  testo  sul  recto.  Il  Gaudenzi,  mentre  a  p.  4;20  del  suo  studio  ritiene 
che  «  nelle  mani  delle  parti  rimanessero  di  alcuni  atti  solo  queste  note, 
«  in  bella  copia  »,  a  p.  424  è  d'avviso  che  le  notizie  dorsali,  *  che  rappre- 
*  sentano  vere  schede  »  (egli  parla  veramente  delle  notizie  dorsali  raven- 
nati, ma  come  esempio),  rimanessero  presso  il  notaio.  Cfr.  KeRxN,  op.  cit.. 
p.  !26.  Quando  il  notaio  conserva  la  scheda  siamo  nel  periodo  del  mag- 
giore svolgimento  del  notariato,  quando  l' ìnsfrunienftwi  è  p»òIicinH. 
siamo  all'epoca  dell' ijnbreviatura  o  protocollo  a  libro. 

(4)  Cfr.  Bresslau,  rrkinideììlehre.  I,  495,  nota  4;  Voltelint.  op.  cit., 
pp.  XVII,  xviii,  e  Kern,  op.  cit.  p.  51. 

(5)  Cfr.  Bresslau,  Urkamlenlelire,  I,  493  segg.  ;  C.  Paoli,  Progroìinna 
scolastico  (il  P(ileo(jrafìa  htfina  e  di  diplomatica.  Ili,  Diplomatica  (Fi- 
renze 1898),  pp.  74  segg.;  Voltelixi,  op.  cit.,  pp.  xiii  segg.;  Kern,  op.  cit., 
pp.  49  segg. 


CHARTA  AUGUSTANA  ^^^P        '^^^ 

i  quali  videro  riposta  nell'antico  documento  tabellio- 
nale  quella  fede  pubblica  che  dava  all'atto  l'insinuazione  nei 
Gesta  municipali  a  e  nel  tabellio  un  ufìiciale  pubblico, 
concorsero  ad  allargare  il  valore  dell'atto  notarile,  quel  valore 
che  l'atto  scritto  si  era  venuto  acquistando  nel  suo  svolgi- 
mento naturale.  Così  ogni  fede  si  concentrò  in  quest'istro- 
mento,  ogni  fiducia  venne  riposta  nella  testimonianza,  nella 
dichiarazione  scritta  del  notaio.  Questi  figura  come  interve- 
niente all'atto  di  cui  si  fa  relatore,  della  cui  veridicità  è  teste  ; 
Tatto  suo  è  pubblico,  instrumentum  publicum  (1).  Il 
breve  ci  spiega  appunto  in  alcuni  casi  e  in  dati  luoghi  questo 
svolgimento  o  passaggio,  che  da  esso  parrebbe  in  parte  prepa- 
rato o  favorito.  In  alcuni  territorii  della  carta  longobarda 
troviamo  ora  numerosi  brevi  di  un  atto  qualsiasi,  di  vendita, 
di  donazione  ec,  perfino  di  permuta  (2)  ;  e  vediamo,  al  più 
tardi  verso  la  fìne  del  XII  secolo,  diminuire  questo  numero 
e  sottentrarvi  un  atto  che  del  breve  non  ha  il  nome,  ma  con- 
serva alcune  formule  e  soprattutto  ha  la  redazione  in  forma 
oggettiva:  allora  cessa  dall'uso  la  carta  anteriore  in  pre- 
valente forma  soggettiva  (3).  Siamo  anche  a  un  dipresso  nel 


(I)    VOLTELINT,    Op.    cit.,    pp.    XX,    XXIV. 

(^)  L'antico  formulaiio  della  pennuta,  per  lo  meno  nelle  carte  del 
Piemonte  e  della  Lombardia,  dura  più  a  lun^o,  ancora  quando  ^ià  pre- 
vale r  istromento. 

(3)  Un  esempio  servirà  meglio  a  dilucidare  quanto  ho  asserito  in- 
torno al  breve  :  scegliamolo  tra  le  carte  del  Piemonte  e  precisamente 
di  Asti.  Le  carte  astensi  seguono  in  genere  il  tipo  della  carta  del  ter- 
ritorio long.-toscano  :  sono  tutte  redatte,  salvo  le  permute,  in  forma 
soggettiva.  Esaminando  il  gruppo  delle  carte  astesi  edite  in  Ilìsf.  patr. 
Moli..  C/iart.,  I,  si  trova  a  col.  752,  n.  CCCCLVI,  sotto  la  data  1123 
luglio  23,  una  prima  vendita  in  forma  di  breve.  Il  documento  prin- 
cipia, come  la  carta,  colla  data  e  coli'  invocazione  verbale,  ma  poi  a 
questa  segue:  *  Breve  recordationis  securitatis  ac  fiiinitatis  ad  perpetuam 
«  memoriam  retinendam.  Presentia  bonorum  hominum,  quorum  nomina 

*  describuntur  inferius,  investituram  et  vendicionem  sub  dupla  defen- 
«  sione  et  sub  pena  argenti  libras  viginti  fecerunt  »  ec.  ;  è  sottoscritto  da: 

*  Ego  Guido  Astensis  causidicus  interfui  propriisque  manibus  denotavi». 
La  carta  che  segue  è  dello  stesso  Guido  e  redatta  nel  medesimo  tenore. 
Le  carte  a  coli.  763  e  770  sono  di  nuovo  redatte  in  forma  soggettiva  ; 
alla  col.  780.  n.  CCCCLXXIX,  a.  1138,  9  agosto,  si  legge  una  carta  che 
principia   coi  *  testes  »,  indi    prosegue:  *  Carta   vendicionis   nomine  pi- 


322  LUIGI   SCHIAPAKELLI  [74] 

momento  in  cui  si  va  perdendo  traccia  della  notizia  dorsale^ 
e  si  entra  nel  pieno  e  regolare  uso  dell'  imbreviatnra  o  pro- 
tocollo ;  la  forma  oggettiva  penetra  tosto  anche  nei  registri 
e  formulari  notarili  (1),  per  passare  nella  redazione  in  mun- 
dum  dell'atto  (2).  Ora  è  la  forma  della  relazione,  la  forma 
oggettiva,  che  in  generale  prevale  in  tutti  gli  atti  privati  (3). 
Sotto  un  certo  aspetto,  potremo  quindi  dire  che  come 
in  alcuni  luoghi  attraverso  il  breve  si  passa,  tra  la  fine  del- 


«  gnoiis  »  ec.  ;  la  datazione  è  in  fine,  e  la  sottoscrizione  not.  si  riduce 
alle  parole:  *  Ego  Vili  do  scribsi»;  ha  forma  breve,  concisa,  ha  tutto 
Taspetto  di  una  scheda  notarile  e  fa  ricordare  il  tipo  di  imbreviatura 
del  notaio  Giovanni  Scriba  (in  questa  però  la  redazione  è  in  foinia 
soggettiva).  Ed  eccoci,  a  col.  809,  n.  DUI,  alla  carta  del  :26  maggio  1156, 
che   principia   colla  .datazione,   cui  segue:  «  Gartulam   vendicionis   sub 

*  dupla  defensione  fecerunt  *  ec.  e  termina:  *  Et  ego  Vuilielmus  interfui 

*  et  scripsi  ».  Qui  manca  il  titolo  di  l)reve.  ma  il  formulario  è  simile 
a  (juello  del  documento  sopra  ricordato  a  col.  752;  e  i  due  atti  dovet- 
tero avere  eguale  valore  giuridico.  Seguono  due  carte  del  12  gennaio 
1157  (col.  809,  n.  DIV)  e  5  marzo  1159  (col.  818,  n.  DX)  collo  stesso  for- 
mulario; la  prima  è  del  notaio  astigiano  «  Guilielraus  »  (che  dev'essere 
il  medesimo  della  carta  a  col.  809,  n.  DUI)  e  la  seconda  del  notaio,  pure 
di  Asti,  *Estachius».  Una  carta  in  forma  soggettiva  si  ha  ancora  a 
a  col.  825,  n.  DXVII,  a.  1161,  14  sett.,  scritta  dal  notaio  «Vuilielmus», 
che  dev'essere  il  medesimo  sopra  ricordato;  ma  dello  stesso  notaio  segue 
subito  un'altra  carta,  8  ottobre  1161  (col.  826,  n.  DXVIII),  in  forma  og- 
gettiva: «  Mainfredus  et  Rainerius  de  Casasco  germani  fecerunt  finem 
«  et  refutacionem  et  transactionem  »  ec.  Il  tipo  è  ormai  fissato  e  le  carte 
seguenti  sono  tutte  dello  stesso  tenore.  Perdura  più  a  lungo  V  antica 
formula  della  permuta,  ma  poi  si  uniforma  anch'essa,  e  si  ha:  *  Cartulam 
■«  permutacionis  fecerunt  ». 

(1)  È  in  forma  soggettiva  la  più  antica  imbreviatura  a  noi  perve- 
nuta, quella  di  Giovanni  Scriba  (Tlist.  patr.  Mon..  Cliart..  II.  285  segg.). 
L'Ars  notoria  di  Ratnerio  da  Perugia,  il  Foriììularìuin  Uihcìliouìuii 
attribuito  a  Irnerio  e  la  Stinnna  ìwf ariete  Arefii  composita  (in  liittìio- 
tìieca  inridica  Mcdii  Aeri)  hanno  le  rogatioues  in  forma  ogg.  :  cfi-.  Gai- 
denzi,  op.  cit.,  p.  422  e  Kern,  op.  cit.,  p.  54,  nota  2. 

(2)  Cfr.  Gaudenzi,  op.  cit.,  p.  423;  Kern,  op.  cit.,  pp.  51  segg. 

(3)  La  forma  soggettiva  perdura  più  a  lungo,  ad  es.,  in  Romagna  :  cfr. 
VoLTELiNi,  op.  cit.,  xviii  e  Kern,  op.  cit.,  p.  54.  In  questo  periodo  di  tran- 
sizione si  incontrano  frammiste  formule  vecchie  e  nuove;  caratteri  del 
breve  nella  carta  e  viceversa  (cfr.  le  belle  osservazioni  del  Kern,  op.  cit., 
pp,  .54  segg.).  Già  nel  periodo  anteriore,  la  forma  oggettiva  trovasi  usata 
eccezionalmente  in  alcuni  luoghi  per  certi  generi  di  atto,  come  livelli  o 
permute  (cfr.  Kern,  op.  cit.,  p.  54). 


|7oJ  CHARTA    AUGUSTANA  ^^28 

rXl  e  il  Xll  secolo,  dalla  carta  all' imbreviatura  e  all' in- 
strumentum, in  Aosta  si  arriva,  verso  la  metà  del  XII 
secolo,  alla  carta  augustana  del  maggiore  svolgimento, 
colla  redazione  sul  recto  in  forma  oggettiva. 

DÌA'erso  fu  lo  svolgimento  nel  territorio  franco-germa- 
nico, dove  colla  caduta  della  monarchia  franca  scomparve 
la  carta,  cui  sottentrò  la  notitia.  Decadde  il  documento 
quale  perfezione  di  atto  e  si  passò  dalla  carta  alla  notitia, 
cioè  al  documento  testimoniale  di  semplice  prova  (1).  Ven- 
nero poi  in  uso  il  chirografo  e  segnatamente  il  sigillo,  che 
contribuirono  a  ridare  vita  e  valore  al  documento  privato. 
In  Italia  i  chirografi  sono  piuttosto  rari,  e  non  si  usò  il  si- 
gillo per  l'atto  privato.  E  non  vi  era  bisogno  in  Italia  di  ri- 
correre a  questi  mezzi  per  assicurare  valore  al  documento, 
poiché  alla  carta  sottentrò  l'instrumentum  publicum, 
che  a  ciò  meglio  provvedeva. 

La  carta  ebbe  sempre  un  certo  grado  di  valore  dimostra- 
tivo, come  possiamo  vedere  attraverso  le  leggi  dei  Longobardi 
e  dei  Carolingi,  e  come  risulta  dall'esame  dei  documenti  per- 
venutici, nonché  dall'uso  che  di  questi  si  faceva.  Si  nota  nella 
carta,  sebbene  a  sbalzi,  a  guisa  di  filo  spezzato,  una  con- 
tinuità di  quella  fede  che  aveva  l'antico  documento  romano, 
il  documento  insinuato  nei  Gesta  municipalia;  scomparsa 
la  Curia  come  istituzione,  rimase  lo  scrittore,  e  in  lui  per- 
durarono e  si  concentrarono,  in  certo  qual  modo,  l'autorità  e 
la  fede  che  solo  quella  poteva  dare  airatto.  Dai  tabelliones 
allo  scriba  longobardo,  allo  scrittore  dei  giudizi,  al  notaio 
missatico,  al  notaio  imperiale  vediamo  quasi  sempre  compa- 
rire uno  scrittore  che  godeva  speciale  fiducia,  il  quale  veniva 
additato  dalle  leggi,  sebbene  queste  non  obbligassero  a  ri- 
(*orrervi;  sicché  era  possibile,  a  chi  desiderasse,  assicurare 
maggiore  fede  all'atto  scritto.  L' istromento  notarile  colle  sue 
prerogative  appare  quindi  come  il  naturale  sviluppo,  la  ri- 


(1)  Cfr.  Hkdmch,  rehpr  hdiri.schc  Tradii ioìisbilcher  nini  TraOitio- 
nen.  pp.  1  segg.,  Bhesslau,  rrf,éin(lenh('freis,  pp.  (>.5-()6:  l'rhinKJniìehre. 
I,  W.ì  segg..  Steixackkr,  op.  cit.,  pp.  i24<)  segg. 


•!24  LUIGI    SCHIAPARELLI  [7(5j 

sultante  di  questo  fatto,  the  \enne  favorito  e  in  particolare 
determinato  dalla  scuola  dei  glossatori  e  dai  canonisti. 

L' istromento  notarile  dall'Italia,  dove  sorse  e  si  svi- 
luppò, penetrò  tardi  in  Germania  e  in  Francia;  quivi,  in 
sua  vece,  per  dare  fides  publica  all'atto  scritto,  si  ricor- 
reva generalmente  al  chirografo  e  in  particolare  al  sigillo. 
I  caratteri  del  breve  in  Aosta  rispondono  appunto  agli  usi 
giuridici  del  territorio  franco,  cui  Aosta  apparteneva.  Aosta 
ebbe  colla  sua  carta  un  atto  scritto  pubblico,  quale  aveva 
ritalia  nell'istromento  notarile. 

La  carta  aostana  colle  due  redazioni  rispecchia  i  due 
generi  di  atto  scritto  sopra  ricordati,  riflette  e  raccoglie  in 
se,  per  così  dire,  la  notitia  e  la  carta,  1"  imbreviatura  e 
l'istromeiìto  (1). 

Firenze.  Lumi  Schiaparelli. 


APPENDICE. 

L 

Documenti. 

1.  1035  (?). 

(Sulla  faccia  cerso  della  pergamena).  Donacio  quam  facit  Guii- 
tardus  in  canoiiicis  Saiicti  lohaniii  viiiea  una  in  Auciano  j  prò  re- 
medium  anime  sue.  Et  si  ulliis  homo  est  qui  istam  terram  voluis- 
set  I  conmiitare  aut  tollere,  revertat  a  prossimis  Guntardi.  Signum 
Aiiselmus,  I  Pandiilfus,  Leiitefredus,  Vuibertus,  Varneiicus.  Fidem: 
Anselmus  et  [  Pandulfus.  Et  est  pena  de  aurum  coctum  libras  e. 
Escumburga  laudavit,  Gysburga  lauda vit. 


(I)  Si  sare;)l)e  (|iiasi  iiulotti  ad  aggumgere  che,  sotto  un  certo  aspetto,